di Claudia Mancini – LaPorzione.it
«È spuntato per noi un giorno di festa, una ricorrenza annuale; oggi è il Natale del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo: la Verità è sorta dalla terra (Sal 85 [84], 12), il giorno da giorno è nato nel nostro giorno». (Sant’Agostino, Sermone 184/A)
Questo Natale – che celebreremo in un momento decisivo per il nostro Paese – è vicino, ma noi tutti siamo già nel «nostro giorno». Il mondo ha ancora bisogna del Natale? E quale speranza ci può dare?
Leggendo un articolo su La Civiltà Cattolica (Civ. Catt., anno 162 – vol. IV, Quaderno N°3875, pp. 425-530), ho scoperto che queste stesse domande – per noi così attuali – le formulò, nel lontano 1962, l’allora cardinale Montini nel Suo messaggio natalizio all’arcidiocesi di Milano. E, così, rispondendo a quelle domande – valide allora, come oggi – disse: «Potremmo intanto subito osservare che la parentela stessa del Natale con problemi generali e fondamentali del nostro tempo (perché una parentela c’è) meriterebbe da sola una considerazione particolare, che correggerebbe la futilità di tante forme celebrative ed eversive della bella e misteriosa festa religiosa e umana, ch’è il Natale. Lo potremmo definire la festa della nostra civiltà. Perché questa definizione? Perché ai nostri giorni, quando l’uomo spera, spera in realtà in se stesso, in una sorta di “umanesimo nuovo, sognato, mitizzato”. Eppure, parallelo a questo movimento di speranza, anzi sovente nel cuore stesso di tale movimento, nasce, come non mai, un senso di delusione, di pessimismo, di disperazione, proprio dell’uomo moderno verso se stesso, del quale sono testimoni non solamente le forme pratiche della vita e gli umori della gente, ma anche le espressioni artistiche e le riflessioni critiche del pensiero contemporaneo. Allora, il Natale, cioè l’inserzione di Cristo nel mondo, è precisamente l’offerta di un destino nuovo, vero, definito, possibile».
Il Natale cristiano, ieri come oggi, è «l’apertura del cielo sopra di noi», «la festa della nostra civiltà»: la festa di un umanesimo nuovo, fondato su una visione nuova del mondo, su valori diversi da quelli che hanno messo in crisi – anche e non solo – l’economia, su valori che sanno tenere accesa la speranza nel futuro e far reagire al pessimismo. Bisogna verificare – se sotto la coltre del declino del nostro Paese – ci siano ancora energie positive, iniziative propulsive, forze di cambiamento, e, quanto e come, il cristianesimo le alimenti o le possa alimentare.
Perchè queste parole non risuonino come una melliflua retorica dei sentimenti e delle buone intenzioni, ma siano sostenute e alimentate da un’autentica speranza umana e cristiana, sostanziamo tutto con un esempio preso dalla cronaca, un esempio tratto da quelle «forme pratiche della vita e degli umori della gente».
La notizia – che può fornirci questa ermeneutica del contingente – è, non sorprendetevi, la “missione lucchetti” sul Ponte Milvio, effettuata – pochi giorni fa – dal Sindaco di Roma Alemanno e dallo scrittore Moccia. ll XX Municipio di Roma ha approvato una mozione che dispone la rimozione dei lucchetti per motivi di ordine e decoro. Il sindaco Alemanno, in risposta, ha chiesto tempo al Municipio, e ha convocato Moccia con il quale ha fatto un sopralluogo sul ponte, per vedere se fosse possibile trovare «una soluzione alternativa». Per Moccia, si tratta di una crociata inutile: «Ponte Milvio – era priva di attrazione, i lucchetti hanno portato colore…Centinaia di giovanissimi – aggiunge lo scrittore – ma soprattutto turisti, vengono da tutto il mondo per visitare il ponte degli innamorati. Se davvero avessi il potere sui ragazzi, gli direi di assaltare il Municipio come Fort Apache».
