di Juan José Perez Soba*
Talvolta negare la misericordia è l’unico modo di difenderla dalle sue adulterazioni. Il cardinale Kasper lo afferma con grande chiarezza nel suo libro Misericordia: “Un ulteriore grave fraintendimento della misericordia è quello che induce a disattendere, in nome della misericordia, il comandamento divino della giustizia (…).
Non possiamo consigliare, per una falsa misericordia, di abortire” (p. 221). Una misericordia ingiusta, non è misericordia. Non si può attentare alla dignità umana nel nome della misericordia. Di conseguenza, per parlare di misericordia rispetto al matrimonio è molto importante comprendere esattamente quale realtà di dignità umana sia coinvolta in questa istituzione. Non ci sarebbe alcuna misericordia se si attentasse a tale dignità. Questo bene è ciò che la tradizione cristiana ha denominato vincolo ed è precisamente ciò che ha costituito il soggetto reale dell’indissolubilità che si attribuisce al matrimonio. E’ così che il Concilio Vaticano II definisce il matrimonio come una realtà trascendente: “In vista del bene dei coniugi, della prole e anche della società, questo legame sacro non dipende dall’arbitrio dell’uomo” (GS 48), ecco perché lo ritiene indissolubile (n. 50). Il termine è intrinsecamente unito alla dottrina del matrimonio giacché il Concilio di Trento lo usa nei suoi canoni 5 e 7 su questo sacramento. Non dovrebbe però intendersi come un’espressione aliena all’amore. E’ lo stesso amore che nella sua verità unisce le persone mediante vincoli stabili. Il teologo Kasper nel suo libro “Teologia del matrimonio” parla così: “Nel vincolo della fedeltà uomo e donna trovano il loro stato definitivo.
Diventano ‘un corpo solo’ (Gn 2,24; Mc 10,8; Ef 5,319), cioè un noi-persona” (1978, 26).
In altri termini, quando si parla di giustizia relativamente al rapporto sacramentale tra uomo e donna, si fa riferimento al rispetto della dignità inviolabile di questo “legame sacro”. Qualsiasi tentativo di avvicinarsi alla pastorale matrimoniale che usi il termine misericordia, deve essere in grado di determinare la realtà del legame, ovvero comprendere se esista o meno. Senza questo chiarimento precedente, qualsiasi eventuale atteggiamento misericordioso sarebbe evidentemente contrario alla giustizia. Lo stesso cardinale Kasper sembra riallacciarsi a questo concetto quando afferma: “L’indissolubilità di un matrimonio sacramentale e l’impossibilità di un nuovo matrimonio durante la vita dell’altro partner “fanno parte della tradizione di fede vincolante della chiesa che non può essere abbandonata o sciolta richiamandosi a una comprensione superficiale della misericordia a basso prezzo”.
E’ proprio per questa ragione che risulta sorprendente che lo stesso cardinale tedesco, nella lunga relazione presentata nell’ambito dell’ultimo concistoro, non affronti in nessun momento questo argomento. Anzi, egli parla di mantenere la giustizia senza far alcun riferimento al vincolo sacramentale come al bene di giustizia da difendere nel matrimonio cristiano, respingendo qualsivoglia offesa lo possa colpire. Quest’ultimo aspetto è meglio noto in quanto Familiaris consortio sul tema dei divorziati che cercano una nuova unione si riferisce esplicitamente al vincolo sacramentale (nn. 83-84) che rappresenta la base per il successivo documento della congregazione per la Dottrina della fede (14-IX-1994), promulgato proprio per ribadire l’inammissibilità della proposta dei vescovi dell’Alta Renania, tra i quali lo stesso Kasper, sui divorziati risposati.
Sorprende ancor più osservare che il cardinale, riferendosi a questo vincolo indissolubile che attribuisce a sant’Agostino, non menzioni per nulla la necessità di riallacciare tale indissolubilità con la sua fondazione divina. Anzi, nella fattispecie, le sue parole esprimono piuttosto il dubbio: “Molti, oggi, hanno difficoltà a comprenderla. Questa dottrina non può essere intesa come una sorta di ipostasi metafisica accanto o al di sopra dell’amore personale dei coniugi; d’altro canto questo non si esaurisce nell’amore affettivo reciproco e non muore con esso (GS 48; EG 66)”. è strano che questo modo negativo di parlare del vincolo e la sottolineatura della difficoltà di comprensione attuale, non adotti un parallelismo di comprensione molto semplice che aiuti proprio a illuminarne il valore sacramentale. Si tratta del Battesimo, sacramento essenziale della fede, che rimane nonostante l’apostasia. Esso permane proprio in quanto principio di misericordia di fedeltà di Dio alle sue promesse, così come afferma san Paolo: “Se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso” (2 Tim 2,13). Questo dono indissolubile del Battesimo è quindi precisamente espressione della misericordia di Dio nel dono indissolubile dell’essere figlio, che lo stesso Cristo espone come il principio fondamentale della parabola del figliol prodigo.
La difesa del vincolo sino all’indissolubilità è quindi il modo in cui Dio offre la sua misericordia sul matrimonio. “Il loro vincolo di amore diventa l’immagine e il simbolo dell’Alleanza che unisce Dio e il suo popolo” (FC 12). Questo unisce in modo estremamente diretto il legame indissolubile del matrimonio con l’amore degli sposi nell’ambito di una evidente “primarietà” della grazia (per usare il neologismo coniato da Papa Francesco) e come modo di guidare la loro libertà.
Rimane inteso però, che mantenere una nuova unione in contrasto col “legame sacro” del matrimonio, per un cristiano che voglia vivere della sua fede, è un atto di grave ingiustizia contro il vincolo divino che permane. In questa fattispecie quindi, non c’è possibilità di applicare una presunta misericordia che sarebbe ingiusta e, proprio per questo, falsa.
Questo aspetto è molto importante, tanto che lo stesso Giovanni Paolo II lo menziona nelle sue Catechesi sull’amore umano, riferendosi alla “redenzione del cuore” per indicare la presenza della grazia nel matrimonio che rende capaci di vivere le sue esigenze. Analogamente, Benedetto XVI ribadisce che “All’immagine del Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico.
Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano” (DCE 11).
La definitività dell’Alleanza matrimoniale al di sopra della debolezza umana non è un “giogo” dal peso insopportabile, ma è il “dolce giogo” che ci unisce a Cristo poiché Egli lo porta con noi. E’ l’espressione vera e propria della Nuova alleanza ed è ciò che, mediante la grazia, supera la “durezza del cuore” che permetteva il divorzio, come dice Gesù Cristo. L’argomentazione reale della misericordia, purtroppo assente dalla relazione del cardinale tedesco, giunge a conclusioni opposte rispetto a quelle a cui egli tende.
Il ragionamento precedente non è qualcosa di strano, perché proviene dagli ultimi due pontefici che hanno dato ampio spazio alla considerazione della misericordia divina nella nuova evangelizzazione: ecco perché è davvero singolare l’assenza di qualsiasi traccia di allusione a questo insegnamento. Anzi, nella relazione presentata al concistoro, possiamo addirittura identificare frasi letteralmente tratte dal libro che Kasper stesso ha scritto sulla famiglia più di trent’anni fa (nel 1978) alle cui argomentazioni rimanda e da cui trae la proposta che presenta (cfr. p. 68). Si tratta quindi di una vecchia formulazione, precedente alla Familiaris consortio, che ignora quasi tutto ciò che è stato detto successivamente dal Magistero e dalla teologia. In tal senso, ci sorprende il fatto che si continui a citare il libro di Cereti, che non fu per nulla ricevuto dai patrologi a causa delle sue argomentazioni assolutamente forzate. Il grande patrologo gesuita Crouzel respinse la tesi di Cereti e definì il libro “un grande bluff”. Un bluff che purtroppo viene ora resuscitato e può recare grave danno alla chiesa. I pochi riferimenti bibliografici che pone, sono di quest’epoca. Anzi, si dà addirittura il caso che uno degli autori qui citati abbia ritrattato dopo la pubblicazione di Familiaris consortio le affermazioni che Kasper cita in suo favore.
In altri termini, il cardinale avrebbe quanto meno dovuto tenere a mente questa proposta contraria alla sua che si basa, in modo estremamente diretto, sulla misericordia, ma che vede proprio l’indissolubilità del vincolo come il grande dono dell’amore divino agli sposi e la sua difesa come una testimonianza reale nel mondo della presenza dell’Amore tra gli uomini.
La conseguenza di tutto questo è ovvia: non si può concepire la cosiddetta “soluzione pastorale” che il cardinale Kasper ha proposto nella sua relazione, senza aver precedentemente chiarito l’esistenza del vincolo. Considerando il modo di ragionare, si potrebbe supporre che il cardinale metta in dubbio la realtà della permanenza del vincolo, in assenza di ragioni umane per sostenerla; ma se questo è vero, allora bisogna avere l’onestà intellettuale di proporre esplicitamente questo tema come problema reale da affrontare, poiché non è corretto voler presentare la “soluzione” come una questione di tolleranza pastorale, che non va al di là del dibattito casuistico tra rigorismo o lassismo, quando invece ciò che in realtà mette in discussione è un patrimonio dottrinale già consolidato, unanimemente attestato dalla Tradizione più che millenaria della chiesa.
A guisa di conclusione, possiamo osservare che appare evidente che ciò che in realtà è messo in discussione nella proposta di Kasper, è l’esistenza o meno del vincolo indissolubile; questo però non è più solo un argomento pastorale. La sua discussione quindi è contraria all’intenzione ribadita da Papa Francesco di non voler cambiare nulla nella dottrina. Bisogna anche precisare che, naturalmente, un Sinodo non è il luogo adeguato per discutere di un tema dottrinale di tale portata. Se le cose stanno così, o si ritira la proposta nella sua formulazione poiché impropria, giacché sembra ignorare le argomentazioni contrarie più elementari, oppure si propone di discutere la questione centrale affrontata da alcuni teologi ma al di fuori di un ambito sinodale. In definitiva, teologicamente parlando, ciò che il cardinale Kasper ha proposto è un passo falso poiché ha occultato proprio la questione fondamentale. Egli in realtà ha aperto una profonda questione dottrinale ed è necessario che ogni vescovo che parteciperà al Sinodo comprenda, nella loro giusta portata dottrinale, gli elementi chiave della proposta rivoluzionaria.
La semplice osservazione del fatto che ci sarebbe stata una certa tolleranza nei primi secoli rispetto ai divorziati, è di una debolezza lampante vista l’ambiguità delle affermazioni in merito, sebbene si limiti a ribadire soltanto quelle che testimoniano questa tolleranza. è sbagliato confondere misericordia con tolleranza. Quando, nella chiesa occidentale, si è consolidata la dottrina del vincolo come modo di espressione reale della sacramentalità del matrimonio, si è compresa l’impossibilità di applicare la tolleranza rispetto a una grave ingiustizia.
La misericordia, dunque, indirizza anche il modo in cui la chiesa è sacramento del perdono di Dio. Il perdono infatti è la forma in cui la misericordia guarisce le ferite causate dall’infedeltà. Guarire le ferite, come ha accenato con saggezza Papa Francesco è l’oggetto privilegiato di tutta la pastorale della chiesa. Il legame profondo tra misericordia e fedeltà, che Kasper indica come segno della rivelazione divina, esprime la natura della conversione nata dalla misericordia, essa è indirizzata alla riconciliazione con l’Alleanza originale. E’ la verità che deve essere vissuta dagli sposi nella sua alleanza sacramentale. Chi rimane fedele al matrimonio, benché sia stato abbandonato ingiustamente in modo irreversibile, offre con la sua fedeltà una testimonianza altissima della possibilità del perdono che la grazia rende possibile. E’ lui che diventa così testimone privilegiato della misericordia.
In modo simile a come Dio vuole guarire il suo popolo della malattia dell’idolatria, e non tollera nessun idolo accanto a sé, come indica l’analogia strettissima tra monoteismo e monogamia insegnata da Papa Benedetto XVI. La conversione della ferita dell’infedeltà nasce soltanto dalla vera misericordia, cioè è veramente “guarita”, solo quando toglie qualsiasi altro vincolo contrario all’alleanza sacramentale nel suo senso sponsale.
E’ questo il perdono che viene dalla misericordia autentica, molto diversa della semplice tolleranza e lontana dalla questione casuistica dell’alternativa tra rigorismo e lassismo. E’ la vera medicina che guarisce la ferita della infedeltà. L’unica medicina efficace che anche “l’ospedale da campo” che deve essere la chiesa potrà offrire se non vuole tradire i feriti e ingannare i sani. Così il peccato di adulterio smette di essere l’unico peccato che potrebbe essere assolto senza pentimento e conversione.
fonte: Il Foglio
*Don Juan José Perez Soba è professore ordinario di Teologia pastorale del matrimonio e della famiglia al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia presso l’Università Lateranense di Roma. E’ stato ordinato sacerdote per la diocesi di Madrid nel 1991. L’anno successivo ha conseguito la licenza in teologia (specializzazione in morale) presso l’Università pontificia di Comillas, discutendo la tesi “Libertà per amare. Dialogo con San Tommaso d’Aquino”. Nel 1996 si è laureato in Teologia presso l’Istituto dove ora insegna discutendo sulla “Impersonalità nell’amore: la risposta di San Tommaso”. E’ stato docente di Teologia morale fondamentale alla facoltà San Dámaso e all’Istituto di scienze religiose di Madrid. Dal 1998 è membro del Consiglio della subcommissione sulla famiglia e la vita della Conferenza episcopale spagnola e nel 2004 è stato professore della Cattedra di Bioetica dell’Unesco. E’ stato membro dell’area di ricerca sullo Statuto della teologia morale fondamentale dell’Università Lateranense e direttore degli studi del Master sulla pastorale del matrimonio e della famiglia all’Istituto Giovanni Paolo II di Madrid.
Autore di numerosi libri – l’ultimo è “Creer en el amor. Un modo de conocimiento teológico” (edito da Bac lo scorso febbraio) – ha pubblicato decine di articoli su riviste specializzate. Tra queste ultime, si ricorda “Il pansessualismo della cultura attuale”, apparso nel volume “Il cuore della famiglia” edito dalla facoltà di Teologia San Dámaso di Madrid (2006). Ha approfondito le tematiche riguardanti il Vangelo della vita, la famiglia, il matrimonio e la sessualità. “Criticare la Familiaris Consortio di Karol Wojtyla – diceva in un recente colloquio con il Foglio – rientra in una visione in cui la chiesa sta sempre dietro al mondo, mentre la chiesa deve proporre qualcosa che salvi il mondo”. Nel 2006 ha partecipato alla conferenza di presentazione presso l’Università Lateranense dell’enciclica Deus Caritas est, prima enciclica firmata e promulgata da Papa Benedetto XVI.
ecco. esattamente quel che avevo appena consigliato a bariom su l “foglio” di sabato…quando si dice la sincronia 🙂
Ecco Bariom per l’appunto.
