Bau!

cagnolino31

di fra Roberto Pasolini

L’esperienza in montagna ci insegna che più si va in alto, più si rimane in pochi. Soli addirittura, quando la vetta da raggiungere è particolarmente ardua. Il profeta Isaia sostiene invece che sul monte del Signore le cose vanno al contrario: la sua casa sarà capace di accogliere una moltitudine, «si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli» (Is 56,7). Dio allarga, aumenta, include. Agisce in modo radicalmente diverso da come facciamo noi che, dopo sporadiche e incostanti aperture, tendiamo a ritirarci per chiuderci in noi stessi. Che bello! In un mondo pieno di cose irraggiungibili ed esclusive, la Chiesa non si stanca di ammirare un Dio inclusivo, che vuole invitare e accogliere tutti nella sua casa.

Stran(ier)o

Questa bellissima notizia, che scalda e allarga il cuore, sembra però scontrarsi con uno volto di Gesù davvero strano e insolito. Di fronte a una donna che lo chiama e lo supplica, il Maestro reagisce con una secca indifferenza: «Ma egli nonne rivolse neppure una parola» (Mt 15,23). Ma come ha potuto, il Signore Gesù, dimenticarsi della profezia di Isaia? Come ha potuto scordare la promessa che la casa di Dio sarebbe stata aperta a tutti, anche agli stranieri? Perché Gesù si chiude in un silenzio che appare sgarbato, per non dire crudele? Davanti a un simile modo di fare, forse anche noi ci troviamo a esclamare insieme ai discepoli: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando» (15,23). Forse i discepoli vorrebbero soprattutto risolvere l’incresciosa situazione, evitando fastidi. Al Maestro, ma anche a se stessi. È sempre difficile farsi carico dell’altro, dei suoi problemi e delle sue sofferenze. Non basta una pacca sulla spalla, né un vago e astratto atteggiamento spirituale. Il Signore tuttavia non sembra intenzionato a modificare la propria posizione. Anzi rincara la dose: «Non sono stato inviato se non alle pecore perdute della casa di Israele» (15,24). Il Maestro si mostra assolutamente indifferente tanto alle grida della donna, quanto al bisogno di ordine e di tranquillità che i discepoli hanno velatamente manifestato. Perché? Che cosa vuole dirci? Che modo di amare ci rivela questa modo di fare?

Straniera

Il Maestro sta scegliendo di far emergere una qualità che questa donna probabilmente ha già manifestato ai suoi occhi: la fede. Una fede che Gesù non ha ancora potuto vedere così limpidamente nel cuore dei suoi amici, nonostante il miracolo dei pani e dei pesci. Questa donna — straniera e anonima — si muove con atteggiamento umile e fiducioso. Dalla sua assenza di meriti e di diritti si sprigiona una certa bellezza, una forte libertà interiore. Per questo non si ferma di fronte all’insuccesso. Anzi, continua a mendicare anche quando il Signore continua a opporre un rifiuto: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini» (15,26). Il desiderio di vita della donna non si lascia intimidire: «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni» (15,27). Quante volte la nostra preghiera è, non solo scostante, ma anche timorosa e scoraggiata. Vuota di speranza già in partenza. E allora reagiamo offesi e stizziti davanti ai silenzi e alle apparenti chiusure di Dio. La maniere scorbutiche del Maestro fanno invece emergere una meravigliosa verità presente nel cuore di questa donna appartenente alle «genti» (Rm 11,13) estranee alle promesse di Israele. Proprio lei sembra aver capito il vangelo assai meglio di coloro che appartengono al popolo eletto. Proprio lei intuisce quello che san Paolo un giorno metterà per iscritto: che Dio non rifiuta mai se non temporaneamente, affinché una misura più grande possa generarsi. Parlando della non accoglienza di Gesù come Cristo da parte degli ebrei, scrive san Paolo: «Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, che cosa saeà la loro riammissione se non una vita dai morti?» (11,15). Finalmente il Signore esclama: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri» (Mt 15,28).

Stranieri

Il Signore non ha chiesto alla donna di esibire la fede prima di fare il miracolo. Gli ha, più semplicemente, offerto la possibilità di manifestare fino in fondo la sua fame, fino formulare la più bella delle preghiere: quella fiduciosa, ostinata, libera persino dagli esiti. In un certo senso, potremmo dire che non è Dio a fare i miracoli, ma il nostro desiderio e il nostro bisogno sono capaci di suscitarli. L’atteggiamento del Signore Gesù riesce a valorizzare e moltiplicare questo tipo di apertura fiduciosa manifestata dalla donna straniera, che è il vero miracolo nascosto nel racconto. La storia di questa donna cananea vuole infonderci speranza. Non sono le buone maniere ad accendere il motore della preghiera, ma il grido della nostra fame di una vita piena, la voce della nostra indignazione di fronte al piatto vuoto che la vita talvolta ci chiede di accogliere. Dio molto spesso ascolta senza rispondere. Il suo amore per noi è così adulto, libero, fedele, da non aver bisogno di reagire a ogni nostro gemito, di assecondare ogni nostro bisogno. Dobbiamo imparare a riconoscere nella sua apparente insensibilità alle nostre richieste il miglior aiuto per farci diventare dei figli umili e grati. Essere vivi e amati per sempre non è un diritto acquisito. È un dono, il più vero, il più bello. Da accogliere ogni giorno con stupore e gratitudine. Proprio come sanno fare i cagnolini, che scodinzolano sotto la tavola. E poi, felici, si saziano del cibo fragrante e dell’amore che cade liberamente dalla mensa del loro padrone. Solo così — con questa ritrovata semplicità — la nostra vita può essere veramente saziata e guarita.

