di Stefania Falasca Avvenire.it
Nella storia della Chiesa, le donne hanno già mosso molto. Hanno mosso vescovi e papi e sono certamente in grado di farlo anche con le conferenze episcopali. Molte grandi sante donne sono riuscite a fare questo nella storia della Chiesa. Sull’esempio di Maria di Magdala, apostola apostolorum, che la mattina di Pasqua ha svegliato gli apostoli dal loro letargo e li ha messi in moto». Così asseriva il cardinale Walter Kasper in una conferenza tenuta nel febbraio di quest’anno sul tema «La collaborazione tra uomini e donne nella Chiesa». Sono parole che anticipano e concorrono nella direzione indicata da papa Francesco nei suoi reiterati interventi riguardo alla questione femminile e al ruolo delle donne nella Chiesa. Dei suoi nove mesi di pontificato non uno è trascorso senza un pronunciamento riguardante le donne, e con dichiarazioni a dir poco incisive, sorprendenti, spiazzanti.
In modo inaudito è il Papa che si sta facendo lealmente interprete delle istanze più profonde e vitali dell’universo femminile. Si sta interrogando e sta interpellando le donne per quello che riguarda il loro destino presente e futuro nella Chiesa. Maria Voce, rispondendo alla sterile, quanto grottesca, questione sulle donne cardinale, faceva osservare: «Non m’interessa che una persona eccezionale sia fatta cardinale… grandi figure, dottori della Chiesa sono state valorizzate. Ma è la donna in quanto tale che non trova il suo posto. Ciò che va riconosciuto è il “genio femminile” nel quotidiano». Papa Bergoglio afferma che «la Chiesa non può essere se stessa senza la donna e il suo ruolo. La donna per la Chiesa è imprescindibile». Non si tratta dunque solo di onorare e di elargire ancora onorificenze alle donne: «È necessario ampliare gli spazi di una presenza femminile più incisiva». Questo è il vero punto nevralgico d’interesse reale, fondamentale della nuova prospettiva aperta da Francesco.
Ma una «presenza femminile più incisiva» presuppone che anche nella Chiesa certo “maschilismo” sotterraneo sia definitivamente «sanato dal Vangelo», come rileva l’Evangelii gaudium e allo stesso tempo, sempre nell’ottica del Vangelo, sia sanato certo clericalismo e carrierismo diffuso che risponde a logiche di potere inteso come dominio. Logiche nelle quali, la presenza delle donne negli organismi vigenti, nei vicariati, nelle curie, compresa la Curia romana, viene a essere spesso ridotta a presenza simbolica o asservita. Dinamiche, queste, offensive non solo delle donne ma anche degli uomini.
Cinquant’anni fa nell’enciclica Pacem in terris Giovanni XXIII annoverava tra i segni dei tempi la partecipazione effettiva della donna nella vita pubblica. È possibile che a cinquant’anni di distanza l’unico risultato compiuto negli organismi centrali della Chiesa sia una concessione spesso simbolica e discutibile di “quote rosa”? Un contesto tutt’altro che roseo se persino il termine “valorizzazione” delle donne è stato spesso inteso come “concessione” alle donne.«Io soffro, dico la verità», afferma Papa Francesco, «quando vedo nella Chiesa o in alcune organizzazioni, che il ruolo di servizio – che tutti noi abbiamo e dobbiamo avere – il ruolo di servizio della donna scivola verso un ruolo di servitù». Più volte ha rimarcato questo aspetto e più volte ha chiesto: «Quale presenza ha la donna nella Chiesa?».
Cinquant’anni fa nell’enciclica Pacem in terris Giovanni XXIII annoverava tra i segni dei tempi la partecipazione effettiva della donna nella vita pubblica. È possibile che a cinquant’anni di distanza l’unico risultato compiuto negli organismi centrali della Chiesa sia una concessione spesso simbolica e discutibile di “quote rosa”? Un contesto tutt’altro che roseo se persino il termine “valorizzazione” delle donne è stato spesso inteso come “concessione” alle donne.«Io soffro, dico la verità», afferma Papa Francesco, «quando vedo nella Chiesa o in alcune organizzazioni, che il ruolo di servizio – che tutti noi abbiamo e dobbiamo avere – il ruolo di servizio della donna scivola verso un ruolo di servitù». Più volte ha rimarcato questo aspetto e più volte ha chiesto: «Quale presenza ha la donna nella Chiesa?».
