SI SALVI CHI VUOLE – Manuale di imperfezione spirituale. Il nuovo libro di Costanza Miriano

SI SALVI CHI VUOLE – Manuale di imperfezione spirituale

Avete letto di tutto, dalle regole giapponesi al metodo danese, avete ascoltato guru improbabili, dal Grande Cocomero ai maestri orientali. Perché non provare allora a riscoprire una tradizione che, almeno, ha duemila anni di storia e miliardi di clienti molto soddisfatti e indubbiamente rimborsati? Recintare uno spazio per l’incontro con Dio, il totalmente Altro, e cercare di difenderlo a ogni costo è decisivo per la nostra felicità, eppure molti di noi procedono improvvisando, a tratti, con le energie residue, quando si ricordano. Ma come si fa a organizzare una vita spirituale nelle nostre giornate troppo connesse, compresse, piene di urgenze che altri hanno deciso per noi? Costanza Miriano – moglie carente, madre limitata, lavoratrice in ritardo – prova a proporre una regola di vita fondata su cinque pilastri:

preghiera, parola di Dio, confessione, Eucaristia, digiuno.

Tante persone questa regola già cercano di viverla, in modo rigorosamente imperfetto, alcuni per conto proprio, altri formando una piccola compagnia, una sorta di monastero wi-fi, a cui ci si vota con dedizione – si può avere un cuore da monaco salendo in metro o cucinando, facendo la spesa o correndo – e in cui ci si fa compagnia, anche da lontano, come confratelli. Una comunità wi-fi, dunque, una fedeltà senza fili, che unisce un piccolo esercito di mendicanti, scalcagnati, fragili, incoerenti, innamorati di Dio.

A SEGUIRE UN ESTRATTO DEL LIBRO

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Terza colonna del monastero

 