56 pensieri su “Bau!

  1. ….ma la fede non è mai spiegato in che cosa consista (nell’animo di chi crede) sembra che basti dire “io ho fede” perché ci sia la fede. (E’ sottinteso che Dio vede se c’è o non c’è la fede, ma noi non si sa mai cosa sia veramente, solo Dio lo sa, e nessun altro)

    1. La Chiesa lo sa.

      Nel suo Insegnamento, nella sua Tradizione, nel suo Discernimento, nel suo Carisma, nel suo Esempio (non astratto, ma concreto nella vita dei suoi Santi), nello Spirito che Dio le dona.

      Quindi ad Essa ci riferiamo per comprendere “cosa” è la Fede e per verificare se abbiamo Fede, anche se in ultima istanza è bene lasciare a Dio, alla Chiesa, agli altri, il giudizio sulla nostra fede, non presumere di averla e in che misura.

      Poi nell’accezione comune va da sè che dire: “io ho fede” equivale a dire più semplicemente “io credo” e questo credo, desidero divenga – con l’aiuto di Dio – fede viva nella mia vita.
      Fede che come ben sappiamo è anche “professione di fede”, ma deve essere sostenuta e comprovata dalle Opere, perché senza le Opere la Fede è una fede sterile se non pura illusione.

      1. Giancarlo

        Si Bariom, ma anche le opere, se non suscitate dalla fede, sono solo filantropia. Dunque le opere vengono dalla fede. Prima la fede (che è il mezzo), poi la carità (che è il fine).

        1. Si Giancarlo, ma la “filantropia” come la definisci o le “opere buone” pur non mosse dalla fede, non sono da disdegnare o da considerare inutili o “futili”.

          San Paolo dice che se anche dessi il mio corpo a bruciare, ma non avessi la Carità (non la Fede), sarebbe inutile.

          Vi è una “Caritas Christi” (che urget nos) e una Carità identificabile come amore verso il prossimo, che comunque viene da Dio, perché dove c’è Amore c’è Dio.

          Fermo restando che sappiamo dove si trova la pienezza e la perfezione dell’Amore (in una persona) e questo annunciamo e questo desideriamo e scegliamo come Cristiani, non si può disprezzare tutto ciò che non è pienezza e perfezione (giacché dovremmo onestamente dispezzare noi stessi per la nostra pochezza…), che sono già apertura del cuore dell’Uomo a Dio e al prossimo.

          Un cuore aperto all’Amore e al Bene (lasciamo perdere le molteplici e erronee concezioni d’amore che il mondo conosce…) cercherà sempre l’Amore e il Bene.
          Un cuore chiuso nella grettezza dell’egoismo e del male, ben più difficilmente uscirà dalle tenebre (difficile, ma non impossibile a Dio)

          1. Giancarlo

            Siamo d’accordo su quello che dice s. Paolo (e ci mancherebbe pure!). Tutti sappiamo che la carità è la prima (nel senso di più importante) delle virtù. In effetti, la carità è il fine, la perfezione, cui deve tendere ogni cristiano. Tuttavia, la fede è L’INDISPENSABILE MEZZO per avere carità. Senza fede resta l’amore umano, secondo me disprezzabile (questa è la mia opinione). Quello che è certo è che la carità nasce dalla fede, non viceversa.

            1. Ancora San Paolo ti contraddice dicendo:
              “E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.”

              Come possibile San Paolo ci metta in guardia dal rischio di “possedere la pienezza della fede” e ritrovarsi SENZA carità?
              Secondo il tuo assioma avendo la prima, hai la seconda.

              Gli avvenimenti e la Storia ci insegnano che il mondo è pieno di gente che ha fede, ma non ha un briciolo di Carità (a cominciare dai Farisei di ben nota memoria… e gurda che la sostanza non cambia per solo fatto – “solo” non come termine riduttivo – che “dopo” è venuto Gesù Cristo).
              ……………………….
              L’amore umano è secondo te disprezzabile…

              Quindi secondo te tutti quelli che – senza colpa alcuna – non hanno il dono della Fede, da cui deriverebbe la Carità, hanno sentimenti “disprezzabili”.