I primi due commenti e vengo nominato… quale onore 😉
Giusi vale la stessa risposta che avrai letto qui: http://costanzamiriano.com/2014/03/04/dio-ti-spiazza-sempre/#comment-75744
Mi permetto di riprendere qui quanto, segnalando proprio questo contributo, commentavo nei giorni scorsi:
Il prof. mette il dito nella piaga. La relazione-Kasper si muove ambiguamente perché da un lato sembra voler tener ferma l’indissolubilità del vincolo sponsale, dall’altro adombra soluzioni “pastorali” che inevitabilmente (anche se Kasper non lo dice) vanificherebbero l’indissolubilità del vincolo, mantenedolo in vita solo come finzione onomastica svuotata di contenuto sostanziale: e questo sarebbe evidentemente un sovvertimento dottrinale, non solo una innovazione nella prassi pastorale.
E’ bene accorgersi dunque che che la proposta-Kasper, per come si articola, condurrebbe proprio a revocare in dubbio ciò che invece non può essere revocato in dubbio, ossia il principio dottrinale dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale.
Aggiungo. La proposta Kasper delinea una sorta di riconoscimento canonico alle seconde nozze fatta salva l’indissolubilità del vincolo del matrimonio sacramentale. Ma è patente che, qualora la Chiesa riconoscesse seconde nozze, l’indissolubilità del vincolo del matrimonio sacramentale svanirebbe. E’ di tutta evidenza infatti che seconde nozze potrebbero essere riconosciute dalla Chiesa se e soltanto se il vincolo matrimoniale fosse considerato dalla stessa non indissolubile, cioè solubile.
Ecco dunque a che cosa inevitabilmente condurrebbe l’accoglimento, da parte della Chiesa, della tipologia di proposta adombrata da Kasper: nientemeno che alla negazione, da parte della Chiesa, dell’indissolubilità del vincolo del matrimonio sacramentale, cioè nientemeno che a un rivolgimento dottrinale, e più precisamente all’elisione, in quanto fallace, di un contenuto del magistero infallibile (l’indissolubilità del vincolo del matrimonio sacramentale, appunto).
Ma che la Chiesa dichiari fallace (o almeno tratti come tale) una contenuto del suo non fallace magistero è evidentemente impossibile: la Chiesa contraddirebbe sé stessa, il Magistero infallibile revocherebbe in dubbio sé stesso.
Non meraviglia dunque che Kasper sia evasivo (come lamentato in questo post) quanto all’indissolubilità: se la tematizzasse a fondo, sarebbe posto dinnanzi all’inesorabile inconciliabilità tra il rispetto dell’indissolubilità e la messa in opera della tipologia di proposte “pastorali” tratteggiata nella sua relazione.
@Alessandro chiedo un cosa a te… si trova da qualche parte l’intero e integrale discorso del Card, Kasper che non siano stralci, più o meno estesi, corredati di commenti e valutazioni personali?
Io non sono riuscito a trovarlo.
Grazie.
Qui, se non erro.
http://www.ilfoglio.it/media/uploads/2011/VaticanoEsclusivo.pdf
@Roberto e vale, grazie avevo già visti e letto, ma qui non è il solo testo senza commenti né, mi par di capire (o averne la garanzia), il testo è riportato per intero…
@Bariom
Il testo è completo. Se non fosse completo padre Lombardi avrebbe certamente smentito lo scoop del Foglio, ma non l’ha fatto.
Ok gracias 😉
Comunque oggi è uscito tanto di libro con la relazione Kasper:
“Il Vangelo della famiglia” del cardinale Walter Kasper (Ed. Queriniana)
Si, ne avevo già letto stralci corredati di relative critiche… non ricordo dove…
Forse proprio su questo blog?
Esdatto, grazie Roberto…
o qui
http://www.ilfoglio.it/singole/462
A scanso di equivoci, preciso, semmai ce ne fosse bisogno, che, quando critico il cardinale Kasper e dico che non è lecito che si accosti alla comunione eucaristica il divorziato risposato che non rinunci a compiere atti coniugali con chi suo coniuge non è, non lo faccio in odio alla persona di Kasper o per un perverso godimento nell’infierire contro i divorziati risposati.
Nei confronti dei quali ogni cristiano è tenuto a nutrire e praticare cristiano amore. Sicché forse non è inutile citare che afferma a proposito il Magistero recente:
“Nei confronti dei cristiani che vivono in questa situazione e che spesso conservano la fede e desiderano educare cristianamente i loro figli, i sacerdoti e tutta la comunità devono dare prova di una attenta sollecitudine affinché essi non si considerino come separati dalla Chiesa, alla vita della quale possono e devono partecipare in quanto battezzati” (CCC n. 1651)
“Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.” (Giovanni Paolo II, Esort. apost. “Familiaris consortio”, 84)
“Una speciale attenzione meritano le difficoltà e le sofferenze di quei fedeli che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari. I pastori sono chiamati a far sentire la carità di Cristo e la materna vicinanza della Chiesa; li accolgano con amore, esortandoli a confidare nella misericordia di Dio, e suggerendo loro con prudenza e rispetto concreti cammini di conversione e di partecipazione alla vita della comunità ecclesiale” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, 2)
“questi fedeli del resto, non sono affatto esclusi dalla comunione ecclesiale. Essa si preoccupa di accompagnarli pastoralmente e di invitarli a partecipare alla vita ecclesiale nella misura in cui ciò è compatibile con le disposizioni del diritto divino, sulle quali la Chiesa non possiede alcun potere di dispensa. D’altra parte, è necessario illuminare i fedeli interessati affinché non ritengano che la loro partecipazione alla vita della Chiesa sia esclusivamente ridotta alla questione della recezione dell’Eucaristia. I fedeli devono essere aiutati ad approfondire la loro comprensione del valore della partecipazione al sacrificio di Cristo nella Messa, della comunione spirituale, della preghiera, della meditazione della Parola di Dio, delle opere di carità e di giustizia” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, 6).
“Diventi l’Anno della Famiglia una corale ed incessante preghiera delle singole « chiese domestiche» e dell’intero popolo di Dio! Da questa preghiera siano raggiunte anche le famiglie in difficoltà o in pericolo, quelle sfiduciate o divise e quelle che si trovano nelle situazioni che l’Esortazione apostolica Familiaris consortio qualifica come « irregolari ». Possano tutte sentirsi abbracciate dall’amore e dalla sollecitudine dei fratelli e delle sorelle!” (Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie “Gratissimam sane”, 5)
“I divorziati risposati, tuttavia, nonostante la loro situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, l’ascolto della Parola di Dio, l’Adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l’impegno educativo verso i figli.” (Benedetto XVI, Esort. apost. “Sacramentum Caritatis”, 29)
Tutt’altro che inutile Alessandro.
Ora dato che a me sembra toccare l’onere del “buonista”, rompib… scatole, difensore (forse) delle cause perse, possiamo in questo inizio di Quaresima meditare e domandarci se, sinceramente e concretamente in azioni e affermazioni, facciamo di tutto in modo che si possa affermare “(i sacerdoti) …e tutta la comunità devono dare prova di una attenta sollecitudine affinché essi non si considerino come separati dalla Chiesa…”
E’ una semplice domanda, che non chiede risposte (ognuno sa di sé).
Bariom scusa non voglio far polemiche ma mi sembri come Introvigne che, dopo il suo sondaggio, è caduto dal pero titolando: sorpresa: i divorziati risposati fanno già la comunione. Ma di cosa stiamo parlando? I buoi sono già scappati! Fanno la comunione a tutti! Divorziati, sodomiti, pornostar, noti e non noti, con confessione o senza, venghino signori venghino, siamo allo sfacelo! Occorrerebbe piuttosto porre un freno e pazienza se diminuiscono gli Osanna, Gesù Cristo lo hanno messo in Croce a proposito di Quaresima……
Oh ma non ti rilassi mai? Cosa ti rode?
Mangiano la loro condanna se lo fanno… non ti basta? Cosa vuoi la santa fedina penale? Lo scanner dell’anima all’ingresso (sai che sorprese!).
Anche se ti agiti e ti scaldi non è in tuo potere cambiare (eventualmente) le cose, fattene una ragione… giusto giusto ci è dato di cambiare un po’ noi stessi.
Forse conviene iniziare (o ripartire) sempre da lì.
Adesso accusami di essere contento (e buonista) che questi sacrilegi accadano, perché non urlo e non mi straccio le vesti… 😉
Bariom guarda che io sono calma. Se le cose stanno così è colpa mia?
@ Bariom
Attenta sollecitudine affinché i divorziati risposati non si considerino come separati dalla Chiesa? Si, certo! Io ho fatto di tutto, con mio fratello, per dissuaderlo dall’intraprendere una relazione adulterina e poi consolidarla con un matrimonio in comune. La verità è che a loro non interessa niente di separarsi dalla chiesa. A loro interessa solo di essere considerati e riconosciuti nel giusto dalla chiesa cattolica.
Bariom, deve essere chiaro che ogni attenzione e sollecitudine nei loro confronti deve essere finalizzata non a consolarli nella situazione dolorosa in cui si trovano e di cui SONO RESPONSABILI, ma, viceversa, a renderli consapevoli che si trovano in una situazione di GRAVISSIMO PERICOLO PER LE LORO ANIME. La nostra sollecitudine di cristiani deve essere rivolta a farli desistere dall’atteggiamento di ribellione ed aperto contrasto con la dottrina. Sono peccatori impenitenti e, se non abbandoneranno la via del peccato, finiranno all’inferno per tutta l’eternità: molto meglio dunque sacrificarsi qualche anno ora. Queste, caro Bariom, devono essere le parole di attenzione e sollecitudine nei loro confronti. In questo senso, io sono stato attento e sollecito nei confronti di mio fratello e continuerò ad esserlo finché mi sarà possibile.
Allargando ora la riflessione sulle parole davvero splendide di Don Juan José Perez Soba, noto con piacere come egli metta a fuoco la natura dell’amore quando dice: “E’ lo stesso amore che nella sua verità unisce le persone mediante vincoli stabili.”. Cioè, l’amore è PER SEMPRE. E’ quello che dicevo ieri: impensabile una relazione d’amore a termine (http://costanzamiriano.com/2014/03/07/mia-madre-chiesa-risolvera-tutto/#comment-75688). E siccome noi, miseri esseri umani, saremmo incapaci di stabilire una relazione d’amore, è Gesù stesso che, nel sacramento del matrimonio, si pone a garanzia dell’indissolubilità. Indissolubilità che attiene alla natura stessa dell’amore.
“A loro interessa solo di essere considerati e riconosciuti nel giusto dalla chiesa cattolica”. E’ proprio così Giancarlo. Ieri ho visto un film su Giuda su TV 2000. Il suo peccato non è stato tanto il tradimento quanto il volersi sostituire al Signore, il pretendere che facesse come voleva lui e il non chiedere perdono e quindi il non confidare nella misericordia del Signore. Peccato di orgoglio e di superbia che porta a pensare che è Dio a dover essere come noi e non noi come Lui.
“Qualsiasi tentativo di avvicinarsi alla pastorale matrimoniale che usi il termine misericordia, deve essere in grado di determinare la realtà del legame, ovvero comprendere se esista o meno”
La soluzione, secondo me è tutta un queste parole!!!
“in realtà ha aperto una profonda questione dottrinale ed è necessario che ogni vescovo che parteciperà al Sinodo comprenda, nella loro giusta portata dottrinale, gli elementi chiave della proposta rivoluzionaria.”
se è vero che la chiesa può legare e sciogliere, vero è che non può abrogare.
anche perché i pochi casi reali rischiano di divenire un fiume.
che poi questa larghezza di manica nel concedere la nullità possa dare la stura ad altro, è ,però, facile ( come farebbe trasparire una lettera nella rubrica parola ai lettori del “giornale” di oggi pag.30: a firma V.Tussi : ” alle donne nella chiesa è negato il potere,giacché è negato il sacerdozio.eppure credo che papa Francesco sappia che è cosa cattiva e ingiusta…..le ragioni che obbligarono Cristo a non inviare delle donne “come pecore in mezzo ai lupi” oggi non esistono più.”).
un altro adeguamento ai tempi in vista?
si comincia dal matrimonio e si finisce a tutto il resto.
con la scusa della pastorale.
d’altronde,come ricordava in un intervista sempre su “il Giornale” di domenica 9 marzo fatta da Lorenzetto,il prof Ciarrocchi.appena dimissionato dal comitato direttivo della rivista Latinitas edita dalla santa Sede, non sanno più neppure il latino, in vaticano.basterebbe guardare alla “asinata” linguistica e teologica della traduzione di : ecce Agnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi dove il tollit ( prende su di sé ) quindi a perdonarli, viene tradotto, in italiano, con toglie.
siamo sicuri che si ricordino che i dogmi , ovvero il depositum fidei da custodire e tramandare. non può essere modificato od edulcorato per adattarlo ai tempi ?
Sinodo sulla famiglia: il card. Kasper spiega le sue proposte
Fonte Radio Vaticana
Esce in questi giorni, nelle librerie italiane, il volume “Il Vangelo della famiglia” del cardinale Walter Kasper (Ed. Queriniana). Il libro contiene il testo integrale della Relazione introduttiva tenuta dal porporato tedesco al recente Concistoro straordinario sul tema della famiglia. Tra i temi più caldi, la questione dell’ammissione dei divorziati risposati alla Comunione. Philippa Hitchen ha chiesto allo stesso cardinale Walter Kasper di parlarci di questo testo:
R. – “Il Vangelo della famiglia” vuol dire che Dio vuole bene alla famiglia e che la famiglia è fondata da Dio dall’inizio della Creazione: è la più antica istituzione dell’umanità. Gesù Cristo ha fatto il suo primo miracolo durante le nozze di Cana: lui ha apprezzato la famiglia e l’ha elevata a Sacramento, e questo vuol dire che l’amore fra l’uomo e la donna è integrato nell’amore di Dio. Per questo è un Sacramento. Oggi dobbiamo di nuovo rafforzare questa realtà in un periodo in cui c’è una crisi della famiglia nelle attuali condizioni di crisi economica e delle condizioni di lavoro, e dobbiamo dare il nostro aiuto perché la grande maggioranza dei giovani vuole una famiglia, vuole un rapporto stabile, per tutta la vita. La felicità degli uomini dipende anche dalla vita familiare.
D. – Lei propone un approccio più tollerante verso le famiglie in difficoltà, senza negare la natura indissolubile del Sacramento del matrimonio: che cosa propone, esattamente?
R. – Io propongo una via al di là del rigorismo e del lassismo: è ovvio che la Chiesa non si può adottare soltanto allo “statu quo”, ma non di meno dobbiamo trovare una via di mezzo che era la via della morale tradizionale della Chiesa. Ricordo soprattutto Sant’Alfonso de’ Liguori, che voleva questa via tra i due estremi, e questa è quella che dobbiamo trovare anche oggi; è anche la via di San Tommaso d’Aquino nella sua “Summa Theologica”: quindi, mi trovo in buona compagnia, con la mia proposta. Non è contro la morale, non è contro la dottrina ma piuttosto a favore di un’applicazione realistica della dottrina alla situazione attuale della grande maggioranza degli uomini, e per contribuire alla felicità delle persone.