La terza colonna su cui costruire la cattedrale, la terza arma che ci viene consegnata per combattere, è davvero un ordigno potentissimo, molto più del calzino sintetico a fenicotteri rosa che mia figlia Livia non vuole abbandonare (chi può dire quali reazioni chimiche si inneschino a trentaquattro gradi all’ombra, dentro una Stan Smith contenente un indumento in poliuretano indossato per due giorni consecutivi?). La confessione è una roba incredibile. È qualcosa che, se la capissimo davvero, se ci credessimo seriamente, potrebbe cambiare in modo potentissimo e, gradualmente, definitivo la nostra vita. A volte, a dire il vero, anche non troppo gradualmente. Ho visto persone togliere tappi enormi e opprimenti che da anni, decenni in alcuni casi, soffocavano le loro vite. Certo, la confessione è segreta, segretissima – e il sacerdote che tradisce il segreto è scomunicato, questa cosa me la ripetono spesso, per stare più tranquille, le nostre bambine quando consegnano i loro segreti a qualche prete mio amico – ma non c’è bisogno di sapere niente quando vedi uscire dal confessionale una persona con una faccia diversa, una donna che per anni hai visto sempre con le sopracciglia aggrottate, il viso contratto, e adesso piange e ride insieme, e stenti a credere che sia lei, e devi fare il riconoscimento tipo parente di un morto, dal golfino che ha addosso, perché la sua faccia è davvero un’altra. Una volta una mia amica era addirittura scalza, quando è uscita, trasformata, dal confessionale. Il senso di liberazione deve essere stato talmente forte da sentirsi in dovere, per giustizia, di liberare anche i piedi dal sandalo tacco dieci. Ovviamente io non sapevo niente di quel nodo, e continuo a ignorare cosa la opprimesse tanto. Invece il sacerdote da cui l’avevo accompagnata, prima ancora che entrasse, le ha detto la parola giusta, quella magica, che l’ha convinta ad aprirsi. Questa per me è una delle prove dell’esistenza di Dio: non si spiega altrimenti il fatto che a essere così capace di profondissima, intuitiva comprensione sia un maschio, uno appartenente alla stessa specie di quei soggetti a cui di solito devi spiegare le cose con dei cartelli scritti molto grossi. Quei signori che dormono con te da vent’anni e, nonostante questo, mancano ancora dei fondamentali, e non sanno ancora che, se dici «non mi sono affatto offesa, perché di quella non potrei mai essere gelosa, figurati», e loro non arrivano entro venti minuti con delle rose, sono uomini morti. Meglio ancora se dicono che quella lì è cicciona (ci basta così poco per essere felici). Un sacerdote, quando sta confessando, invece, ha un carisma particolare, ha il dono del discernimento. E poi rimane quel fatto inaudito che, mentre tu gli squaderni il tuo mondo interiore, sta lì e ti ascolta: non se ne va nell’altra stanza a leggere un articolo su qualche fosco scenario geopolitico mondiale, oppure a dividere le viti per grandezza, che non è proprio come salvare il mondo, ma è sempre meglio che ascoltare una donna. Un confessore, invece, salva il mondo una persona alla volta. Dice un mio amico, appartenente alla schiera dei preti supereroi, che ci vuole più testosterone a stare una giornata in confessionale che a giocare una partita di rugby. E siamo ancora solo sul piano umano: una confessione fatta bene ti fa la diagnosi, cioè ti dice come stai, a che punto sei del cammino. Su quali fronti devi lavorare. Ti aiuta a mettere intelligenza e metodo nella vita spirituale, a non essere emotivo, a non procedere in modo ondivago. Soprattutto, se fatta con un sacerdote che ti conosce (lo so, sarebbe più comodo con degli estranei), ti aiuta a resettare i parametri, e giudica la tua vita, ma con uno sguardo più buono e più lucido del tuo. Ti accompagna nel dare importanza a ciò che ne ha davvero, a volte persino a essere più indulgente su alcune cose, e magari più serio su altre. A volte per esempio è utile, molto più di tante chiacchiere, fare un diagramma serio dell’uso delle nostre risorse: il tempo e i soldi, tanto per cominciare. Quanto diamo ai poveri e quanto al parrucchiere. Quanto tempo stiamo sui social e quanto in cucina a preparare la cena ai figli. Numeri, oggettivi, e non chiacchiere che ci rendano presentabili a noi stessi: sono le statistiche che fanno la foto della nostra vita. Solo a partire da quello si può fare un lavoro serio su di noi, e non importa se si fa brutta figura col confessore. Anzi, più crediamo di fare brutta figura, più significa che la confessione è stata usata bene (e, secondo me, per questo il confessore ci vuole bene di più, perché il desiderio di essere nella verità con umiltà scioglie tutti i cuori, che poi peraltro siamo tutti bruttini allo stesso modo, solo c’è chi fa finta meglio). Come promemoria, soprattutto per me stessa, mi vorrei ricordare che la confessione non è una psicoterapia (infatti non si paga), e quindi è inutile che cerchiamo di dare la colpa alla nonna Adelina che preferiva nostra sorella, o ai compagni di classe che non ci apprezzavano abbastanza (probabilmente perché le secchione che non passano i compiti «per il vero bene dei compagni» non ispirano proprio tantissima simpatia a prima vista, e già è tanto se non vengono prese a randellate). D’altra parte, problemi da piccoli ne abbiamo avuti tutti: anche il figlio che ho allattato fino a tre anni sostiene di essere stato trascurato e maltrattato a causa di una carenza di PlayStation, e dice che farà lo psichiatra per aiutare le persone che hanno avuto un’infanzia difficile come la sua (forse avrei dovuto picchiarlo forte). Un’altra cosa che la confessione non è: elencare i peccati degli altri, ché quello lo sappiamo fare tutti. No, perché a ben vedere io avrò pure sbagliato, ma alla fine, in fondo in fondo, secondo me mi avevano provocato. Sui peccati altrui io di solito sono preparatissima, non me ne sfugge uno. E comunque, nel dubbio, qualcuno ne aggiungo anche, fa rifulgere di più la mia aureola. Invece una confessione fatta bene, dicevamo, è come una Tac. Ti dice dov’è il problema, ti fa la diagnosi. Ma la nostra parte è solo l’inizio: la tua vita, se la consegni con una confessione seria, diventa un affare di Dio. Lui ti difende se tu ti autoaccusi, diventa il tuo avvocato. E non uno d’ufficio, ma il migliore sulla piazza, parecchio meglio di Robert Redford in Legal Eagles, ti arrivo a dire. Qualunque cosa tu abbia fatto, se seriamente sei pentito, e seriamente vuoi mettercela tutta a non farla più, la puoi consegnare a Cristo, che è morto in croce proprio per quello, per prendersi i tuoi peccati. Da quel momento in poi, non ci devi pensare più. Non devi ascoltare le parole dell’accusatore che continua a dirti che, siccome sei una schifezza, sicuramente ci cadrai di nuovo. Non consegnare il tuo pentimento al nemico, che continua ad accusarti (gli piace riempire di rimorsi il passato, di ansie il futuro), ma a Dio, che è il Dio del presente. Da quel momento in poi, puoi andare a testa alta, perché Dio in persona si è fatto carico delle tue malefatte. È lui che ti protegge e tu puoi provare seriamente a convertirti, da quel momento in poi, mentre al passato pensa qualcun altro di molto potente. Il mio amico che ha consegnato un tradimento, e ora può guardare sua moglie negli occhi e imparare di nuovo ad amarla; la mia amica che ha chiesto perdono per avere ucciso suo figlio nel grembo; il padre che ha lasciato la madre di sua figlia all’altare e per quarant’anni non si è occupato di quella bambina che nel frattempo è diventata una donna ferita: tutte queste persone riescono a vivere senza essere schiacciate dal dolore, solo perché qualcuno lo porta per loro. Non va così nel mondo, che, come si sa, permette tutto ma non perdona nulla. Io so che prima o poi uno struzzo mi caverà un occhio, per vendicarsi di quella borsa di piume che mi sono dovuta inderogabilmente procurare facendo perdere un pomeriggio, svariati euro e molta dopamina a mio marito, perché ero certa che da quel giorno, grazie a quella borsa, la mia vita sarebbe definitivamente cambiata, e poi sono riuscita a usarla una volta sola (ma adesso vado di là, la prendo ed esco a comprare le sigarette, inizio a fumare apposta, guarda). Vabbè, dato che siamo in vena di confessioni pubbliche, ho buttato io quel pezzetto di legno che mio marito doveva riattaccare alla chitarra, pensavo fosse un rifiuto ed ero posseduta – mi capita un’ora all’anno – dallo spirito di Donna Letizia, ho aspirato per qualche minuto a una casa impeccabile. Tanto lo so che lui non ce la fa a leggere i miei libri tutti interi, troppo verbosi, dopo un po’ gli vanno gli occhi in modalità salvaschermo (se invece sei arrivato fin qui, marito, perdonami). La Chiesa, al contrario, cerca di non permettere nulla che faccia male all’uomo, ma perdona tutto, tutto, tutto. Dio si è fatto uomo ed è morto in croce per quello. Non per un incidente di percorso, ma per salvarci dai nostri peccati. L’unico modo per nascondere i peccati è dirli tutti, perché l’unico che può intervenire sul passato è Dio, e finché qualcuno non se li prende su di sé, quelli stanno lì.