              Tu invece che meriti avresti per avere il dono della fede (ammesso tu l’abbia, come direbbe Alvise) per cui saresti dotato di sentimenti non-disprezzabili?

              Strano poi che uno che dovrebbe dalla Fede avere in dono la Carità, così facilmente dichiari sentimenti di disprezzo per questa o quell’altra cosa (è in effetti un tuo tratto distintivo).

              I tuoi genitori, i tuoi nonni, i tuoi avi, tutti hanno dato vita a figli nati da sentimenti non-disprezzabili? O qualcuno in mezzo a loro aveva forme di amore decisamente disprezzabili?

              Ma come sempre, meglio chiudere il discorso… perché non ami ti si chiami in causa in prima persona, anche se l’affermazione di cui sopra è tua.
              ……………………….
              Il problema di fondo in realtà mi sembra essere che tu ha sempre ragione (finché non ti si dimostri dove sbagli s’intende…) e che “non molli l’osso”. Quindi per l’ennesima volta ti lascio l’osso, le tue ragioni e le tue verità. 😉

              1. Giancarlo

                No Bariom, non sono affatto in contraddizione con s. Paolo (per mia fortuna!). Io non ho mai detto che chi ha fede ha anche la carità; io ho detto che per avere carità è INDISPENSABILE LA FEDE, NON che è SUFFICIENTE la fede. E’ possibile avere la pienezza della fede, cioè credere alla testimonianza di Gesù Cristo, ma odiarlo.
                …………………………
                E’ difficile dire qualcosa su coloro che, senza colpa alcuna, cioè non essendo stati battezzati, non hanno il dono della fede. Solo Dio conosce il loro destino. Non credo che i loro sentimenti umani possano meritare qualcosa. Se i sentimenti umani potessero meritare qualcosa, allora Gesù Cristo sarebbe superfluo. Come si vede bene anche dal testo evangelico preso in esame per l’articolo, ma anche in diversi altri passi del vangelo, è la fede che salva. Certo, come ci ricorda s. Paolo, deve essere una fede viva, aperta all’amore di Dio e, quindi, capace di suscitare la carità. Ma, sempre, è la fede all’origine della carità (…se aveste fede quanto un granello di senape…).

                Non ho nessun merito per aver avuto il dono della fede. L’unico merito che spero di avere è quello di accogliere e coltivare questa fede, che è relazione d’more con Dio.

                Non mi sembra strano per niente che io disprezzi ciò che è male (mai le persone), questo è perfettamente in accordo con la fede e la carità; ti ringrazio di riconoscermelo come mio tratto distintivo, spero solo di meritare questo tuo riconoscimento.

                Ti faccio una confessione: probabilmente anche i miei figli (sicuramente il primo) sono nati da forme di amore decisamente disprezzabili. Ma Dio sa trarre cose buone anche da ciò che è male.

                Carissimo Bariom, puoi chiamarmi in causa in prima persona finché vuoi. Anzi, come vedi, sono io stesso che molto spesso chiamo in causa le mie personali vicende. Basta non offendere.

                1. @Gaincarlo, fammi capire…

                  “…probabilmente anche i miei figli (sicuramente il primo) sono nati da forme di amore decisamente disprezzabili” se non si tratta di “violenze” (ma non voglio saperlo!) perché sarebbero nati da “forme di amore decisamente disprezzabili”?!

                  E cosa racconti ai tuoi figli (sicuramente il primo): “Siete nati da un amore decisamente disprezzabile, ma poi Dio a tratto il bene dal male (quindi voi, la vostra nascita, anche fosse solo l’atto che vi ha generato, site o eravate un male…)?
                  Ti rendi conto della gravità di un ragionamento del genere? Io sto facendo solo una conseguenza logica…

                  E dopo il primo semmai, cosa avrebbe tramutato questo amore disprezzabile in un amore “apprezzabile”? La Fede?

                  Come, quando? Berché sei stato battezzato? Perchè ti sei confessato? Perché ai aderito alla Chiesa?, Perché hai avuto fede? Stando solo all’ultima ipotesi “avere fede” (accezione tutta da dimostrare nel suo significato) e com’è che anche e soprattutto coloro che hanno fede, sono continuamente messi in guardia dallo stesso Vangelo sulle forme di egoismo – tra cui anche l’amore filiale, piuttosto che sponsale – che possono contaminare o inficiare il valore dei propri sentimenti e delle proprie azioni? Allora, amore disprezzabile-apprezzabile a intermittenza? O la Fede in questo pare non dare garanzie…

                  Tu sostieni che i sentimenti umani non possono meritare nulla o il Sacrificio di Cristo sarebbe superfluo.
                  Con “sentimenti” presumo si debbe intendere le “opere buone” di cui abbiamo gia parlato – i “sentimenti” possono essere o dire veramente nulla…

                  Più esattamente è corretto dire che il Sacrificio di Cristo a “riaperto il Cielo”, ha rimesso in Comunione l’Uomo con Dio Padre, in quanto QUALUNQUE azione buona sarebbe stata insufficiente a riparare il male del Peccato Originale (basta stusdiare un po’ il CCC). Le azioni buone rimangono, tant’è che i “giusti” vissuti prima di Cristo attendevano con la Sua discesa agli Inferi per essere liberati.