D. – Lei parla dell’abisso tra la dottrina attuale della Chiesa e la pratica di tanti cattolici. Alcuni danno la colpa a gruppi che promuovono una politica aggressiva contro il concetto tradizionale di famiglia …
R. – E’ ovvio che ci sono persone e gruppi che hanno un interesse politico contro la famiglia: questo è chiaro. Ma la Chiesa è sempre stata contestata, in tutta la sua storia. Ma non ci sono soltanto questi interessi ideologici e politici: ci sono anche problemi economici, problemi che riguardano le condizioni lavorative e che oggi sono molto gravi. Le condizioni di vita nella società sono cambiate molto e molti hanno difficoltà a realizzare il proprio progetto di felicità. La maggioranza dei giovani, però, vuole un rapporto stabile, una famiglia stabile, ma non ci riesce; e la Chiesa, a sua volta, deve aiutare le persone che si trovano in difficoltà.
D. – Lei fa il paragone con il modo in cui il Concilio Vaticano II ha portato una vera rivoluzione nei rapporti ecumenici e interreligiosi, senza negare il Magistero della Chiesa. Lei, quindi, è ottimista per il fatto che il Sinodo sulla famiglia porterà lo stesso tipo di rivoluzione?
R. – Io non parlerei di una rivoluzione, quanto piuttosto di un approfondimento e di uno sviluppo, perché la dottrina della Chiesa è un fiume che si sviluppa e così anche la dottrina sul matrimonio si è sviluppata. Così penso che questo attuale sia un passo simile a quello del Concilio, dove c’erano posizioni della Curia Romana contro l’ecumenismo e contro la libertà religiosa; il Concilio ha conservato la dottrina vincolante – e anche qui, io voglio conservare la dottrina vincolante – ma ha trovato una via per superare quelle questioni e ha trovato una via d’uscita. Ed è quella che anche noi dobbiamo trovare, oggi. E così, non si tratta di una novità, quanto di un rinnovamento della prassi della Chiesa, che è sempre necessario e possibile.
D. – La sua relazione ai cardinali dovere rimanere riservata e invece è uscita sulla stampa. E ha riacceso un dibattito …
R. – Ma sì, è necessario avere un dibattito, e in realtà lo aspettavo e l’avevo detto anche al Papa: all’inizio, ci sarà un dibattito. E il Papa ha detto: “Va bene. Vogliamo un dibattito. Non vogliamo una Chiesa che dorme, vogliamo una Chiesa vivace”. Questo è normale. Ma non era un documento segreto: un testo che è nelle mani di 150 persone non può essere segreto, sarebbe molto irrealistico e utopico. Quindi, io ho pensato di pubblicare il testo e mi è stato detto che ero libero di pubblicarlo. Ma quello che ha fatto un quotidiano italiano, cioè pubblicarlo senza autorizzazione, è contro la legge. Secondo me, in questo modo hanno sabotato la volontà del Papa. Loro vogliono chiudere la discussione, mentre il Papa vuole una discussione aperta nel Sinodo. Poi, dipenderà dal Sinodo e dal Papa, il risultato. Io ho fatto una proposta, come mi ha richiesto di fare il Papa, e si vedrà come procederà la discussione, nei prossimi due anni.
Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/03/10/sinodo_sulla_famiglia:_il_card._kasper_spiega_le_sue_proposte/it1-780174
del sito Radio Vaticana
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Unico commento “a caldo”, resta nebuloso il “come”… anzi alla domanda “…cosa propone esattamente?” c’è sostanzialmente una dichiarazione d’intenti.
Ma il “come” sarà certo un nodo il cui eventuale sciogliersi, sarà certo affidato ad una meditazione e proposta collegiale (presumo).
Bariom, la proposta-Kasper, come ho cercato di argomentare nei commenti di questi giorni, è destinata a restare nebulosa perché se fosse un po’ più nitidamente formulata sarebbe palese a tutti che si tratterebbe di avallare un impossibile, improponibile “divorzio cattolico”, cioè di riconoscere la soluzione dell’in-solubile vincolo matrimoniale sacramentale (contraddizione flagrante e insanabile): altro che “io voglio conservare la dottrina vincolante”!
Comunque Kasper ha detto quello che pensa, e ha ragione quando dice che (piaccia o non piaccia) il suo l’ha fatto, e che adesso la “palla” passa ad altri: “il risultato dipenderà dal Sinodo e dal Papa”. Cioè in definitiva dal Papa, perché i padri sinodali possono proporre ma è il Papa che decide.
@Alessandro… “ma è il Papa che decide.” ( e grazie a Dio!! 😉 )
E (piaccia o non piaccia) dicendo quello che pensa, ha suscitato un bel dibattito – putroppo anche tante polemiche (speriamo non sterili). Dibattito che comunque ha e ha avuto il pregio di portare alla ribalta una questione, che come qualcuno a scritto altrove, forse non è la questione n. 1 per la situazione attuale del mondo e della Chiesa, ma porta ad interrogarsi e meditare pareri degni di nota, su principi fondanti e fondamentali non solo del Sacramento del Matrimonio, ma per certi aspetti, della Fede stessa.
Ester Maria Ledda su facebook: “Qualcuno dica a Kasper che non ci si fa preti per far vivere felici e contenti i peccatori in questa vita, ma per salvare le loro anime in vista dell’altra vita”.
Interessante e illuminante testimonianza in tema, riportata su la Nuova B oggi:
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-io-figlio-di-divorziati-risposati-diconegare-la-comunione-e-vera-misericordia-8647.htm
Questa testimonianza mi riporta lla mente un “famoso” colloquio di Gesù:
“Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?». Rispose Gesù: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le disse: «Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui». Rispose la donna: «Non ho marito». Le disse Gesù: «Hai detto bene “non ho marito”; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».” (Gv 4, 10-18)
nel quale non si può non notare anche quale è il primo approccio di Gesù con la Samaritana (si può risalire anche ai versetti precedenti). Approccio con cui Egli è capace di suscitare in lei il desiderio di quell’ “acqua viva” (Cristo stesso) che le aprirà il cuore al riconoscere il suo stato di peccato senza difendersi, a riconoscere Gesù come profeta “Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta…” sino a fare di lei una portatrice dell’annuncio “La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?». Uscirono allora dalla città e andavano da lui.”
Bariom, te lo giuro: non ti capisco.
Dunque sei d’accordo con me sul fatto che verso i divorziati risposati che chiedono di essere riammessi alla comunione uucaristica, la risposta misericordiosa della chiesa deve essere quella di negar loro la comunione e proporre, invece, una seria riflessione sui grossi errori che hanno fatto, in vista di un auspicabile ripensamento e di rinuncia al peccato.
Se sei d’accordo su questo, non capisco il tuo continuo polemizzare con me.
@Giancarlo, premesso che il problema non è essere d’accordo o meno con te, e acclarato il fatto che io NON HO MAI detto o scritto da nessuna parte che sia lecito e tanto meno misericordioso concedere la Comunione e divorziati risposati che non modifichino nei fatti il loro vivere in adulterio (salvo fraintendimenti di chi legge o del mio scrivere).
La mia polemica con te nasce per altro motivo, ma siccome sin qui da parte tua non è chiaro il cuore della polemica, non ho intenzione di tornarvi dato che mi sono convinto che a nulla porterebbe se non ad accredini, ulteriori incomprensioni e a scese in campo di terzi o quarti (come è già accaduto…) che prendono posizioni che sembrano pro o contro l’uno o l’altro, quasi a livello personale, cosa che io né desidero, né auspico.
Mi permetto però di farti notare, che altri oltre me hanno provato a farti notare alcune cose, che probabilmente hanno più a che fare con la forma e gli atteggiamenti che traspaiono nei commenti qui, che non forse alla sostanza.
Ma, ma… in un contesto come questo – che non è il “vis a vis”, dove la comunicazione che può anche essere dei toni, degli sguardi, della postura, ecc. – la forma, le parole e i toni anche se “virtuali”, rischiano di divenire anche contenuto (o di apparire tale) e non si può non tenere in considerazione questo fatto.
Sono anche profondamente convinto che dovessimo mai incontrarci di persona, potremmo trovare un modo di comunicare che ci porterebbe ad una migliore comunicazione oltre che spero di Comunione, con reciproco vantaggio (siamo anche pressoché coetanei), ma mi devo arrendere all’evidenza che questo non è posssibile qui e ora… forse per come scrivo io, forse per come scrivi tu, forse per come ti leggo io, forse per come mi leggi tu e questo rende impraticabile un scambio che è e deve anche essere – quando necessario – di reciproca correzione (e sottolineo reciproca perché non mi chiamo certo fuori dall’esserne oggetto). 😉
Se ti riferisci a me io non parlo mai a nuora perchè suocera intenda: se dico qualcosa a te la dico a te, se a Giancarlo a Giancarlo. .
L’intervistatissimo cardinale Kasper oggi su Repubblica:
http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201403/140311kasperrodari.pdf
secondo Kasper, sui divorziati risposati “la dottrina non può essere cambiata. Tuttavia… occorre anche distinguere bene fra ciò che è dottrina e ciò che invece è disciplina”.
Insomma, ad avviso di Kasper l’esclusione dei divorziati risposati dalla comunione eucaristica si può revocare mutando la disciplina senza cambiare la dottrina.
E invece sta proprio qui l’errore di Kasper: l’ammissione dei divorziati risposati ai Sacramenti è per l’appunto vietata dalla dottrina, in forza di contenuti immutabili della stessa (in sintesi: il matrimonio sacramentale stabilisce tra gli sposi un vincolo indissolubile, chi attenta a questa indissolubilità – contraendo seconde nozze civili – commette peccato grave, e pertanto finché persevera nell’attentare all’indissolubilità del vincolo sacramentale non può ricevere l’assoluzione sacramentale né la comunione eucaristica, pena porre i Sacramenti in conflitto tra di loro).
Sicché non è in potere della Chiesa di ammettere alla comunione eucaristica il divorziato risposato che non desista dall’attentare all’indissolubilità del vincolo, cioè che non si astenga dal compiere atti coniugali con chi davanti a Dio suo coniuge non è.
Non gli sembra vero a Repubblica and company di aver trovato un soggetto simile……
Scusa Giusi, ma è possibile fare un commento senza pensare (o che tu debba pensare) che “di riffa o di raffa”, debba coinvolgerti?
Così, tanto per dire…
Poi anche fosse, ho cercato di dipingere un situazione oggettiva, non c’era accenno di critica verso chi abbia poi (scelta sua) deciso di coinvolgersi senza fosse stato chiamato in causa.
Per cui in tutta franchezza mi domando: tendenza all’onnipresenza o “coda di paglia”? 😉
Poichè a questionare siamo stati io e te volevo solo mettere i puntini sugli i riguardo un comportamento che non mi appartiene. Perchè invece di mandare messaggi criptici non ti rivolgi ai diretti interessati? Così non si creano equivoci. Parli con me e poi dici che non ti riferivi a me (ieri) parli di discese in campo di terzi o quarti e poi definisci questa uscita situazioni oggettive, permetti che non ci capisca niente? Posso invitarti ad essere più chiaro e diretto senza che ti debba sembrare un delitto di lesa maestà? Non c’è nessuna polemica e non ce l’ho per niente con te, semplicemente mi piace la chiarezza.
Resta il fatto Giusi che qui stavo parlando con Giancarlo, diciamo tra me e lui (non ho altro mezzo – non è che gli possa telefonare), cercando di chiudere una spiacevole querelle.
L’accenno a terzi o quarti, riguardava dinamiche che ingenerano altri spiacevoli malintesi, tra i primi, i secondi, i terzi e i quarti. Nel fare questo accenno NON avevo nessuno di particolare in mente o comunque non mi interessava fare riferimento esplicito a nessuno. Il fatto che tu sia eventualmente tra i terzi o i quarti non deve meravigliare (sei come il prezzemolo – come spesso lo sono io), quindi e poi ti prego facciamo basta (che mi sembra di essere all’asilo…), tutto qui.
Non è questione né di chiarezza, né di “lesa maestà”.
E la fila dietro Nicodemo aumenta…
LIRReverendo
LIRREverè spiegami bene ‘sto fatto di Nicodemo!
L’andare di notte (per timore) da Gesù, sentirsi fare una domanda e non capirla. Dobbiamo rinascere dallo Spirito.
LIRReverendo sempre di giorno
Penso di aver capito….. Grazie
Carissima
io cerco di combattere uno dei grandi mali del nostro presente. Tutti parlano, ma nessuno ascolta. Non per mancanza di intelletto, neppure per cattiva fede, ma per la grande solitudine, che i mezzi tecnologici, tv primis, hanno inoculato nelle relazioni. Quaresima, silenzio, ascolto, pensiero, coscienza, scelte….e il mondo potrà cambiare. Lo scontro ideologico e vicino, e se non ci uniamo molti saranno spazzati via, sia dall’apostasia, che dalla paura, e non solo.
Meno fiorettamenti e più conoscenza per essere persone, che scelgono. Arriverà il Sinodo sulla famiglia, saremo spettatori e non ci sarà alcun rimando pastorale e comunitario, come tutti i grandi “Sinodi” del passato. Io tendo la mano per aprire il cuore, la mente, la vita per essere dono, unione, cambiamento, ma le resistenza è sempre la stessa: la fiducia. Ti sei mai chiesta cosa significa il mio nickname? Cosa rappresenta? E il tempo passa e questa sera pregherò per voi davanti al Santissimo, con i miei peccati, offerti. Che fanno male, ma la sofferenza redime. L’Uomo dei dolori, il Cristo, ci guarda e ci ama, e le sue sante Piaghe sanguinano, in attesa della Pasqua.
Sempre per te LIRReverendo
Beato te che “stai sempre di giorno”… 😉
Fino al Venerdì santo, poi i riflettori si spegneranno, e una luce mai vissuta, mi risveglierà per sempre.
Sempre anche per te LIRReverendo
Fino al Venerdì Santo… molto bella e molto vera, ma la “notte della fede” dovremo pure metterla in conto nei giorni che il Venerdì Santo precederanno.
Confido allora (anch’io) nelle tue preghiere 😉
Sei un sacerdote? Non potresti parlare un pochino più chiaro? Io sono duro di comprendonio.
Se sei duro è per scelta o opportunità, chi cerca trova, chi s’impegna comprende.
LIRReverendo
Vabbè, allora Giusi, mi pui spiegare quello che hai capito tu?
Pare anche a me che sia un sacerdote, un reverendo irriverente non certo nei confronti di Dio ma nei confronti del mondo, del politicamente corretto se vogliamo che porta a dare un colpo al cerchio e uno alla botte, a non esporsi perchè bisogna accontentare tutti, ad usare quel concetto di misericordia peloso che non è quello di Gesù (basta leggere il Vangelo di oggi). Nicodemo va di notte da Gesù perchè aveva una funzione pubblica, era un Capo dei Giudei non voleva esporsi. Siamo tutti un po’ Nicodemo, è una bella riflessione quella che ci propone Lirreverebndo: usiamola. Mario Palmaro non era Nicodemo, si è esposto, ha pagato, però il Papa stesso gli ha detto che accettava le sue critiche perchè fatte con amore. Sono convinta che le persone come Maro amano la Chiesa e il Papa più di tanti che si levano in continui Osanna. Linko un bellissimo articolo su di lui di De Mattei dove secondo me si capisce meglio anche quello che vuole dire Lirreverendo. Lirreverendo anch’io stasera, come ogni mercoledì, vado ad una messa con Adoraziome, pregherò in comunione spirituale con te ( scusa nella vita non dò mai del tu ad un sacerdote te lo dò in qanto partecipante al blog). Faccio dire anche una messa per Mario Palmaro ore 21 se qualcuno vuole unirsi in comunione di preghiera.
http://www.corrispondenzaromana.it/mario-palmaro-1968-2014-un-modello-di-vita-e-verita-cristiana/
Il cardinale Kasper tiene banco un po’ ovunque, pure sull’Osservatore Romano, che oggi gli dedica una pagina intera (la 5) con due suoi scritti inediti.
