Niente di ciò che soffri andrà perduto. Mistica della vita quotidiana

Esce oggi per Sonzogno Niente di ciò che soffri andrà perduto. Mistica della vita quotidiana

di Costanza Miriano

Di solito era una di quelle domande con cui i figli mi bloccavano quando furtivamente, scansando a piedi scalzi scenari di guerra a terra (soldatini schierati a difesa del dinosauro capo, che si chiamava Sindacon) o teatri d’amore (due principesse che se le erano date di santa ragione per un bel tomo dal mantello azzurro), cercavo di raggiungere l’agognata meta serale, il divano sul quale svenire ingerendo dalle sei alle ottocento calorie di risarcimento.

“Mamma, ma se Dio è buono, perché si muore?” No, dico, avrei risposto velocemente e a caso a qualsiasi altra domanda al mondo (la Roma vince domani?, sì certo; perché la zia era così allegra?, perché era ubriaca, è ovvio; perché i dinosauri si sono estinti? perché non facevano i compiti per scuola, è chiaro). Qualsiasi quesito. Ma “perché il male”, no. “Perché la morte”, no, vi prego, non a quest’ora, se non dormo entro due secondi sbrocco. Eppure sono quelle domande che non puoi liquidare, neanche se non dormi da ventidue ore e cammini appoggiandoti ai muri.

Ecco, il problema è che anche da sveglia, io non so come rispondere, esattamente.

Non so cosa dire di fronte alla vita dell’amica colpita dalla malattia dei figli, di lui tradito che rimane al suo posto, o quando parlo con la mia amica a cui è morto un marito fantastico, e che fa da padre e madre a un sacco di figli e porta dei pesi incredibili, complicazioni di ogni genere, che mentre me le racconta io che ero arrabbiata per un voto sbagliato dato a mia figlia vorrei percuotermi da sola con una cornamusa.

Ecco, sul perché rivolgetevi ai teologi, anche se un frate che stimo molto dice sempre di diffidare di chi vuol spiegare il male. Però quello che ho capito io sull’argomento, anche se è poco, è troppo importante, e volevo scriverlo nella speranza di riuscire anche a farlo mio (come sempre, sulla teoria sono abbastanza ferrata).

Ecco, provo a dirlo con parole mie: quello che Dio desidera più di tutto è entrare in un rapporto personale con alcuni di noi. Dico alcuni perché secondo me solo ad alcuni di noi interessa, e lui è cortese, non si impone mai, rispetta i nostri desideri e la nostra libertà, sacra e importante per lui più della nostra stessa salvezza. Questo rapporto personale, però, non possiamo averlo se non apriamo la porta della stanza più interiore e sacra di noi. La cabina di regia, quello che ci fa vivere. Questa porta, però, la sfonda solo una perdita di qualcosa, una mancanza, un dolore. Una fragilità che ci faccia abbassare le difese e riconoscere che abbiamo bisogno di un Altro, perché da soli non ci bastiamo.

Invece la cosa che a Dio dispiace di più è quando abbiamo un rapporto pagano con lui: se io ti do queste preghiere, tu poi devi fare questo per me. Questa è una roba da mercanti (non a caso quelli con cui si arrabbia tantissimo Gesù nel tempio), mentre lui vuole che noi siamo suoi figli, vuole darci tutto.

La storia che Dio fa con ognuno di noi è unica, non è in serie. Per ognuno di noi lui pensa un modo speciale per cercare di bussare alla porta, e poi, se rispondiamo, sfondarla. Questo modo, per un mistero che come dicevo non so spiegare, è una croce – simbolo e cuore della nostra fede – esattamente della misura, del peso, del materiale giusto per noi. Ci vuole un po’ a capirlo, che quella cosa contro la quale brontoliamo, imprechiamo, gridiamo (ognuno ha il suo modo, io sono più del tipo lamento e recriminazione continua, tipo “Dio non sa cosa ho fatto per lui”) è invece esattamente quella giusta per noi. E che attraverso quella fatica Dio sta parlando alla nostra vita, per salvarla (Dio non ti odia, ti allena, ho letto su Twitter, vorrei conoscere il genio).