                  Sulla necessità esclusiva della Fede poi, che dire della famosissima parabola del Buon Samaritano? Per il tempo era colui da cui meno di ogni altro (degli stessi personaggi che lo precedono nel racconto) ci si sarebbe aspettato un gesto di Carità. Colui che non aveva alcuna fede, che anzi era considerato un “cane” dai Farisei del tempo.
                  Piuttosto illogico sarebbe che nella Sua Sapienza, Cristo abbia deciso di lasciarci nei secoli, proprio questo esempio.

                  Infine che diere dell’altrettanto noto passo Matteo 25, 34-46

                  “Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.”
                  “Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”

                  Si evince che coloro che hanno operato il bene non avevano necessariamente Fede, giacché se così fosse come non avrebbero potuto NON riconoscere il Cristo nei “piccoli” di cui parla il Vangelo.
                  Perché alla fine Fede e Speranza passeranno e quel che resta sarà la Carità.

                  Comprendo che questo fa torcere le budella a chi vede il serio rischio di vedersi passare avanti pubblicani e prostitute, ma nel passo di Matteo che riporta questo ammonimento, si parla di coloro che avranno fatto la Volontà del Padre, non semplicemente di chi avrà “avuto fede”…

                  A scanso di equivoci, ciò non significa che la Fede e un “accessorio superfluo”, ma parlare del valore e della necessità della Fede, va qui molto oltre, come va molto oltre il Valore del Sacrificio di Cristo a cui prima ho accennato.

                  Resta il fatto che DIO è AMORE e nessun amore (che corrisponda alla Volontà di Dio) per quanto limitato e imperfetto può essere considerato “disprezzabile”.
                  ………………………………..

                  P.S. tutta la serie di domande iniziali che sono anche personali, non esigono un risposta. sono solo un punto di partenza per una riflessione.

                  1. Giancarlo

                    C’è una differenza tra “opere buone”, cioè comportamenti che sono secondo la volontà di Dio, e carità, che è amore come lo ha insegnato Gesù Cristo. Naturalmente tutti sono capaci di opere buone; due genitori che si occupano coscienziosamente dei loro figli, compiono un’opera buona, secondo il volere di Dio. Tuttavia, se non hanno fede in Dio, la loro resterà un’opera buona, non sarà mai carità. E’ meritevole, agli occhi di Dio, un’opera buona? Forse si, ma io ne dubito. Per un semplice motivo: perché le opere buone, quelle di cui sono capaci anche i non credenti, sono opere che non richiedono il sacrificio personale, oppure ne richiedono una quantità accettabile in relazione al beneficio che se ne trae.

                    Vorrei fare un esempio, restando in tema di genitori-figli. Far nascere, crescere, educare e formare i propri figli è “un lavoro” che richiede un grande sacrificio, ed io ne so qualcosa avendo tre figli. E’ certamente un’opera buona che produce un gran bene, ai figli prima di tutto, ma anche a tutta la società. Però è innegabile che tutto il sacrificio richiesto per crescere i figli è compensato da grandi soddisfazioni che accompagneranno i genitori fino alla vecchiaia. Non solo. Bisogna anche considerare che “l’amore” (cosiddetto) che i genitori “sentono” (passivamente, niente a che fare con la carità) per i figli è, in realtà, un insieme di sentimenti e passioni del tutto naturali, che niente hanno a che vedere con la nostra volontà. Insomma, si tratta di un “amore” molto simile a quello di cui anche gli animali sono capaci. Ecco, mi chiedo, può meritare qualcosa, agli occhi di Dio, un “amore così? Lo ribadisco: NE DUBITO!

                    Quando, invece, due genitori amano i propri fi gli con tutti i sentimenti e le passioni tipicamente umane (come fanno tutti, o quasi), ma lasciano guidare il proprio comportamento dalla fede in Dio e dall’esempio luminoso di Gesù Cristo (come solo i cristiani sanno fare!), allora il loro amore non è più solo “opera buona”, ma si fa carità, sacrificio anche estremo e senza calcolo, oblazione, olocausto. Penso a quei genitori che lasciano nascere un figlio gravemente disabile, per esempio, in contrasto con coloro che abortiscono (un figlio sano) perché, altrimenti, non possono andare in vacanza.

                    Tornando a noi. Nessuno nega che l’uomo, anche se non battezzato o comunque lontano dalla fede, sia capace di opere buone. Lo è, certamente. Ma queste “opere buone”, che pure sono secondo la volontà di Dio e che producono certamente anche un grande bene, non saranno mai carità, la quale solo dalla fede, cioè da una relazione di conoscenza e di amore con Dio, può scaturire. Ho detto che le “opere buone” dei non credenti sono disprezzabili, ma non perché in sé cattive, anzi, in sé sono buone (altrimenti che opere buone sarebbero?). Sono disprezzabili perché sono secondo la natura (decaduta) dell’uomo. Natura soggetta ed incline al male, quindi radicalmente incapace di vero amore al di fuori della fede in Cristo Gesù.