Il “santuario” delle speranze tristi, quindi, sta per essere abbattuto. Sì, perché – se è vero che «Quando Dio non c’è, tutto è Dio» – il “popolo dei lucchetti” che si dirige verso Ponte Milvio, a ben riflettere, non è altro che un popolo in “pellegrinaggio”, diretto verso un “santuario” pubblico, per celebrare ritualmente la propria “religione” dell’amore umano. Gli stessi giovani, sempre più increduli nel matrimonio, come sacramento o rito civile, dimostrano, tuttavia, di voler cercare ancora una legittimazione pubblica al proprio sentimento, un “rito” e un “contratto”, per quanto autoreferenziali. I giovani, poi, increduli nello Stato e nella politica, “taggati” – in ogni scelta – dalla dannazione della precarietà del futuro e dall’inconsistenza del presente, cercano – comunque – un lucchetto da chiudere: si aggrappano, per non disperare, anche alla triste (non)speranza di un “for ever”, alla (non)solidità presente di qualche grammo di metallo o di qualche scritta su un muretto. Oggi «quando l’uomo spera, spera in realtà in se stesso, in un umanesimo nuovo, mitizzato» – diceva il cardinale Martini – e quella sul Ponte Milvio, infatti, non sembra altro che la comtiana “Religione dell’Umanità”, una religione che si illude – e illude – di poter arrivare “tre metri sopra il cielo”: tre metri sopra Dio. La scalata dell’uomo a farsi come Dio (eritis sicut dei) – la moderna Torre di Babele – oggi sembrerebbe ridotta ad un ameno ponte di lucchetti, per di più agilmente praticabile in pianura. I giovani sperano solo in se stessi, mentre, tra di loro, avanzano “guru” deresponsabilizzati – come Moccia – che ripetono, perché costa poco, la stessa cosa: “sperate solo in voi stessi”. «Parallelo a questo movimento di speranza, anzi sovente nel cuore stesso di tale movimento, nasce, come non mai, un senso di delusione, di pessimismo, di disperazione» – diceva Martini –, e così è stato, anche in questa piccola ma esemplare storia: il potere pubblico, per motivi di ordine e decoro, sta per rimuovere perfino il “santuario” delle speranze tristi, nate anche dal vuoto di una politica che per i giovani legifera ed amministra solo precarietà; il “guru” Moccia, santone della loro speranza “for ever”, non può salvare ciò che, del resto, non salva: la speranza, per definizione, non può essere fondata sul contingente; il presente di un sentimento non può generare – da solo – la garanzia di un sentimento eterno, e molti giovani, questo, lo hanno già disperatamente sperimentato: quando hanno visto l’assurda caricatura di un “lucchetto”, che muore in un cuore ma sopravvive su un ponte.
I giovani non sono tutti incapaci di desiderare speranze fondate e lavorare per fondare le loro speranze, ma sono anche così, e questo basta per parlare di “emergenza educativa”. Gli adulti, dall’altra parte, non sono tutti incapaci di fondare nei giovani la speranza, e tramandare loro speranze fondate, ma molti lo sono, e questo basta per far parlare di “crisi di generazione” e, ancor più, di “crisi di generatività” dei nostri giorni. L’adulto invece di guidare, formare, orientare, detiene un potere logoro e infruttuoso, senza lasciare spazio ai giovani che attendono contenuti e ricevono – spesso – solo contenitori. I giovani, dall’altra parte, reclamano spesso un posto ed una visibilità fine a se stesse, perché incapaci di essere portatori di contenuti validi ed alternativi, di essere giovani, cioè, di “iuvare” alla società. Le generazioni entrano in conflitto tra di loro, e la società tutta diventa incapace di essere veramente umana, cioè autenticamente generativa: «La soggettività umana è soggettività generativa, sia in quanto essenzialmente bisognosa di essere generata per giungere a se stessa, sia perché matura e conciliata con se stessa solo nella misura in cui è capace, a sua volta, di generare (capace, cioè, sia di ricevere bene da altri, sia di farlo ad altri)» (F. Botturi, Che cos’è la generatività, in, www.generativita.it ).
