I papà sono insostituibili

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di Giuliana Zimucci

Una ragazzina di 11 anni piange perché non ha un papà. Non piange a casa davanti alle sue due mamme, no. Non ce la farebbe a spiegar loro, da cui pure si sente voluta bene, cosa le manca, forse perché anche lei non sa bene cosa significhi questa mancanza. Solo la avverte quando sta insieme alle sue amiche che raccontano cos’hanno fatto nel fine settimana coi loro genitori.

È la mancanza di un rapporto con una alterità, con un altro mondo, diverso e complementare. E così Caterina (nome di fantasia) piange a scuola, sfoga tutte le sue lacrime nel cambio dell’ora o durante la ricreazione. Qualcuno, anche gente importante, di quelle persone che contano nei tribunali e in politica e sui giornali, le ha detto che non c’è motivo di essere tristi. In fondo lei ha due mamme, e chi meglio di una mamma può asciugare le sue lacrime o consolarla per una tristezza indefinibile? Figurarsi se le mamme sono due! Chi ti protegge e si prende cura di te meglio di due mamme? Eppure Caterina si sente meno delle sue compagne di scuola.

Una di loro è orfana da un paio di anni ma le è rimasto il ricordo del papà che se la portava in giro sulle spalle quando era piccola, o che le aveva insegnato ad andare in bici senza rotelle ai giardinetti. E poi ha delle foto, dei ricordi, e può continuare a contemplarne la faccia per cercare le somiglianze, per vedere se crescendo avrà la sua fisionomia o qualcosa del suo carattere. Lei invece non ha un volto da ricordare, per vedere se la sua fossetta nel mento l’ha ereditata dal donatore che in una clinica di un paese x ha messo il suo sperma in una provetta, forse in un gesto considerato altruistico, forse più probabilmente per denaro. E non ha nessuno a casa da aspettare la sera del 19 marzo per dargli il lavoretto della festa del papà. Anzi, nella scuola elementare che frequentava decisero che non ci doveva essere nessuna festa del papà da celebrare per rispetto suo. Ma lei ha pianto lo stesso, perché anche se tenti di cancellare una festa quella data sul calendario arriva lo stesso e l’assenza si fa sentire anche se non hai mai sperimentato la compagnia di un babbo. Ora che è alle medie ha nuove compagne e compagni.

I ragazzi a 11 anni cominciano a fare i primi passi nel mondo dei grandi e se le madri accondiscendono un po’ alle loro ribellioni ci sono anche i padri a porre un limite, a dare un perimetro per quello spazio che è il campo di gioco del rapporto genitori-figli. Caterina non riesce a trovare nelle sue mamme questa possibilità di relazione. Ogni tanto la prima mamma e la seconda si scambiano i ruoli, una impone regole e l’altra cede, poi viceversa. Oppure le danno una tale attenzione da non lasciarla respirare. Quanto sarebbe stato bello avere un papà di quelli che ti fanno volare in aria e ti riprendono con mani sicure e ferme! Ma sarebbe stato bello anche avere un babbo poco avventuroso e comunque solido per presenza, il cui sguardo ti fa sentire bellissima, unica, o anche un papà rompiscatole che vuole sapere con chi esci, dove vai e a che ora pensi di tornare.
I papà sono insostituibili. Ti preparano ad esplorare il mondo. Restano dove sono ad aspettarti e ti lasciano andare ma tu sai sempre dove ritrovarli. Si portano in tasca la tua foto e la mostrano con orgoglio ai colleghi. Per le bambine i papà rappresentano il primo incontro con un emisfero diverso dell’umano. Per i maschi sono l’esempio da imitare, in atteggiamenti, risposte emotive, elaborazione di pensieri.
Potrà una sentenza di tribunale, o una legge, dire a Caterina che devono bastarle due mamme? Ora che lei si affaccia al mondo e le sue domande di felicità e compiutezza si fanno più pressanti, chi le risponderà? Cosa può dare una coppia cosiddetta “omogenitoriale”? Certamente non le saranno negati affetto, cura, abiti, istruzione e altre cose materiali. Ma le sue lacrime dovrebbero lasciarci almeno un dubbio. Non possono essere ridotte solo al confronto con gli altri, la cui colpa sarebbe di non far sentire abbastanza “uguali” i figli di queste coppie.

I ragazzi come Caterina sono nati fuori da una naturale relazione uomo-donna, ma da un atto volontario di manipolazione delle cellule. Scavalcare la natura (e non si capisce qui come mai per i pomodori non vada bene la creazione in laboratorio, ma per gli umani nulla da dire) può avere conseguenze imprevedibili. Le domande ultime dell’essere umano, e ce le hanno tutti gli esseri umani, anche quelli generati artificialmente, non possono trovare esaurimento in una coppia che ha costituito il suo desiderio di genitorialità (pur comprensibile) a centro del proprio agire. Mi si dirà che ciò vale anche per le coppie eterosessuali. E’ vero. Ma nella famiglia naturale c’è ancora la possibilità che si procrei in vista di un bene che sta fuori di sé, un’ipotesi positiva a cui introdurre il figlio, e non in miope contemplazione del proprio ego e del proprio desiderio che non ha radici nella realtà fattuale.

84 pensieri su “I papà sono insostituibili

  1. Flavio

    Grazie per questo testo molto profondo e molto vero. Dio solo sa quanto forte sia, nel mondo, il bisogno di realtà. E anche se forse non farà cambiare idea a nessuno, fa molto riflettere noi papà.

  2. Il mondo è bello perché è vario, con tutte le opinioni diverse che ci possano essere. Ma le teorie nate dalle paure non mi sono mai piaciute.
    A 11 anni si può piangere perché non si ha un papà, perché si ha un papà, perché non si ha un fratello, perché non si ha un cane, perché si è stati adottati, perché non si è stati adottati, perché… Ci sono un milione e più di perché ipotetici, e di possibili teorie a seguito, ma la vita è comunque un’altra cosa.

    1. giuliana75

      La protagonista del racconto è assolutamente vera anche se per tutelarne l’anonimato ho dovuto cambiarne il nome e dettagli di vita e non ho potuto rivelare la fonte da cui ho appreso della sua esistenza e delle sue sofferenze.

      1. Flavio

        Sono veri i riferimenti al ruolo di papà. È reale quello che scrivi. Piedi per terra e occhi al cielo pieni di speranza e vuoti di teoria. Grazie ancora.