                    Prima la fede, che apre il cuore alla speranza. Poi, forse, anche la carità, che è la perfezione.

                    1. ….non ho capito la differnze del risultato (per i figli) i) tra l’amore “di cui anche gli animali sono capaci” e il tuo amore non disprezzabile di credente. E poi cosa c’entra l’abortO?? La mamma di due “genitori animali” non ha mica abortito? Mi sento adisagio tante volte di fronte alle tua dabbenaggine!

                    2. Giancarlo

                      La differenza tra “opere buone” e carità sta nel fatto che le opere buone non richiedono sacrificio personale, hanno sempre un tornaconto. La carità, invece, è oblativa, disposta al sacrificio personale. Nessuno di noi però (comprensibilmente) sarebbe disposto al sacrificio personale, se non avesse fede in Dio e non sperasse in una ricompensa di Dio. Insomma, gli uomini possono anche essere capaci di carità, ma solo se attingono, con la fede, alla fonte della carità, a Dio stesso.

                      Come vedi, non c’è una sostanziale differenza quantitativa tra opere buone e carità. La differenza è solo qualitativa ed è dovuta alla differente origine delle due cose.

                    3. @Giancarlo, direi che siamo quasi arrivati ad un punto (quasi) convergente…

                      Io concluderie qui dato che a mio giudizio siamo a livello quasi di sofismi e a “spaccare il capello in quattro” su termini che non sempre intendiamo allo stesso modo.

                      Uno su tutti la parola “disprezzo”… puoi averla addolcita nella tua spiegazione, ma disprezzo ha un solo senso e sono convinto che Dio no ha DISPEZZO alcuno per nessuna forma di amore, più o meno alto, perfetto o come vuoi definirlo.

                      Trovo poi non corrispondente alla semplice realtà, il passaggio secondo cui, alla fine, le “opere” dei genitori mossi da sentimenti (diciamo naturali o connaturali) siano privi di spirito di sacrificio e siano compensati (sempre?) da soddisfazioni e naturali segni di riconoscimento dei figli stessi.
                      Alzi la mano chi non conosce più di una situazione che assolutamente smentisce questa tua teoria.

                      Mio padre a mia madre hanno fatto enormi sacrifici con i loro 6 figli, fuori di qualunque visione religiosa e entrambi avrebbero potuto – naturalmente e complice la comune natura decaduta dell’Uomo – far ben alre scelte.
                      MI RIFIUTO di credere che questo NON abbia e non abbia avuto un valore di fronte a Dio (che fortunatamente ha pensieri che sovrastano i miei e i tuoi in queste così strette visioni dell’Uomo e del suo vivere) o che alla fin fine, il loro vivere, il loro scegliere (la SCELTA concetto che ti è tanto caro, ma che ogni tanto sembri perdere di vista perché per te a valore solo un’UNICA scelta. Le altre sono come dire… disprezzabili?), sia assimilabile a quella degli animali …per favore non diciamo eresie (se non fesserie).

                      Ultima notazione, io non so che persone conosci e frequenti, ma ci sono persone (donne) che commettendo un grave errore e un serio peccato – questo è incontestabile – come l’aborto, non per “andare in vacanza”, ma per seri, serissimi problemi, tra lacerazioni e sofferenze (che ahimè resteranno) e nella loro debolezza o solitudine, spesso perché credono, erroneamente appunto, di risolvere così il problema o uscire da una situazione che li schiaccia…
                      E questo, guarda caso, vale non solo per l’aborto.

                      Questo tuo dipingere sempre l’Uomo come bianco o nero, come buoni (super-buoni ovviamente con l’aureola della fede) e cattivi (ovviamente senza coscienza alcuna), mi mettere a disagio (per citare Alvise) e mi rende difficile spesso affrontare con te un confronto.
                      Poi tu mi dirai che ti riferisci alle situazione e non alle persone, ma dove sta il confine tra le due cose, nei tuoi ragionamenti, a volte mi sfugge (sarà un limite mio…).

                    4. Giancarlo

                      Mi fa piacere, Bariom, poter constatare che non siamo poi così lontani. Solo una cosa mi sento di dover ribattere a quello che dici: coltivare la fede, che è un dono di Dio, è meritorio. Rifiutare o trascurare la fede, invece, è un comportamento gravemente colpevole. E’ per un senso di giustizia che amo distinguere tra chi crede e chi non crede.