La nostra società, sembra aver dimenticato che l’essere umano è costitutivamente generato e generativo, cioè, che la “generatività” è la sua essenza: la sua umanità non può realizzarsi e completarsi se, una volta generato, non lo si mette nella possibilità di sviluppare tutte le sue potenzialità generative e creative.
Ecco, allora, perché – come diceva il cardinale Martini – «il Natale, cioè l’inserzione di Cristo nel mondo, è precisamente l’offerta di un destino nuovo, vero, definito, possibile»: il Natale cristiano è la «festa della nostra civiltà», cioè, la festa di un umanesimo umano in cui la “generatività” è riconosciuta e promossa come costitutiva dell’essere umano, perché il Figlio stesso, «generato, della stessa sostanza del Padre», non ha dis-degnato di nascere, come uomo, da una madre:
«Colui che sostiene il mondo intero giaceva in una mangiatoia: era un bambino ed era il Verbo. Il grembo di una sola donna portava colui che i cieli non possono contenere. Maria sorreggeva il nostro re, portava colui nel quale siamo (cfr. At 17, 28), allattava colui che è il nostro pane (cfr. Gv 6, 35). O grande debolezza e mirabile umiltà, nella quale si nascose totalmente la divinità! Sorreggeva con la sua potenza la madre dalla quale dipendeva in quanto bambino, nutriva di verità colei dal cui seno succhiava. Ci riempia dei suoi doni colui che non disdegnò nemmeno di iniziare la vita umana come noi; ci faccia diventare figli di Dio colui che per noi volle diventare figlio dell’uomo. (Sant’Agostino, Sermone 184/A)
Santo Natale a tutti, tre metri sopra Ponte Milvio.
fonte: LaPorzione.it
L’uomo ed il Santo Natale, la Natività del Redentore, di colui che ci libera dalla schiavitù del male.
Per secoli era chiaro cosa fosse questo momento, non c’erano consumi da incrementare, vacanze da fare, settimane bianche, regalini più o meno sentiti. Potrei continuare, ma non sto criticando il Natale di oggi, non sono all’altezza di farlo. Ho udito per anni strali natalizi contro il Natale commerciale e non conducono in nessun porto. No, sto riflettendo su cosa era il Natale prima della Rivoluzione francese o in pieno medioevo. Come vivevano questa circostanza spirituale i nostri avi? Come si raccoglievano con le loro poche cose accanto agli altri e davanti a Dio, che si faceva uomo tra di loro ?
I presepi ci danno immagini dai contorni forti. Ci possono evocare il sentimento dell’uomo davanti ad un bambino che è paradosso tra la Sua infinita debolezza (apparente) e la Sua infinita forza divina (reale) .
Ed è’ reale quella percezione di lontani giorni ovattati, dolcemente passati tra parenti e amici davanti a caminetti caldi e Chiese freddissime, ma calde della Sua Tenera Infinità che si porge a noi come carezza di Neonato tanto piccolo quanto insondabile nel mistero che lo avvolge.
E’ sicuramente una dimensione del silenzio, dell’oscurità delle lunghe notti di dicembre, che ci porta lontano dal frastuono accecante che viviamo.
Siamo tutti disturbati da questo ritmo confuso e convulso. Io però sfruttando la tristezza e la paura della crisi economica che c’è in tutti e che si aggiunge “come non mai, al senso di delusione, di pessimismo, di disperazione, proprio dell’uomo moderno verso se stesso, del quale sono testimoni non solamente le forme pratiche della vita e gli umori della gente, ma anche le espressioni artistiche e le riflessioni critiche del pensiero contemporaneo”(Montini 1962) ho cercato una risposta da Lui.