Alla luce delle parole del Papa, a questo punto, si prospettano due strade. La prima è quella di un «approfondimento teologico che potrebbe aiutare a meglio riconoscere il possibile ruolo della donna lì dove si prendono decisioni importanti, nei diversi ambiti della Chiesa», come afferma nell’Evangelii gaudium. «Da qui – dice Francesco – dobbiamo ripartire per quel lavoro di approfondimento e di promozione che già più volte ho avuto modo di auspicare» e che potrebbe anche contemplare un atto magisteriale. Del resto, la Mulieris dignitatem, il primo documento del magistero pontificio dedicato interamente al tema e nel quale Giovanni Paolo II si sofferma sulla pari dignità della donna, offre ulteriori ambiti di indagine e di sviluppo; in particolare per quel che riguarda il concetto di “complementarietà”, non del tutto chiarito.
La seconda strada, conseguente o parallela alla prima, è quella della presenza e della collocazione effettiva della donna in quanto tale nell’ambito degli apparati ecclesiali. Strada che si presenta difficile, in assenza ancora di un chiaro pronunciamento magisteriale in questo senso, e minata dai mali evidenziati: da una parte certo maschilismo, dall’altra, in particolare, il clerico-carrierismo, da cui non sono esenti anche le donne. «Se da un lato, infatti – spiega Papa Bergoglio – si mette in disparte la donna con le sue potenzialità, dall’altro c’è il pericolo in senso opposto: quello di promuovere una specie di emancipazione che, per occupare gli spazi sottratti dal maschile, abbandona il femminile con i tratti preziosi che lo caratterizzano». Si tratta di un’emancipazione, quindi, che in quest’ottica passerebbe attraverso la clericalizzazione. «I discorsi che sento sul ruolo della donna – dice infatti ancora Francesco – sono spesso ispirati da un’ideologia machista».
In sostanza il timore paventato dal Papa qual è? Quello che un’eventuale e larga partecipazione femminile negli organismi centrali potrebbe essere compromessa dal “machismo in gonnella”? Se così fosse, certamente tale timore avrebbe fondamento perché non si andrebbe verso una Chiesa “rinnovata” ma una Chiesa “mutante”.
Bisogna tuttavia chiedersi quante sono in realtà le donne che bramano la conquista del potere nelle curie. Forse, alla stragrande maggioranza di esse questa prospettiva non interessa affatto o, comunque, ne sono pressoché estranee. In ampi settori del laicato e della vita religiosa si ha conoscenza di tante e tante donne che negli incarichi svolti nel quotidiano, con dedizione e coscienza, e spesso anche con coraggio eroico, hanno messo a frutto quel loro «genio», quei loro «tratti preziosi» nelle più varie, specifiche e qualificate competenze unite all’esperienza reale di essere madri, formatrici.
Bisogna tuttavia chiedersi quante sono in realtà le donne che bramano la conquista del potere nelle curie. Forse, alla stragrande maggioranza di esse questa prospettiva non interessa affatto o, comunque, ne sono pressoché estranee. In ampi settori del laicato e della vita religiosa si ha conoscenza di tante e tante donne che negli incarichi svolti nel quotidiano, con dedizione e coscienza, e spesso anche con coraggio eroico, hanno messo a frutto quel loro «genio», quei loro «tratti preziosi» nelle più varie, specifiche e qualificate competenze unite all’esperienza reale di essere madri, formatrici.