      2. Matteo

        Anche se la vicenda è autentica, sebbene osservo con sgomento il consenso crescente verso queste nuove forme di famiglia, condivido l’obiezione. Argomentare cercando supporto nelle paure e nelle vicende personali secondo me funziona poco. Si può facilmente replicare favoleggiando su famiglie “omogenitoriali” felici, o ancora più facilmente, raccontare decine di storie di sofferenza all’interno di famiglie “tradizionali”.

        1. giuliana75

          Caro Matteo, il tuo ragionamento non fa una grinza. La casistica delle infelicità e’ pressoché infinita e variegata. Ma come direbbe Chesterton il cerchio del tuo discorso e’ perfetto ma ristretto. E il motivo e’ semplice. Le casistiche di padri fuggitivi o violenti o deceduti, come per le mamme, o delle famiglie tradizionali in cui covano rancori o si sviluppano tragedie sono accidenti. Cioè sono cose che succedono. Non c’è bisogno di scomodare la statistica perché è sotto gli occhi di tutti la realtà del male e delle debolezze umane. Il punto è che nelle famiglie omogenitoriali il dato antecedente e’ la manipolazione volontaria della natura, anzi la forzatura e la negazione di un dato biologico. Il semino o l’ovetto acquistato (avuto in ‘dono’) devono essere presi da una terza persona che rimane nella totale oscurità non solo burocratica ma anche psicologica del bambino. Questa oscurità non è una disgrazia che si è portata via con un decesso, ad esempio, una mamma o un papà. Questo buio nasconde una persona con volto nome vita propria e che presto o tardi farà capolino nelle domande e ansie di quel figlio. Sapere di essere stati privati di quella figura non da un accidente ma da coloro che ti hanno voluta al mondo e che dicono di amarti suona come un tradimento. Gli adolescenti sanno essere molto acuti e schietti nella decifrazione della realtà. E ti fanno pagare cari tutti gli errori commessi.

          1. Roberto

            E per riuscire ad arrivare a scrivere (fosse pure per scherzo o provocazione) che il pianto di un bambino pianificato per essere orfano di padre (e magari anche di madre) prima ancora di essere concepito, così da farne merce di consenso a vantaggio di adulti che di adulto hanno solo l’età, possa venire messo sullo stesso piano del pianto di un bambino che vuole il cane, bisogna veramente, ma veramente farsi un vuoto spinto nella testa che neanche con una pompa idraulica, va là!

          2. Matteo

            Ti ringrazio per la risposta. Per quanto mi riguarda il nodo importante è in questa tua frase: “manipolazione volontaria della natura”. Tanto mi basta per farmi tremare i polsi. Ma questa affermazione forse andrebbe approfondita e spiegata partendo dai principi che sottende. Io non ne sono capace.

      3. Nicoletta

        Quest’estate al mare mi sono trovata vicina di ombrellone con due lesbiche con bambina al seguito.. La piccola è rimasta tutto il tempo immobile nell’ombra con cuffie e tablet fra le mani, chiaramente a disagio, non ha neppure toccato l’acqua con i piedi. Quando le due mamme l’hanno chiamata dalle onde fra cui sguazzavano la piccola ha risposto un no con un vocione così forte che mi ha veramente impressionato. Quando se ne sono andate la bimba mi ha lanciato un occhiata piena di tristezza. Sembrava lo sguardo di una donna adulta depressa. Tristezza grande, mi ha colpito il cuore..

    2. Bia:

      …nessuno qui ti dirà che è d’accordo con te (sei gia stato sgridato per via del cane etc.) ( (chi ti ha sgridato ti ha voluto prendere proprio alla lettera). Io invece te lo dico: sono d’accordo con quello che hai scritto!

      1. Bia

        Già, vedo solo ora… 🙂
        Mi chiedo, visto che si parla di persone reali e sull’autenticità si pretende di dimostrare una teoria, che cosa si pensi a riguardo di quei bambini che vivono felici per avere come genitori due uomini o due donne. Conta tanto quanto le lacrime di questa bambina descritta nel post? Oppure non conta, come allora non contano le parole del post, perché ciò su cui ci si focalizza è la “manipolazione volontaria della natura”?

        1. Roberto

          La verità è che si pianifica di creare un orfano di uno o entrambi i genitori prima ancora che questi venga concepito; ma su questo, che è realtà di un’evidenza solare, si preferisce soprassedere. C.V.D. Anche che i bambini abbiano bisogno di un padre e di una madre è un’ovvietà, e anche su questo si preferisce soprassedere per andare a caccia di ideologia. Il post è il dito, e indica la luna: non mi sorprende che chi non abbia argomenti voglia ispezionare tutte le dita che stanno al mondo per poter poi dire che la luna non esiste…

              1. Roberto

                Quale parte della mia frase “Anche che i bambini abbiano bisogno di un padre e di una madre è un’ovvietà, e anche su questo si preferisce soprassedere per andare a caccia di ideologia.” non è chiara?

                  1. Roberto

                    Non mi interessa farmi impelagare in una pseudo-discussione con una provocatrice, il giochino lo conosco: mi limito a dirti “senso comune” e ti rinvio ai commenti più articolati di Alessandro e Andreas che hanno ben più pazienza di me. Con questo chiudo.

    3. Si pero’ lei piange perchè non ha un papà per decisione di 2 donne egoiste che hanno pensato solo a se stesse. mettere un padre e un cane sullo stesso piano è proprio da cinici e disperati. Mi spiace per te.

    4. roberta

      Quindi non poter conoscere il padre a cui si assomiglia è come non avere un cane?
      e le lacrime di una ragazzina non vanno considerate?
      questo mi ricorda quando i miei si separarono, sentivo intorno a me commenti simili, ” tanto poi i bambini superano tutto, si adattano a tutto”… per niente vero!

      1. Urca, è strabiliante come si possano interpretare le frasi scritte, estrapolandole da un ragionamento.
        Ovviamente no, non è la stessa cosa, Roberta. E non ho mai detto che i bambini si adattano a tutto.

        Il mio commento era relativo all’articolo e al suo incipit: parte dalle lacrime (tristemente sacrosante) di una, e una sola, bambina per formulare poi una teoria che generalizza, che è fortemente opinabile ma è viziata nella forma.

        Mi ricorda un po’ Barbara D’Urso o Studio Aperto. Non so come mai.