Ovviamente è molto più facile vederlo nelle vite degli altri, e così, mentre continuo a brontolare a Dio (prima o poi mi lascia), quando vedo le vite degli altri mi appare molto più chiaro il disegno, come Dio lavora. Questo libro che esce oggi, è stato per me di gran lunga il più faticoso da scrivere, per l’argomento (come mi ha detto mio marito quando gli ho annunciato che volevo metterci mano “ah, bello, un libro sulla croce! Andrà a ruba!”: ma si sa che lui è il mio demotivatore ufficiale) e per il ritmo di vita che avevo prima (tra lavoro e viaggi, e l’insospettabile quantità di percorsi a ostacoli che riescono a produrre quattro soggetti in casa, molto alti e moltissimo complicati, benché, devo ammetterlo, molto simpatici). Se non ci fosse stato il lockdown starei ancora tentando di scrivere. Invece alla fine sono riuscita a chiuderlo, a separarmi dagli amati protagonisti, che come sempre sono persone vere a cui ho cambiato alcuni elementi perché non fossero riconoscibili. Insieme a loro ci sono alcune storie di fratelli maggiori nella fede che sono passati attraverso la stessa croce: Gabriella ed Elisabetta Canori Mora, Caterina che è sopravvissuta a un padre orrendo, Luca che ha imparato a dire la preghiera più importante – sia fatta la tua volontà – e a spegnere radio Satana, quella che ti dice sempre che c’è qualcosa che non va in te, nella tua vita e in quella degli altri; Carmen che ha trovato la felicità dopo un tumore e Benedetta Bianchi Porro (una santa gigantesca); Elena che sembrava la donna perfetta nella vita perfetta, e ha incontrato una perfezione più grande quando tutto è cambiato, e Giuseppina Bakhita, che non si capacitava del fatto che lei, schiava, fosse la figlia del Re; Anna col suo matrimonio faticoso (c’è anche un capitolo di ripasso sui fondamentali di traduzione maschio/femmina) ed Elisabetta Leseur, David Buggi e tutte le altre persone che hanno capito che Dio ci fa dei regali, solo che non li incarta nei problemi.

Ecco, più che cercare di spiegare il mistero, racconto quello che ho visto nelle vite delle persone che hanno saputo rendere docile il loro cuore, stare davanti alla realtà, accoglierla, e decidere di fidarsi: se Dio davvero è un Padre buono, tutto ciò che fa o permette per la nostra vita, nasconde un disegno di bene.

***

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40 pensieri su “Niente di ciò che soffri andrà perduto. Mistica della vita quotidiana

    1. Marco 29

      “Se Dio è buono, allora perché si muore?”.
      Non si muore, infatti.
      Il nostro Dio è Dio dei vivi, non dei morti.

      1. Thelonious

        @Marco 29
        Si muore, invece. La condizione umana dopo il peccato originale implica la morte.
        Non, la morte apparente, ma proprio la morte. Cristo stesso ha vissuto la morte, morte vera.
        Certo, questa è la condizione del corpo (fino alla resurrezione della carne), mentre l’anima è immortale.
        Tuttavia non si può certo dire che non si muore.

    2. Laura

      Tutto bello, giusto e ben detto. Scrittura profonda, ottima preparazione teologica, guizzo d’ingegno e ironia paragonabile alle eroine di Jane Austin.
      Ma mi chiedo: una voce così arriverà a parlare a chi sulla Croce ci sta inchiodato sul serio? Non sarà forse inevitabile pensare: “ma lei , donna e madre dall’aspetto piacevole, con una professione interessante, con una bella famiglia, con la consolazione della Fede e anche del talento per la scrittura, insomma lei che è l’icona della donna realizzata da ogni possibile punto di vista, lei cosa ne sa della sofferenza?”
      Ecco, pur apprezzando ciò che scrive, dopo averla ascoltata ad una conferenza ed aver sorriso divertita alle sue battute in cui autoironia e profondità teologica sembravano riuscire a conciliarsi, ecco… mi chiedo… lei quanto ne sa di quello che scrive?