Non bisognerebbe lasciar passare più di un mese tra una confessione e l’altra. E siccome la ricrescita la vedi allo specchio, non c’è bisogno di segnare quando sei stata dal parrucchiere l’ultima volta, mentre sugli effetti del peccato siamo più bravi a mascherare, forse noi monaci è meglio che ci segniamo la data sul diario spirituale – la cui esistenza, consigliatissima, è una delle poche buone ragioni per cui le mie borse superano le dimensioni di un bagaglio a mano consentito sui voli low cost anche quando vado dal dentista (se si apre una voragine sul marciapiede e vengo inghiottita e devo ricominciare una nuova vita vicino a Sydney ho tutto l’occorrente con me, tranne il piegaciglia, ma tanto praticamente non ho le ciglia). Quella data ce la dobbiamo segnare perché dobbiamo trovare spazio fra la ricerca della prenotazione della nuova carta di identità («La tengo io che tu perdi tutto, caro»), la riunione col capo e la recita di fine anno (ho tre giorni e una manciata di ore per cercare di scoprire come vestire le mie figlie senza chiederlo apertamente a nessuna mamma, la qual cosa mi farebbe precipitare nella scala sociale, visto che loro hanno i vestiti pronti da un mese mentre io ho saputo della recita solo ieri, e so che la sera prima, alle 19.29, supplicherò la signora della merceria di non chiudere, per poi trascorrere la notte successiva a rispolverare le nozioni di cucito apprese dalla nonna a nove anni, ma d’altra parte chi si accorgerà di qualche colpo di pinzatrice?). Ecco, io so che le vere donne mistiche si confessano quando la contrizione (che è la prima parte del Sacramento, ed è diversa dal senso di colpa; è invece fiduciosa apertura al perdono) sovrabbonda dal loro cuore tutto immerso in Cristo. Io invece mi confesso quando me lo ricorda l’agenda, ma pazienza. La seconda parte del Sacramento è la confessione del proprio peccato e non di quelli altrui, senza scuse; di tutti i peccati, non solo di quelli lievi, con umiltà e semplicità, senza scrupoli. Poi serve la soddisfazione, qualcosa che curi con un antidoto, che noi possiamo suggerire e che il sacerdote sceglie. Infine viene il proposito di correggersi con l’aiuto di Dio, e l’assoluzione. A questo punto l’alleanza è ristabilita! Per una cifra modica posso vendere una mappa dei sacerdoti con l’udito peggiore di tutta Roma, quei vecchietti gentili che se dici il peccato velocissimo e a bassa voce non lo sentono; ho anche ottime segnalazioni di sacerdoti troppo buoni, ma, fidatevi, veramente troppo. E se si arriva a due minuti dalla chiusura della chiesa ci si può procurare anche un sacerdote molto frettoloso. Ecco, non è questo il senso del Sacramento. Anzi, se uno fosse un monaco serio, non dovrebbe confessarsi con un sacerdote che non lo conosce solo perché si vergogna, perché non si tratta di un rito magico, ma di un serio desiderio di conversione: non ricordo quale mistica medioevale scrisse che al Giubileo del 1300 solo due persone guadagnarono l’indulgenza davvero, perché avevano il cuore sincero (io, infatti, se incontro una mistica medioevale cambio marciapiede).