Mi son detto pregando: Cristo cosa mi suggerisci per superare il frastuono,la paura, quel senso d’essersi perduti in bosco innevato senza riferimenti…
Una Santa Messa secondo lo spirito che il nostro S.Pietro mette nella “Caritas in veritate”, una Messa del lavoro, nel lavoro, per il lavoro che in questo momento sentiamo come frontiera del nostro dolore e della nostra angoscia.
Una Messa aziendale, libera, senza alcuna costrizione ed obbligo.
Una S. Messa prima della cena di Natale. Una Messa romana antica, solenne,cantata. Con i canti gregoriani, lo Stabat Mater di Pergolesi, il Gloria di Vivaldi.
Una Messa dove la bellezza raccolta, discreta, lieve e profonda si sposasse con lo Spirito del Risorto Nascente. Poi una lettera e.mail di invito a tutti i miei collaboratori che ha sorpreso, spiazzato, ma non ha trovato opposizione anzi è stato come dire…perché non pensarci prima? perché non s’è ancora fatto ? ne abbiamo bisogno come non mai.
E su 140 persone invitate della sede e delle filiali italiane, hanno risposto all’invito della cena in 115 e su 115 sono venuti nella Chiesa Trinitaria di inizio ‘700 di San Ferdinando Re nella mia città Livorno in poco meno di 100. Ed hanno ascoltato prima di cominciare due parole sul rito antico, sulla liturgia di 17 secoli, su come abbiamo sempre pregato prima che il mondo cambiasse nel frastuono.
Poi è iniziata la S. Messa.
Alla fine c’erano sguardi silenziosi, ma sorridenti, c’era nell’aria come qualcosa di Sacro. Le persone per un minuto dopo la fine della messa non si sono mosse, sono rimaste a guardare l’altare, i Crocefissi, la Madonna, i Santi…parevano come se stessero ancora in una pausa d’oblio dove si fossero allontanati del passato, delle angosce e si fossero rifugiati tra quelle manine del Santo Bambino Nascente . Sono stato io che ho “rotto le righe” avvicinandomi.
Poi la cena è stata divertente tra canti di lirica e moderni con pause di cabaret, tutto su iniziativa dei miei bravi dipendenti. Ma alla fine in diversi mi hanno detto : Umberto una volta l’anno è troppo poco, il prossimo Natale è lontano, perché non facciamo una Messa per la Pasqua e poi un’altra cena (o pranzo). Altri insistendo dicevano : guarda che la Pasqua è più importante del Natale per un cristiano….
Io non sapevo quanta voglia di Dio ci fosse tra quelle persone…quanto bisogno di Fede !!
Si parla di merci, di contenitori, di noli marittimi eppure non c’è alcuna barriera per quei cuori.
Cristo, lo Spirito Santo mi ha dato coraggio, mi ha sostenuto …sembrava difficile ed invece era cosi facile…ma cosi facile .
Adesso il Bambino mi sta tra i reparti e le scrivanie da dove pareva l’avessero cacciato…ma sembrava a noi, non a Lui.
Buon Natale a tutti
Buon Natale pure a te, Umberto!
(grazie per aver condiviso questa esperienza intensa e anomala)
Ti ringrazio e ricambio Alessandro,
è anomala perché i 2 secoli che sappiamo hanno cacciato Cristo dai luoghi di lavoro (e poi si pretende che il lavoro vada bene e ci sia pace!), ma Il nostro grande Benedetto XVI ha esplicitamente indicato che dopo il ritorno di Cristo tra le classi e nella società (Rerum Novarum) oggi Cristo deve tornare nelle aziende, tra le aziende.
Non parole, fatti. Cristo è un fatto.
Una vita che piega e cambia (verso la Luce). Mi piacerebbe condividere questi temi e aspetti di vita quotidiana con tutti i fratelli del blog.
Sarà perchè sono dei gemelli (ho voluto dire il mio bravo luogo comune), ma se non “pratico” le mie tensioni spirituali, l’altro gemello quello concreto dell’azienda dice che poi sono solo chiacchere (e non ha torto!)
p.s. complimenti per i tuoi post che leggo sempre con interesse ed arricchimento, il tuo bisogno di Dio ci è prezioso.
caro Umberto, grazie per il generoso apprezzamento!