        Per quello chiedevo, ma non mi è stata data una sola risposta, se a fronte di queste lacrime non si potesse affiancare il sorriso di chi vive felicemente con due padri o due madri.
        Ovviamente sì, si può.

        Ma il vero problema, allora, non è nella tristezza o nella gioia in cui crescono i bambini, non sono i bambini, ma ciò che sta a monte. Mi chiedo, allora, perché non parlare direttamente della cosiddetta “manipolazione volontaria della natura”. Sarebbe stato più onesto intellettualmente.

        1. Matteo

          Senza dare giudizi: Una coppia di uomini che si amano, vanno in un centro specializzato, si masturbano, depositano i loro semi in una provetta che un tecnico di laboratorio provvederà a mescolare. Da un’altra parte un medico preleverà da una donna il suo ovulo. Di nuovo un tecnico tramite apposita strumentazione feconderà l’ovuolo che sarà impiantato su una seconda donna che metterà a disposizione il suo corpo per la gestazione. Dopo 9 mesi, se tutto sarà andato secondo procedura, i due uomini che si amano, entreranno nella disponibilità del nuovo nato.
          Non è forse manipolazione volontaria della natura?

          1. giuliana75

            Hai descritto benissimo. La freddezza di tutta l’operazione non può essere mascherata da alcun velo più o meno pesante di buonismo.

  3. L’ha ribloggato su Busecae ha commentato:
    Questo passaggio in particolare mi ha colpito:
    Potrà una sentenza di tribunale, o una legge, dire a Caterina che devono bastarle due mamme? Ora che lei si affaccia al mondo e le sue domande di felicità e compiutezza si fanno più pressanti, chi le risponderà? Cosa può dare una coppia cosiddetta “omogenitoriale”? Certamente non le saranno negati affetto, cura, abiti, istruzione e altre cose materiali. Ma le sue lacrime dovrebbero lasciarci almeno un dubbio. Non possono essere ridotte solo al confronto con gli altri, la cui colpa sarebbe di non far sentire abbastanza “uguali” i figli di queste coppie.

  4. Giancarlo

    L’ideologia gender sta vincendo la sua lotta contro la Realtà. Naturalmente si tratta di una vittoria momentanea perchè, alla fine, sempre la Realtà si impone sull’ideologia. Ma, nel frattempo, quante persone, bambini ma non solo, dovranno pagare un tributo altissimo di sofferenza a quest’infame ideologia?

    La chiesa gioca un ruolo essenziale in questa lotta. Spiace dover constatare, accanto a luminosi esempi di cattolici laici e non, una clamorosa latitanza della maggioranza dei nostri preti, vescovi e cardinali.

  5. Solo un piccolo appunto: non si dovrebbe sentire “voluta bene”, sarebbe meglio che si sentisse “benvoluta”. Hasta la famiglia naturale siempre ma hasta pure il vocabolario 😉

    1. giuliana75

      Vero! Solo che a volte si sceglie di sacrificare qualche regola della sintassi al parlare comune…. Non me ne volere! 😉

      1. Non me ne volere neanche te 🙂
        E’ solo che mi sono autonominata paladina dello Zingarelli e ormai per deformazione l’occhio mi va solo dove il vocabolario duole 😉

          1. Vito, non si attacchi con una paladina del vocabolario e per di più nativa di quella città dove – diceva Giacomo Devoto – si parla(va) l’italiano “bello” più che quello “puro”. Corre il rischio che la paladina perda le staffe e le spieghi la differenza tra accento acuto e accento grave 😉

  6. Sara

    Delle compagne di scuola di Caterina, io sono quella orfana da quando ero bambina e ricordo che, nei momenti in cui la sofferenza per quella mancanza si faceva più forte, mi guardavo intorno e, vedendo altre bambine che piangevano perché non avevano accanto il padre a motivo della separazione dei genitori, mi consolavo dicendo che, sì, io il babbo non ce l’avevo più, ma non perché non voleva più bene alla mamma ed era voluto andare via e perciò, anche se non lo vedevo più, sapevo che era con noi e ci amava ancora e non ci avrebbe mai lasciate. Ecco, non immagino quale sia la sofferenza di tutte le Caterina che vivono una situazione forse ancora peggiore di quella delle mie compagne di scuola con genitori separati.

    Grazie, Giuliana, per questo articolo!

    P.S.: Viviana, a chi si deve fare domanda per diventare “paladina dello Zingarelli”? Basta che mi autonomini anch’io? Perché questa mi è piaciuta troppo!

  7. JoeTurner

    “Molte cose stanno cambiando: una coppia di omosessuali potrà adottare un bambino purché già traumatizzato per conto suo”
    Corrado Guzzanti (il poeta Robertetti), l’8° nano. Primavera 2001

    Da vedere tutto ma in particolare al minuto 3:40.

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  9. Ricordo gli occhi tristi del piccolo e bellissimo N. piantati nei miei, il giorno in cui capitò nel mio ufficio con le sue due mamme, due mie colleghe “particolari”, che erano venute a mostrare al mondo il primo trofeo della loro conquistata libertà. Ricordo che aveva le manine tutte sporche di colore. Era stato all’asilo, era felice di andarci perché là c’erano tanti bambini con cui giocare e colorare.
    Gli chiesi: “Che cosa hai fatto oggi alla scuola materna?” Mi rispose: “Abbiamo disegnato.” Ripresi: “E cosa hai disegnato?” E lui, con i suoi occhi fissi nei miei, per carpirmi un’emozione qualsiasi da cui trarre una risposta impossibile: “Il mio papà. Ho disegnato il mio papà!” Mi sono sentita scuorare e forse quel giorno ho capito davvero l’importanza di avere un papà e una mamma per capire chi siamo.

    1. Giuli@

      Scusami ma a quella risposta, le due mamme cosa hanno detto? Perchè spero che tu non sia stata l’unica a soffrire in quel momento….spero che anche loro , ammesso che siano di carne e non di ferro , in quel momento si siano fatte una domanda e si siano date l’unica risposta possibile. Lo avranno capito che quel bimbo non era un trofeo ma una persona a cui loro hanno scippato il diritto ad avetre un padre?