      1. nikolaus

        ..sicuramente un libro così dà un minimo di conforto a chi soffre, non ho dubbi.

        In merito alla tua domanda finale, cosa possiamo sapere dei travagli, interiori e non, degli altri? Come possiamo sapere che una persona non soffra, o soffra di meno, solo perché mostra in pubblico il suo lato positivo e apparentemente sereno?
        Evita di porti simili domande, non sappiamo nulla di nulla degli altri. Pensiamo solo a noi stessi, ne avremo per tutta la vita. Il cuore di ogni uomo lo conosce solo D-o.

  1. carla

    Spesso però il dolore allontana dalla fede, e difficilmente, nella mia lunga esperienza la fa acquistare. Ho sentito più facilmente dire “se Dio c’è ed è onnipotente allora è cattivo, se non può allontanare il male allora non è onnipotente, o forse non c’è”

      1. @Celia, la Fede non è un fatto di intelletto, anzi è proprio l’intelletto la scacchiera preferita su cui gioca Satana. Ciò non significa che dobbiamo agire come dei decerebrati… 😏

        1. Certo che la fede non è un fatto di (solo) intelletto.
          Ma avere un’intelligenza debole, oppure poco formata, è secondo me la vera ragione per cui così spesso si esprime il dubbio, davvero infantile, sulla possibile coesistenza di onnipotenza divina e male nel mondo.
          Non il dolore, appunto.

          1. Vero però che vi sono state persone che definiremo con intelletto “debole”, poco intelligenti, poco formate, ignoranti anche che ci hanno insegnato la vera santità di fede.

            Bisogna fare attenzione a non invertire i fattori, è l’intelligenza che illumina e non di rado accresce e arricchisce l’intelletto, non il contrario.

            Chi si scandalizza della a croce, o ha una fede debole o un o spiccato intelletto, che appunto glia fa dire che quanto avviene NON è “logico”.

            «Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto.»

            1. “…è la FEDE che illumina e non di rado accresce e arricchisce l’intelletto, non il contrario.”

              Speriamo non sia stato lapsus freudiano 😀

            2. Sì, ma appunto non confonderei, cioè invertirei, l’intelligenza (dote umana) con l’intelletto (dono dello Spirito).
              Io qui non faccio un discorso su come funzioni la fede, mi fermo prima, al fatto che chiunque, anche non credente, fallisce prima di tutto su un piano razionale e logico.

              1. Stefania

                Ciao, argomento molto complicato…spesso mi chiedo perche’ ho sentito Dio cosi’ vicino in due momenti difficilissimi della mia vita( mia malattia grave e poi recidiva) e lo sento cosi’ lontano nelle fatiche di madre (di due adolescenti difficili) e moglie…spesso lo chiedo anche alla mia guida spurituale…lui prova a spiegarmi ma io nn sempre capisco…mi farebbe piacere sapere cosa ne pensi…

                1. nikolaus

                  Non c’è nulla da capire. Dio non per forza dobbiamo “sentirlo”. Anzi. L’emotività è un ostacolo nella vita spirituale.
                  Pensa che Madre Teresa non l’ha sentito per oltre 40 anni.

                  Sappi solo che c’è, e nell’oscurità ricorda quei momenti di luce e di Grazia..

                  ciao

                2. Perdonami, Stefania: non so perché ma queste notifiche non mi sono arrivate, anche se mi hai risposto direttamente (a meno che non volessi rivolgerti a Costanza!).
                  Ecco, se davvero stavi scrivendo a me, confermamelo (lo vedrò dalle Conversazioni) e ti risponderò 😉

    1. Questo Carla avviene per lo più quando si ha un’esperienza più da “religiosità naturale” (che significa sostanzialmente “pagana”), che non un’esperienza di Fede.

