di Costanza Miriano
Ricevo a volte lettere di genitori che mi chiedono consigli rispetto ai figli che stanno diventando grandi. È giunto il momento di applicarmi sulla schiena la targa “non seguitemi, mi sono persa anch’io” che mi tenevo pronta da quando sono uscita dalla sala parto. Ero certa che prima o poi sarebbe successo, sarebbe arrivata l’adolescenza, e io mi sarei trovata impreparata. A quello che sto vivendo e, tanto più, a consigliare qualcun altro.
C’è però qualcosa che a noi credenti non può mai essere tolto, ed è lo sguardo carico di speranza con cui guardare al futuro nostro e di quelli che ci sono affidati. Io non so come si faccia a educare un adolescente, quale sia l’equilibrio tra l’indirizzarlo e il lasciarlo libero. Tra l’accompagnarlo passo passo e il sedersi in panchina a guardarlo sbagliare, resistendo alla tentazione di alzarsi gridandogli: «Si fa così!». Una cosa però la so. I nostri figli, come abbiamo fatto noi, devono attraversare la loro Babilonia, il loro esilio da deportati in una terra lontana. È il periodo, da giovani, in cui ci si ribella a tutto quello che si è imparato, lo si mette in discussione, pagando con la solitudine, il disorientamento, la fatica di ritrovare la strada di casa. Però, con lo sguardo di speranza di chi ha ricevuto la grazia della fede, noi credenti possiamo dire che ci fidiamo del Padre, nostro e dei nostri figli. L’esilio di Babilonia fu, per il popolo ebreo, un periodo di massima importanza.
Ci sono studiosi che pensano che tutto l’Antico Testamento fu messo per iscritto al tempo dell’esilio, quando il popolo dovette fare i conti con la sua storia e le sue radici. Se i figli non vanno in esilio, lontani da noi, se non ci mettono in discussione e non fanno proprie le parole che abbiamo ripetuto loro per anni, tenendone alcune, buttandone via altre, non saranno mai uomini e donne adulti. Il problema è solo quello di non farsi prendere dal panico quando li si vede partire per la loro Babilonia. Non inseguirli col golfino e la merenda e il telefono, tanto nel deserto non prende. Avere il coraggio di rimanere a casa ad aspettare. Torneranno. Spero.
fonte: Credere
Perché passino anche loro dalla fede dei padri a quella del Padre loro (e Padre Nostro).
Spero!
Dal tuo breve racconto sembra che i figli comunque sbagliano e i grandi sanno tutto. Unico problema è se intervenire sui figli passo passo o lasciarli andare guardandoli dalla “panchina” sperando che crescano attraverso l’esperienza dei loro errori e il ricordo dei consigli comunque dati. Ma la domanda se i grandi siano degli incapaci e che sia una benedizione che i figli scelgano di andare per conto loro non ce la facciamo?
“Se i figli non vanno in esilio, lontani da noi, se non ci mettono in discussione e non fanno proprie le parole che abbiamo ripetuto loro per anni … “. Verissimo, non posso ancora dirlo da papà ma da figlio si!
Vorrei dare un piccolo contributo.
Recentemente, mi è capitato di assistere allo sfogo di una mamma che raccontava di quanti problemi aveva con il figlio adolescente a un’altra mamma. Quest’ultima, che è un po’ più grande e c’è già passata, ascoltava annuendo e ad un certo punto gli ha risposto: “Se non riesci a parlare di Dio a tuo figlio, parla a Dio di tuo figlio”.
Articolo “superbo”.
Magistrale sintesi di una questione contemporanea.
Credo che la cosa più importante sia quella di non mentire mai ai propri figli. Di non sentirsi troppo più grandi di loro. Io con i miei tre ho buttato via tutte le maschere. Non ho avuto nessuna difficoltà a confessare loro i miei peccati, la mia ignoranza. Loro sono il nuovo, ho imparato molto da loro. In famiglia sono più protetti, da questo mondo, da questa scuola. I miei tre hanno 23, 18 e 17, i primi due maschi. Nella mia casa io parlo di Dio (Papà). Loro mi sfottono. Ma poi certe volte riesco a portarli a Messa. Devono vivere, devono capire. Papà non li abbandonerà. Mai.
L’ha ribloggato su mondidascoprire.