  10. Alessandro

    Nel marzo 2013 l’American College of Pediatricians ha preso posizione:

    “i bambini allevati da due individui dello stesso sesso crescono in modo adeguato come i bambini allevati in famiglie con una madre e un padre? Fino a poco tempo la risposta univoca a questa domanda è stata “no”. Nell’ultimo decennio, tuttavia, organizzazioni sanitarie professionali, accademici, politici e mezzi di comunicazione hanno affermando che i divieti di genitorialità verso le coppie dello stesso sesso debbano essere tolte.

    Nel prendere questa decisione di tale portata, qualsiasi sostenitore responsabile dovrebbe basarsi su elementi di prova completi e conclusivi. Ma non solo non è questa la situazione, ma esistono al contrario prove tangibili che i bambini esposti allo stile di vita omosessuale possono avere un rischio aumentato di danno emotivo, mentale e anche fisico… l’American College of Pediatricians ritiene quindi inopportuno, potenzialmente rischioso e pericolosamente irresponsabile, per i bambini, annullare il divieto di adozione per i genitori dello stesso sesso. Questa posizione è radicata sulle migliori conoscenze scientifiche disponibili”.

    http://www.acpeds.org/the-college-speaks/position-statements/parenting-issues/homosexual-parenting-is-it-time-for-change

    1. Alessandro:

      …una lunga lista di riferimenti a vari articoli di riviste “specializzate” non rappresenta e non può rappresentare nulla di definitivo, ancor meno in un campo dove sono innumerevoli le possibilità di giudizio! Qu

      In quell’elenco di articoli ci sarebbero, anche secondo te, “le migliori conoscenze scientifiche disponibili”.?
      E te come faresti a saperlo?

      1. Alessandro

        Sempre meglio un autorevole parere argomentato piuttosto che l’appellarsi qualunquista alle “innumerevoli possibilità di giudizio”. Appello che per giunta, a dispetto della sua apparente “neutralità”, viene fatto valere contraddittoriamente a sostegno dell’adozione per gli omosessuali.

        Comunque, se conosci qualche sostanziosa e consistente evidenza scientifica che smentisce l’American College of Pediatricians, faccela conoscere.

        1. Quello per cui verrebbero fatte valere le “innumerevoli possibilità di giudizio” non è di nessuna importanza (per l’indagine in sé, ammesso che possa esistere una indagine in sé).Il fatto si è che trattasi di una indagine sociologicae quindi con tutti i limiti di una indagine sociologica (non pediatrica, come per esempio la insorgenza dell’appendicite o del diabete nei bambini denutriti rispetto a quelli ipernutriti)
          Non riconosco nessuna “sostanziosa evidenza scientifica” di nessun genere in questo campo!

          1. Alessandro

            “Non riconosco nessuna “sostanziosa evidenza scientifica” di nessun genere in questo campo”

            Bene, quindi i tuoi pareri in questo campo si basano sul nulla. E tanto valgono.

    2. Daniele

      Si omette di far riferimento al fatto che la fonte è data da un’associazione di stampo conservatore. Gli studi portati avanti (che non ho avuto modo di studiare in maniera approfondita) rappresentano una posizione assolutamente minoritaria rispetto agli studi della APA che, seppur non esenti da critiche (come è normale in qualsiasi caso in cui vi sia un dibattito scientifico) rappresenta l’orientamento maggioritario in dottrina.

      http://en.wikipedia.org/wiki/American_College_of_Pediatricians

      1. Alessandro

        Si omette di far riferimento al fatto che si è mostrato che la tanto sbandierata posizione dell’APA è basata soltanto su 59 studi, purtroppo (per l’APA) inficiati dall’insufficiente rigore scientifico con cui sono stati condotti (mancanza di campioni casuali, scarsità di dati sul lungo periodo; nessuno di questi studi ha messo a confronto un grande, casuale, campione rappresentativo di genitori lesbiche o gay e loro figli, con un grande, casuale, campione rappresentativo di genitori sposati e loro figli):

        http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0049089X12000580

        Pertanto, chiunque al riguardo pretenda di appigliarsi alle posizioni dell’APA si appiglia ad un appiglio… molto malfermo.

        Che la posizione dell’APA rappresenti l’orientamento maggioritario in dottrina non è vero (semmai, è l’orientamento più strombazzato: ma il fragore della propaganda non è sinonimo di rigore scientifico), gli studi di segno opposto (ignorati o sottovalutati dall’APA, con grave perdita di credibilità per l’associazione) sono sempre più numerosi. Basta dare un’occhiata qui:

        http://www.notizieprovita.it/voce-della-scienza/adozione-agli-omosessuali-gli-studi-scientifici-dicono-di-no/

        1. Alessandro:

          ….ma come puoi pretendere che dando un occchiata qui o là si possa averre contezza critica di tutti i milioni distudi di ogni genere pediatrici e non pediatrici biologici scientifici psicologici sociologici teologici eccetra che circolano sulla rete e fuori. E nemmeno puoi dire che allora uno si appiglia all’ignoranza per pensare come vuole, perché come si fa a non essere ignoranti (te non sei ignorante di questi studi?) (anche te che sei ignorante ti appigli agli studi che ti fanno comodo dopo un’occhiata sul web!)

          1. Alessandro

            Non mi appiglio agli studi che mi fanno comodo.

            Se legge il saggio di Loren Marks (che mi sono letto) al quale ho fatto riferimento, anche chi non ha un dottorato nel settore ma non è uno sprovveduto (sono ignorante, certo, ma non tanto da non avere idea di quali errori siano da evitarsi nell’imbastire studi del genere) si accorge che gli studi sui quali si appoggia l’APA soffrono di oggettive carenze metodologiche che ne inficiano i risultati.
            Quindi se qualcuno mi decanta il pronunciamento dell’APA come espressivo “dell’orientamento maggioritario in dottrina”, gli faccio presente che la posizione dell’APA si basa su studi che non reggono alla prova del rigore scientifico, e che pertanto il pronunciamento dell’APA lascia il tempo che trova.

        2. Daniele

          http://www.psicologiagiuridica.eu/files/documenti/famiglieomogenitoriali_camerini.pdf

          Questo è molto lungo; ne ho letti alcuni stralci e qualcuno ne ho riportato

          http://www.cisonline.net/pagpubblicazrivista/333/Crescere%20in%20famiglie%20omogenitoriali.pdf

          Sintesi dei risultati di 21 ricerche condotte tra il 1981 e il 1998 (Stacey e Biblarz, 2001)
          Riguardo al bambino. Dal confronto tra i figli dei ge- nitori omosessuali e i figli dei genitori eterosessuali non emergono differenze significative risguardo al benessere psicologico (ansia, depressione, livello di autostima, abi- lità cognitive e molte altre dimensioni prese in esame). Le poche differenze significative tendono a favorire i figli delle madri lesbiche (Patterson 1994). Riguardo ai ruoli di genere risulta che i figli/e dei genitori omosessuali si sentono meno confinati dalle norme culturali relative al genere.