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34 pensieri su “SI SALVI CHI VUOLE – Manuale di imperfezione spirituale. Il nuovo libro di Costanza Miriano

  1. exdemocristianononpentito

    Complimenti all’admin e alla sig.ra Costanza per la nuova impaginazione del blog:, è più graziosa e si legge meglio.

  2. benedetta

    L’incipit è accattivante, come sempre.
    Il senso sembrerebbe profondo e “pieno”, come al solito condivisibile.
    I mezzi suggeriti sicuramente complessi da digerire, per i più.
    Personalmente mi dispiace cogliere in maniera ancora più esplicita del solito, un attacco alla psicoterapia, che invece ritengo un potenziale prezioso alleato di un percorso spirituale. Certo, dev’essere svolta con uno specialista che ne condivida i valori e gli obiettivi di base e questo non è un aspetto scontato, né così diffuso. Credo, però, che non vedere nella psicoterapia una risorsa, sia un vero peccato, forse anche un atto di superbia nei confronti di chi, come me, dedica una grossa fetta della propria vita allo studio dell’uomo, della mente e delle relazioni e crede di fare proprio bene il suo lavoro; di negazione e di banalizzazione per chi, come tanti,si perde, soffre, soccombe, si ammala e il parroco, da solo, proprio non basta..

    1. Donatella

      Io non ho letto questo attacco! Mi sembra di aver letto che sono strumenti diversi…e quindi occorre approcciare in modo diverso!