Se tutti i figli avessero seguito sempre e solo i consigli dei genitori, molto facilmente vivremmo ancora nelle caverne (e senza manco il fuoco!).
Affidiamoli con fiducia alla Mamma celeste, che sicuramente Lei non molla facilmente i Suoi figli…. 😉
E’ quello che succede nelle famiglie, è quello che succede nelle parrocchie. Le tue parole, cara Costanza, le accolgo anch’io come parroco. Da tempo, per fortuna, non sono più spaventato dall’esilio degli adolescenti e mi da anche un po’ fastidio che tanti confratelli preti se ne lamentino in continuazione. Eppure anche Gesù, nell’unico incontro con un giovane – il giovane ricco – non gli va meglio di noi. Gli espone le coordinate della salvezza e il giovane se ne va, triste. Gesù non gli corre dietro, attenuando le esigenze perché resti. Ma annuncia, piuttosto, che tutto è possibile a Dio. Forse il giovane tornerà, per quelle vie misteriose che solo Dio conosce, magari dopo aver dormito un po’ con i porci. Così anche il cosiddetto “figliol prodigo”. Forse, ripassando o ritornando a casa (o in parrocchia), i giovani vogliono verificare se siamo rimasti saldi, NOI ADULTI, nella nostra fedeltà. Forse è proprio questo uno degli aspetti sui quali vigilare, che le nostre case (o parrocchie) rimangano salde e accoglienti nella “caritas in veritatem”. Buon anno Costanza, grazie per le tue belle esperienze (anche quelle difficili) che possiamo conoscere, condividere e sostenere con passione e preghiera!
Don Giuseppe: smack! 😀
Finalmente un parroco che non si lamenta che gli adolescenti vanno in esilio, fanno delle esperienze altre e poi magari tornano , chissà, importante avere come dici una casa salda accogliente e fedele, per ripararsi quando le difficoltà incombono e ripartire quando si sono riacquistate le forze. La vita è un andare e venire è dinamica ecco perchè si progredisce altrimenti l’acqua stagna non si rinnova si imputridisce.
Don Bosco ci accompagna in questa missione importante e difficile di genitori / educatori : ragione, religione , amorevolezza, i pilastri su cui fondare le nostre fatiche quotidiane, con le “paroline da sussurrare all’orecchio” e la vicinanza che si fa prossimità.
Cara Costanza,
i figli sono occasione di crescita anche per noi genitori, sempre. Anche in questa parentesi più o meno lunga e travagliata che si chiama adolescenza.
Il rischio di smarrirsi non è solo loro, ma anche di noi, genitori.
E’ un momento di prova in cui siamo chiamati a dare le ragioni in Ciò in cui diciamo di credere, in cui siamo “costretti” a passare dalle parole ai fatti…
L’amore vicendevole tra i coniugi (=unione solidale), la compagnia guidata degli amici (=giudizio), la fede nel progetto buono di Dio per ognuno di noi (anche per i nostri figli!) e la pazienza, sono a mio avviso le sole “armi” vincenti per affrontare questa battaglia…
Ti (Vi) sono vicino con la preghiera e comprendo ciò che scrivi, perché lo sperimentiamo anche Marta ed io, ogni giorno.
Hai un grande uomo al tuo fianco e tanti amici che ti sostengono. Non cedere!
Con affetto,
Mario G.
Costanza, non posso dare consigli perché possiedo in questo il solo punto di vista del figlio – e da questo punto di vista, la mia Babilonia e la mia Terra Promessa tendono a coincidere…
Ma posso dire che… il telefono che nel deserto non prende è troppo bella 😀
Roberto, grazie. Detto da una che condivide entrambi i tuoi punti di vista … e che oggi aveva molto bisogno di non sentirsi l’unica a essere così. E’ confortante, quando c’è qualcuno che invece ti ricorda che siamo parte di una squadra 😉
Grazie a te, Viviana 😉
Parlo da figlia… e da ex (molto ex) adolescente…
Hai ragione, Costanza!