Dai quali si capisce oltre ogni dubbio che, secondo il porporato, se dal Sinodo non si uscisse con la decisione di riammettere alla comunione eucaristica almeno alcuni divorziati risposati sarebbe meglio che il Sinodo non si facesse proprio:
“Ma se ripetessimo soltanto le risposte che presumibilmente sono state già da sempre date, ciò porterebbe a una pessima delusione. Quali testimoni della speranza non possiamo lasciarci guidare da un’ermeneutica della paura.
Sono necessari coraggio e soprattutto franchezza (parrēsìa) biblica.
Se non lo vogliamo, piuttosto allora non dovremmo tenere alcun sinodo sul nostro tema, perché in tal caso la situazione successiva sarebbe peggiore della precedente.”
http://www.osservatoreromano.va/it
Visto che adesso la posizione di Kasper è stata ampiamente divulgata, mi domando se l’Osservatore Romano nei prossimi giorni darà spazio alle voci nettamente divergenti da quella di Kasper risuonate durante il Concistoro, e se – poiché il Papa vuole che su questi argomenti si discuta nella Chiesa – saranno ospitati interventi di segno opposto a quello del porporato tedesco, firmati da qualcuno dei numerosi autorevoli teologi che dissentono da Kasper (spero che non abbiano diritto di ribalta solo su Il Foglio…).
Tra i quali – forse è bene ricordarlo – c’è pure tale Joseph Ratzinger, Papa emerito.
Per ravvisare le notevolissime differenze tra la posizione di Ratzinger e quella di Kasper basta leggere qua:
http://www.ilfoglio.it/media/uploads/2011/VaticanoEsclusivo(1).pdf
http://www.osservatoreromano.va/it/news/la-pastorale-del-matrimonio-deve-fondarsi-sulla-ve
Ora se dovessimo stare letteralmente alla “franchezza Biblica”, penso ci sarebbe poco da aggiungere, anzi sarà bene ricordare che proprio per franchezza biblica su codesto tema e relative umane consuetudine, Qualcuno ci rimise anche la testa! 😉
I due inediti di Kasper (che sono le repliche del relatore nella discussione del concistoro del 20-21 febbraio) sono anche qui:
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350739
Adesso aspettiamo che l’Osservatore Romano pubblichi gli interventi fatti dai cardinali dopo la relazione-Kasper, perché non ha molto senso mettere in pagina le repliche del relatore e non gli interventi ai quali il relatore ha replicato (costringendo a indovinare il contenuto degli interventi dalle risposte che questi hanno ricevuto).
Per quanto riguarda l’inedito di Kasper, si fa ancora più fitta e (almeno per me) impenetrabile la nebbia che avvolgeva le proposte avanzate nella relazione:
“In breve: non c’è una soluzione generale per tutti i casi. Non si tratta “della” ammissione “dei” divorziati risposati. Occorre piuttosto prendere sul serio l’unicità di ogni singola persona e di ogni singola situazione e accuratamente distinguere e decidere, caso per caso. A tal riguardo il cammino della conversione e della penitenza, così variegato come l’ha conosciuto la Chiesa antica, non è il cammino della grande massa, ma il cammino di cristiani singoli che hanno preso realmente sul serio i sacramenti.”
Cioè? Concretamente?
O forse sono io che pongo domande sbagliate: è impossibile proporre qualsiasi soluzione che valga per più di una persona, perché – mi pare dica il porporato – ognuno è una persona irripetibile con una propria esperienza unica, non è catalogabile come “divorziato risposato” perché “divorziato risposato” è un concetto astratto, inevitabilmente universale, e perciò tradisce la incoercibile singolarità di ciascuna persona, quindi…
quindi… ognuno faccia quello che gli pare, secondo che gli detti la sua personale singolarissima unica coscienza? Veramente questo già accade: Introvigne ha documentato che un sostanziale fai-da-te sacramentale è già praticato da un gran numero di divorziati risposati, che pertanto mostrano di stare un pezzo avanti a Kasper 😉
Contro questa che a me sembra una palese ed esiziale deriva soggettivistica parlò Giovanni Paolo II nel 2002:
“Il matrimonio «è» indissolubile: questa proprietà esprime una dimensione del suo stesso essere OGGETTIVO, non è un mero fatto soggettivo. Di conseguenza, il bene dell’indissolubilità è il bene dello stesso matrimonio; e l’incomprensione dell’indole indissolubile costituisce l’incomprensione del matrimonio nella sua essenza. Ne consegue che il «peso» dell’indissolubilità ed i limiti che essa comporta per la libertà umana non sono altro che il rovescio, per così dire, della medaglia nei confronti del bene e delle potenzialità insite nell’istituto matrimoniale come tale. In questa prospettiva, non ha senso parlare di «imposizione» da parte della legge umana, poiché questa deve riflettere e tutelare la legge naturale e divina, che è sempre verità liberatrice (cfr Gv 8, 32).
Questa verità sull’indissolubilità del matrimonio, come tutto il messaggio cristiano, è destinata agli uomini e alle donne di OGNI TEMPO e LUOGO. Affinché ciò si realizzi, è necessario che tale verità sia testimoniata dalla Chiesa e, in particolare, dalle singole famiglie come “chiese domestiche”, nelle quali marito e moglie si riconoscono mutuamente vincolati per sempre, con un legame che esige un amore sempre rinnovato, generoso e pronto al sacrificio.
Non ci si può arrendere alla mentalità divorzistica: lo impedisce la fiducia nei doni naturali e soprannaturali di Dio all’uomo. L’attività pastorale deve sostenere e promuovere l’indissolubilità. Gli aspetti dottrinali vanno trasmessi, chiariti e difesi, ma ancor più importanti sono le azioni coerenti…
Talvolta, in questi anni, si è avversato il tradizionale «favor matrimonii», in nome di un «favor libertatis» o «favor personae». In questa dialettica è ovvio che il tema di fondo è quello dell’indissolubilità, ma l’antitesi è ancor più radicale in quanto concerne la stessa verità sul matrimonio, più o meno apertamente relativizzata.
Contro la verità di un vincolo coniugale NON è corretto invocare la libertà dei contraenti che, nell’assumerlo liberamente, si sono impegnati a rispettare le esigenze OGGETTIVE della realtà matrimoniale, la quale non può essere alterata dalla libertà umana. L’attività giudiziaria deve dunque ispirarsi ad un «favor indissolubilitatis», il quale ovviamente non significa pregiudizio contro le giuste dichiarazioni di nullità, ma la convinzione operativa sul bene in gioco nei processi, unitamente all’ottimismo sempre rinnovato che proviene dall’indole naturale del matrimonio e dal sostegno del Signore agli sposi.”
http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/speeches/2002/january/documents/hf_jp-ii_spe_20020128_roman-rota_it.html
Io non capisco come mai un cardinale che dica queste cose non venga ipso facto scomunicato.
E’ una giusta domanda… se posta nei giusti termini.
Come mai, uno che io scomunicherei ipso facto, la Chiesa non lo scomunica? Non avrà ragione la Chiesa?
Accetta Giusi questa provocazione Quaresimale… 🙂
Così come hai detto. E intanto viene accolto come un eroe in Vaticano il fondatore della Teologia della Liberazione…..
http://fratresinunum.com/2014/03/11/um-heroi-marxistoide-no-vaticano/
Mah…
Purtroppo non è sempre così. Ci sono preti, alcuni morti, altri ancora vivi, che meriterebbero di essere presi a calci nel culo e scaraventati fuori dalla chiesa, finchè non si pentono e tornano umilmente a chiedere perdono. Lasciamo perdere… preti comunisti che hanno avuto il coraggio di cantare “bella ciao” col pugno chiuso in chiesa al termine della messa, preti omosessuali che hanno violentato ragazzini, preti che hanno “celebrato matrimoni omosessuali”, preti ladri… lasciamo proprio perdere, sennò mi va il sangue al cervello e finisce che straparlo.
Che eri già partito bene… 😉
Però mi sorge sempre il dubbio di chi, come atto di giusta misericordia, dovrebbe materialmente “prendere a calci in culo e scaraventare fuori della chiesa detti sacerdoti…”
Sono certo che la lista dei candidati sarebbe lunga 😉
Nello stesso tempo mi chiedo: ma se Cristo che può scutare i nostri cuori, facesse – giustamente – così con noi?
E c’è chi obbietterebbe: noi chi?
Perdonami Giancarlo… lo so, ti provoco.
Prometto: “giurin giuretto” oggi faccio un fioretto (e non lo faccio più) 🙂
E intanto in Svizzera……..
http://www.ilfoglio.it/soloqui/22256
@giusi
già ma in svizzera c’è un motivo…
Chiesa Cattolica Patriottica Svizzera. Diagnosi agghiacciante di una autocefalia
http://www.papalepapale.com/develop/chiesa-cattolica-patriottica-svizzera/#!prettyPhoto/0/
Il dibattito innescato dalla relazione – resa pubblica a livello mondiale grazie ad un meritorio scoop del Foglio – del card. Kasper in apertura dell’ultimo concistoro, non sarebbe stato così intenso se la posta in gioco non fosse alta. Inutile girarci intorno: se passasse la proposta formulata dal cardinale sui divorziati risposati, difficilmente si potrebbe continuare a parlare di rinnovamento nella tradizione, che sarebbe in linea con il vero spirito del Vaticano II, configurandosi piuttosto un rinnovamento della tradizione, con tutto ciò che ne consegue. E con buona pace dello stesso cardinale che, in un’intervista a Repubblica, si è premurato di dire che la sua proposta “non è contro la morale né contro la dottrina ma piuttosto a favore di un’applicazione realistica della dottrina alla situazione attuale.”. Detto altrimenti: “La dottrina non può essere cambiata. Tuttavia, a parte il fatto che esiste uno sviluppo della dottrina…occorre anche distinguere bene fra ciò che è dottrina e ciò che invece è disciplina”. Non abbiamo dubbi che il card. Kasper sia mosso dalle migliori intenzioni, e che abbia sinceramente a cuore la felicità delle persone. Resta però il fatto che, in primis, l’impossibilità per i divorziati risposati di accedere alla comunione – ciò che per il cardinale parrebbe essere il l’aspetto disciplinare – è parte integrante dell’aspetto dottrinale, che solo i sofismi di certo argomentare teologico possono separare; in secundis, la soluzione proposta rischia di essere ben peggiore del male che vorrebbe curare. Per non parlare del fatto che si creerebbe un precedente pericoloso anche per altre tematiche sui cui da tempo si registrano spinte, dentro e fuori la chiesa, per una maggiore apertura (si pensi, tanto per fare un esempio, a questioncine come aborto, contraccezione, ecc. ecc.). C’è tuttavia una questione preliminare su cui vale la pena soffermarsi, per certi aspetti più importante dell’oggetto stesso del rapporto Kasper. La questione concerne il metodo, o se vogliamo l’approccio utilizzato dal teologo tedesco. Questione, ripetiamo, non da poco conto perché ogni idea, tesi o discorso che dir si voglia, è diretta conseguenza del modo in cui uno affronta le questioni. Ridotto all’osso, il metodo Kasper (per altro comune a tanta teologia contemporanea) è questo: le chiacchere stanno a zero, è con la realtà che dobbiamo fare i conti. E la realtà dice che “tra la dottrina della chiesa sul matrimonio e sulla famiglia e le convinzioni vissute da molti cristiani si è creato un abisso”. Punto e capo. Ergo, se questa è la situazione, anziché domandarci il perché e il percome si sia arrivati a questo punto (un esercizio intellettuale magari interessante che però ha un piccolo limite: in concreto non serve a nulla, e dunque inutile perdere tempo), dobbiamo riflettere, interrogarci, scrutare i segni dei tempi per capire come colmare l’abisso, cioè come parlare all’uomo contemporaneo che dei comandamenti di santa romana chiesa sembra non sapere cosa farsene. Anche sulla scia di una ecclesiologia secondo la quale il cristiano, laico o ecclesiastico che sia, al pari di Cristo che, incarnandosi, è entrato nella realtà concreta degli uomini e con essa ha fatto i conti, è tenuto a sua volta a vivere nel mondo così come è e non come vorrebbe che fosse, l’approccio in questione si riassume nella semplice presa d’atto: le cose stanno così, inutile cincischiare se i tempi, il mondo e la società siano giusti o sbagliati. D’altra parte, cambierebbero forse le cose denunciando ogni due per tre che la situazione attuale – della famiglia e non solo – è figlia di un processo culturale, politico e sociale ben preciso, che è partito con l’Illuminismo e che nella seconda metà del secolo scorso, dal ’68 in poi, si è disvelato in tutta la sua pienezza e potenza mostrando le fattezze dell’Anticristo, magistralmente affrescato, e in epoca non sospetta, da gente come R.H. Benson e V.Solovev? Nossignore, non cambierebbe nulla, e anzi forse sarebbe peggio. E allora: cui prodest? Marito e moglie divorziano e si risposano? I fidanzati convivono e fanno sesso prima del matrimonio? La gente non va a messa? I giovani seguono la morale cattolica con lo stesso entusiasmo di un vegetariano di fronte ad una tagliata? I preti si spretano? I seminari sono sempre più vuoti? E la pillola? Non vorrai mica restare incinta? Signori, oggi il mondo è cambiato. Ed è con questo mondo che ci dobbiamo sporcare le mani. E se il problema, alla fine della fiera, è che la fede e la morale cattolica, in tutte le sue declinazioni, viene percepita dall’uomo di oggi come troppo pesante, il problema cari miei non è dell’uomo che ha perso la fede, o magari ha peccato di brutto, no; il problema è solo nostro, di noi chiesa; e allora rimbocchiamoci le maniche e vediamo di trovare il modo per renderla un po’ meno pesante, sta morale. D’altra parte, Cristo non è forse venuto a manifestare al mondo il volto misericordioso di Dio?
E’ chiaro che con questo assunto metodologico, che fa tutt’uno con un’ermeneutica del fatto cristiano all’insegna del primato della carità sulla verità, le conseguenze non potevano, non possono che essere quelle prospettate dal card. Kasper, che a mio avviso è andato ben oltre quanto gli aveva chiesto Papa Francesco. Oltretutto riproponendo tal quale, come ha giustamente osservato Juan Josè Perez Soba, uno dei teologi più apprezzati da Giovanni Paolo II (non esattamente uno sprovveduto), la stessa posizione che sul tema dei divorziati risposati Kasper aveva formulato in un libro del 1978 (questo tanto per dire che il problema di cui si sta parlando non nasce certo ora, eppure pare curiosamente essere diventato “il” problema della chiesa), addirittura prima della Familiaris Consortio che è dell’83, e rigettata a suo tempo e in modo netto dalla Congregazione per la dottrina della fede guidata da un tale che si chiamava Joseph Ratzinger.