È la moltitudine di donne che pur non avendo voce in capitolo, in silenzio, ma con le spalle larghe del loro vissuto nella fede, hanno sostenuto e protetto la Chiesa dai colpi inferti dalla “eresia dell’istituzionalismo”. Le voci di queste donne dovrebbero essere ascoltate, riconosciute e rappresentate anche per svolgere, accanto agli uomini, con autorevolezza e pari dignità, incarichi di piena responsabilità in uno spirito di autentico servizio. E se proprio dalla loro presenza «più incisiva» negli organismi decisionali venisse l’attesa sferzata? E se la loro presenza favorisse un’efficace “messa in moto” (sull’esempio di figure significative della storia del cristianesimo) di salutari processi che spingano avanti la Chiesa? Se così fosse, basterebbe solo un passo. Il crinale storico nel quale attualmente ci troviamo interpella tutti, e un dato è certo: se la Chiesa vuole correre avanti nel segno dei tempi non può lasciare indietro le donne. Semplicemente non può permetterselo.
fonte> Avvenire
Ottimo! Grazie e smack! 😀
poi ci sono queste altre donne a muovere contro la chiesa e Papa Francesco….
Domenica 24 novembre 2013 davanti alla cattedrale di San Juan di Buenos Aires.
…Mentre all’interno della cattedrale 700 persone stavano pregando accompagnate dal vescovo, monsignor Alfonso Delgado, un nutrito gruppo dei cosiddetti paladini dei nuovi diritti ha tentato di attaccare i fedeli, cercando di entrare all’interno della cattedrale. Decine di giovani cattolici hanno pacificamente impedito l’ingresso della Chiesa creando un lungo cordone umano intonando canti religiosi e preghiere. Come si può vedere nel video qui sotto, attivisti di associazioni femministe e omosessuali hanno risposto sputando loro in faccia, picchiandoli, umiliandoli, insultandoli, scambiandosi effusioni omosessuali ed infine bruciando una foto di Papa Francesco al grido “Se il papa fosse una donna l’aborto sarebbe legale”
http://it.paperblog.com/femministe-e-gay-sputi-e-botte-contro-i-cattolici-video-2090586/
Vale: non hanno capito nulla. Mi dispiace più per loro che per quelli che hanno fatto il cordone, anche se umiliatie picchiati. I violenti si accorgeranno prima o poi di avere torto marcio e, spero per loro, che lo facciano quando non sarà troppo tardi. Invece i pacifici, cioé costruttori di pace, potranno un giorno essere santamente orgogliosi di quello che hanno fatto.
Allora riassumo: il genio femminile è imprescindibile (nel quotidiano), ma niente equiparazione che sennò qualcuna si monta la testa. I riconoscimenti no, che quelli son solo coccarde, simboli – le donne son concrete e guardano solo ai fatti “incisivi” (a ben pensarci quest’argomento lo terrò a mente la prossima volta che passerò davanti ad una gioielleria… per svicolare, ovviamente). Poi magari qualcuno mi spiegherà come sia possibile essere parte di un’organismo decisionale senza avere la stessa dignità degli altri membri, ovverosia o si è attore autorevole a tutti gli effetti, o si è concessione simbolica (bella statuina).
Emancipare le donne all’interno della Curia: aah (da leggere stridulo), arriverebbero solo delle carrieriste (ohibò, invece adesso, solo fini teologi, evidentemente)! Che poi, diciamocelo, e quando mai la scelta è stata dettata dall’adeguatezza e non dall’opportunità: ‘ste donne, quindi che vogliono? Qualsiasi uomo (ancorché religioso) già conosce qual è l’adeguata posizione in cui vorrebbe una donna opportunamente posizionata. Lo dirò con un raffinato eufemismo spagnoleggiante: sottomessa.
Beh sì, poi si puntualizzerà che uomini e donne sono diversi; che già avete la maternità -cribio, cosa vogliono di più? ci lascino fare pure qualcosa, no? Che poi ad un uomo, tolta la Chiesa, il calcio (ch’è pur sempre una religione) e gli ormoni (ma il vero uomo ha da grugni’ e puzza’) che resta? il sudore dei campi (vedi prima), la guerra (la violenza in generale, via), la Luna – la paternità, no, quella non è mai certa!