“Non inseguirli col golfino e la merenda e il telefono”: per un genitore il figlio è sempre “piccolo”, da curare, un po’ immaturo (e come potrebbe essere maturo come un genitore?), ha sempre da imparare. Ma nell’adolescenza la risposta che arriva da parte del figlio è disorientante, come spesso è un adolescente. Non disorientato ma disorientante. C’è la ricerca di mezzo… la libertà, l’indipendenza, il desiderio di essere grandi e pronti. Come quando si prende per la prima volte il volante in mano per guidare l’automobile: abbiamo studiato la pratica, se ci capiamo qualcosa, abbiamo imparato anche a conoscere il motore. Ma guidare è un’altra cosa e allora nella testa e nel cuore può esserci di tutto. Solo se ci affidiamo a Colui che l’automobile l’ha costruita e ha costruito anche le strade… siamo certi che sbandando ed uscendo dal tracciato, il ritorno è garantito.
Che è poi Colui che fornisce anche il “carro-attrezzi”… pronto intervento 24h su 24, numero verde sempre libero, rientro anche dall’ “estero” (e non devi essere neanche socio ACI… 😉 )
E anche a te Mario: ringraziamenti alla rinfusa, come wordpress comanda, ma sinceri 😉
Mario: fornisce di tutto e sempre roba utile, necessaria… 😉
Non solo “utile e necessaria”, ma IL MEGLIO!!
Ricordiamo ci sempre che siamo Figli di Re (come lo sono i figli a noi affidati) 😉
Mario: smack! 😀
Come fai a scrivere in grassetto? Oppure in corsivo? Solita ‘gnurant cun ‘na capra… 😳
Grazie anche a te Angela 🙂
Viviana: smack! :-d
Quando si parla di figli e della loro educazione mi appassiono sempre, è proprio un’avventura, una sfida! ne ho di diverse età, alcuni ancora adolescenti in piena Babilonia e alcuni già adulti oserei dire a cui guardare: e come diceva un educatore, se il rapporto educativo è vero, si può arrivare al punto di imparare dai propri figli.
…farai anche te come hanno fatto tutti, da sempre, senza bisogno di trascendentalizzare (scusate la banalità del pensiero e la imprecisione del termine)!
Eppure Alvise non è così…
Se vuoi passare la Fede ai figli (il termine biblico è “inculcare”…), non farai “come fan tutti” – che poi come fan tutti? Ognuno fa come crede e spesso come ha ricevuto a sua volta da figlio – e sarà inevitabile, anzi doveroso, “trascendentalizzare”.
Perché la nostra vita, al di là di come tu la possa pensare e lo sappiamo, non ha un orizzonte “piatto” ed orizzontale appunto. 😉
…come fan tutti nel senso che tutti hanno fatto qualcosa nel modo che l’hanno fatto e che pensavano (o non pensavano) andesse fatto, e così tutti quegl’altri a venire, noi inclusi, si farà secondum quantum cogitabimus, secundum scripturas o meno, ovviamente! Sto parlando di miliardi e miliardi di esseri umani (mi si passi il termine)!!!
p.s. che brutto vocabolo “inculcare”, anche solo a guardarlo!
Avevo capito cosa intendevi e puntualizzavo solo e principalmente sul “trascendentalizzare” 😉
Inculcare sapevo non ti sarebbe piaciuto… l’ho scritto apposta 🙂 e vedrai che ci saranno altri commenti…
…direi che per dare ai figli una educazione cattolica basterebbe (o non basterebbe?) ricordargli (quanto meno) di non abortire, di non ubriacarsi, di non commettere atti impuri, di rispettare i genitori, di non ammazzare, di non rubare, di non mentire, di andare in chiesa, di amare il prossimo.
Oppure (ma per questo bisogna avere la stima dei figli) che non facessero niente che si dovessero vergognare che i genitori sapessero.
Questo per i comandamenti.
La parte più difficile incomincia quando voi voleste che i vostri figli crescessero con le idee dentro di comunione con Dio coi santi con la chiesa e che vivessero l’eventuale patire che potrebbe aspettarli come la via maestra verso il cielo.
Può può darsi che i vostri rampolli vedendo i genitori che vivono con queste credenze gli piacerrebbe anche a loro
essere uguali. Ma basterrebbe che gli piacesse?
Le prime caro Alvise potrebbero anche essere intese come “regole del buon vivere” (a parte se vuoi l’andare a Messa…), ma questo non fa un Cattolico, né tanto meno un Cristiano.
Ma ancora una volta cadi, come molti, nell’equivoco… l’aver Fede, l’esser Cristiani non è qualcosa che si deve fare, perché si DEVE! Punto. Tanto più che la realtà dimostra che anche se insegniamo ai figli che si DEVE essere onesti, non è poi detto tutti lo siano…
Per i figli lo si vuole (o vorrebbe) e lo si desidera, perché si è fatta un’esperienza che vorremmo tutti condividessero, perché nella Fede in Dio si trova la Vita, quindi ancor più lo si desidera per i figli – come potrebbe essere diverso.