          […]

          L’eventuale disfunzionalità di alcuni nuclei omogenitoriali non risulta essere un dato costitutivo, ma piuttosto un effetto delle difficoltà nel confrontarsi con un esterno rifiutante e discriminante, difficoltà che possono portare ad una serie di conflitti incidendo sul vissuto in- terno della coppia

            1. Ad ogni modo questo genere di argomentazione, che tira regolarmente in ballo indagini “scientifiche”, la dice lunga su quale sia l’ideale politico degli apologeti dell’omogenitorialità: la tecnocrazia. A dirci come vanno allevati i figli devono essere i “tecnici” delle scienze umane, sociali, della psiche, ecc. Dunque psicologi, sociologi, assistenti sociali e così via, che non si limitano a fornire un supporto, un sostegno, un aiuto. No, vogliono proprio supplire, sostituirsi al “senso comune” che, secondo questi signori, è muffa da spazzare via: anche il campo delle relazioni più intime va organizzato secondo i criteri “scientifici” dettati dai ceti di “tecnici”.
              È una tendenza ben nota che Christopher Lasch ha denominato «socializzazione della riproduzione». Con la «socializzazione della riproduzione», sostiene Lasch, si consuma un processo analogo alla «socializzazione della produzione» con cui, durante il primo stadio della rivoluzione industriale, era stata scorporata dalla famiglia la produzione, rendendola collettiva. Il passo successivo sarebbe stato l’espropriazione della perizia e del sapere tecnico dei lavoratori, affidati a un apparato di tecnici, ingegneri, direttori del personale, psicologi del lavoro. Così «la socializzazione della produzione, sotto l’egida dell’industria privata, proletarizzò la forza lavoro nello stesso modo in cui la socializzazione della riproduzione proletarizzò la funzione paterna, rendendo la gente incapace di provvedere ai propri bisogni senza il controllo di esperti qualificati» (C. Lasch, Rifugio in un mondo senza cuore. La famiglia in stato d’assedio, tr. it. Bompiani, Milano 1995, p. 26).
              Insomma, queste “battaglie di civiltà” mirano a espropriare la famiglia dalle proprie funzioni primarie, per assegnarle a agenzie di “pianificazione familiare” che si reputano più “efficienti”.

              1. Matteo

                Quello di Andreas Hofer mi pare un commento molto importante. Direi quasi centrale.
                Addentrarsi nel dibattito scientifico che cambia le sue posizioni dal bianco al nero con una frequenza disarmante e che su certi temi, a rigor di logica, non dovrebbe avere la ben che minima competenza, mi sembra semplicemente inconcludente. Comunque la si pensi.

              2. fortebraccio

                Scusa Andreas,
                ma la tua risposta mi lascia un po’ perplesso.
                Prima perplessità: Lasch critica i “tecnici” da una posizione tecnica… perché essere un intellettuale (o essere riconosciuto come tale), non è forse questo?
                Seconda: l’espropriazione della perizia dei [generici] lavoratori a favore di una classe di tecnici (che però sarebbero anch’essi lavoratori) suppongo si riferisca al passaggio da “artigianato diffuso” a “industrializzazione del prodotto”. Che è la stessa transizione occorsa tra “rimedio della nonna” e “farmacopea moderna”: non necessariamente un male, tutto sommato. Soprattutto se hai bisogno di un prodotto standardizzato. Il passaggio da “produzione” a “riproduzione” scivola liscio solo se la riproduzione è un mero atto meccanico. Ma per fortuna abbiamo una lunga tradizione a confutazione di questa tesi: da Pinocchio a I, robot; da Frankenstein a Matrix.
                In ultimo: la famiglia non viene espropriata di alcunché. Chi detiene la patria potestà ha diritto di scegliere anche i metodi educativi e correttivi che crede più adeguati, ma questi non sono di fatto illimitati, ma sottoposti al vaglio di adeguatezza. Affinché esista un metro che sia al contempo rispettoso della tradizione e delle delle scienze (sociali o no), i tecnici sono normalmente dei consulenti, non i promulgatori delle leggi. Se poi il concetto di “abuso dei metodi di correzione” s’è evoluto dai tempi di Oliver Twist ad oggi, almeno tra noi, non credo che nessuno se ne possa lamentare (e non credo che sia per effetto solo di Dickens). Poi non dobbiamo neanche avere fiducia cieca nelle scienze sociali… un esempio su tutti è il Dott. Spock e le sue teorie (1946) sul permessivismo nell’educazione dei bambini – che però ebbe l’intelligenza di rivedere, e più di una volta.

                Direi che “si fa espropriare” chi non è capace di un’analisi critica né di dubbio. Chi abdica senza fiatare, o al contrario chi crede in se stesso senza appello. Autoritari e sottomessi.