Ti rinnovo la mia stima, insieme con i più sentiti auguri per un Santo Natale!
Credo che, se venisse data comunicazione dell’orario e luogo della prossima S. Messa aziendale, qualche imboscato desideroso di partecipare si troverebbe (senza cena, ovviamente 🙂 )
Cara Emidiana, se ho capito bene saresti interessata a partecipare alla prossima S.Messa? Se è così sappi che ho sempre avuto un debole per gli “imboscati”di questo tipo….se li trovo poi li invito anche alla cena!
Ma tu dove abiti ?
Io sono lucchese,ma abito ad ho l’azienda a Livorno.
La prossima sto pensando di farla per il venerdì di Pasqua (settimana dopo la S.Pasqua). Per ora è un ipotesi, ma vorrei concretizzarla.
Martini o Montini?
Per il resto il solito frasario di luoghi comuni!!!
Ma chi è questo Moccia?
Alcide, Moccia e’ il (pessimo) autore di romanzetti quali ” Tre metri sopra il cielo” e ” Scusa ma ti chiamo amore”.
Scusa, mi e’ partito Alcide anziche’ Alvise…
Alvise, Ludovico, Clodoveo, Luigi, Alcide, Alcione, Alceo, Alcesti…
Alcide o Alvise?
Per il resto il solito frasario di luoghi comuni!!!
“Per il resto il solito frasario di luoghi comuni!!!”
Sempre di buonumore, Alvise!
Martini o Montini me lo sono domandato anch’io
Luoghi comuni non mi sembra proprio
buon per te che ignori Moccia potrebbe esserti letale
c’è un abisso tra i due! E comunque 1962 è Montini, di lì a poco Paolo VI
mi riferivo a quando Claudia dice:
oggi «quando l’uomo spera, spera in realtà in se stesso, in un umanesimo nuovo, mitizzato» – diceva il cardinale Martini
visto che prima citava Montini ho pensato ad una svista
Chesterton: grande poesia (per un bambino non nato)
If trees were tall and grasses short,
As in some crazy tale,
If here and there a sea were blue
Beyond the breaking pale,If a fixed fire hung in the air
To warm me one day through,
If deep green hair grew on great hills,
I know what I should do.In dark I lie: dreaming that there
Are great eyes cold or kind,
And twisted streets and silent doors,
And living men behind.Let storm-clouds come: better an hour,
And leave to weep and fight,
Than all the ages I have ruled
The empires of the night.I think that if they gave me leave
Within that world to stand,
I would be good through all the day
I spent in fairyland.
Si può sperare e sperare, ma senza Dio ogni speranza è monca e insipida, ad una ad una tutte svaporano, e tutto corre verso la morte.
“L’uomo ha, nel succedersi dei giorni, molte speranze – più piccole o più grandi – diverse nei diversi periodi della sua vita. A volte può sembrare che una di queste speranze lo soddisfi totalmente e che non abbia bisogno di altre speranze. Nella gioventù può essere la speranza del grande e appagante amore; la speranza di una certa posizione nella professione, dell’uno o dell’altro successo determinante per il resto della vita. Quando, però, queste speranze si realizzano, appare con chiarezza che ciò non era, in realtà, il tutto.
Si rende evidente che l’uomo ha bisogno di una speranza che vada oltre. Si rende evidente che può bastargli solo qualcosa di infinito, qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere. […]
Ancora: noi abbiamo bisogno delle speranze – più piccole o più grandi – che, giorno per giorno, ci mantengono in cammino. Ma senza la grande speranza, che deve superare tutto il resto, esse non bastano. Questa grande speranza può essere solo Dio, che abbraccia l’universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere. Proprio l’essere gratificato di un dono fa parte della speranza. Dio è il fondamento della speranza – non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme. Il suo regno non è un aldilà immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge. Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto.