Volendo riassumere, il card. Kasper propone due soluzioni per altrettanti casi. Il primo caso riguarda quei divorziati risposati i quali ritengono, in coscienza, che il loro primo matrimonio non sia mai stato valido. Come tutti sanno, essendo il matrimonio un atto pubblico, per giudicare se esso sia valido o meno ci sono i tribunali ecclesiastici, tra cui il più noto la Rota romana. Ora Kasper dice: ok, però i tribunali mica li ha istituiti Nostro Signore, sono frutto di uno sviluppo storico; e poi, davvero “è possibile che si decida del bene e del male delle persone…solo sulla base di atti, vale a dire di carte, senza conoscere la persona e la sua situazione?” Maddai..Ecco allora che, sempre nell’ottica di privilegiare un approccio più pastorale e di mostrare il volto misericordioso di Dio, forse si potrebbe pensare di affidare tale valutazione, anziché ad un tribunale, ad un sacerdote esperto incaricato dal Vescovo. Chiaro no? Tu lasci tua moglie (o tuo marito, non fa differenza), divorzi e ti risposi. La comunione non puoi farla, però vorresti (vorresti? massì). Che fare? Semplice, vai dal prete che ti dice il Vescovo, e gli racconti la tua storia, che tu ti sei sposato in chiesa ma in realtà sei sempre stato poco o per nulla praticante, che le promesse di fedeltà ecc. vabbè, si sa come vanno ‘ste cose, e poi l’emozione del momento che ti fa sembrare di essere da un’altra parte..insomma, racconta che ti racconta il prete alla fine ti dà ragione. E il gioco è fatto. Libero come un fringuello. Poi fa niente se in chiesa continui a non andarci e dopo tre anni divorzi pure dalla seconda moglie. L’importante è che posso fare la comunione!!
Il secondo caso riguarda invece quei coniugi il cui matrimonio è invece valido, e che tuttavia hanno divorziato e si sono risposati (o tutti e due o uno solo). Anche per loro vi è l’impossibilità di accedere alla comunione. Qui Kasper, appellandosi ad una non meglio precisata prassi della chiesa antica, propone per questa situazione una soluzione in linea con quella che lui chiama la “pastorale della tolleranza, della clemenza e dell’indulgenza”, ovvero: accesso alla comunione previo un percorso di penitenza. Va da sé che questa proposta è, se possibile, assai più problematica della prima. E’ vero che Kasper, quasi a prevenire l’obiezione, dice subito dopo che “questa possibile via non sarebbe una soluzione generale…bensì lo stretto cammino della parte probabilmente più piccola dei divorziati risposati, sinceramente interessati ai sacramenti”. Sappiamo tutti però come vanno queste cose. Un fiocco di neve che ruzzola diventa facilmente una valanga. Ma poi, al di là degli aspetti per così dire statistici, qui il punto vero è che la proposta di Kasper implica di fatto l’accettazione del divorzio. Hai voglia a dire che la dottrina è salva, che il matrimonio continua ad essere indissolubile per cui se divorzi non ti puoi risposare pena il cadere nel peccato di adulterio, e che si tratta solo di una rivisitazione della disciplina. Ma scusate, se mi viene data la possibilità di fare un percorso penitenziale, e se al termine di questo percorso, appurato un mio sincero pentimento, posso fare di nuovo la comunione restando nel mio stato, ovvero essendo di nuovo sposato, questo non è ammettere il divorzio?? Non lo sarà de iure canonico, ma lo è di fatto, e tanto basta. Che si tratti di una soluzione “debole”, nel senso cioè che vorrebbe riconquistare l’uomo abbassando il vangelo alla sua misura, anziché elevare l’uomo al vangelo, è dimostrato oltretutto dalla dinamica stessa del processo. Logica vuole, infatti, che se uno si pente di un peccato commesso, e fa un’opportuna penitenza, poi quella persona cerca di ristabilire l’ordine delle cose infranto dal suo peccato. Voglio dire nella dinamica del perdono c’è sempre un ritorno, a Dio innanzitutto, ma anche al prossimo. Allo stesso modo, se dopo un percorso penitenziale sono seriamente pentito del mio divorzio, ma voi pensate che resterei con la mia nuova compagna così a cuor leggero? O non tornerei di corsa da mia moglie, chiedendole perdono e provando in tutti modi a ricostruire un rapporto? Certo, non è detto che la cosa vada a buon fine, ma almeno ci proverei. Ed è altrettanto vero che in questo modo ci andrebbe di mezzo una terza persona (e forse anche una quarta, se lo stesso percorso vien fatto dall’altro coniuge), che ovviamente soffrirebbe. Ma questo sarebbe indubbiamente il male minore rispetto alla possibilità che si ricostituisca l’originaria unione. E in ogni caso, la sofferenza della seconda moglie (o marito), sarebbe lo scotto da accettare come ulteriore penitenza. Perché è vero che i peccati si perdonano, ma le conseguenze restano. Nulla di tutto ciò, invece, nella proposta di Kasper. Il quale, preso atto che il primo matrimonio è finito, è disposto ad ammettere alla comunione l’uomo o la donna divorziati e risposati a patto che si pentano e facciano penitenza. Una proposta che, oltretutto, sembra non tenere conto del fatto che il pentimento e il perdono possono davvero fare nuove tutte le cose, e allora perché ciò non dovrebbe accadere anche per il primo matrimonio? Dio non è forse il Dio dell’impossibile?
Se davvero la chiesa vuole provare a colmare l’abisso che separa le convinzioni di molti uomini e donne del nostro tempo dalla dottrina su matrimonio e famiglia, non sarà certo con le soluzioni alla Kasper che si andrà lontano. La strada non può che essere quella di andare al cuore del problema. E il cuore del problema è la crisi di fede in atto nella società ormai da quasi mezzo secolo. Problema di cui, per altro, lo stesso Kasper pare essere consapevole, quando si chiede: “com’è la fede dei futuri sposi e dei coniugi?…Molte persone sono battezzate ma non evangelizzate. Detto in termini paradossali, sono catecumeni battezzati, se non addirittura pagani battezzati”. Ma se così stanno le cose, logica vorrebbe che la chiesa facesse ogni sforzo possibile per riaccendere la fiamma della fede nel cuore degli uomini, senza cercare soluzioni pastorali che all’insegna di una visione parziale della misericordia, confondono ciò che è il bene per i divorziati risposati con quello che l’opinione prevalente pensa o chiede sull’argomento. La tentazione di Aronne – dare al popolo ciò che il popolo chiede – è sempre alle porte; per questo in ogni generazione c’è bisogno di un Mosè che abbia il coraggio di dare al popolo ciò che Dio vuole. Le cause che possono portare al divorzio sono tante, lo sappiamo. Ma ce n’è una che prevale su tutte: l’incapacità di accettarsi e di volersi bene per quello che si è. E questo solo la fede lo può dare. Se non c’è la fede, e la capacità di perdonare che da essa discende e che ti fa ricominciare ogni volta come fosse il primo giorno, tutto diventa un fatto solo umano. E’ dalla fede che bisogna ripartire. Lo aveva messo a fuoco con lungimiranza profetica il beato (e prossimo santo) Giovanni Paolo II quando a metà degli anni’80, trent’anni fa, lanciò la nuova evangelizzazione, di cui oggi più che mai se ne sente il bisogno. In primis, dentro la chiesa. Dove è quanto mai necessario che torni a risuonare con forza il kerygma, l’annuncio della Buona Notizia – perché la fede, dice S. Paolo, viene dalla stoltezza della predicazione – il fatto sconvolgente e inaudito che un uomo, proprio quel Gesù di Nazareth torturato e morto in croce come un malfattore, da morto che era è tornato in vita, per sempre. E che quindi la morte, per la paura della quale l’uomo è schiavo del peccato, è stata sconfitta una volta per tutte, e che si può sperimentare già fin d’ora la vita eterna. E forse non è un caso se proprio negli anni del Concilio sorgevano nuove comunità e movimenti, vere e proprie “chiese domestiche”, per dirla ancora con Kasper che nella sua relazione si è soffermato a lungo sulla metafora della famiglia come “chiesa domestica”, grazie ai quali molti uomini e donne hanno potuto sperimentare, toccare con mano a livello esistenziale la Buona Notizia e riscoprire la fede che avevano perduto, e dove altrettanti hanno incontrato Cristo per la prima volta. Quanti matrimoni ricostruiti, quante coppie salvate sull’orlo del divorzio o della separazione, quante famiglie aperte di nuovo alla vita! Esperienze serie di fede, dove le coppie, siano esse già formate o in procinto di farlo, ricevono un sostentamento spirituale costante – grazie all’ascolto della Parola, ai sacramenti, alla vita comune – che le accompagna tutta la vita. Nuove comunità e movimenti che, tra parentesi, sono stati in passato e sono tutt’ora oggetto di critiche proprio da chi meno te l’aspetti. Al punto che il refrain che spesso si sente – proveniente da quegli ambiti ecclesiali che non hanno mai digerito l’ecclesiologia del Vaticano II che ha parlato ella chiesa come “popolo di Dio” e “corpo” di Cristo – è il seguente: sì d’accordo, i laici hanno puntellato e sostenuto la chiesa nel post-concilio, quando c’è stato lo sbandamento, ma ora il loro compito si è esaurito, ed è tempo che i preti si riapproprino del loro ruolo e riprendano in mano il timone della barca. Come se fosse tutta e soltanto, una questione di potere. Ma questa, come si dice, è un’altra storia.
In conclusione, per affrontare la questione dei divorziati risposati, e in generale il tema della famiglia, la chiesa ha già dove attingere, non c’è bisogno di inventarsi nulla né tanto meno di un Vaticano III. E’ vero, i tempi sono cambiati, e la chiesa deve stare al passo con i tempi. A patto però che questo non significhi adeguarsi allo spirito del tempo, né alle mode o alle tendenze del momento. Per un motivo molto semplice: perché anche se i tempi cambiano, il cuore dell’uomo resta lo stesso, ed è da esso che tutto nasce, come disse a chiare note tal Gesù di Nazareth: “Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo” (Mc 7,21-23). E dunque, è da lì che sempre bisogna ripartire, avendo ben presente che la missione della chiesa è quella di contribuire alla salvezza del mondo, non di farsi ben volere dal mondo.
Grazie Luca.
Grande Luca. Complimenti.
eeeee
A proposito di divorziati risposati, chi per ventura avesse letto quanto scritto da me nei giorni scorsi sa che a mio avviso la relazione-Kasper non può che avventurare in un vicolo-cieco.
Trovo più stimolante, in vista del Sinodo, quanto scriveva il cardinal Ratzinger nell’articolo del 1998 più volte citato dai commentatori di questo blog:
“Ulteriori studi approfonditi esige invece la questione se cristiani non credenti — battezzati, che non hanno mai creduto o non credono più in Dio — veramente possano contrarre un matrimonio sacramentale. In altre parole: si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale. Di fatto anche il Codice indica che solo il contratto matrimoniale «valido» fra battezzati è allo stesso tempo sacramento (cfr. Codex iuris canonici , can. 1055, § 2).
All’essenza del sacramento appartiene la fede; resta da chiarire la questione giuridica circa quale evidenza di «non fede» abbia come conseguenza che un sacramento non si realizzi.”
Più tardi, Benedetto XVI ritornò pubblicamente sulla questione, durante un incontro con il clero della diocesi di Aosta, svoltosi il 25 luglio 2005:
“Particolarmente dolorosa è la situazione di quanti erano sposati in Chiesa, ma non erano veramente credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal Sacramento. Questa è realmente una sofferenza grande e quando sono stato prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ho invitato diverse Conferenze episcopali e specialisti a studiare questo problema: un sacramento celebrato senza fede.
Se realmente si possa trovare qui un momento di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e DEVE ESSERE ANCORA APPROFONDITO.”
Non conosco nel dettaglio lo svolgimento di quelle discussioni, ma suppongo che il problema si sia palesato “molto difficile” anche perché, come precisa “Familiaris consortio” al n. 68, il Pastore da un lato ha il dovere di “non ammettere alla celebrazione [del matrimonio] i nubendi che mostrano di rifiutare in modo esplicito e formale ciò che la Chiesa intende compiere quando si celebra il matrimonio dei battezzati” (“anche se a malincuore, [il pastore d’anime] ha il dovere di prendere atto della situazione e di far comprendere agli interessati che, stando così le cose, non è la Chiesa ma sono essi stessi ad impedire quella celebrazione che pure domandano”), dall’altro deve tener presente che “questi fidanzati, in forza del loro battesimo, sono realmente già inseriti nell’Alleanza sponsale di Cristo, con la Chiesa e che, per la loro retta intenzione, hanno accolto il progetto di Dio sul matrimonio e, quindi, almeno implicitamente, acconsentono a ciò che la Chiesa intende fare quando celebra il matrimonio.
Del resto, come ha insegnato il Concilio Vaticano II, i sacramenti con le parole e gli elementi rituali nutrono ed irrobustiscono la fede (cfr. «Sacrosantum Concilium», 59): quella fede verso cui i fidanzati già sono incamminati in forza della rettitudine della loro intenzione, che la grazia di Cristo non manca certo di favorire e di sostenere.
Voler stabilire ulteriori criteri di ammissione alla celebrazione ecclesiale del matrimonio, che dovrebbero riguardare il GRADO DI FEDE dei nubendi, comporta oltre tutto gravi rischi. Quello, anzitutto, di pronunciare giudizi infondati e discriminatori; il rischio, poi, di sollevare dubbi sulla validità di matrimoni già celebrati, con grave danno per le comunità cristiane, e di nuove ingiustificate inquietudini per la coscienza degli sposi; si cadrebbe nel pericolo di contestare o di mettere in dubbio la sacramentalità di molti matrimoni di fratelli separati dalla piena comunione con la Chiesa cattolica, contraddicendo così la tradizione ecclesiale.”
Inoltre: “La FEDE di chi domanda alla Chiesa di sposarsi può esistere in GRADI diversi ed è dovere primario dei pastori di farla riscoprire, di nutrirla e di renderla matura. Ma essi devono anche comprendere le ragioni che consigliano alla Chiesa di ammettere alla celebrazione anche chi è IMPERFETTAMENTE disposto.
Il sacramento del matrimonio ha questo di specifico fra tutti gli altri: di essere il sacramento di una realtà che già esiste nell’economia della creazione, di essere lo stesso patto coniugale istituito dal Creatore «al principio». La decisione dunque dell’uomo e della donna di sposarsi secondo questo progetto divino, la decisione cioè di impegnare nel loro irrevocabile consenso coniugale tutta la loro vita in un amore indissolubile ed in una fedeltà incondizionata, implica realmente, ANCHE SE NON IN MODO PIENAMENTE CONSAPEVOLE, un atteggiamento di profonda obbedienza alla volontà di Dio, che non può darsi senza la sua grazia. Essi sono già, pertanto, inseriti in un vero e proprio cammino di salvezza, che la celebrazione del sacramento e l’immediata preparazione alla medesima possono completare e portare a termine, data la RETTITUDINE della loro INTENZIONE.”
In sintesi: la Chiesa non può escludere dal matrimonio chi ne faccia richiesta e, pur essendo imperfettamente disposto e manifestando una fede non granitica (per usare un eufemismo), tuttavia, esaminato debitamente dal pastore a cui fa richiesta, gli palesi che la medesima è mossa da una intenzione tale da non configurare un rifiuto “esplicito e formale di ciò che la Chiesa intende compiere quando si celebra il matrimonio dei battezzati”, ovverossia da configurare una accettazione della coniugalità, se non nel suo valore soprannaturale, almeno nella sua intrinseca realtà naturale.