                1. @ fortebraccio
                  Lasch critica evidentemente l’abuso di potere dei tecnici, pur essendo a sua volta uno “del ramo”. Al massimo si può dire che sarà – forse – in gioco la sua coerenza personale (io non lo credo), ma non la legittimità della sua critica. Altrimenti dovremmo dedurne, che so, che un medico in quanto tale (fallacia ad personam) non può criticare l’invadenza dei propri colleghi nella salute dei pazienti quando il rapporto medico-paziente sfocia in eterodirezione. Anzi, forse è proprio il più indicato a individuare il passaggio indebito da una corretta pratica professionale a una condotta manipolatoria che priva l’assistito della propria libertà personale.
                  Il passaggio storico a cui si riferisce Lasch è quello in cui la competenza tecnica dell’operaio è stata sostituita in maniera sempre crescente dai processi ingegneristici di automazione che hanno avuto come conseguenza la dequalificazione-proletarizzazione della classe lavoratrice, con implicazioni che nel nostro tempo stiamo toccando con mano (delocalizzazione selvaggia e conseguente sfruttamento intensivo della riserva di manodopera poco qualificata e a basso costo nei paesi in via di sviluppo, compressione al ribasso del mercato del lavoro nei paesi a capitalismo avanzato, con disoccupazione crescente nel corso dell’ultimo trentennio). Di recente lo mostra un libro di Ignazio Masulli, “Chi ha cambiato il mondo. La ristrutturazione tardocapitalistica (1970-2012).
                  Lasch vede un’estensione di questo processo di dequalificazione dal campo lavorativo al campo della vita privata. Non è l’unico naturalmente (penso a Luc Boltanski, ad esempio). Lo stesso si può dire per i processi di precarizzazione e flessibilità indotti dalla delocalizzazione produttiva, che, come mostrano teorizzazioni come quelle “poliamorose” à la Jacquesa Attali, si cercano di applicare anche al campo delle relazioni intime: l’«uomo flessibile» si attaglia perfettamente alle esigenze attuali del «finanzcapitalismo».
                  Non si tratta di negare un innegabile progresso morale (sempre che non si cada nell’illusione di pensare che sia correlato necessariamente al progresso tecnico) né di disconoscere il ruolo di supporto del “tecnico”. Ma non al punto da rendermi dipendente dal suo vaglio (cioè dal suo controllo). Ancor meno, nel caso specifico, il tecnico deve dettarmi il “genoma familiare”. C’è una bella differenza tra interrogarsi intorno a questioni di educazione pratica (metodi correttivi della prole) e voler fare piazza pulita delle matrici sessuate dell’istituzione familiare. C’è comunque una stretta correlazione tra il ceto dei tecnici (knowledge class, come la chiamano negli Usa), in gran parte dipendenti pubblici, e lo stato. Ricordo poi che solo in uno stato totalitario è il pubblico potere a “creare” la famiglia. Un ordinamento giuridico sano si limita a riconoscerne l’esistenza e a tutelarla dagli abusi, sia che provengano dall’esterno sia che avvengano all’interno della famiglia. Quindi non si auspica nessuna “illimitatezza”, è giusto il contrario. Questa piuttosto è invocata dai “family haters” che spingono verso la sempre crescente “deregulation” familiare.

                  1. fortebraccio

                    Ciao Andreas, grazie della risposta.
                    Lasch ha ovviamente molto più autorevolezza di uno come me a trattare certi argomenti, proprio in quanto intellettuale: Che poi in quanto “tecnico” mi inviti a diffidare dei tecnici… ecco diciamo che il suo discorso potrebbe sembrare autolesionistico. Non voglio dire che lo sia. Potrebbe sembrare. Diciamo che fa appello al nostro senso critico, a non essere passivi nei confronti dei tecnici — da tecnico. Diciamo che in un secondo momento mi strappa un sorriso, via.

                    Poi son d’accordo che non si debba demandare le decisioni ai soli tecnici. La tecnica (e non la scienza) è disumanizzante (Heidegger) se lasciata libera di correre e comandare.
                    E’ per questo che ho un’alta considerazione della politica, e preferisco dei politici di professione a degli sprovveduti volenterosi – ma questa è un’altra storia.
                    Per quanto riguarda la ristrutturazione tardocapitalistica, visto che siamo in tema di libri, citerei “Economics in One Lesson” di Henry Hazlitt che al capitolo VII inizia così: “tra le più vitali fra tutte le illusioni economiche c’è la convinzione che le macchine […] creano disoccupazione” [traduz. mia]. L’autore sostiene che l’avvento dell’automazione richiederà la formazione di operai specializzati per la produzione di dette macchine, per la loro manutenzione, di supervisori, di programmatori – tutta una nuova serie di aziende e categoria di operai specializzati che andranno formati (scuole) e pagati adeguatamente… Una giratina a Wolfsburg (volkswagen) o a Solomeo (Cucinelli) aiuta a visualizzare quest’idea visto che in entrambe i casi parliamo di lavori manuali (ben retribuiti). O se preferisci: con l’avvento del moplen un sacco di falegnami han perso il lavoro: alcuni sono però stati assunti in fabbrica, altri si son trasformati in restauratori di mobili in legno,un paio son diventati sarti di Bramieri, uno dirigente delle Montedison (è ovviamente una semplificazione).
                    Un’ultima cosa su quest’argomento: quando il mondo era praticamente totalmente agricolo e poco industrializzato, le crisi economiche esistevano lo stesso. Non voglio negare la realtà, suggerisco sommessamente che possano esistere più modelli interpretativi – dei quali possiamo anche discutere.

                    La precarizzazione della vita personale (della parte affettiva) avverrà veramente quando lo Stato abbandonerà qualsiasi tutela nei confronti della famiglia.
                    [si, lo so che ora come ora, le politiche di supporto non siano questo gran ché… ma riflettono anche la nostra tradizione familistica]
                    Fino ad allora sono atteggiamenti di giovani (o di chi si crede tale) che si ritrovano con disponibilità economica (diretta o indiretta) e nessuna responsabilità. Niente che non si fosse già visto ne I Vitelloni – per dirne uno.

                    Ma non mi voglio tirare indietro su un punto: quello a cui stiamo assistendo ora è un tentativo di cambiamento di significato della parola “famiglia”. E non credo neanche che si tratti di una questione da poco, anzi.
                    Ma se è vero che le parole non hanno padrone se non chi a quelle parole dona un senso, le riempie di gesti, le rende vive quotidianamente, allora rassegnamoci a dare il buon esempio ed a sforzarci quotidianamente in questo.
                    Siamo ancora in tempo (ma ce ne rimane sempre meno) a tappare alcune falle, ma una certa arroganza (siamo la maggioranza; siamo i detentori della morale; siamo i custodi della legge) ed un’abbondante miopia politica ci stanno indirizzando verso scivoli pericolosi (un ordinamento giuridico sano viene messo in sicurezza per tempo!)
                    E magari impegniamoci a scriverle meglio certe leggi (e ad esprimere una classe politica quantomeno mediocre, cribio)