E il suo amore, allo stesso tempo, è per noi la garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell’intimo aspettiamo: la vita che è « veramente » vita.”
(Benedetto XVI, Spe salvi, 2007, nn. 30-31)
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
Clemente Rebora (1913-1957) dal letto della sua infermità, per il Natale del 1956
Da “Gesù il Fedele (Il Natale)”
Egli, il Bimbo diritto, venuto a rapire
quel che c’è di materno
nel cuore di pietra dell’uomo,
a farlo di plebeo superno
[…]
Gesù il Fedele, e il Verace,
che giudica e combatte, giusto:
Re dei re e Signore dei dominanti;
Gesù il Fedele, il Verace che monta,
su tutti, un candido cavallo,
bianco cavallo ove son fuse in pace
la Tuttasanta Madre degli Amanti,
il Santo Padre guida degli erranti,
l’Eucaristia che chiama al Cielo i Santi:
troneggia il cavallo che in candido velo
è redimito di Sangue,
e il suo nome si chiama il Verbo di Dio:
formidabilmente vittorioso
contro il male che tenta e ritenta d’ogni parte,
e si riversa esangue…
Una poesia proprio brutta!!!
Sia le parole che la musica….
Proprio brutta non direi, penso anch’io che Rebora abbia scritto di meglio, ma a me suscita commozione pensarlo gravemente infermo a poetare sul Natale…
Paolo VI…
indimenticabile l’omelia per la S. Messa di mezzanotte al centro siderurgico di Taranto, nel S. Natale 1968. Il quadro economico-sociale è molto mutato, ma il messaggio è ancora vibrante e attuale
“Lavoratori, che Ci ascoltate: Gesù, il Cristo, è per voi!
Ricordate e meditate: il Cristo del Vangelo, quello che la Chiesa cattolica vi presenta e vi offre, è per voi! Questa notte è con voi!
Non abbiate timore che questa presenza, questa alleanza, vissuta nella fede e nel costume, voglia mutare l’aspetto, la finalità, l’ordinamento d’un’impresa come questa, e d’altre simili; voglia cioè, come volgarmente si dice, clericalizzare il lavoro moderno dell’uomo, ovvero frenare la sua espansione, opporre la finalità religiosa della vita allo sviluppo dell’attività umana, il Vangelo al progresso scientifico, tecnico, economico e sociale.
[…]
Cari Lavoratori! sono parole difficili? No; sono parole consolanti, e proprio per voi, che vivete in questo quadro, che sembra a prima vista un enigma formidabile, un intreccio di macchine e di energie incomprensibile, un regno della materia che dispiega certi suoi segreti, che voi trasformate con una lotta tremenda e abilissima in elemento utile ad altri lavori, perché sia poi utile al servizio e al bisogno dell’uomo. Voi avete davanti una visione estremamente realista, ma non materialista. Voi sapete come trattare la materia, che sembra ingrata e refrattaria ad ogni tentativo dell’arte umana; sapete trattarla e dominarla, perché, da un lato, siete diventati così intelligenti, voi e chi vi dirige, da scoprire le leggi nuove del mestiere umano, cioè dell’arte di dominare le cose, e, d’altro lato, avete scoperto, voi e i vostri maestri, le leggi nascoste nelle cose stesse: le leggi? Che cosa sono le leggi, se non pensieri? Pensieri nascosti nelle cose, pensieri imperativi che non solo le definiscono con i nostri nomi comuni, ferro, fuoco, o altro, ma che danno ad esse un loro essere particolare, un essere che da sé, è evidente, le cose non sanno darsi, un essere ricevuto, un essere che diciamo creato. Voi incontrate ad ogni fase del vostro immane lavoro questo essere creato, che VUOL dire pensato. Pensato da Chi? Voi, senza accorgervi, estraete dalle cose una risposta, una parola, una legge, un pensiero, ch’è dentro le cose; un pensiero che, a ben riflettere, ci porta a rintracciare la mano, la potenza, che diciamo?, la presenza, immanente e trascendente, cioè li dentro e li sopra, d’uno Spirito Pensante e Onnipotente, al quale siamo abituati a dare il nome, che ora Ci trema sulle labbra, il nome misterioso di Dio.