Tuttavia, la secolarizzazione dilagante e il non meno dilagante rifiuto della legge morale naturale rende sempre più probabile che un battezzato che faccia richiesta di matrimonio sacramentale, malgrado, interrogato dal pastore, non opponga “rifiuto esplicito e formale di ciò che la Chiesa intende compiere quando si celebra il matrimonio dei battezzati”, sia così inadeguatamente consapevole (non solo intellettualmente) del significato del matrimonio sacramentale e del significato naturale intrinseco della coniugalità che il mancato esplicito e formale rifiuto suddetto non basta a supporre ragionevolmente che il richiedente, per il solo fatto di esserlo, sia mosso da una intenzione tale da escludere che, sebbene non esplicitamente e formalmente, almeno implicitamente egli rifiuti “ciò che la Chiesa intende compiere quando si celebra il matrimonio dei battezzati”.
In altri termini: oggi non solo si fa più frequente la carenza di fede, ma si registra un contestuale ripudio della legge morale naturale, tanto da destare il legittimo sospetto che, se non sempre e di necessità, almeno sovente la carenza di fede porti con sé un oscuramento del significato naturale intrinseco dell’unione coniugale.
Va da sé che questa questione interpella sia la prudenza e la diligenza con cui il pastore esamina i richiedenti, sia, qualora la celebrazione sia già avvenuta, il tribunale ecclesiastico che sia chiamato a indagare sulla validità del matrimonio in questione.
Benedetto XVI è tornato sull’argomento rivolgendosi alla Rota il 26 gennaio 2013:
“Il patto indissolubile tra uomo e donna, non richiede, ai fini della sacramentalità, la fede personale dei nubendi; ciò che si richiede, come condizione minima necessaria, è l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.
Ma se è importante non confondere il problema dell’intenzione con quello della fede personale dei contraenti, non è tuttavia possibile separarli totalmente. Come faceva notare la Commissione Teologica Internazionale in un Documento del 1977, «nel caso in cui non si avverta alcuna traccia della fede in quanto tale (nel senso del termine “credenza”, disposizione a credere), né alcun desiderio della grazia e della salvezza, si pone il problema di sapere, in realtà, se l’intenzione generale e veramente sacramentale di cui abbiamo parlato, è presente o no, e se il matrimonio è contratto validamente o no» (La dottrina cattolica sul sacramento del matrimonio [1977], 2.3: Documenti 1969-2004, vol. 13, Bologna 2006, p. 145).
Il beato Giovanni Paolo II, rivolgendosi a codesto Tribunale, dieci anni fa, precisò, tuttavia, che «un atteggiamento dei nubendi che non tenga conto della dimensione soprannaturale nel matrimonio può renderlo nullo solo se ne intacca la validità sul piano naturale nel quale è posto lo stesso segno sacramentale» [Aggiungo: “L’importanza della sacramentalità del matrimonio, e la necessità della fede per conoscere e vivere pienamente tale dimensione, potrebbe anche dar luogo ad alcuni equivoci, sia in sede di ammissione alle nozze che di giudizio sulla loro validità. La Chiesa non rifiuta la celebrazione delle nozze a chi è “bene dispositus”, anche se imperfettamente preparato dal punto di vista soprannaturale, purché abbia la retta intenzione di sposarsi secondo la realtà naturale della coniugalità. Non si può infatti configurare, accanto al matrimonio naturale, un altro modello di matrimonio cristiano con specifici requisiti soprannaturali”].
Circa tale problematica, SOPRATTUTTO NEL CONTESTO ATTUALE, occorrerà PROMUOVERE ULTERIORI RIFLESSIONI…
Con le presenti considerazioni, NON intendo certamente suggerire alcun facile automatismo tra carenza di fede e invalidità dell’unione matrimoniale, ma piuttosto evidenziare come tale carenza POSSA, benché non necessariamente, ferire anche i beni del matrimonio, dal momento che il riferimento all’ordine naturale voluto da Dio è inerente al patto coniugale (cfr Gen 2,24).”
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2013/january/documents/hf_ben-xvi_spe_20130126_rota-romana_it.html
Insomma: visto che Benedetto XVI sostiene che, soprattutto dato il contesto attuale, la questione del nesso eventuale tra carenza/assenza di Fede e invalidità dell’unione matrimoniale merita di essere ulteriormente indagata e approfondita, mi permetto sommessamente di ritenere che il Sinodo potrebbe utilmente farsi promotore di questo approfondimento (non facile, a detta del Papa emerito stesso, e per quel poco che arrivo a capirne io).
Scusate la lunghezza, spero si sia capito qualcosa di ciò che intendevo dire 😉
Di nulla Giusi.
Stanislaw Grygiel è ordinario di Antropologia filosofica al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia di Roma presso l’Università Lateranense ed è stato allievo di Karol Wojtyla all’Università di Lublino.
Così critica la relazione di Kasper:
http://www.ilfoglio.it/soloqui/22251
Socci oggi fa bene il punto della situazione:
Antonio Socci pagina ufficiale
IL DRAMMATICO BIVIO DI BERGOGLIO. VOGLIONO SPINGERLO ALLA DEMOLIZIONE DELLA CHIESA, MA IO PENSO…
A un anno dall’elezione di Bergoglio a “vescovo di Roma” si resta perplessi nel vedere il giornale delle banche e della finanza – il “Corriere della sera” – che acclama il “papa dei poveri” il quale tuona contro “il Nord ricco” a cui “più volte in quest’anno ha gridato ‘vergogna’ mettendolo sotto accusa”.
Ci si sente presi per il naso. Che gioco stanno facendo? E che dire della “Stampa-Vatican Insider”? Il giornale torinese è il più affetto da quella “francescomania” che Bergoglio deplora.
Il quotidiano della Fiat è arrivato addirittura a suonare le fanfare per Gustavo Gutierrez che è stato “riabilitato” in Vaticano: Gutierrez è il padre di quella “Teologia della Liberazione” che mescolava cristianesimo e marxismo e che fu seppellita da Giovanni Paolo II e da Ratzinger.
Si sente puzza di bruciato se i giornali delle multinazionali osannano la Teologia della liberazione. Ma ancor più se il Vaticano la riabilita. E proprio nei giorni in cui Ratzinger – in un libro intervista su Giovanni Paolo II – spiega:
“La prima grande sfida che affrontammo (con Giovanni Paolo II) fu la Teologia della liberazione che si stava diffondendo in America latina. Sia in Europa che in America del Nord era opinione comune che si trattasse di un sostegno ai poveri e dunque di una causa che si doveva approvare senz’altro. Ma era un errore. La fede cristiana veniva usata come motore per questo movimento rivoluzionario, trasformandola così in una forza di tipo politico(…). A una simile falsificazione della fede cristiana bisognava opporsi anche proprio per amore dei poveri e a pro del servizio che va reso loro”.
Di recente un importante esponente della Tdl, Clodoveo Boff, ha dato ragione a Ratzinger per quello che (a nome di Wojtyla) fece trent’anni fa:
“egli ha difeso il progetto essenziale della teologia della liberazione: l’impegno per i poveri a causa della fede. Allo stesso tempo, ha criticato l’influenza marxista. La Chiesa non può avviare negoziati per quanto riguarda l’essenza della fede… Siamo legati ad una fede e se qualcuno professa una fede diversa si autoesclude dalla Chiesa”.
Invece “nel discorso egemonico della teologia della liberazione”, riconosce Clodoveo Boff, “ho avvertito che la fede in Cristo appariva solo in background. Il ‘cristianesimo anonimo’ di Karl Rahner era una grande scusa per trascurare Cristo, la preghiera, i sacramenti e la missione, concentrandosi sulla trasformazione delle strutture sociali”.
Oggi però il Vaticano riabilita quella Teologia della liberazione. E lo strappo rispetto a Wojtyla e Ratzinger riguarda anche altro.
ABOLIZIONE DEL PECCATO ?
Il 29 dicembre scorso il titolo dell’editoriale di Eugenio Scalfari, sulla Repubblica, diceva: “La rivoluzione di Francesco: ha abolito il peccato”.
In effetti questa, vagheggiata da Scalfari (e anche dai poteri mondani, da logge e lobby anticattoliche) sarebbe la più grande delle rivoluzioni perché significherebbe l’abolizione della Chiesa stessa: Gesù ha predicato e praticato il perdono dei peccatori, mentre l’abolizione del peccato è l’esatto opposto, è qualcosa che renderebbe inutile e perfino ridicolo il sacrificio della Croce.
Perciò quella del fondatore di “Repubblica” sembrò a tutti una boutade dovuta al suo proverbiale dilettantismo teologico. I media cattolici lo liquidarono sarcasticamente.
Invece oggi bisogna riconoscere che aveva in parte ragione. Non riguardo al Papa (che ancora non si è espresso), ma riguardo al cardinale Kasper, autore dell’esplosiva relazione al Concistoro (richiestagli dal Papa) su divorziati risposati e sacramenti.
Kasper rappresenta quella sinistra martiniana che vorrebbe fare come le chiese protestanti del Nord Europa: calare totalmente le brache davanti al mondo (infatti quelle chiese si sono suicidate e oggi sono pressoché inesistenti).
Per questo la relazione di Kasper sovverte completamente nella pratica ciò che Gesù (Mt 5, 32 e Mt 19, 9) e la Chiesa hanno sempre insegnato.
Con l’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati (che ribalta tutto il Magistero, specie quello di Giovanni Paolo II) di fatto si prospetta l’abolizione del peccato.
Che “ospedale da campo” è questo? Così noi poveri peccatori crepiamo. Come se il ministero della Salute decretasse che – invece di curare gli ammalati – tutti fossero dichiarati sani per legge.
Infatti la prospettiva sulla quale Kasper e compagni vogliono spingere la Chiesa implica l’inutilità del sacramento della confessione e la sua abolizione.
Perché mai ci si dovrebbe limitare ai divorziati risposati? Sarebbe una “legge ad personam”. I conviventi o i fidanzati che hanno rapporti sessuali, perché dovrebbero confessarsi per accedere all’eucarestia? E l’uomo o la donna sposati che hanno una relazione extramatrimoniale?
O KASPER O GESU’
Il “tana liberi tutti” riguarderebbe di fatto tutti i peccati. Tutti perdonati d’ufficio. Kasper infatti dice: “ogni peccato può essere assolto”. Ma omette di dire che occorrono pentimento e ravvedimento.
Al contrario di Kasper, Gesù affermò che “il peccato contro lo Spirito Santo non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna” (Mt 12, 31-32). Questo peccato imperdonabile riguarda proprio “la presunzione di salvarsi senza merito”, “l’ostinazione nel peccato” e “l’impenitenza finale”.
A ben vedere poi Kasper non si limita ad abolire il peccato (e la confessione): abolisce l’inferno stesso. Lo ha detto con una frase passata inosservata, ma che contraddice totalmente quanto Gesù e la Chiesa hanno sempre insegnato.
Il prelato dice: “non è immaginabile che un uomo possa cadere in un buco nero da cui Dio non possa più tirarlo fuori”. Falso. Questo “buco nero” c’è: è l’inferno in cui noi possiamo scegliere di andare. Dio – per rispetto della nostra libertà – non può salvarci contro la nostra volontà.
E’ molto pericoloso non credere all’inferno. Santa Faustina Kowalska – che di misericordia era molto più competente di Kasper – riferisce nel suo Diario che quando fu portata misticamente a vedere il regno di Satana scoprì che “la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l’inferno”.
I GESUITI
Storicamente furono i padri gesuiti ad essere accusati dal grande Pascal di aver abolito il peccato con la scusa di perdonare il peccatore. E nel nostro tempo sono tornate in auge quelle loro idee.
Lo ricordò l’allora cardinale Ratzinger in un celebre discorso del 1990:
“si può dire che l’odierna discussione morale tende a liberare gli uomini dalla colpa, facendo sì che non subentrino mai le condizioni della sua possibilità. Viene in mente la mordace frase di Pascal: ‘Ecce patres, qui tollunt peccata mundi’! Ecco i padri che tolgono i peccati del mondo. Secondo questi ‘moralisti’, non c’è semplicemente più alcuna colpa. Naturalmente, tuttavia, questa maniera di liberare il mondo dalla colpa è troppo a buon mercato. Dentro di loro, gli uomini così liberati sanno assai bene che tutto questo non è vero, che il peccato c’è, che essi stessi sono peccatori e che deve pur esserci una maniera effettiva di superare il peccato”.
In un libro precedente Ratzinger criticò quel “pensiero pelagiano secondo il quale basterebbe in fondo la buona volontà dell’uomo per salvarlo”.
Poi aggiunse:
“In questa luce non era in ogni senso in torto il rimprovero mosso dai Giansenisti ai Gesuiti di portare con le loro teorie il secolo all’incredulità”.
Ma ci sono anche le correnti sane della Compagnia di Gesù. Se infatti da una parte c’era il gesuita Rahner, dalla parte opposta c’era il grande gesuita De Lubac.
Francesco è davanti a un bivio: da una parte la demolizione della Chiesa a cui vogliono spingerlo poteri, logge e lobby mondane. Ma io penso (e spero) che lui sceglierà l’altra, quella del vero Concilio, di De Lubac, di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, una via gloriosamente ortodossa ed evangelica, che porta all’odio del mondo e a volte al martirio.
Antonio Socci
e intanto la conferenza episcopale tedesca elegge Marx-licet definirlo un Kasperiano?- : direi germania persa….
Menomale che Caffarra c’è!
Perorazione del cardinal Caffarra dopo il concistoro e il rapporto Kasper. Non toccate il matrimonio.
15 marzo 2014 alle ore 12.40
Bologna. Due settimane dopo il concistoro sulla famiglia, il cardinale arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra, affronta con il Foglio i temi all’ordine del giorno del Sinodo straordinario del prossimo ottobre e di quello ordinario del 2015: matrimonio, famiglia, dottrina dell’Humanae Vitae, penitenza.
La Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II è al centro di un fuoco incrociato. Da una parte si dice che è il fondamento del Vangelo della famiglia, dall’altra che è un testo superato. E’ pensabile un suo aggiornamento?
Se si parla del gender e del cosiddetto matrimonio omosessuale, è vero che al tempo della Familiaris Consortio non se ne parlava. Ma di tutti gli altri problemi, soprattutto dei divorziati risposati, se ne è parlato lungamente. Di questo sono un testimone diretto, perché ero uno dei consultori del Sinodo del 1980. Dire che la Familiaris Consortio è nata in un contesto storico completamente diverso da quello di oggi, non è vero. Fatta questa precisazione, dico che prima di tutto la Familiaris Consortio ci ha insegnato un metodo con cui si deve affrontare le questioni del matrimonio e della famiglia. Usando questo metodo è giunta a una dottrina che resta un punto di riferimento ineliminabile. Quale metodo? Quando a Gesù fu chiesto a quali condizioni era lecito il divorzio della liceità come tale non si discuteva a quel tempo , Gesù non entra nella problematica casuistica da cui nasceva la domanda, ma indica in quale direzione si doveva guardare per capire che cosa è il matrimonio e di conseguenza quale è la verità dell’indissolubilità matrimoniale. Era come se Gesù dicesse: Guardate che voi dovete uscire da questa logica casuistica e guardare in un’altra direzione, quella del Principio’. Cioè: dovete guardare là dove l’uomo e la donna vengono all’esistenza nella verità piena del loro essere uomo e donna chiamati a diventare una sola carne. In una catechesi, Giovanni Paolo II dice: Sorge allora cioè quando l’uomo è posto per la prima volta di fronte alla donna la persona umana nella dimensione del dono reciproco la cui espressione (che è l’espressione anche della sua esistenza come persona) è il corpo umano in tutta la verità originaria della sua mascolinità e femminilità’. Questo è il metodo della Familiaris Consortio.