      Un do ut des, un dio da “lampada di Aladino” (io sfrego la lampada e il genio-dio deve fare la mia volontà). Questo succede anche se idealmente diciamo di credere nel Dio di Gesù Cristo, quando in realtà Lui, Cristo, è il primo ad aver accettato e fatto la Volontà del Padre e non la Sua.

      E’ poi l’inganno preferito di Satana al “credente”: “Dici che Dio è tuo padre, che ti ama, che è onnipotente? Beh, mettilo alla prova! Vediamo quanto è vero che ti ama, che esiste…”
      “Non risponde (perché non fa la tua volontà a comando)? Tira tu le somme…”.

      Perché scaltro e malefico, lascia a noi tirare le somme, così che ce ne facciamo un convinzione.
      Il problema è che poi sempre Satana, verrà a farci i “conti in tasca”, perché è mentitore e poi anche accusatore.

  2. Si potrebbe ridurre tutto alla frase pronunziata da Giobbe (42, 5)

    «Io ti conoscevo per sentito dire (prima dell’esperienza della croce), ma ora i miei occhi ti vedono.»

    Cosa vedono? Vedono la Gloria di Dio che brilla su un avvenimento che per tutti significa solo morte e sofferenza, vedono la Croce Gloriosa, luminosa.
    In qualche modo vedono il “Volto di Dio”. Certamente ne fanno un’esperienza così intima e profonda da poter dire di averlo quasi “toccato” (come Tommaso voleva fare con le ferite del patimento di Cristo).

    Così posso dire, senza tema di smentita rivolgendomi agli Uomini e a Satana, per la mia vita ed esperienza (che non mi metterà a riparo da altre croci e altre prove).

    Certo resta difficile dirlo ad altri sullo loro vita – e non so quanto sia giusto farlo a meno di parlare della propria. Penso al piccolo Tommaso per cui ho chiesto anche qui preghiere (tumore al cervello a due anni), penso ai suoi giovani Genitori in questa prova terribile, prova per la loro fede.
    Talvolta non aver Fede, quasi facilita le cose, quando appunto la porta del nostro intimo, che teniamo chiusa per difesa, “viene sfondata” come dice Costanza.

    Perché la piegazione più difficile bambini o no, a chi ci chiede conto, non è neppure la morte (tutti moriamo, tutti abbiamo un tempo e la morte non è entrata nel mondo per volere di Dio), ma la sofferenza, prolungata, talvolta atroce, insostenibile quando tocca poi i bambini, coloro che definiamo “innocenti”, è veramente un abisso.

  3. carla

    So benissimo che il dolore fa parte della vita, come la morte. E’ difficilissimo accettarlo se fortemente credenti, ma la Fede è un dono e chi non ce l’ha (o la ha debole), non è consolato da questo pensiero!
    Non ho ancora letto il libro di Costanza, che certo sarà bello e illuminato dalla Fede come tutti gli altri, ma il problema del dolore non si risolve certo con facilità, anzi a viste umane non è risolvibile, e, nella mia esperienza molte persone hanno maledetto Dio nella disgrazia e non si sono certo avvicinate a Lui, anzi,
    Certo la loro fede era piccolina, ma quando ho tentato di parlare di Dio ho fatto più danni che bene. Forse l’unica cosa possibile è pregare per loro

    1. Si forse si…

      Per il resto, c’è poco da parlare di dio a chi soffre e non crede, sembra sale sulle ferite.
      Dobbiamo piuttosto occuparci di essere o meglio se siamo o no testimoni credibile nel vivere la croce, ognuno la propria.

      Mi spiego meglio, io ho la croce di una malattia (ipotesi), come la vivo?
      Nella serenità rimettendomi alla volontà di Dio, non subendola, e sempre benedicendo il Suo Nome (che non significa non andare mai in crisi)?
      Se si, gli altri lo vedranno e anche chi bestemmia per la propria croce, finirà per chiederci conto della Speranza che c’è in noi.