                    Ciao

                    1. Caro fortebraccio, grazie anche a te dell’intervento ricco e stimolante. Cerco di spiegarmi meglio. Non intendo fare del luddismo a buon mercato né il cantore dei bei tempi andati. Naturalmente l’automazione di per sé non porta necessariamente alla disoccupazione. Ma è quanto storicamente è avvenuto, per precisa scelta dei gruppi dominanti che hanno condotto la ristrutturazione capitalistica degli ultimi decenni.
                      Ovviamente qui non possiamo dilungarci troppo ma Masullo, nel libro che ho citato, riporta diversi dati a sostegno della sua tesi e mostra come l’applicazione delle nuove tecnologie abbia portato al semplice taglio della forza lavoro, alla sua dequalificazione, intercambiabilità e precarietà, al progressivo smantellamento delle reti di tutela e di protezione sociale. L’intreccio tra l’automazione spinta e la delocalizzazione sta determinando una tendenza alla riduzione della forza lavoro occorrente per la produzione della stessa quantità di beni e servizi, rendendo possibile l’impiego di una manodopera sempre meno qualificata e sempre più intercambiabile.
                      In parallelo ha preso corpo quella massa abnorme investita in capitale finanziario di cui sappiamo tutti, con la produzione di una ricchezza posticcia. L’intreccio di questi tre fattori, che risponde alla necessità dei gruppi egemonici di ricercare facili e veloci fonti di profitto, ha portato alla situazione attuale.
                      Sul resto mi trovo sostanzialmente d’accordo: occorre un approccio che tenga assieme anche l’umiltà e la testimonianza personale. Come dice Thibon, la verità orgogliosa non può dare niente…

          1. Alessandro

            Peccato che i link che riporti, letti con un minimo di attenzione, smentiscono la tesi a te cara.

            1) Primo link. Il “piatto forte” è “Lesbian and gay parenting” della Patterson. Lo studio dà conto dell’esito di una serie di altre ricerche. E che dice a proposito di queste ricerche?
            “…I campioni studiati, piccoli e non rappresentativi, e la relativamente giovane età della maggior parte dei bambini suggeriscono alcune riserve”
            “Bisogna riconoscere che la ricerca sui genitori omosessuali e i loro figli è ancora molto recente e relativamente scarsa….Studi longitudinali che seguono famiglie di gay e lesbiche nel tempo sono assolutamente necessari” ecc. (p. 3).
            Conclusione: “In effetti, come la stessa Autrice onestamente riconosce, esistono diversi problemi metodologici nelle ricerche svolte in questo campo. La mancanza di campionamento casuale e l’assenza di controlli che garantiscano l’anonimato rendono plausibile la ipotesi che i soggetti presentino al ricercatore un’immagine fuorviante che si conforma alle opinioni del soggetto e rimuove quanto non si conforma all’immagine che il soggetto desidera presentare.”

            Morale: perfino una paladina omosessualista come la Patterson riconosce che gli studi esaminati soffrono di carenze metodologiche grosse come una casa. Mi astengo da ogni ulteriore commento, che risulterebbe superfluo.

            Di seguito si legge:

            “Nel suo “National Lesbian Family Study”, Gartrell ha scoperto che 18 studi su 19 riguardanti i genitori omosessuali usavano una procedura di ricerca che era contaminata da questa falsa rappresentazione di sé. Anche Gartrell, come la Patterson, menziona i problemi metodologici di uno studio longitudinale sulle” famiglie” lesbiche: “Alcune possono essersi presentate volontariamente per questo progetto poiché erano motivate a dimostrare che le lesbiche sono capaci di crescere bambini sani e felici. Nella misura in cui questi soggetti potrebbero desiderare di presentare sé stessi e le loro famiglie nella miglior luce possibile, i risultati dello studio possono essere intaccati da tendenziosità“.

            Anche qui, ogni commento è superfluo, con buona pace dell’APA.

            2) Secondo link.
            Prende in considerazione uno studio di Stacey e Biblarz (2001) che sintetizza i risultati di 21 ricerche condotte tra il 1981 e il 1998. Ecco, testuali, i “limiti” di questi studi (p. 176): “non esistono studi sullo sviluppo dei bambini che siano basati su campioni casuali e rappresentativi di tali famiglie [con “genitori omosessuali”]. La maggior parte delle ricerche sono a piccola scala, con campioni scelti per opportunità [!], in primo luogo tramite reti o agenzie personali o di comunità [!!]”

            Viste queste candide ammissioni, ogni commento sarebbe superfluo e maramaldo.

            Sempre in questo secondo link, si considerano poi 14 studi condotti tra il 2003 e il 2008. Quali i limiti di questi studi? P. 177:
            “in diversi studi il campione è di piccole dimensioni, e il modo in cui viene selezionato è spesso criticabile… queste madri [lesbiche] possono cercare di presentare la loro famiglia nella luce migliore possibile”. E così di seguito (p. 177s): in alcuni studi inglesi non solo il campione è troppo piccolo, ma è troppo eterogeneo; i campioni usati dagli studi olandesi si possono considerare migliori di quelli utilizzati negli studi inglesi, ma presentano altri ragguardevoli limiti.
            Soprattutto, nella maggior parte degli studi il difetto è quello di “non essere svolti nel tempo”, sicché si è stati costretti a prendere in considerazione uno studio (intrapreso nel 1986) che non si è ancora concluso (!)

            Anche in questo caso, ogni commento sarebbe superfluo e maramaldo.

            Ovviamente, essendo stato pubblicato nel 2009, lo studio cui rinvia il secondo link non tiene conto inoltre del lavoro di Mark Regnerus, pubblicato su Social Science Research nel luglio 2012, che si distingue dai precedenti perché si basa sul più grande campione rappresentativo casuale a livello nazionale, e interroga direttamente i “figli” (ormai cresciuti) di “genitori” omosessuali.

            Da ultimo, ribadito che è falso che gli studi (considerati seriamente) depongano a favore della non pericolosità per il bambino dell’adozione da parte di coppie omosessuali, invito a riflettere sulla deformazione mentale, sulla perdita di senso della realtà, sottese alla convinzione che debbano essere “gli specialisti”, i “tecnici” a decidere ciò che è bene e ciò che è male (ne parla bene qui sotto Andreas), ciò che è sano e ciò che è malato, ciò che va fatto e ciò che va evitato. Finirà che, quando moglie e marito si baceranno, bisognerà dare mandato agli specialisti di imbastire uno studio sociologico metodologicamente irreprensibile, longitudinale e con un campione selezionato a puntino, per stabilire se il bacio è espressione di amore o di ostilità. Nel caso che risulti espressione di ostilità, divorzio coatto (perché occorre salvaguardare l’incolumità dei coniugi)…

            1. Matteo
              5 settembre 2014 alle 11:37

              “Addentrarsi nel dibattito scientifico che cambia le sue posizioni dal bianco al nero con una frequenza disarmante e che su certi temi, a rigor di logica, non dovrebbe avere la ben che minima competenza, mi sembra semplicemente inconcludente. Comunque la si pensi.”