                    5. Dipende da come si traduce nei fatti il “distingiere” e per un senso di giustizia… di chi?

                      I motivi poi per cui un Uomo rifiuta la fede (ammesso che sia a lui correttamente annunciata e non uso il termine “correttamente” in senso giuridico) sono molteplici… tra i primi per mia esperienza metto, la scarsa credibilità se non lo scandalo, la mancanza di positiva attrazione se non la sciatteria, l’ambiguità se non la doppiezza, di coloro che della Bellezza, della Gioia, della Misericordia, della Sapienza, dell’Amore che vengono dalla Fede (da Cristo stesso) dovrebbero essere testimoni credibili oltre che araldi… NOI 😐

                    6. Perché? Perché faccio autocritica?

                      In fondo in questo mio commento c’è solo questo al centro, ne ho fatti di molto più articolati e dove le divergenze mi parevano maggiori.

                      Cmq non è un problema… sopravviverò 😉

                    7. Thelonious

                      Ciò che è buono è buono, e tutto ciò che è umanamente buono non è mai disprezzabile. La condizione umana è decaduta per il peccato originale, ma non definitivamente ribelle a Dio, come nel caso di Satana, che essendo fuori dal tempo non può più cambiare la sua condizione. Inoltre, in una concezione cristiana, Cristo è l’origine e la somma di tutto il bene. Quindi, consapevole o inconsapevole, tutto il bene che esiste viene, in ultima analisi, da Cristo, ed ha in Lui la sua origine e il suo vero fine. Questo approccio cristocentrico è, secondo, me, anche autenticametne ecumenico, nel senso che valorizza tutto ciò che di vero e di umano c’è, dentro e fuori dalla dimensione della fede (“vagliate tutto e trattenete ciò che vale”). Ciò che è dentro è “compiuto” (ma lasciamo a Dio il giudizio), ciò che è fuori è “promesso”. Mai, però, da disprezzare.

      2. …ma le opere buone possono essere compiute anche senza la “fede”! Se poi Voi compite le opere anche per testimoniare la fede, questi sono (come si usa dire barbarescamente oggi)
        problemi Vs.!

        medievalismi: “la fede senza le opere è vuota, le opere senza la fede non hanno valore”.

        1. Certo che le opere (buone) posono essere compiute anche senza la fede… e meno male (grazie a Dio direi io) 😉

          Ma ci sono opere che senza Fede non si possono compiere ( lascio a te scoprire quali 😉 )

          “Noi” compiamo le opere buone (se e quando) perché siamo chiamati a compierle – non per il “secondo fine” di testimoniare la fede… se queste opere sono a testimonianza della nostra fede, lo sono in sé, indipendentemente dalla nostra volontà che lo siano…

          Ti lascio qualche versetto sulle “opere” di cui alcuni potrebbero sembrare in contraddizione, ma lascio a te (essendo uno dei maggiori conoscitori, ecc. ecc.) la piena comprensione 😉

          Matteo 5,16
          Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.

          Matteo 6,1
          Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli.

          Giovanni 10,32
          Gesù rispose loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?».

          Efesini 2,10
          Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo.

          1Pietro 2,12
          La vostra condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre buone opere giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio.

          1. Bariom::

            “fiat voluntas tua sicut in caelo et in terra”
            …o per te non è così, catecumenicuccio di poca fede, che ti metti a fare le tue citazionucce da catumenicuccio?

            Rimetti a noi i nostri debiti,
            Come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
            E non ci indurre in tentazione,
            Ma liberaci dal male!

            Amen

    2. Giancarlo

      Alvise, la fede è credere alle parole di un testimone. La fede cattolica è credere alle parole di Gesù che giungono a noi attraverso le parole degli apostoli, attraverso le scritture, attraverso il magistero.

      La fede è credere, è una scelta non un sentimento. Però è vero che noi scegliamo di credere quello che desideriamo. E, dunque, la fede, ciò in cui crediamo, è anche lo specchio del nostro cuore.

  2. Sara

    Grazie per questo articolo! Questa bella riflessione è un valido aiuto a rendere la nostra preghiera veramente autentica! Da meditare.

  3. Se qualcuno interrogasse i credenti sulla loro fede e li pregasse di spiegarla non con parole proprie (non di altri), o mentirebbero, o enuncerebbero degli stati d’animo senza alcun rapporto con i dogmi che dicono e credono di credere.

    1. Può essere (ammesso che questo illuminato pensiero sia estendibile e tutti… il che non è)…

      E con ciò? Si possono identificare un’infinita variabile di motivi che potrebbe giustificare questa approssimazione senza che questo intacchi la sostanza.