      Come affronto la morte?
      Per il Cristiano è il Dies Natalis e lo è ance per oloro che amiamo e che si addormentano nel Signore… o dal lutto ma i ci solleviamo e sempre e continuamente alziamo lamenti, come la Vita Eterna non esistesse e così la Resurrazione.

      Poi a ognuno la propria croce e la propria testimonianza, perché – esempio banale terra terra – come posso con-patire con chi ha un tumore parlandogli del mio raffreddore?

    2. Alda

      Io invece, Carla, proprio nella prova più dura ho avuto un riavvicinamento alla fede… Avevo già perso una bambina trent’anni fa (un evento terribile che non mi aveva né fatto cadere le squame dagli occhi, né mi aveva fatto scagliare contro Dio)… Alla morte di mio marito, 6 anni fa, ho, per non cedere alla disperazione, ho ricominciato dall’ABC…. Non potevo pensare che mio marito stesse “solo” a marcire dentro quattro tavole, quindi ho rispolverato il catechismo (che quando siamo bambini ci risulta tanto noioso e incomprensibile) e di lì, passo passo, sono arrivata alla Messa quotidiana, il rosario tutti i giorni e le mie letture sono solo su questi argomenti….
      Ho trovato serenità in questo stato di cose, la mia vita scorre serena e “libera” dai lacci del mondo..”
      In trent’anni di matrimonio abbiamo girato mezzo mondo, per lavoro e per diletto, adesso gli unici viaggi che mi interessano sono i pellegrinaggi e i luoghi sacri… Non so se la mia possa essere considerata vera fede, ma la serenità d’animo posso dire di averla raggiunta…
      Ci vedo l’amore di Dio in questo e lo sento vicino🙏🙏

  4. Io vi assicuro ho conosciuto Dio, nell’ennesima prova , vero come Gesù, quando mori il suo amato amico Tommaso,piango senza lacrime un forte dolore fisico sento, ancora oggi quando penso i miei fratelli morti, mia nipote, il mio bambino, ancora oggi dopo anni di cammino, alle prove chiedo la forza a Dio, ma ho sempre saputo che ci fosse, oggi dico a Dio grazie dei doni che mi hai donato, non li meritavo, ma il dono più grande e stato conoscere il Signore,Tutti i giorni nel portare la croce chiedo il suo aiuto, e diventa sempre più pesante, non sto a raccontarlo, anche il mio parroco, e andato da Gesù, sono consolatorie queste parole, dove trovo il libro?

  5. Maria Cristina

    Il libro di Giobbe e’ veramente l’unico libro onesto sul problema della sofferenza apparentemente senza senso e del rapporto fra la sofferenza dell’ uomo e l’ onnipotenza di Dio.
    Nel libro Giobbe non e’ colpito solo da una disgrazia, ma da una serie impressionante di disgrazie , una dopo l’ altra che fan quasi pensare ad un accanimento della sorte contro di lui, una “ maledizione” . Anche noi conosciamo nella nostra vita dei casi simili : non una sola disgrazia , un lutto, che si puo’ anche superare, ma tutta una concatenazione negativa, una dopo l’ altra.
    Come si fa , sinceramente, a dire ad una persona così quale e’ il senso di questa sfilza di disgrazie che l’ hanno colpito? E’ stato il caso? La sfiga? C’ e’ dietro una potenza maligna , una maledizione? Oppure Dio ha voluto metterlo alla prova ? Mistero. Il “ mistico “ infatti secondo
    Wittengstein e’ proprio cio’ di cui non si puo’ parlare, che non puo’ essere spiegato , cio’ che e’ nascosto . Dal greco “ miste” : essere chiuso

  6. Chiara

    Bravissima Laura…hai detto la verità. La Miriano parlasse di matrimoni, di famiglia e di teologia, argomenti a lei congeniali e brillantemente trattati. Ma si astenga dal predicarci come reagire alla sofferenza perché lei ha tutto quello che una donna possa desiderare…cosa patisce? Forse un’unghia incarnita ? Faccia a scambio con chi non ha marito, non ha avuto figli o gli è morto l’unico che aveva, che è mangiato da un tumore…solo allora avrà il diritto di entrare in questo campo minato e dare lezioni agli altri… Mi offende l’ipocrisia di chi gioca su un piano teorico dal piedistallo che la vita le ha regalato…seguivo questo blog ma ora non lo farò più perché questa iniziativa offende la mia vera sofferenza