Cioè, cioè, cari Lavoratori! voi vedete come quando lavorate in questa officina è, in certo senso, come se foste in Chiesa; voi, senza pensarvi, voi qui venite a contatto con l’opera, col pensiero, con la presenza di Dio. Voi vedete come lavoro e preghiera hanno una radice comune, anche se espressione diversa. Voi, se siete intelligenti, se siete veri uomini, potete e dovete essere religiosi, qui, nei vostri immensi padiglioni del lavoro terrestre, senza altro fare che amare, pensare, ammirare il vostro faticoso lavoro.”
Santo Natale a tutti!!! Sono onorata di essere stata pubblicata qui in questo giorno, ringrazio infinitamente Costanza e chi me l’ha fatta conoscere. Ho conosciuto tante persone su questo blog, ci sono stati incontri ed anche “scontri”; per me è stato un modo -comunque- per crescere e “sottomettermi” alla verifica più dura, quella con me stessa. Forse saranno anche questi luoghi comuni, non sta a me dirlo. Preciso solo che sulla Porzione.it abbiamo il “vincolo” della cronaca, per questo ho scelto – a titolo esemplificativo- il “caso Moccia”; un caso, certo, che ha comunque un senso più ampio, se trasceso alla luce delle parole del cardinale Montini: come esempio di tutte quelle forme nelle quali “l’uomo spera solo in se stesso”. Il concetto di “generatività”, invece, l’ho trovato molto denso e, potenzialmente, ricco di echi che potrebbero essere di grande giovamento, in questo momento, al nostro Paese. Se ne avete voglia, visitate il sito. Auguri a tutti, di cuore.
“Si può sperare e sperare, ma senza Dio ogni speranza è monca e insipida, ad una ad una tutte svaporano, e tutto corre verso la morte.”
Un altro “apoftegma”?
Ad ogni modo che “tutto corre verso la morte” è sicuro!!!
sei impagabile, Alvise! Questi (i tuoi) sì che sono apoftegmi (mi pare, a me)! 🙂
Alvi’, di che ti lamenti, se ti ritrovi in parte del mio “apoftegma”?
Mi pare un tantino integralista la frase ” Si può sperare e sperare,ma senza Dio ogni speranza è monca ed insipida,ad una ad una tutte svaporano e tutto corre verso la Morte”. A parte che tutto corre verso la morte anche quando hai Dio dentro. In secondo luogo non ti è mai capitato di incontrare persone senza Dio serene,appagate,fiduciose ? Se non ne hai mai incontrate,ecco mi presento.
io ci vedo solo espressa la convinzione di un cattolico, senza alcun “integralismo”.
Quale cattolico potrebbe pensare che, se fosse per ventura privato della fede in Dio, se cessasse di credere nella salvezza eterna, ogni speranza che gli capitasse di nutrire ancora non si rivelerebbe inconsistente, evanescente, e via con i sinonimi (monca, insipida e quant’altro)? Chi ha fede ritiene che la morte non abbia l’ultima parola, non signoreggi questo rapido trascorrere terreno, che se la morte abbonda la vita sovrabbonda (il che non esonera neppure il cattolico dall’umanissima paura di morire).
Di persone senza Dio non ne ho mai incontrate, nemmeno lei lo è (al massimo lei non crede in Dio, che è faccenda diversa), di persone che si considerano “serene, appagate, fiduciose” e non credono in Dio ne conosco ma ciò non toglie che a loro, e a lei con loro, seguito rispettosamente a ripetere la frase “incriminata”, ossia continuo a far notare che una speranza che non osi sperare la beatitudine eterna è una speranza deludente (monca, insipida, evanescente, e via con i sinonimi e le variazioni sul tema).