Qual è il significato più profondo e attuale della Familiaris Consortio?
Per avere occhi capaci di guardare dentro la luce del Principio’, Familiaris Consortio afferma che la Chiesa ha un soprannaturale senso della fede, il quale non consiste solamente o necessariamente nel consenso dei fedeli. La Chiesa, seguendo Cristo, cerca la verità, che non sempre coincide con l’opinione della maggioranza. Ascolta la coscienza e non il potere. E in questo difende i poveri e i disprezzati.
La Chiesa può apprezzare anche la ricerca sociologica e statistica, quando si rivela utile per cogliere il contesto storico. Tale ricerca per sé sola, però, non è da ritenersi espressione del senso della fede’ (FC 5). Ho parlato di verità del matrimonio. Vorrei precisare che questa espressione non denota una norma ideale del matrimonio. Denota ciò che Dio con il suo atto creativo ha inscritto nella persona dell’uomo e della donna. Cristo dice che prima di considerare i casi, bisogna sapere di che cosa stiamo parlando. Non stiamo parlando di una norma che ammette o non eccezioni, di un ideale a cui tendere. Stiamo parlando di ciò che sono il matrimonio e la famiglia. Attraverso questo metodo la Familiaris Consortio, individua che cosa è il matrimonio e la famiglia e quale è il suo genoma uso l’espressione del sociologo Donati , che non è un genoma naturale, ma sociale e comunionale. E’ dentro questa prospettiva che l’Esortazione individua il senso più profondo della indissolubilità matrimoniale (cf FC 20). La Familiaris Consortio quindi ha rappresentato uno sviluppo dottrinale grandioso, reso possibile anche dal ciclo di catechesi di Giovanni Paolo II sull’amore umano. Nella prima di queste catechesi, il 3 settembre 1979, Giovanni Paolo II dice che intende accompagnare come da lontano i lavori preparatori del Sinodo che si sarebbe tenuto l’anno successivo. Non l’ha fatto affrontando direttamente temi dell’assise sinodale, ma dirigendo l’attenzione alle radici profonde. E’ come se avesse detto, Io Giovanni Paolo II voglio aiutare i padri sinodali. Come li aiuto? Portandoli alla radice delle questioni’. E’ da questo ritorno alle radici che nasce la grande dottrina sul matrimonio e la famiglia data alla Chiesa dalla Familiaris Consortio. E non ha ignorato i problemi concreti. Ha parlato anche del divorzio, delle libere convivenze, del problema dell’ammissione dei divorziati risposati all’eucaristia. L’immagine quindi di una Familiaris Consortio che appartiene al passato; che non ha più nulla da dire al presente, è caricaturale. Oppure è una considerazione fatta da persone che non l’hanno letta.
Molte conferenze episcopali hanno sottolineato che dalle risposte ai questionari in preparazione dei prossimi due Sinodi, emerge che la dottrina della Humanae Vitae crea ormai solo confusione. E’ così, o è stato un testo profetico?
Il 28 giugno 1978, poco più di un mese prima di morire, Paolo VI diceva: Della Humanae Vitae, ringrazierete Dio e me’. Dopo ormai quarantasei anni, vediamo sinteticamente cosa è accaduto all’istituto matrimoniale e ci renderemo conto di come è stato profetico quel documento. Negando la connessione inscindibile tra la sessualità coniugale e la procreazione, cioè negando l’insegnamento della Humanae Vitae, si è aperta la strada alla reciproca sconnessione fra la procreazione e la sessualità coniugale: from sex without babies to babies without sex.
Si è andata oscurandosi progressivamente la fondazione della procreazione umana sul terreno dell’amore coniugale, e si è gradualmente costruita l’ideologia che chiunque può avere un figlio. Il single uomo o donna, l’omosessuale, magari surrogando la maternità. Quindi coerentemente si è passati dall’idea del figlio atteso come un dono al figlio programmato come un diritto: si dice che esiste il diritto ad avere un figlio. Si pensi alla recente sentenza del tribunale di Milano che ha affermato il diritto alla genitorialità, come dire il diritto ad avere una persona. Questo è incredibile. Io ho il diritto ad avere delle cose, non le persone. Si è andati progressivamente costruendo un codice simbolico, sia etico sia giuridico, che relega ormai la famiglia e il matrimonio nella pura affettività privata, indifferente agli effetti sulla vita sociale. Non c’è dubbio che quando l’Humanae Vitae è stata pubblicata, l’antropologia che la sosteneva era molto fragile e non era assente un certo biologismo nell’argomentazione. Il magistero di Giovanni Paolo II ha avuto il grande merito di costruire un’antropologia adeguata a base dell’Humanae Vitae. La domanda che bisogna porsi non è se l’Humanae Vitae sia applicabile oggi e in che misura, o se invece è fonte di confusione. A mio giudizio, la vera domanda da fare è un’altra.
Quale?
L’Humanae Vitae dice la verità circa il bene insito nella relazione coniugale?
Dice la verità circa il bene che è presente nell’unione delle persone dei due coniugi nell’atto sessuale?
Infatti, l’essenza delle proposizioni normative della morale e del diritto si trova nella verità del bene che in esse è oggettivata. Se non ci si mette in questa prospettiva, si cade nella casuistica dei farisei. E non se ne esce più, perché ci si infila in un vicolo alla fine del quale si è costretti a scegliere tra la norma morale e la persona. Se si salva l’una, non si salva l’altra. La domanda del pastore è dunque la seguente: come posso guidare i coniugi a vivere il loro amore coniugale nella verità? Il problema non è di verificare se i coniugi si trovano in una situazione che li esime da una norma, ma, qual è il bene del rapporto coniugale. Qual è la sua verità intima. Mi stupisce che qualcuno dica che l’Humanae Vitae crea confusione. Che vuol dire? Ma conoscono la fondazione che dell’Humanae Vitae ha fatto Giovanni Paolo II? Aggiungo una considerazione. Mi meraviglia profondamente il fatto che, in questo dibattito, anche eminentissimi cardinali non tengano in conto le centotrentaquattro catechesi sull’amore umano. Mai nessun Papa aveva parlato tanto di questo. Quel Magistero è disatteso, come se non esistesse. Crea confusione? Ma chi afferma questo è al corrente di quanto si è fatto sul piano scientifico a base di una naturale regolazione dei concepimenti? E’ al corrente di innumerevoli coppie che nel mondo vivono con gioia la verità di Humanae Vitae?. Anche il cardinale Kasper sottolinea che ci sono grandi aspettative nella chiesa in vista del Sinodo e che si corre il rischio di una pessima delusione se quete fossero disattese. Un rischio concreto, a suo giudizio? Non sono un profeta né sono figlio di profeti. Accade un evento mirabile. Quando il pastore non predica opinioni sue o del mondo, ma il Vangelo del matrimonio, le sue parole colpiscono le orecchie degli uditori, ma nel loro cuore entra in azione lo Spirito Santo che lo apre alle parole del pastore. Mi domando poi delle attese di chi stiamo parlando. Una grande rete televisiva statunitense ha compiuto un’inchiesta su comunità cattoliche sparse in tutto il mondo. Essa fotografa una realtà molto diversa dalle risposte al questionario registrate in Germania, Svizzera e Austria. Un solo esempio. Il 75 per cento della maggior parte dei paesi africani è contrario all’ ammissione dei divorziati risposati all’ eucaristia. Ripeto ancora: di quali attese stiamo parlando? Di quelle dell’ occidente? E’ dunque l’ occidente il paradigma fondamentale in base al quale la Chiesa deve annunciare? Siamo ancora a questo punto? Andiamo ad ascoltare un po’ anche i poveri. Sono molto perplesso e pensoso quando si dice che o si va in una certa direzione altrimenti sarebbe stato meglio non fare il Sinodo. Quale direzione? La direzione che, si dice, hanno indicato le comunità mitteleuropee? E perché non la direzione indicata dalle comunità africane?”.
Il cardinale Müller ha detto che è deprecabile che i cattolici non conoscano la dottrina della chiesa e che questa mancanza non può giustificare l’ esigenza di adeguare l’ insegnamento cattolico allo spirito del tempo. Manca una pastorale familiare? E’ mancata. E’ una gravissima responsabilità di noi pastori ridurre tutto ai corsi prematrimoniali. E l’ educazione all’ affettività degli adolescenti, dei giovani? Quale pastore d’ anime parla ancora di castità? Un silenzio pressoché totale, da anni, per quanto mi risulta. Guardiamo all’ accompagnamento delle giovani coppie: chiediamoci se abbiamo annunciato veramente il Vangelo del matrimonio, se l’ abbiamo annunciato come ha chiesto Gesù. E poi, perché non ci domandiamo perché i giovani non si sposano più? Non è sempre per ragioni economiche, come solitamente si dice. Parlo della situazione dell’ occidente. Se si fa un confronto tra i giovani che si sposavano fino a trent’ anni fa e oggi, le difficoltà che avevano trenta o quarant’ anni fa non erano minori rispetto a oggi. Ma quelli costruivano un progetto, avevano una speranza. Oggi hanno paura e il futuro fa paura; ma se c’ è una scelta che esige speranza nel futuro, è la scelta di sposarsi. Sono questi gli interrogativi fondamentali, oggi. Ho l’ impressione che se Gesù si presentasse all’ improvviso a un convegno di preti, vescovi e cardinali che stanno discutendo di tutti i gravi problemi del matrimonio e della famiglia, e gli chiedessero come fecero i farisei, ‘Maestro, ma il matrimonio è dissolubile o indissolubile? O ci sono dei casi, dopo una debita penitenza, …?’ .Gesù cosa risponderebbe? Penso la stessa risposta data ai farisei: ‘Guardate al ‘Principio’. Il fatto è che ora si vogliono guarire dei sintomi senza affrontare seriamente la malattia. Il Sinodo quindi non potrà evitare di prendere posizione di fronte a questo dilemma: il modo in cui s’ è andata evolvendo la morfogenesi del matrimonio e della famiglia è positivo per le persone, per le loro relazioni e per la società, o invece costituisce un decadimento delle persone, delle loro relazioni, che può avere effetti devastanti sull’ intera civiltà? Questa domanda il Sinodo non la può evitare. La Chiesa non può considerare che questi fatti (giovani che non si sposano, libere convivenze in aumento esponenziale, introduzione del c.d. matrimonio omosessuale negli ordinamenti giuridici, e altro ancora) siano derive storiche, processi storici di cui essa deve prendere atto e dunque sostanzialmente adeguarsi. No. Giovanni Paolo II scriveva nella ‘Bottega dell’ Orefice’ che ‘creare qualcosa che rispecchi l’ essere e l’ amore assoluto è forse la cosa più straordinaria che esista. Ma si campa senza rendersene conto’. Anche la Chiesa, dunque, deve smettere di farci sentire il respiro dell’ eternità dentro all’ amore umano? Deus avertat!’.
Si parla della possibilità di riammettere all’ eucaristia i divorziati risposati. Una delle soluzioni proposte dal cardinale Kasper ha a che fare con un periodo di penitenza che porti al pieno riaccostamento. E’ una necessità ormai ineludile o è un adeguamento dell’ insegnamento cristiano a seconda delle circostanze?
“Chi fa questa ipotesi, almeno finora non ha risposto a una domanda molto semplice: che ne è del primo matrimonio rato e consumato? Se la Chiesa ammette all’ eucarestia, deve dare comunque un giudizio di legittimità alla seconda unione. E’ logico. Ma allora – come chiedevo – che ne è del primo matrimonio? Il secondo, si dice, non può essere un vero secondo matrimonio, visto che la bigamia è contro la parola del Signore. E il primo? E’ sciolto? Ma i papi hanno sempre insegnato che la potestà del Papa non arriva a questo: sul matrimonio rato e consumato il Papa non ha nessun potere. La soluzione prospettata porta a pensare che resta il primo matrimonio, ma c’ è anche una seconda forma di convivenza che la Chiesa legittima. Quindi, c’ è un esercizio della sessualità umana extraconiugale che la Chiesa considera legittima. Ma con questo si nega la colonna portante della dottrina della Chiesa sulla sessualità. A questo punto uno potrebbe domandarsi: e perché non si approvano le libere convivenze? E perché non i rapporti tra gli omosessuali? La domanda di fondo è dunque semplice: che ne è del primo matrimonio? Ma nessuno risponde. Giovanni Paolo II diceva nel 2000 in un’ allocuzione alla Rota che ’emerge con chiarezza che la non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni rati e consumati, è insegnata dal Magistero della chiesa come dottrina da tenersi definitivamente anche se essa non è stata dichiarata in forma solenne mediante atto definitorio’. La formula è tecnica, ‘dottrina da tenersi definitivamente’ vuol dire che su questo non è più ammessa la discussione fra i teologi e il dubbio tra i fedeli”.
Quindi non è questione solo di prassi, ma anche di dottrina? “Sì, qui si tocca la dottrina. Inevitabilmente. Si può anche dire che non lo si fa, ma lo si fa. Non solo. Si introduce una consuetudine che a lungo andare determina questa idea nel popolo non solo cristiano: non esiste nessun matrimonio assolutamente indissolubile. E questo è certamente contro la volontà del Signore. Non c’ è dubbio alcuno su questo”.
Non c’ è però il rischio di guardare al sacramento solo come una sorta di barriera disciplinare e non come un mezzo di guarigione?
“E’ vero che la grazia del sacramento è anche sanante, ma bisogna vedere in che senso. La grazia del matrimonio sana perché libera l’ uomo e la donna dalla loro incapacità di amarsi per sempre con tutta la pienezza del loro essere. Questa è la medicina del matrimonio: la capacità di amarsi per sempre.
Sanare significa questo, non che si fa stare un po’ meglio la persona che in realtà rimane ammalata, cioè costitutivamente ancora incapace di definitività. L’ indissolubilità matrimoniale è un dono che viene fatto da Cristo all’ uomo e alla donna che si sposano in lui. E’ un dono, non è prima di tutto una norma che viene imposta. Non è un ideale cui devono tendere. E’ un dono e Dio non si pente mai dei suoi doni. Non a caso Gesù, rispondendo ai farisei, fonda la sua risposta rivoluzionaria su un atto divino. ‘Ciò che Dio ha unito’, dice Gesù. E’ Dio che unisce, altrimenti la definitività resterebbe un desiderio che è sì naturale, ma impossibile a realizzarsi. Dio stesso dona compimento. L’ uomo può anche decidere di non usare di questa capacità di amare definitivamente e totalmente. La teologia cattolica ha poi concettualizzato questa visione di fede attraverso il concetto di vincolo coniugale. Il matrimonio, il segno sacramentale del matrimonio produce immediatamente tra i coniugi un vincolo che non dipende più dalla loro volontà, perché è un dono che Dio ha fatto loro. Queste cose ai giovani che oggi si sposano non vengono dette. E poi ci meravigliamo se succedono certe cose”.