E’ la solita storia di fred astaire e ginger rogers: hai voglia a dire che lei ballava (almeno) gli stessi passi suoi – e per di più sui tacchi: vestiva la gonna, sorrideva ed era anche un po’ civettuola: mica una tipa affidabile! Lui invece, gran ballerino…
(Eppoi, basta con questa storia del rinnovamento: accontentatevi dell’armadio di casa, tutt’al più dei mobili della cucina: le regole le abbiamo stabilite due millenni or sono, finora hanno dato ottimi risultati e squadra che vince eccetera… Era un mondo maschilista, patriarcale e sessista? magari lo fosse ancora, sai quanti problemi in meno…)
(che poi scrivo perché mi dispiace: alle 11, solo un commento di 4 parole: batto un po’ le pentole che magari qualcuno si sveglia e scrive: mi par brutto lasciare questo post solo e abbandonato. Ma forse questo non è il sito giusto per iniziare la marcia verso l’emancipazione, neh).
@alessandro: ok, c’è la Ordinatio sacerdotalis; c’è anche la speranza che, non essendo un pronunciamento ex cathedra, tra qualche secolo se ne riparli. Fino ad allora, che sia permesso un esercizio di (bassa) critica e (bassa) ironia…
“@alessandro: ok, c’è la Ordinatio sacerdotalis; c’è anche la speranza che, non essendo un pronunciamento ex cathedra, tra qualche secolo se ne riparli. Fino ad allora, che sia permesso un esercizio di (bassa) critica e (bassa) ironia…”
Mi spiace per te, ma l’Ordinatio sacerdotalis dichiara “che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo DEFINITIVO da tutti i fedeli della Chiesa.”
Trattantosi di Magistero DEFINITIVO, non vi è alcuna possibilità che il suo contenuto sia revocato in discussione né ora né mai.
CIC Can. 750 § 2: “Si DEVONO pure fermamente accogliere e ritenere anche tutte e singole le cose che vengono proposte DEFINITIVAMENTE dal magistero della Chiesa circa la fede e i costumi, quelle cioè che sono richieste per custodire santamente ed esporre fedelmente lo stesso deposito della fede; si oppone dunque alla dottrina della Chiesa cattolica chi rifiuta le medesime proposizioni da tenersi definitivamente.”
😀 😀 😉
Evidentemente leggevo male “definitivo”.
Ma perdona Alessandro, cosa osterebbe un pronunciamento opposto? Intendo, se non è un’affermazione (para)dogmatica (né proveniente da rivelazione), non è di per sé confutabile? Non intendo oggi, o fra 10 anni -ero serio quando dicevo alcuni secoli.
Allora un “magistero definitivo” è un semplice “giro di parole” per sostenere un dogma? O meglio, ha la stessa valenza dogmatica relativamente ai “costumi e tradizioni”. Solo una sfumatura lessicale?
E quindi, a cosa s’aggrapperebbero “le due strade” indicate nel post?
Al nulla verrebbe da dire…
La questione è impegnativa assai.
Suggerirei di vedere la Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professio fidei (1998)
Richiamo qualche passaggio:
“Con la formula del primo comma [della Professio fidei]: « Credo pure con ferma fede tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale, propone a credere come divinamente rivelato », si vuole affermare che l’oggetto insegnato è costituito da tutte quelle dottrine di fede divina e cattolica che la Chiesa propone come DIVINAMENTE e FORMALMENTE RIVELATE e, come tali, irreformabili”.
Quali sono queste dottrine? Sono quelle che “sono contenute nella Parola di Dio scritta o trasmessa e vengono definite con un giudizio solenne come verità DIVINAMENTE rivelate o dal Romano Pontefice quando parla « ex cathedra » o dal Collegio dei Vescovi radunato in concilio, oppure vengono infallibilmente proposte a credere dal magistero ordinario e universale.”