E poi certe affermazioni io le trovo tristemente dicotomiche. Noi/loro. Quelli con Dio/Quelli senza Dio. Il sè/l’Altro. Ciò che separa a mio avviso non è bene.
“Noi/loro” e “Il sè/l’Altro” non sono dicotomie che pratico.
“Quelli con Dio/Quelli senza Dio”: veda quanto le rispondo qua sopra a proposito della locuzione “senza Dio”.
Alessandro:
Le cose che ci sicuramente abbiamo TUTTI in comune sono:
1) la vita
2) la morte
E fin qui non ci piove…
a me intriga assai il dopo-morte
anche lì sappiamo fare distinzioni, Alvise… il mio parroco dice che «la morte sarà anche uguale per tutti, ma il funerale no». 🙂
cinismo a parte, intende che quello è un momento solitamente rivelativo della qualità della vita di una persona… si vede che la vita sarà pure “das Selbe” per tutti, ma certamente non “das Gleiche”! 🙂
Alvise, a Rebora preferisci Pascoli?
LE CIARAMELLE
di Giovanni Pascoli
Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.
Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata ne’ suoi tuguri
tutta la buona povera gente.
Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d’ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.
Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.
Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;
suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.
O ciaramelle degli anni primi,
d’avanti il giorno, d’avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
conscie del nostro breve mistero;
che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s’accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.
Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;
sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!
Va molto meglio!!!
uè raga’ auguri di buon Natale a tutti!
Pure da parte mia!
Si, Buon Natale a tutti!
“come non mai, al senso di delusione, di pessimismo, di disperazione, proprio dell’uomo moderno verso se stesso, del quale sono testimoni non solamente le forme pratiche della vita e gli umori della gente, ma anche le espressioni artistiche e le riflessioni critiche del pensiero contemporaneo”
…e quindi( pur coscienti che siamo il pulviscolo dell’universo) è il giunto momento di rimboccarsi le maniche e fare meglio (tutti)
Buon Natale e Buon Anno Nuovo a Tutti!!!
Buon Natale anche a te, Alvise! (lascia perdere il pulviscolo 🙂 )
zio Scrooge, ti aspettiamo, vedi di arrivare puntuale al cenone!
Santo Natale a te e a tutti! 🙂
«E che Dio benedica… tutti quanti!»
Ci risiamo: un tipo qualsiasi dice qualcosa che non piace e questo, suo malgrado, viene prima trasformato in un “esempio”, un “modello” (nonostante non abbia fatto nulla nell’intenzione di diventarlo) per poi essere così più facilmente criticabile e attaccabile. In questo blog era già successo con Vasco e ora con ‘sto poveraccio…
Non so propio chi possa considerare Moccia come un guru, anche tra i giovani dei lucchetti. I quali, secondo me, non fanno nient’altro che seguire una moda, quella dei lucchetti appunto. Rito disperato? Né più né meno dell’intagliare i propri nomi su un albero (o sui banchi di scuola o di chiesa). O, per i meno vandalici, dello scriverli sul diario o sul proprio zaino.
Tutti segni di una “Religione dell’Umanità”? O di un ” “santuario” delle speranze tristi”? Non mi pare proprio. Né mi pare che quello di illudersi dell’infinità dell’amore umano adolescenziale (e non) sia un fenomeno nuovissimo. Anzi.
Quindi, che dire di questo post? Solo un semplice e riassuntivo mah…
Adriano, i tuoi semplici e riassuntivi “mah” sono illuminanti e chiarificatori come gli “e ho detto tutto” di Peppino De Filippo in un noto film con Totò.
Buon Natale!
Non conosco il film a cui ti riferisci. Comunque è tutto spiegato e argomentato nei paragrafi precedenti. 🙂
Buone feste!
@Adriano: è Natale e quindi ti abbraccio e ti faccio gli auguri poi un altro giorno ti dirò perchè non si possono non conoscere certe citazioni di Totò 😉
Ognuno conosce le citazioni che può, o che vuole. 🙂
Auguri anche te.