    2. No, no, guardi si sbaglia!!! Io sono una fan sfegatata della psicoterapia. L’unica cautela che raccomando è di scegliere bene lo psichiatra. Ce ne sono moltissimi che considerano la fede cattolica un elemento patologico.

      1. Grazie sempre di ciò che scrivi. Non so se ci hai fatto caso, ma è da quando scrivi che ti confessi a noi che ti leggiamo e non lo fai per Sacramento, ma perchè forse stai imparando ad amare il prossimo come ami Dio

  3. admin @CostanzaMBlog

    Su AMAZON in vendita diretta (con sconto e spedizione prime gratuita) è già esaurito, è disponibile da altri venditore tramite Amazon.
    Alla libreria Coletti (effettua spedizioni) è in offerta.

  4. Alessandro

    Già ordinato.
    Anteprima (sulla Confessione) intrigante e ben riuscita.
    Buona fortuna al libro, la merita ampiamente!

    Un grande grazie all’Autrice e un bravo ad Admin per la gradevolissima nuova impaginazione del blog, perfettamente intonata alla bellissima copertina.

    1. admin @CostanzaMBlog

      Vabbè, magari ne guadagnerà la sintesi 😉
      Il post della presentazione del libro di carmen era un post sostanzialmente di servizio per eguire lo streaming, ma posso anche ripristinarlo per un po’.

    2. all’insegna della tendeza attuale del “tutto più in grande”

      Vedo. Ma penso che tutti i navigatori hanno la possibilità (nativa o per mezzo di plug-in) di impostare uno zoom predefinito per ogni sito. Per cui la dimensione del corpo tipografico la può adattare chiunque (è la prima cosa che ho fatto: a me piacciono i caratteri piccoli…).

      1. Si Fabrizio, ma come m’insegni c’è un’impostazione di base (per esempio il rapporto tra titoli e testo o lo spazio della “gabbia” destinata al testo) che determina il tutto ed equilibra il tutto, non è solo questione di testo grande o piccolo…

          1. Si ma la proporzione tra l’uno e l’altro non cambia…
            Riporta i titoli a una dimensione meno “sparata” e poi vedi se ti riesce a leggere il resto del testo…

            Scusa ma il concetto di proporzioni e prossimità del testo sono anche parte del mio lavoro, come il tuo l’informatica.

            Cmq, fa lo stesso 😉

  5. Rosa

    Guido non mi piace……il blog, mica il libro!
    No dico sul serio, vengo spesso ma non tutti i giorni, quindi prima vedendo i vari interventi uno affianco all’altro era più intrigante e divertente passare da uno all’altro.
    Mi accontenti?

    1. admin @CostanzaMBlog

      Ho scelto questo tema proprio perché volevo tornare all’impaginazione in verticale di un solo post per dare maggior risalto all’ultimo.

      1. Luigi igiuL

        Non so se sia un bug di sistema, ma quando mi collego da smartphone e cerco di vedere gli ultimi interventi dei commentatori non riesco a fermare la pagina perché continua a caricare tutti gli articoli e la sezione che mi interessa mi sfugge…
        Per il resto mi piace molto l’impaginazione, anche perché se seleziono la data di inserimento di un commento, viene selezionato tutto il gruppo di risposte cui fa riferimento il commento selezionato. Quindi è più facile seguire il filo del discorso nonostante gli interventi successivi

  6. Mario

    Grazie, Costanza, interessante la presentazione del libro, anche se nell’ulteriore sottotitolo avrei scritto “manuale di imperfezione ascetica e non mistica”, come sempre, affasciante il tuo inserto che mi ha fatto sempre più innammorare di te. Splendido anche il tuo intervento alla presentazione dello scritto di Carmen Hernandez. Grazie perché ci sei: un dono!