              Questa mi sembra una osservazione mica male!

              Ma invece che scientifico avrei scritto “scientifico”.

            2. Daniele

              Non è neanche vero che gli studi scientifici depongano a sfavore delle famiglie omogenitoriali. Ci sono alcuni limiti, questo è ovvio. Ma il secondo articolo, comunque trae delle conclusioni che sono abbastanza chiare. Concentrarsi sui limiti di taluni studi (non di tutti se non sbaglio) è un po’ parziale.
              D’altro canto mi sembra sacrosanta l’affermazione per cui non ha senso affidare agli specialisti le decisioni su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato…purchè però si tenga conto che gli specialisti ci danno degli elementi fondamentali e talora imprescindibili per capire la realtà e poterci ragionare sopra ( per decidere se è giusto o meno installare un inceneritore vorrei avere dei dati per capirne la pericolosità o quanto possono nuocere alla salute; poi pur scoprendo che i rischi sono minimi posso optare per il no perché trovo sbagliata l’idea…è un esempio).
              Quello che mi preme sottolineare, e ovviamente il discorso è molto più delicato quando si parla di adozione, è che la discussione dovrebbe svolgersi scevra da pregiudizi ideologici. magari è vero (ho forti dubbi ma potrei sbagliarmi) che dal punto di vista psicologico una famiglia con 2 genitori dello stesso sesso è dannosa per un bambino. Ma la discussione può avvenire su un piano di lucidità solo ove si ammetta che gli omosessuali hanno la stessa dignità rispetto agli eterosessuali, anche nel vivere la loro dimensione affettiva. Altrimenti qualsiasi discussione sarà coperta dall’ombra che, comunque, quella coppia è “meno”. Perché?…ahimè temo le risposte.

              1. Alessandro

                “Non è neanche vero che gli studi scientifici depongano a sfavore delle famiglie omogenitoriali. Ci sono alcuni limiti, questo è ovvio. Ma il secondo articolo, comunque trae delle conclusioni che sono abbastanza chiare. Concentrarsi sui limiti di taluni studi (non di tutti se non sbaglio) è un po’ parziale.”

                Non raccontiamo frottole. Come ho brevemente mostrato (e come può verificare chiunque lo legga), il secondo articolo trae delle conclusioni fondandole su studi che soffrono di gravissimi limiti (non “alcuni limiti”). A casa mia, conclusioni tratte prendendo per buoni studi che soffrono di limiti gravissimi sono irrilevanti e lasciano davvero il tempo che trovano.
                Smascherate le troppe magagne degli studi sui quali si appoggia lo strombazzato parere dell’APA, non so che cosa di “scientifico” resti in mano a chi ancora sparge la fandonia secondo cui gli studi scientifici deporrebbero a favore delle famiglie omogenitoriali.
                Non confondiamo la scienza con la propaganda (ed evitiamo che la scienza sia influenzata dalla propaganda, perdendo di rigore e piegandosi a diventare strumento ideologico nelle mani di propagandisti interessati).

  11. Ada e Claudio

    Penso che anche se ci fosse uno e un solo studio o anche una sola testimonianza (come quella riportata da Giuliana) che possa mostrare la sofferenza (quel tipo di sofferenza) di un bambino adottato da una coppia omosessuale, la prudenza imporrebbe di vietare l’adozione.
    Il problema è che il potere delle lobby omosessuali si sta impegnando per produrre il lavaggio del cervello di tutti, cosicché tutto ciò che in natura è un dato di fatto viene messo in discussione, come se fosse una invenzione legata a fattori storici, sociali e culturali o una sovrastruttura opinabile.
    In realtà il gioco è sottile: proponendo il modello della coppia omosessuale che può adottare, si persegue come scopo la volontà di scardinare la famiglia naturale.
    Grazie Giuliana

  12. mentre leggevo le prime righe di questo articolo anch’io mi sono detta che stava sbagliando il taglio…andando avanti, invece, si capisce bene che, come già detto da altri, esso è il dito che punta alla luna. questo è particolarmente chiaro nelle ultime righe: “I ragazzi come Caterina sono nati fuori da una naturale relazione uomo-donna, ma da un atto volontario di manipolazione delle cellule. Scavalcare la natura (e non si capisce qui come mai per i pomodori non vada bene la creazione in laboratorio, ma per gli umani nulla da dire) può avere conseguenze imprevedibili. Le domande ultime dell’essere umano, e ce le hanno tutti gli esseri umani, anche quelli generati artificialmente, non possono trovare esaurimento in una coppia che ha costituito il suo desiderio di genitorialità (pur comprensibile) a centro del proprio agire. Mi si dirà che ciò vale anche per le coppie eterosessuali. E’ vero. Ma nella famiglia naturale c’è ancora la possibilità che si procrei in vista di un bene che sta fuori di sé, un’ipotesi positiva a cui introdurre il figlio, e non in miope contemplazione del proprio ego e del proprio desiderio che non ha radici nella realtà fattuale.

  13. Maria Elena

    Educativo, ma soprattutto dovrebbe far riflettere. Semplice ma efficace. Grande giuliana!
    Stamani belzebù e un suo aiutante dialogavano:
    “Sarà un problema distruggere gli uomini in quest’epoca, in cui si preoccupano di tutelare gli essere viventi, le piante, di mangiare biologico…”
    “Assolutamente. Mangiano biologico, ma usano la macchina anche solo per 50metri. Si preoccupano delle formiche, ma uccidono i bambini, sono dei sentimentali, li possiamo ingannare senza sforzo . L’importante è mostrare loro che senza quel giocattolo si soffre e faranno tutto quello che suggeriamo. D’altronde leggono “la repubblica” e “novella 2000″. Abbiamo dei grandi consiglieri! La paura della sofferenza senza l’aiuto di Gesù il Cristo non si riesce ad affrontare.”

    1. Sara

      Eh, sì! Di nuovo il sentimentalismo. Sono d’accordo, Maria Elena.
      Grazie ancora a Giuliana (3 settembre 2014 alle 14:40) e grazie a Roberto (3 settembre 2014 alle 19:21)!

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