      Moltissime altre persone (forse tu stesso Alvise) avrebbero altrettante difficoltà a spiegare perché non credono o sono convintamente atee o anche solo spiegare perché sui alzano la mattina…

      Su Alvisuccio, mettici più impegno e cerca di essere più concreto 😐

      1. ….chi non crede in dio non prova nulla: non ha nulla da speigare!
        (come nemmeno ha nulla da spiegare chi si alza la mattina) (anche il mio cane si alza la mattina, e non solo)
        (o forse te dicendo ” si alzano la mattina” volevi intendere “perché non restano a letto fermi, non avendo nessuna ragione per alzarsi?)
        (solo chi crede ha qualche ragione di alzarsi?)
        (perdona la mia pochezza di ingegno)

    1. Alvise ‘sto discorso si sta facendo palloso e oltre a non provare niente… non dice proprio un bel niente (né a me, né a te…)

  4. ….e cosa dovrebbe dire?
    (intanto una cosa vorrei capire, cosa c’è di sbagliato nella filantropia (cosiddetta, da voi) e cioè nell’aiutare la gente che ha bisogno? . E’ male aiutare gli altri senza aver fede? (non è sufficiente?) (per cosa?)

    1. Tu parla sempre al plurale… dove ho detto io che è male? Semmai ho sotenuto il contrario.
      Quindi chiedilo a chi devi chiederlo! At’salud…

  5. Bariom:

    …hai ragione, te non sei contro la filantropia, e nemmeno S.Paolo. Ma c’è sempre nei vs. discorsi, (non nei tuoi, ovviamente) e anche in quelli di S. Paolo eccetra, questo tema che la carità senza fede è vuota e la fede senza la carità non è fede e alambiccamenti del genere. Cosa vuole dire questo nella vita reale, per esempio, per fare un esempio tangibile, della Miriano? Affrontare comicamente tutti i giorni kilometriche code da e per il Vaticano coi figlioli e la scuola (ora ricomincia) e tutto il resto?

  6. Bariom:

    ….o la predestinazione o il Pelagianesimo (non se ne scappa) (o te, con la tua modesta conoscenza delle scritture hai già risolto cavillosamente il problema?) (o l’ha già fatto sempre cavillosamente il Magistero?)

    1. Né predestinazione, né Pelagianesimo…

      Non capisco poi come tu possa pretendere da me – con la mia modesta conoscenza delle Scritture e la mia cavillosità di pensiero – una risposta?
      L’hai già con questo giudizio, scartata a priori.
      (Pensare che stamani avevo in animo di risponderti più diffusamente in privato…)
      …………………………
      Se hai nulla di meglio da fare puoi leggere la mia cavillosa risposta a Giancarlo qui: http://costanzamiriano.com/2014/08/28/bau/#comment-84588 😉

  7. Sara

    Alvise, non confondiamo. “Aiutare la gente che ha bisogno” ovviamente è giusto. La filantropia che un cattolico giustamente non condivide è quella di tipo illuminista. Ci sarà chi saprà spiegartelo meglio, intanto io ti rimando, per esempio, qui ( http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/commenti/2009/253q01b1.html ), da cui:

    “La fraternità cristiana non è riducibile a filantropia, non è assimilabile al cosmopolitismo stoico o illuminista, ma è espressione di “vero universalismo”, perché è posta “al servizio del tutto”, tramite agàpe (“amore”) e diakonìa (“servizio”).
    Nel testo richiamato è bene evidenziata la differenza tra fraternità universale nell’illuminismo e nel cristianesimo. È vero che l’illuminismo ha ampliato il concetto di fratello, parlando di fraternità universale sulla base della comune natura umana. Ma una fraternità così estesa può diventare irrealistica e vaga espressione di umanitarismo, come evidenziano le parole del pur grande inno alla gioia di Schiller: “Abbracciatevi, moltitudini”. La fraternità cristiana, invece, si apre all’altro, e si fa fraternità universale appunto nell’agàpe e nella diakonìa, abbattendo così, nella concretezza della vita, ogni barriera. È il tema ripreso nell’enciclica.
    Nella Caritas in veritate si afferma infatti che la vera fraternità, operante oltre ogni barriera e confine, nasce dal dono, la cui logica è introdotta nel tessuto economico, sociale e politico: “La comunità degli uomini può essere costituita da noi stessi, ma non potrà mai con le sole sue forze essere una comunità pienamente fraterna né essere spinta oltre ogni confine, ossia diventare una comunità veramente universale: l’unità del genere umano, una comunione fraterna oltre ogni divisione, nasce dalla con-vocazione della parola di Dio-amore. Nell’affrontare questa decisiva questione, dobbiamo precisare, da un lato, che la logica del dono non esclude la giustizia e non si giustappone a essa in un secondo momento e dall’esterno e, dall’altro, che lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano, di fare spazio al principio gratuità come espressione di fraternità” (n. 34)”.

    1. Soprattutto, la fliantropia o il “volontarismo”, è seriamente impedito per la stessa natura decaduta dell’Uomo, ad entrare in una reale dimensione di “gratuità”, dello spendersi e del donarsi alll’altro senza mai nulla pretendere in cambio (fossero anche solo riconoscimenti “morali o affettivi”), sapendo che Dio provvede a ripagare il bene fatto… non fosse altro che per la nota frase (che è una realtà): “La Carità copre una moltitudine di peccati…”

      La dimensione di gratuità nel Cristiano arriva al servizio per chi non contraccambia per nulla, anzi persino ricambia il bene con il male.