Un dibattito molto appassionato si è articolato attorno al senso della misericordia. Che valore ha questa parola?
“Prendiamo la pagina di Gesù e dell’ adultera. Per la donna trovata in flagrante adulterio, la legge mosaica era chiara: doveva essere lapidata. I farisei infatti chiedono a Gesù cosa ne pensasse, con l’ obiettivo di attirarlo dentro la loro prospettiva. Se avesse detto ‘lapidatela’, subito avrebbero detto ‘ecco, lui che predica misericordia, che va a mangiare con i peccatori, quando è il momento dice anche lui di lapidarla’. Se avesse detto ‘non dovete lapidarla’, avrebbero detto ‘ecco a cosa porta la misericordia, a distruggere la legge e ogni vincolo giuridico e morale’. Questa è la tipica prospettiva della morale casuistica, che ti porta inevitabilmente in un vicolo alla fine del quale c’ è il dilemma tra la persona e la legge. I farisei tentavano di portare in questo vicolo Gesù. Ma lui esce totalmente da questa prospettiva, e dice che l’ adulterio è un grande male che distrugge la verità della persona umana che tradisce. E proprio perché è un grande male, Gesù, per toglierlo, non distrugge la persona che lo ha commesso, ma la guarisce da questo male e raccomanda di non incorrere in questo grande male che è l’ adulterio. ‘Neanche io ti condanno, va e non peccare più’. Questa è la misericordia di cui solo il Signore è capace. Questa è la misericordia che la Chiesa, di generazione in generazione, annuncia. La Chiesa deve dire che cosa è male. Ha ricevuto da Gesù il potere di guarire, ma alla stessa condizione. E’ verissimo che il perdono è sempre possibile: lo è per l’ assassino, lo è anche per l’ adultero. Era già una difficoltà che facevano i fedeli ad Agostino: si perdona l’ omicidio , ma nonostante ciò la vittima non risorge. Perché non perdonare il divorzio, questo stato di vita, il nuovo matrimonio, anche se una ‘reviviscenza’ del primo non è più possibile? La cosa è completamente diversa. Nell’ omicidio si perdona una persona che ha odiato un’ altra persona, e si chiede il pentimento su questo. La Chiesa in fondo si addolora non perché una vita fisica è terminata, bensì perché nel cuore dell’ uomo c’ è stato un tale odio da indurre perfino a sopprimere la vita fisica di una persona. Questo è il male, dice la Chiesa. Ti devi pentire di questo e ti perdonerò. Nel caso del divorziato risposato, la Chiesa dice: ‘Questo è il male: il rifiuto del dono di Dio, la volontà di spezzare il vincolo messo in atto dal Signore stesso’. La Chiesa perdona, ma a condizione che ci sia il pentimento. Ma il pentimento in questo caso significa tornare al primo matrimonio. Non è serio dire: sono pentito ma resto nello stesso stato che costituisce la rottura del vincolo, della quale mi pento. Spesso – si dice – non è possibile. Ci sono tante circostanze, certo, ma allora in queste condizioni quella persona è in uno stato di vita oggettivamente contrario al dono di Dio. La Familiaris Consortio lo dice esplicitamente. La ragione per cui la Chiesa non ammette i divorziati risposati all’ eucaristia non è perché la Chiesa presuma che tutti coloro che vivono in queste condizioni siano in peccato mortale. La condizione soggettiva di queste persone la conosce il Signore, che guarda nella profondità del cuore. Lo dice anche San Paolo, ‘non vogliate giudicare prima del tempo’. Ma perché – ed è scritto sempre nella Familiaris Consortio – ‘il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quella unione di amore fra Cristo e la Chiesa significata e attuata dall’ eucaristia’ (FC 84). La misericordia della Chiesa è quella di Gesù, quella che dice che è stata deturpata la dignità di sposo, il rifiuto del dono di Dio. La misericordia non dice: ‘Pazienza, vediamo di rimediare come possiamo’. Questa è la tolleranza essenzialmente diversa dalla misericordia. La tolleranza lascia le cose come sono per ragioni superiori. La misericordia è la potenza di Dio che toglie dallo stato di ingiustizia”.
Non si tratta di accomodamento, dunque.
“Non è un accomodamento, sarebbe indegno del Signore una cosa del genere. Per fare gli accomodamenti bastano gli uomini. Qui si tratta di rigenerare una persona umana, e di questo è capace solo Dio e in suo nome la Chiesa. San Tommaso dice che la giustificazione di un peccatore è un’ opera più grande che la creazione dell’ universo. Quando viene giustificato un peccatore, accade qualcosa che è più grande di tutto l’ universo. Un atto che magari avviene in un confessionale, attraverso un sacerdote umile, povero. Ma lì si compie un atto più grande della creazione del mondo. Non dobbiamo ridurre la misericordia ad accomodamenti, o confonderla con la tolleranza. Questo è ingiusto verso l’ opera del Signore”.
Uno degli assunti più citati da chi auspica un’ apertura della chiesa alle persone che vivono in situazioni considerate irregolari è che la fede è una ma i modi per applicarla alle circostanze particolari devono essere adeguati ai tempi, come la chiesa ha sempre fatto. Lei che ne pensa?
“La Chiesa può limitarsi ad andare là dove la portano i processi storici come fossero derive naturali? Consiste in questo annunciare il Vangelo? Io non lo credo, perché altrimenti mi chiedo come si faccia a salvare l’ uomo. Le racconto un episodio. Una sposa ancora giovane, abbandonata dal marito, mi ha detto che vive nella castità ma fa una fatica terribile. Perché, dice, ‘non sono una suora, ma una donna normale’. Ma mi ha detto che non potrebbe vivere senza eucaristia. E quindi anche il peso della castità diventa leggero, perché pensa all’ eucaristia. Un altro caso. Una signora con quattro figli è stata abbandonata dal marito dopo più di vent’ anni di matrimonio. La signora mi dice che in quel momento ha capito che doveva amare il marito nella croce, ‘come Gesù ha fatto con me’. Perché non si parla di queste meraviglie della grazia di Dio? Queste due donne non si sono adeguate ai tempi? Certo che non si sono adeguate ai tempi. Resto, le assicuro, molto male nel prendere atto del silenzio, in queste settimane di discussione, sulla grandezza di spose e sposi che, abbandonati, restano fedeli. Ha ragione il professor Grygiel quando scrive che a Gesù non interessa molto cosa pensa la gente di lui. Interessa cosa pensano i suoi apostoli. Quanti parroci e vescovi potrebbero testimoniare episodi di fedeltà eroica. Dopo un paio d’ anni che ero qui a Bologna, ho voluto incontrare i divorziati risposati. Erano più di trecento coppie. Siamo stati assieme un’ intera domenica pomeriggio. Alla fine, più d’ uno m’ ha detto di aver capito che la Chiesa è veramente madre quando impedisce di ricevere l’ eucaristia. Non potendo ricevere l’ eucaristia, comprendono quanto sia grande il matrimonio cristiano, e bello il Vangelo del matrimonio”.
Sempre più spesso viene sollevato il tema del rapporto tra il confessore e il penitente, anche come possibile soluzione per venire incontro alla sofferenza di chi ha visto fallire il proprio progetto di vita. Qual è il suo pensiero?
“La tradizione della Chiesa ha sempre distinto – distinto, non separato – il suo compito magisteriale dal ministero del confessore. Usando un’ immagine, potremmo dire che ha sempre distinto il pulpito dal confessionale.
Una distinzione che non vuol significare una doppiezza, bensì che la Chiesa dal pulpito, quando parla del matrimonio, testimonia una verità che non è prima di tutto una norma, un ideale verso cui tendere. A questo momento entra con amorevolezza il confessore, che dice al penitente: ‘Quanto hai sentito dal pulpito, è la tua verità, la quale ha a che fare con la tua libertà, ferita e fragile’. Il confessore conduce il penitente in cammino verso la pienezza del suo bene. Non è che il rapporto tra il pulpito e il confessionale sia il rapporto tra l’ universale e il particolare. Questo lo pensano i casuisti, soprattutto nel Seicento. Davanti al dramma dell’ uomo, il compito del confessore non è di far ricorso alla logica che sa passare dall’ universale al singolare. Il dramma dell’ uomo non dimora nel passaggio dall’ universale al singolare. Dimora nel rapporto tra la verità della sua persona e la sua libertà. Questo è il cuore del dramma umano, perché io con la mia libertà posso negare ciò che ho appena affermato con la mia ragione. Vedo il bene e lo approvo, e poi faccio il male. Il dramma è questo. Il confessore si pone dentro questo dramma, non al meccanismo universale-particolare. Se lo facesse inevitabilmente cadrebbe nell’ ipocrisia e sarebbe portato a dire ‘va bene, questa è la legge universale, però siccome tu ti trovi in queste circostanze, non sei obbligato’. Inevitabilmente, si elaborerebbe una fattispecie ricorrendo la quale, la legge diventa eccepibile. Ipocritamente, dunque, il confessore avrebbe già promulgato un’ altra legge accanto a quella predicata dal pulpito. Questa è ipocrisia! Guai se il confessore non ricordasse mai alla persona che si trova davanti che siamo in cammino. Si rischierebbe, in nome del Vangelo della misericordia, di vanificare il Vangelo dalla misericordia. Su questo punto Pascal ha visto giusto nelle sue Provinciali, per altri versi profondamente ingiuste. Alla fine l’ uomo potrebbe convincersi che non è ammalato, e quindi non è bisognoso di Gesù Cristo. Uno dei miei maestri, il servo di Dio padre Cappello, grande professore di diritto canonico, diceva che quando si entra in confessionale non bisogna seguire la dottrina dei teologi, ma l’ esempio dei santi”.
Questo intervento del cardinal Caffarra evidenzia molto bene la questione centrale.
La proposta-Kasper giunge a ipotizzare (leggere per credere) che la Chiesa possa riconoscere secondo nozze ancorché le “prime nozze” (per così dire) siano valide.
Ebbene, come facevo notare in un precedente commento, è contenuto di Magistero INFALLIBILE che il matrimonio valido è indissolubile.
Matrimonio INDISSOLUBILE significa: nessuno può SCIOGLIERE quel matrimonio. Se la Chiesa riconoscesse seconde nozze, contraddirebbe sé stessa, cioè riconoscerebbe che è SCIOLTO, e perciò NON INDISSOLUBILE (solo ciò che non è indissolubile può essere sciolto), ciò che il Magistero INFALLIBILE della Chiesa stessa insegna essere INDISSOLUBILE.
Quindi, se la proposta Kasper fosse accolta, la Chiesa di fatto tratterebbe come FALLACE il contenuto di Magistero INFALLIBILE (cioè: non fallibile, non fallace, che-non-può-sbagliare) secondo cui il matrimonio rato e consumato (cioè: il matrimonio valido) è INDISSOLUBILE.
Ecco perché ha ragione da vendere il cardinal Caffarra quando dice che una proposta tipo quella di Kasper non configura solo un mutamento della disciplina o della prassi della Chiesa, ma contraddice la DOTTRINA:
“Sì, qui si tocca la dottrina. Inevitabilmente. Si può anche dire che non lo si fa, ma lo si fa”.
Ma neanche il Papa può revocare in dubbio un contenuto di Magistero infallibile!
Caffarra si riferisce opportunamente all’allocuzione di Giovanni Paolo II del 2000 alla Rota:
“In questo contesto conviene citare anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, con la grande autorità dottrinale conferitagli dall’intervento dell’intero Episcopato nella sua redazione e dalla mia speciale approvazione. Vi si legge infatti: “Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito da Dio stesso, così che il matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere sciolto. Questo vincolo, che risulta dall’atto umano libero degli sposi e dalla consumazione del matrimonio, è una realtà ormai irrevocabile e dà origine ad un’alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in potere della Chiesa pronunciarsi contro questa disposizione della sapienza divina” (n. 1640).
Emerge quindi con chiarezza che la non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni sacramentali rati e consumati è insegnata dal Magistero della Chiesa come dottrina da tenersi DEFINITIVAMENTE, anche se essa non è stata dichiarata in forma solenne mediante un atto definitorio.
Tale dottrina infatti è stata esplicitamente proposta dai Romani Pontefici in termini categorici, in modo costante e in un arco di tempo sufficientemente lungo. Essa è stata fatta propria e insegnata da tutti i Vescovi in comunione con la Sede di Pietro nella consapevolezza che deve essere sempre mantenuta e accettata dai fedeli. In questo senso è stata riproposta dal Catechismo della Chiesa Cattolica. Si tratta d’altronde di una dottrina confermata dalla prassi plurisecolare della Chiesa, mantenuta con piena fedeltà e con eroismo, a volte anche di fronte a gravi pressioni dei potenti di questo mondo.”
http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/speeches/documents/hf_jp-ii_spe_20000121_rota-romana_it.html
Quindi, che il matrimonio valido sia INDISSOLUBILE, tanto che nemmeno il Romano Pontefice può scioglierlo, è dottrina da tenersi DEFINITIVAMENTE.
Le dottrine da tenersi DEFINITIVAMENTE, anche se non dichiarate in forma solenne mediante un atto definitorio, sono INFALLIBILI (tanto da esigere un assenso pieno e irrevocabile).
Si veda al riguardo, della Congregazione per la Dottrina della Fede, “la Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professio fidei” (nn 8-9):
“Il magistero della Chiesa, comunque, insegna una dottrina da credere come divinamente rivelata (1° comma) o da ritenere in maniera definitiva (2° comma), con un atto definitorio oppure non definitorio.
Nel caso di un atto definitorio, viene definita solennemente una verità con un pronunciamento « ex cathedra » da parte del Romano Pontefice o con l’intervento di un concilio ecumenico. Nel caso di un atto non definitorio, viene insegnata INFALLIBILMENTE una dottrina dal magistero ordinario e universale dei Vescovi sparsi per il mondo in comunione con il Successore di Pietro.
Per quanto riguarda la natura dell’assenso dovuto alle verità proposte dalla Chiesa come divinamente rivelate (1° comma) o da ritenersi in modo definitivo (2° comma), è importante sottolineare che non vi è differenza circa il carattere PIENO e IRREVOCABILE dell’assenso, dovuto ai rispettivi insegnamenti”:
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_1998_professio-fidei_it.html#Nota dottrinale illustrativa
Poiché, come si è mostrato,
1) è dottrina da tenersi DEFINITIVAMENTE che il matrimonio valido è INDISSOLUBILE, tanto che nemmeno il Romano Pontefice può scioglierlo
2) Le dottrine da tenersi DEFINITIVAMENTE, anche se non dichiarate in forma solenne mediante un atto definitorio, sono INFALLIBILI
si conclude secondo necessità che è contenuto di Magistero INFALLIBILE la dottrina dell’INDISSOLUBILITA’ del matrimonio valido, sicché ogni proposta che, come quella adombrata da Kasper, revochi in dubbio l’indissolubilità del matrimonio valido, non può non revocare in dubbio un contenuto del Magistero infallibile.
Spiace fare un rilievo così grave, ma così è.
Ora l’intervento di Caffarra si può leggere anche qui:
http://ilsismografo.blogspot.it/2014/03/italia-da-bologna-con-amore-fermatevi.html