  7. Emanuela

    Cara Costanza, 1) tempo fa mi stavo sentendo paurosamente inadeguata a instradare verso il Bene i miei figli, in particolare le due femmine: tu hai immediatamente pubblicato il libro “Quando eravamo femmine”. 2) da qualche mese mi sono resa che la mia tendenza dispersiva nella vita spirituale sta bloccando la mia vita in generale e quella della mia famiglia: tu ora pubblichi questo libro. Perciò ho capito come funziona: io chiedo e tu scrivi, e quindi 3) “come posso convertire il marito ateo, al limite durante il sonno?” (provato con medaglietta nella federa del cuscino, mi ha sgamata e so che ride). Ma forse “Si salvi chi vuole” è una risposta anche a questo, dato che la preghiera può tutto… Grazie! 🙂

  8. Matteo Lucchesi

    Questa storia del “si salva chi vuole” o “l’inferno e per i volontari” e cose simili mi ha sempre lasciato molto perplesso.

    (Mt 25,1-13)

    “In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. 
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade.

    Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. 
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. 
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”.

    Non sembra proprio che queste volessero con tutte le loro forze andare all’inferno e Dio, rispettando la loro libertà, sia stato per così dire “costretto” a lasciarle andare.

    No, volevano la salvezza ma “non vi conosco”. Fine.

    E che dire di Mt 7,21-23?

    “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.”

    Anche questi volevano essere salvati, non erano certo gli “incorreggibili” di cui si parla talvolta, gente che vuole pervicacemente dannarsi e rifiuta radicalmente Dio e non vuol passare l’eternità con Lui.

    Perciò trovo interessanti libri come quello di C.S Lewis che ne “il grande divorzio”descrive l’inferno come se fosse chiuso dall’interno, cioè che i dannati ci vanno e ci rimangono perché vogliono deliberatamente andarci e perché con tutto il cuore rifiutano Dio, però trovo che siano poco rispondenti alla Scrittura.

    Insomma: a me sembra che affermare che “all’inferno ci va chi ci vuole andare” sia come affermare che coloro che sono in galera per aver commesso dei reati sono in galera perché hanno voluto andare in galere e rifiutavano pervicamente la libertà.

    Un gioco di parole, perché in effetti si può dire che chi compie un reato “INDIRETTAMENTE” sceglie la galera, così come chi compie un peccato indirettamente scelga l’inferno, ma a questo punto è solo un gioco di parole. E nient’altro.

    Anche i cristiani perseguitati in Corea Del Nord vanno in galera e sono perseguitati, col gioco di parole di cui sopra si potrebbe dire che “vanno in galera perché ci vogliono andare”.

    Pe farla breve: avrebbe senso dire che all’inferno ci va chi chi ci vuole andare, come una radicale (e non solo indiretta) autoesclusione solo se Dio al momento della morte offrisse la possibilità di scontare i propri peccati in Purgatorio ma comunque di salvarsi, e andasse in perdizione solo colui che opponesse “un gran rifiuto” in odio a Dio, preferendo dannarsi invece che accettare questa offerta d’amore.

    In questo caso si avrebbe senso parlare di inferno come “scelta”.

    Altrimenti non ha più senso parlare di inferno come scelta di quanto ne abbia il dire che un truffatore o un estorsore è in galera perché ha in odio la libertà e la rifiuta (e lo stesso si potrebbe dire di chi contravviene a qualunque legge presente in un dato Stato, ad esempio col gioco di parole di cui sopra si potrebbe dire che i nostri fratelli nella Fede nei paesi comunisti sono in galera perché contravvenendo al diritto penale della dittatura comunista di quello stato hanno dimostrato di disprezzare la libertà, cosa ovviamente demenziale).

    1. admin @CostanzaMBlog

      Complimento Matteo Lucchesi sei riuscito a scrivere un trattato sul titolo, figuriamoci se dovessi anche leggere il libro.
      Sei anche riuscito a virgolettare espressioni come “all’inferno ci va chi ci vuole andare” che non sono scritte da nessuna parte.

  9. catherine

    io sono a metà libro…. (l’avevo prenotato su Amazon) grazie davvero, cara Costanza! ti si legge sempre con gusto, avrò bisogno di altre copie, per figlie, e nipote, con calma

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