Quindi, queste dottrine di fede divina o cattolica, che in quanto verità DIVINAMENTE rivelate “comportano da parte di tutti i fedeli l’assenso di fede teologale”, non necessariamente sono definite dal Romano Pontefice “ex cathedra”:
“Il magistero della Chiesa, comunque, insegna una dottrina da credere come DIVINAMENTE rivelata (1° comma) … con un atto DEFINITORIO oppure NON DEFINITORIO. Nel caso di un atto definitorio, viene definita solennemente una verità con un pronunciamento « ex cathedra » da parte del Romano Pontefice O con l’intervento di un concilio ecumenico. Nel caso di un atto non definitorio, viene insegnata infallibilmente una dottrina dal magistero ordinario e universale dei Vescovi sparsi per il mondo in comunione con il Successore di Pietro.”
“La seconda proposizione della Professio fidei afferma: «Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo DEFINITIVO ».
L’oggetto che viene insegnato con questa formula comprende tutte quelle dottrine attinenti al campo dogmatico o morale, che sono necessarie per custodire ed esporre fedelmente il deposito della fede, sebbene NON siano state proposte dal magistero della Chiesa come FORMALMENTE rivelate”, a differenza di quelle di cui nella prima proposizione della Professio fidei.
“Tali dottrine possono essere definite in forma solenne dal Romano Pontefice quando parla « ex cathedra » o dal Collegio dei Vescovi radunato in concilio, oppure possono essere infallibilmente insegnate dal magistero ordinario e universale della Chiesa come “sententia DEFINITIVE tenenda”.
Come si vede, anche queste dottrine possono essere “definite in forma solenne dal Romano Pontefice quando parla « ex cathedra »”, ma si differenziano da quelle del primo tipo perché, non sono insegnate come DIVINAMENTE e FORMALMENTE rivelate, cioè non sono insegnate come “contenute nella Parola di Dio scritta o trasmessa”, ma come “sententiae DEFINITIVE tenendae”.
Anche le dottrine del secondo tipo possono quindi essere insegnate “con un atto definitorio oppure non definitorio”.
“Il credente è tenuto a prestare a queste verità il suo assenso fermo e DEFINITIVO, fondato sulla fede nell’assistenza dello Spirito Santo al magistero della Chiesa, e sulla dottrina cattolica dell’infallibilità del magistero in queste materie. Chi le negasse, assumerebbe una posizione di rifiuto di verità della dottrina cattolica e pertanto non sarebbe pia in piena comunione con la Chiesa cattolica.”
Importante la precisazione successiva: “Il fatto che queste dottrine non siano proposte come FORMALMENTE rivelate, in quanto aggiungono al dato di fede elementi non rivelati o non ancora riconosciuti espressamente come tali, nulla toglie al loro carattere DEFINITIVO, che è richiesto almeno dal legame intrinseco con la verità rivelata. Inoltre non si può escludere che ad un certo punto dello sviluppo dogmatico, l’intelligenza tanto delle realtà quanto delle parole del deposito della fede possa progredire nella vita della Chiesa e il magistero giunga a proclamare alcune di queste dottrine anche come dogmi di fede divina e cattolica” cioè come verità del primo tipo. AD esempio, “anche se il suo carattere di verità DIVINAMENTE rivelata fu definito nel Concilio Vaticano I, la dottrina sull’infallibilità e sul primato di giurisdizione del Romano Pontefice era riconosciuta come DEFINITIVA già nella fase precedente al concilio. La storia mostra pertanto con chiarezza che quanto fu assunto nella coscienza della Chiesa era considerato fin dagli inizi una dottrina vera e, successivamente, ritenuta come DEFINTIVA, ma solo nel passo finale della definizione del Vaticano I fu accolta anche come verità DIVINAMENTE rivelata.”
Le verità del secondo tipo, in quanto insegnate dal Magistero (con atto definitorio o con atto non definitorio) come DEFINTIVE ma non come DIVINAMENTE rivelate o FORMalmente rivelate, sono forse “meno verità” di quelle del primo tipo, e vanno quindi “credute meno” delle prime?
