di Francesco Natale
Ne ricordo ancora i nomi. Nulla di strano, in fondo: ci passai dieci anni tondi tondi in quella gigantesca villa arroccata in cima a Salita Speroni in quel di Recco. Asilo, elementari, medie: giornate fitte e, oggi lo so meglio di allora, meravigliose, trascorse fra i banchi e i giardini delle Suore Maestre Pie. Ne ricordo ancora i nomi: Suor Leonilde, Suor Fortunata, Suor Augusta, Suor Anselma, Suor Costanza, Suor Rosalia, Suor Carla, Suor Edwige, Suor Laura, Suor Lucina. Da decenni, ormai, quella scuola non esiste più, destino che accomuna purtroppo molti “istituti parificati” come oggi, secondo il gelido burocratese, bisogna chiamarli.
Ma non sono qui oggi per abbandonarmi a tenui reverie sognanti di un’infanzia ormai lontana né per tener concione sulla necessità assoluta di difendere quel poco di istruzione Cattolica che ancora abbiamo in questo paese (cosa di per sé legittima e doverosa, sia chiaro).
Mentre mi tornavano alla memoria i nomi di quelle antichissime suorine (dalle quali, nessuna esclusa, ricevetti più volte un buon numero di santi e formativi scapaccioni…) pensavo e riflettevo sulla “forma mentis” di noi bambini e ragazzi del tempo che fu. Eravamo circa 300 sparsi per le varie classi, appartenenti ai più svariati ceti sociali: figli di dipendenti pubblici, figli di operai ed artigiani, figli di liberi professionisti, figli di contadini (si: ce ne erano ancora all’epoca…). E, per la maggior parte, eravamo pure dei gran bastardi, spesso e volentieri animati da una incosciente cattiveria che non avrebbe mai e poi mai potuto trovare spiegazione logica (e, soprattutto, spirituale) nella semplice e superficiale “contestualizzazione familiare”. Perché scrivo questo? Per due ragioni: primo perché era ed è vero, ieri come allora, secondo per sfatare l’odierno mito pedagogico del “bambino-buono-sempre&comunque-che-va-lasciato- libero-di-crescere-e-svilupparsi-autonomamente-secondo-le-proprie- inclinazioni”.
I bambini NON sono buoni in quanto tali: spesso e volentieri sono, per l’appunto, degli emeriti bastardi, capaci di crudeltà smodate, fisiche e psicologiche, nei confronti del proprio prossimo, specie se più debole o, Dio non voglia, in qualche misura percepito come “diverso”, “altro da sé”.
Certo, il contesto famigliare rivestiva una qualche significativa importanza: erano anni problematici quelli della fine del ’70 nella mia terra d’adozione. L’alcolismo, magari associato a problemi occupazionali, mieteva padri e madri senza quartiere; l’esasperazione della lotta politica, spesso armata (erano gli anni in cui a Genova fu ucciso Guido Rossa, per citarne uno solo), aveva riflessi anche nel nostro micromondo iperprotetto e corazzato; la droga, nonostante i genitori di allora fossero assai nerboruti e determinati nel metter in guardia i propri rampolli da tale abominevole piaga (niente “padri amiconi” che condividono spinelli col figlio “così si toglie la voglia e non ci pensa più”), falcidiava già centinaia di ragazzi ogni anno, dai quattordici anni in su (a Recco una intera generazione di giovani non esiste più: eroina e carcere li hanno fatti sparire nel nulla).
Ma se questo può spiegare il come ed il perché piccoli barbari di cinque, sei, sette anni si esprimessero spesso e volentieri tramite boccacceschi cori da stadio, profferissero blande volgarità a sfondo escatologico/sessuale (ai tempi certamente non sapevamo cosa significasse “escatologico”: figuriamoci “sessuale”), o tenessero in sommo disprezzo le forze dell’ordine, segno evidente di “sindrome del pappagallo” che li spingeva a ripetere scempiaggini irresponsabilmente pronunciate da un genitore disattento, non è sufficiente per liquidare come “fenomeno sociologico” la cattiveria che caratterizzava l’indole di molti di noi.
C’era qualcosa di molto più sottile, terribile, insinuante che permeava il nostro modo di essere, di vedere, di percepire la realtà e di reagire agli stimoli che questa ci offriva.
Un qualcosa che spingeva rampolli di ottima famiglia, nella quale magari non si poteva neppur pronunciare la parola “piedi” impunemente, a godere del pianto improvviso di una compagna di giochi.
Un qualcosa che induceva a risate sinistre nel vedere la piccola deformità che affliggeva una educatrice, magari zoppa, un poco ingobbita o, semplicemente con gli occhi troppo ravvicinati al naso.
Un qualcosa che, nella nebula nebbiosa di una coscienza critica in formazione, rendeva sommamente piacevole e attraente infliggere sofferenza ad un altro essere vivente, fosse esso bimbo o animale.