Va poi da sé che per ogni Cristiano è anche un dovere morale, l’insegnamento della Fede…
e si potrebbe continuare 😉
“Ma basterebbe che gli piacesse?”…. certo sarebbe un buon inizio. Se una cosa piace, vuol dire che la trovi bella, buona e verosimilmente desideri averla, quindi…
Ed ecco anche la responsabilità (e spesso la difficoltà) di mostrare – non solo a parole, ma con i fatti, meglio ancora con la vita – la Fede come qualcosa di desiderabile.
Vale per i figli, ma non solo 😉
…l’insegnamento della fede?
Come tu ben sai la Fede è fatta anche di conoscenze (e se vuoi di “nozioni”)… della Scrittura, della Storia della Salvezza, dei Dogmi, dei Precetti, della Teologia, ecc, ecc.
Forse che anche il più bravo dei Compositori o Maestro della Musica, fosse anche un genio prodigio, oltre al talento, all’ispirazione, alla passione, all’intuizione, allo “spirito della musica”, può prescindere dalla conoscenza delle regole e della prassi?
…no davvero!
A proposito di figli che vanno e che non torneranno mai…….
VOGLIO LA MAMMA – CAP. 10 LA VERGOGNA DELL’AFFITTARE UTERI
30 dicembre 2013 alle ore 13.02
La comunità Lgbt (lesbica, gay, bisessuale, transessuale per chi non fosse aduso all’acronimo ormai di moda) la chiama confidenzialmente “gpa”. Sta per “gestazione per altri” ed è il tentativo di dare un nome asettico ad una delle più grandi vergogne della contemporaneità raccontata invece come un decisivo elemento di progresso: l’affitto dell’utero di donne bisognose di denaro per portare a compimento gravidanze che la natura rende impraticabili, strappando poi il bambino pochi minuti dopo il parto e dopo un primo contatto tranquillizzante con il corpo della madre, per consegnarlo di solito ad una coppia di omosessuali benestanti che giocheranno a fare i genitori. Finché ne avranno voglia.
Ho già raccontato la vicenda di Elton John e del suo compagno, desiderosi di essere papà e mamma, anzi, come si dice oggi nell’era del politicamente corretto “genitore 1” e “genitore 2”. Poiché la biologia non rende possibile, per quanti sforzi possano essere compiuto, la nascita di un figlio per via naturale alla coppia in questione, nel tempo in cui tutto si compra loro si sono comprati un utero di una donna, che ha portato avanti la gravidanza dopo essersi fatta fecondare dallo sperma dei due mescolato, in maniera che al bimbo sia accuratamente vietato sia di avere contatti con la madre sia di sapere chi biologicamente sia suo padre.
Il racconto della nascita di questo bambino, che si chiama Zac, è di una violenza estrema e invece è stato incartato in “cool” patinato in tutto il mondo. Zac viene adagiato sul corpo della madre (tutti i giornalisti aggiungono “biologica”, in realtà è la madre punto e basta) e cerca immediatamente il suo seno. A questo punto, e il racconto di tutti coloro che assistono al momento del distacco tra il figlio e la madre “affittata” è concorde su questo elemento, in un clima di estremo imbarazzo il neonato che ha pochi minuti di vita viene strappato a forza al petto della mamma e consegnato a Elton John e il suo compagno, che se lo portano via. In numerose interviste il cantante britannico ha ripetuto che per due anni il bambino non ha fatto che piangere, un pianto inconsolabile, al punto che grazie alle decisive provviste di denaro Elton John decise di far prelevare dal seno della “madre biologica” (che per inciso vive a diecimila chilometri di distanza da Londra) il latte e farlo arrivare quotidianamente via jet privato in Inghilterra, per provare a lenire la sofferenza del piccolo Zac.
Io non so cosa ne pensiate voi. Io penso che tra quella coppia di ricchi gay e il dolore di quel bambino strappato alla madre, qualsiasi persona di buonsenso sta con il bambino. Il diritto da tutelare è quello del bambino che non conoscerà mai la madre per un capriccio di due che padre e madre non potevano e non potranno mai essere.