    1. admin @CostanzaMBlog

      cara Chiara
      forse sarebbe utile non dico leggere ma sfogliare il libro, Costanza parla proprio attraverso la sofferenza e la croce degli altri. Ecco un passaggio dell‘intervista di Costanza a Raffaella Frullone per il Timone:
      « Le storie che racconto in questo libro sono storie di persone che, spesso dopo un combattimento corpo a corpo con Dio, sono diventate certe del fatto che Dio fa bene tutte le cose, nella nostra vita. Le storie di David, Carmen, Anna si intrecciano a quelle di fratelli maggiori nella fede come Elisabeth Leseur, Giuseppina Bakhita, Benedetta Bianchi Porro… Ognuno di noi può trovare qualcuno che lo accompagni nel suo combattimento per cercare le tracce della provvidenza nella propria complicata, a volte incomprensibile vita».

      Saluti

    2. Alda

      Perché parlate di “dare lezioni agli altri”?
      Non mi sembra che Costanza voglia dare lezioni a nessuno! Semmai, attraverso certi racconti della sua vita e di quella di qualcun altro, aiutarci nel cammino quotidiano… Se siete così “incattivite” dalla sofferenza è perché non avete incontrato (ancora) il Signore..
      Io ho perso una figlia, ma non per questo recrimino e accuso Costanza di non sapere cosa dice, visto che lei ne ha quattro e non ha provato questo dolore….

      Ma poi noi che ne sappiamo? Potrebbe aver abortito prima di averne… Potrebbe aver sofferto di depressione.. Ripeto, CHE NE SAPPIAMO!!

    3. @Chiara (di rimando @Laura), così ragionando ci si chiude a qualunque tipo di aiuto…

      Se portiamo il ragionamento al paradosso, potremmo dire “Che ne sai tu Gesù Cristo del mio dolore, della mia sofferenza?! Non hai mica perso un figlio… Che ne sai della mia malattia che mi inchioda al letto tra mille sofferenze da tre anni?! Tu con poche ore su quella croce te la sei cavata (che poi sei anche Dio quindi…)”

      Come vedi c’è un grosso inganno sotto, sotto.
      Poi come ho già scritto qui, non è che porti la tua esperienza di afflitto dal raffreddore a che ha un tumore, ma non mi pare proprio Costanza faccia questo, ma *riporta* testimonianze altrui che hanno sperimentato sofferenza morte e resurrezioni, in tragici e differenti episodi di vita vissuta.

      Non chiuderti incattivita nel tuo dolore, non giudicare chi spende la propria vita pur con tutti i suoi limiti, per annunciare il Vangelo, o, perdona la franchezza, nella tua sofferenza che diviene malattia dello spirito, ci morirai dentro, senza mai vedere una luce.

    4. Perché, il tuo non è dare lezioni?
      Credi di poter rappresentare chiunque soffra?

      Tu non ne sei soddisfatta, benissimo: è il tuo sentire, non ha un criterio di universalità.
      Scegli altro, ma non sputare su ciò che ti sembra non essere per te – ma che molti invece trovano valido. In questo modo sei tu ad offendere la sofferenza altrui.