NO
“Per quanto riguarda la natura dell’assenso dovuto alle verità proposte dalla Chiesa come divinamente rivelate (1° comma) o da ritenersi in modo definitivo (2° comma), è importante sottolineare che non vi è differenza circa il carattere PIENO E IRREVOCABILE DELL’ASSENSO, dovuto ai rispettivi insegnamenti. La differenza si riferisce alla virtù soprannaturale della fede: nel caso delle verità del 1° comma l’assenso è fondato direttamente sulla fede nell’autorità della Parola di Dio [scritta o trasmessa; perciò tali dottrine sono insegnate come DIVINAMENTE rivelate] (dottrine de fide credenda); nel caso delle verità del 2° comma, esso è fondato sulla fede nell’assistenza dello Spirito Santo al magistero e sulla dottrina cattolica dell’infallibilità del magistero (dottrine de fide tenenda).”
Tra gli esempi di dottrine del secondo tipo la Nota adduce proprio il sacerdozio maschile:
“Per quanto concerne il più recente insegnamento circa la dottrina sulla ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini, si deve osservare un processo similare. Il Sommo Pontefice, pur non volendo procedere fino a una definizione dogmatica [cioè, fino a una definizione che definisce tale verità come DIVINAMENTE rivelata], ha inteso riaffermare, comunque, che tale dottrina è da ritenersi in modo DEFINITIVO… Nulla toglie che, come l’esempio precedente può dimostrare, nel futuro la coscienza della Chiesa possa progredire fino a definire tale dottrina da credersi come DIVINAMENTE rivelata”.
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_1998_professio-fidei_it.html#Nota dottrinale illustrativa
…promulgate, tutte queste DOTTRINE, da tutti uomini, ovviamente!
(o Gesù stesso non era un uomo?)
@ fortebraccio
basterebbe leggersi il vangelo e gli atti- non dico i padri della chiesa o i dottori della chiesa, ad un fortebraccio sarebbe chieder troppo,mi rendo conto- per spiegarsi il perché le donne non possono accedere al sacerdozio.
tra l’altro non c’è bisogno di un pronunciamento ex cathedra. poiché tali pronunciamenti sono solo l’esplicitazione di verità credute da sempre.( vedasi l’immacolata concezione,per esempio) ovvero di nuovo il vangelo, gli atti e la tradizione( in special modo dei primi secoli).
continui ad esercitarsi. magari, prima o poi, ci arriva. in fondo, senza l’esercizio di una retta ragione, ha le stesse possibilità che ha una scimmia di scrivere la divina commedia battendo a caso tasti sulla macchina da scrivere….
Un paio di domande/osservazioni
1) ma perché una donna dovrebbe fare il prete? È una vocazione che riconosci di avere, non una carriera lavorativa che decidi tu di intraprendere se ne hai voglia…
2) mi spiace per il buon fortebraccio (apprezzo sempre chi provoca rispetto a chi lascia correre) ma questo è decisamente il blog più “emancipato” che abbia mai trovato. Tant’è che qui si dice pane al pane, vino al vino, le cose come stanno, fregandosene del politicamente corretto imperversante. Spesso quanto viene definito “emancipazione” è schiavitù a falsi modelli (maschili), menzogne, oltre che rinnegamento della propria identità (femminile).
Velocissimo (scusa)
1) giusto, ma vale anche “perchė no” (se la domanda ė questa). Non ho ricevuto la chiamata vocazionale, ignoro “come sia”. Ma delle due l’una: o escludiamo a priori che Dio possa chiamare una donna (vedi la risposta di Alessandro), sennó…
2) son d’accordo sui falsi modelli maschili, purché con questo si voglia combattere l’autederminazione con l’imposizione di un set di modelli (non criticabili). Per esser chiaro: se il tuo modello ė Maria, benvenga; purché sia una scelta consapevole (libera in amor proprio, direi) sapendo/riconoscendo che esistono mille altri modelli che non ti calzano.
Questo punto ė quello secondo cui: “mio figlio nė frocio nė prete”. Per queste persone le due categorie sono impossibili, non inaccettabili, inconcepibili proprio. E c’ė differenza.