      Tutto ciò non toglie che anche il credente possa trovarsi ad esercitare una carità che si aspetta e a volte pretende un contraccambio o quanto meno un riconoscimento, ma ciò attiene ai nostri limiti di peccatori sempre in cammino di conversione.

  8. Comunque la si voglia rigirare (con o senza le opere) senza la Grazia nisba!
    Almeno in questo io ateo non ho bisogno di arrovellarmi su questi problemi di chi crede!
    O voi che credete anche di sapere già tutto? O lo sa il Magistero al posto Vostro?
    O Voi, essendo un tutt’uno inscindibile dal Magistero,etc.etc?
    Ecco, un ateo non gli vienenemmeno da pensarci a questi paraddossi, almeno non a me!

      1. BARIOM;
        …giusto, hai ragione, era solo una specie di flebile tentativo di dare una risponda alla domanda (di ieri) su quali potrebbero essere o non essere i pensieri di un ateo. Chiedo scusa! Che chi si arrovella (se si arrovella) si arrovelli da sé senza essere disturbato da chi non si arrovella!

        1. @Alvise, ogni tanto fatico a seguirti…

          La domanda era di chi? O tu stesso la ponevi (così mi era parso…)

          Poi, anche se so non ti piace io lo ricordi, credo di conosce abbastanza i pensieri di un ateo, essendolo stato epr lunghi anni… Questo spero non mi dia né supponenza, né “presupponenza” (se non nel presumere…), anzi spero esattamente il contrario.

          Ammesso questo conti, dato che il “pensiero ateo” è per certi versi ancor più frammentato di quello “religioso”, anche se, parlando di Cristianesimo, questo non dovrebbe essere… ma è inutile negare la realtà 😉

          1. …. frammentato nel senso che costruisce via via, pezzetto dopo pezzetto, come i muri a secco, di cui non hai il modello gia in testa, ma che diventano come diventano in corso d’opera, ognuno diverso dall’altro.

            Per quanto riguarda il fatto che te conosci “abbastanza” il pensiero ateo, conoscerai forse quello che era il tuo pensiero ateo, ma non il mio, che è solo il mio (come, d’altro canto, la tua fede sarà solo la tua fede, non comunicabile a nessuno, come infatti anche te non riesci a comunicarla se non con le parole di altri).

            1. Beh, una cosa è esprimere i “concetti della Fede”, per i quali si usano sovente parole d’altri (anche giustamente dato che chi questi condetti li ha ben espressi e meglio di noi, prima di noi…)

              Riguardo la “esperienza della Fede” (qui se ne parla un po’ meno…) se mi consenti, per quella uso generalmente parole mie. E’ una mia esperienza che seppur comune ad altri, resta personalissima – come lo è il tuo “pensiero ateo” o “esperienza di ateismo”.

              Se volessimo dare un’immagine, vale quella dell’innamorato che descive il suo innamoramento (o la sua amata). Esperienza comune ad altri uomini e donne, ma da ognuno descritto in modo personalissimo e vissuto come unico… anche se, qua e là, si potrà ricorrere a pensieri di poeti, quadri, tramonti o frasi… da cioccolatino 😉

              1. ….appunto, come l’innamoramento, INDESCRIVIBILE (e quindi non si può nemmeno sapere se sia un’esperienza comune) come l’ateismo o/e la fede.

                1. Non sono d’accordo…

                  Per quanto “INDESCRIVIBILI” certe esperienze, sono “comuni” – nel senso di condivisibili o che accomunano – tent’è che come si usa dire, se parlo con un persona credente sento forte un profonda comunione e che, come si usa dire “parliamo la stessa lingua”.

                  Ferme restando le peculiarità di ognuno, per cui capita anche che pur avendo la fede in comune, si fatichi ad intendersi, “a prendersi”… ma questo attiene ad altro tipo di problematiche.

                  Umanamente parlando, potrei trovarmi meglio a parlare con te, che con XY che pure è credente 😉

  9. ….come anche, non occorre neanche dirlo, sono, ovviamente, uno dei massimi (se non il massimo) conoscitori del pensiero di S.Paolo, con le sue geniali trovate dialettiche e controargomentazioni delle sue proprie argomentazioni che poi vengono ulteriormete riprese eccetra. Un contrappunto perfetto, come nella musica di Bach!

    1. Sara

      Eh già!
      Un “cattolico del Terzo Millennio vede ciò in cui crede vilipeso in Occidente, assediato dai tagliatori di teste islamici, non difeso da chi dovrebbe farlo, vede eretici conclamati osannati e riveriti, e lo sparuto numero degli ortodossi disprezzati e trattati come parenti scomodi, vede la vita quotidiana sempre più infarcita di nefandezze e governanti sessantottini prendere spensieratamente il sole sull’orlo del baratro che hanno meticolosamente creato.”

      Ci vogliono davvero continue boccate d’aria pura! E con i (giusti) consigli librari non si sbaglia!
      Grazie, Viviana!

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