La questione della gestazione per altri riguarda poi in maniera determinante il tema della dignità della donna. Come possono le mie amiche di sinistra non offendersi sapendo che esistono parti del mondo, in particolare nei paesi dell’Est europeo e in India, dove sono state costruite vere e proprie “fabbriche di bambini” con centinaia di donne trasformate in incubatrici viventi e umiliate a suon di dollari, euro e sterline nella loro dimensione più intimamente femminile, quella della maternità? Come può essere accettabile ad un contesto civile questo scempio? Come può essere accettabile che a migliaia di bambini sia negato il diritto a conoscere la propria madre, perché i contratti che vengono stipulati vietano espressamente i contatti tra i nascituri e le donne che li hanno portati alla vita?
Per fortuna in Italia la gestazione per altri o maternità surrogata è per ora ancora vietata dalle legge. Questo divieto è raccontato, in particolare a sinistra, come una orribile limitazione della libertà individuale e della coppia. A mio avviso è segno di civiltà ed è uno dei motivi per cui va difesa la legge 40, vedi il capitolo precedente. Resta comunque legale anche per le coppie italiane, omosessuali o eterosessuali sterili, utilizzare la vergogna dell’affittare uteri all’estero e rientrare con il figlio, che però poi in alcuni casi ha rischiato di non veder riconosciuta la cittadinanza ed è per questo stato sottoposto ad ulteriore stress.
Si è riusciti a commercializzare tutto, persino la maternità. E’ il segno più barbaro del triste collasso valoriale della contemporaneità. Invece di stare con le donne più deboli, pagarle per trasformarle in macchine e violare il loro essere madre con l’atto violento di strappare poi il bambino neonato e vietare ogni contatto per via contrattuale. Nessun diritto ad avere una madre, si arrangi con quelli che l’hanno comprato come avrebbero fatto con una pietanza scaldata al microonde al supermercato. Cosa potete immaginare di peggio?
Concordo con tutto quello che scrivi, tranne una cosa: la legge 40 è una vergogna intollerabile che noi cattolici dovremmo impegnarci a far abolire.
VOGLIO LA MAMMA – CAP. 11 LA FAMIGLIA
4 gennaio 2014 alle ore 11.00
Il politicamente corretto vuole che si usi l’espressione “le famiglie”, per far capire che l’istituzione familiare classica è ormai in disuso e che tutto è famiglia, anche una zitella con gatto o una compagnia di amici che si dividono la casa. Attenzione, perché l’espressione “le famiglie” contiene anche un’intenzionale paraculata: se tutto è famiglia, niente è famiglia, dunque non possono esistere politiche di sostegno all’istituzione familiare che viene non a caso, in particolare dalla legislazione italiana, ignorata.
La moda corrente usa un’altra espressione, questa volta prelevata dal mondo della pubblicità, in senso spregiativo: “la famiglia del Mulino Bianco”. In questo caso l’attacco è rivolto a una iconografia che preveda la presenza di madre, padre e figli che si vogliono bene nell’atto di essere riuniti attorno ad un desco per consumare una colazione. Addirittura il proporre questa immagine è stato giudicato “educativamente disdicevole” da un’altissima carica dello Stato italiano, che ha avuto il coraggio di dire pubblicamente che la madre di famiglia che porta in tavolo il pasto quotidiano era una figura da abolire perché dava l’idea di una sottomissione della donna.
Il padre della “famiglia del Mulino Bianco” è quel Guido Barilla che, a seguito di alcune dichiarazione rilasciate ad una radio in difesa appunto della famiglia tradizionale, è stato minacciato da un boicottaggio a livello mondiale dei suoi prodotti e costretto a dichiararsi sostenitore dei più disparati modelli familiari, pur di non inimicarsi le potenti lobby del mondo omosessuale capaci di colpire molto duro in termini commerciali chi non si uniforma al pensiero politicamente corretto imperante.