  7. Pat61

    A Laura e Chiara
    Che tristezza leggere questi commenti
    Che ne sappiamo noi se Costanza è stata toccata da dolori immensi come malattie o altro di un familiare o di un carissimo amico/a o di altro. Sicuramente non si diventa più afferrati in questi discorsi solo se si è stati toccati personalmente.
    Ho perso amiche x malattie, ho avuto una figlia colpita 2 anni fa da tumore per adesso risolto e ancora in cura ma che potrebbe ritornare.
    Non manca giorno che nella mia preghiera chieda la guarigione del corpo e dello spirito per mia figlia e per persone che stanno attraversando periodi duri come il piccolo Tommaso e la sua famiglia.
    Il Signore mi ha aiutato in questo periodo perché mi son sentita meno sola e certa di un disegno più grande….
    Ringrazio Costanza per il suo aiuto di questi anni, il suo coraggio nell’esporsi in tanti momenti perché con la sua voce ha dato voce anche a noi. Coraggio anche nello scrivere questo libro.
    E ripeto mi dispiace di queste critiche, l’ho letta e sentita tante volte e si merita tutto il nostro sostegno; il Signore gliene renderà merito.

  8. Valeria Maria Monica

    Cara Chiara, sono rimasta un po’ urtata dal tuo intervento così aggressivo verso Costanza, ma rispetto la sofferenza che ti abita, che mi sembra simile a quella che in un periodo della mia vita ho vissuto.
    Non ti dò nessun consiglio: attraversare una sofferenza è un corpo a corpo col Signore, e solo Lui sa quando e in che modo ne uscirai e tornerai a vedere la Sua Presenza vicino a te, e il suo Amore ininterrotto.
    Ma lo passerai, il guado dello Yabbok.
    Continua a litigare col Signore, e non arrenderti finché non ti avrà risposto.
    Non ho ancora avuto tempo di procurarmi il nuovo libro di Costanza,
    ma sto leggendo “L’arte di ricominciare” di don Fabio Rosini, e se ti conoscessi te lo regalerei.

    1. Maria Cristina

      Gli amici di Giobbe, per quanto bene intenzionati,per quanto parlassero bene, non hanno portato alcun sollievo a Giobbe.

      Forse Laura e Chiara vogliono semplicemente dire che il parlare sulla sofferenza , il discorso sulla sofferenza non serve a chi soffre davvero.

      E infatti Gesu’non faceva omelie ai paralitici ,ai ciechi e ai lebbrosi, ma li GUARIVA. Se avesse detto parole consolatorie ma li avesse lasciato nella loro condizione, sarebbero stati amaramente delusi. Chi soffre vuole uscire dalla sofferenza : ciascuno di noi. Anche Constanza credo, fosse stata attanagliata da una sofferenza fisica o psichica grave non avrebbe potuto scrivere il libro. Il libro sulla sofferenza si scrive mentre non si soffre. E’ uno sguardo esterno .credo volessero dire questo Chiara e Laura.
      Il mistero della sofferenza lo.si vive, spiegarlo o trovarvi delle ragioni consolatorie, suona spesso come un punto di vista esterno.

  9. Catherine

    il libro mi è arrivato oggi (ma guarda un po’ queste consegne di domenica…) ora inizio a leggerlo, con interesse, perché quello che scrive Costanza è sempre pregnante. penso che posso fare tesoro anche dell’esperienza di altri fratelli e sorelle, passano gli anni, vedo che ho ancora tanto da imparare, grazie a Costanza per questo nuovo “dono”

  10. Marina Umbra

    Cara Costanza grazie di esserci.. Rappresenti i nostri sentimenti che spesso la “gerarchia” in questo momento sembra trascurare.. Ti chiedo.. L incontro do Ottobre del Monastero WIFI e confermato?? Chiedo inoltre preghiere per il mio Padre Spirituale Don Sergio che domani deve essere operato. Grazie.. Il Signore ve ne renda merito. Preghiamo anche per il piccolo Tommaso e i suoi giovani genitori. Grazie ancora cari fratelli nella Fede.

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  12. Nicola Buono

    A proposito del titolo del libro vorrei citare il pensiero di una mia carissima amica volontaria in un ospedale per la cura dei tumori di Milano. Amica che è morta ( si fa per dire perché sarà da un pezzo in paradiso) almeno una ventina di anni fa. ” So che queste sofferenze serviranno tantissimo per le mie ragazze ( le due figlie)….” Cioè non sarebbero state inutili e questo da un punto di vista SOPRANNATURALE.

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