Io non credo che esistano “le famiglie”. Certo, esistono diversi modi di aggregare persone sentimentalmente o occasionalmente unite da una coincidenza spazio-temporale. Ma non tutti coloro che vivono insieme sono famiglia. Lo dico perché sono convinto che proprio alla famiglia sia dovuto il massimo di attenzione e di sostegno da parte delle casse dello Stato. Uno Stato che va progressivamente verso una incapacità di sostenere meccanismi di welfare diffusi e universali, che dovrà necessariamente delegare alla dimensione privata la rete di solidarietà che sostenga i più deboli e l’architrave di questo nuovo sistema non potrà che essere quella dei vincoli familiari. E, attenzione, solo i vincoli familiari reali sono in grado di reggere questo peso, non quelli inventati e artificiali. Lo dicevo all’inizio: quando si è in difficoltà e spalle al muro, è la richiesta d’aiuto primigenia quella che si leva. Voglio la mamma.
Non esistono “le famiglie”. Esiste la famiglia. Un nucleo composto da un uomo ed una donna attorno al quale si costruisce un progetto di vita stabile e duraturo, che include in potenza o in atto la presenza di figli. Questa “famiglia del Mulino bianco” va sostenuta economicamente sempre di più da parte dello Stato, in particolare quando si fa carico di minori o di anziani non autosufficienti. E’ sommamente ingiusto che un padre e una madre con quattro figli e magari uno o due nonni in casa paghino le stesse aliquote fiscali di un single che si fa carico solo del proprio benessere. Può avvenire solo in un contesto in cui si afferma, appunto, che tutto è famiglia.
Scrivo una banalità che il legislatore deve però assolutamente trasformare in concretezza, per salvare una forma di welfare familiare di fatto già in atto che senza sostegno però rischia di naufragare: se con il mio reddito mantengo sei o sette componenti di un nucleo familiare, non posso pagare le stesse tasse del mio collega che con lo stesso reddito mantiene solo se stesso. Alcuni, stancamente, parlano durante ogni campagna elettorale di “introduzione del quoziente familiare”. Lo si dice da sempre, non lo si fa mai. Intanto però la famiglia è diventata le famiglie, nelle graduatorie per gli asili nido i figli di genitori single scavalcano i figli di famiglia numerosa, ancora una volta l’inversione dei criteri di razionalità comincia a produrre i suoi effetti.
Per quante invenzioni leggiate sui giornali, la società è ancora in prevalenza composta da nuclei familiari tradizionali: un papà, una mamma, dei figli nati dalla loro unione, sempre più spesso con gli anziani genitori non autosufficienti a carico. Questa “famiglia del Mulino bianco” ha bisogno di sostegno, da sola non ce la fa più. Su devastiamo questo contesto con l’irrisione prima e il mancato aiuto poi, devastiamo il tessuto sociale su cui si fonda il nostro vivere civile.
La priorità è aiutare i padri e le madri che fanno sempre più fatica ad arrivare a fine mese. Il resto viene dopo.
Educare significa proprio questo. Grazie, Costanza!
Cara Costanza Miriano, grazie per il Suo articolo, per i Suoi articoli che seguo sempre con grandissimo interesse. La Sua capacità di comunicare viene, e si percepisce, dalla vita vera, quella vissuta con amore e con speranza. Sappia che Lei è un importante riferimento per molte donne, per molti genitori, per molte persone. A Natale ho regalato agli amici più cari i Suoi libri, perchè amo condividere con le persone cui voglio bene ciò che mi sorprende e mi commuove, come appunto i Suoi scritti.
Grazie per il Suo coraggioso, indomito, ma anche ironico e incoraggiante impegno! anna
Grazie per le tue parole! Da figlia posso dire che hai proprio ragione: uno deve sbagliare, sbattere la testa contro il muro, per poi rendersi conto che quello che i genitori dicevano era vero; certo, sarebbe stato meglio non sbagliare affatto, ma alcuni (me compresa) certe cose le hanno capite solo prendendo qualche mazzata.
Valeria: smack! 😀
Paragonare il deserto, l’esilio, Babilonia al tempo dell’adolescenza è davvero… geniale. Grazie per la riflessione
buongiorno Costanza, Le chiedo un consiglio su come posso comportarmi con mia figlia di 14 anni che non vuole venire in Chiesa la domenica. Non me la sento di permetterle di rimanere a casa ma non sono nemmeno convinta che il mio “costringerla” perchè in sostanza si tratta di questo, possa dare frutti…. temo anzi che la cosa la contrari e la incattivisca ancora di più sentendosi obbligata a partecipare a qualcosa che per il momento, a suo dire, non la rappresenta….. è dunque tempo di fare un passo indietro e di continuare con l’esempio o è ancora tempo per lei di obbedire ?
grazie di tutto Costanza.