Un qualcosa che induceva a sviluppare volontà di dominazione e soggiogamento dell’altro.
Un qualcosa che ci rendeva superbi per ciò che possedevamo e che altri non avevano.
Qualcosa che ci faceva gioire per ogni umiliazione, piccola o grande, che riuscivamo a infliggere.
Un qualcosa, in definitiva, che non può e non deve essere ascritto al’approccio educativo di genitori e parenti, alla maggiore o minore stabilità del proprio contesto familiare, alla abbondanza o carestia di giocattoli e divertimenti.
Un qualcosa che potremmo chiamare il Marchio di Caino: il segno patente della nostra imperfezione, della nostra imperscrutabile tensione al Male quando non abbiamo la Grazia di nascere Santi e non ancora la forza e la volontà per tentare, se pur maldestramente, di diventarlo.
Il luciferino, insomma, che entra “vi et clam” nella storia personale di ciascuno di noi, mirando, fin dalla più tenera età, ad ossidare giorno dopo giorno la nostra Anima, a farne ruggine per poterla poi conquistare con maggior calma e minor sforzo (chi ha detto Berlicche? Ecco: esatto. Proprio lui).
Ora, intendiamoci, non voglio in alcun modo dare l’idea che la nostra scuola fosse una specie di riformatorio giapponese stile Battle Royale con Takeshi Kitano in veste di preside supplente: eravamo semplicemente bambini, nulla di più, nulla di meno. E se è vero, come è vero, che i “bravi bambini” erano assai numerosi (per indole, per Grazia, per fortuna…), è altresì vero che altri, me compreso per certi versi, “bravi” non erano.
Ed è proprio in quella foresta oscura di piccole e grandi mancanze, di pensieri, parole, opere e omissioni che le nostre antichissime suorine intervenivano con infallibili cesoie per potare il Male insito in noi, per scriminare con pazienza, dolcezza, fermezza e severità del caso il grano dal loglio. Una guida, un punto di riferimento fermo e preciso, un radiofaro che NON si sostituiva (mai!) alla famiglia, ma che ne integrava (e correggeva quando era giusto farlo) l’azione educativa primaria. Per il semplice fatto che, pur non avendo tutte studiato, conoscevano e percepivano la Verità della nostra imperfezione. E in questa alacre, sollecita, instancabile, spesso sminuita e derisa vocazione all’educare aveva, oggi lo capisco (con una punta di rimordente amarezza, ahimé…), un ruolo fondamentale il “costringerci” tutte le mattine, appena entrati allo squillo della prima campanella, a recarci in cappella per pregare ai piedi di un crocifisso che agli occhi di noi fanciulli appariva enorme, altissimo, sterminato. E così doveva essere, per poterci abbracciare tutti e 300…
In conclusione, oggi è questa l’essenza del nuovo rischio educativo: libertà apparente promessa con la mano destra e schiavitù reale garantita con la mano sinistra. Bambini che devono essere omologati e schiacciati, degradati a semplice fenomeno sociale proprio nel momento stesso in cui per dabbenaggine, stupidità, conformismo o, peggio e ben più frequentemente, aperta malafede li definiamo “buoni in sé stessi”, cosa che, semplicemente, NON sono. Non necessariamente almeno.
E di fronte a questa accettazione prona. castrata e castrante impostaci dalla “nuova pedagogia” non c’è da stupirsi se i virgulti di oggi familiarizzano prestissimo con droga, coltelli e sessualità: è stato tolto loro l’orizzonte più ampio, quello che è infinito proprio perché, paradossalmente, ha limiti e paletti che si chiamano regole.
Regole che, tuttavia, non stanno scritte su nessun manuale di psicologia infantile o prontuario stile “teaching for dummies in ten lessons”, né , meno che meno che meno, in qualche dottissimo e debordante sproloquio targato “comunità europea”.
Regole che, molto più semplicemente, sono scolpite nel cuore di ogni Padre e Madre. E pure in quello di qualche antichissima, indimenticata suorina…
L’ha ribloggato su Luca Zacchi, energia in relazionee ha commentato:
Un racconto di vita che ho trovato bello e che, semplicemente, condivido per la vostra lettura.
Grazie del racconto. Noi viviamo in Germania da un po’ ma siamo sempre collegati con l’Italia. Qui le maestre devono far condividere tante religioni in una stessa classe e questi è anche bene. Purtroppo è l’ateismo o l’adorare il dio denaro da parte dei genitori il problema. I bimbi in se, non sono tutti buoni come da te scritto, ma hanno tutti un istinto all’infinito, ad aver bisogno di credere a quello che non c’è. Purtroppo alcuni genitori dicono che non vogliono dare una direzione religiosa ma lo faranno i bimbi quando saranno maggiorenni. Questo comportamento uccide anime o diciamo, le porta al diavolo. Un mio amico sacerdote dice che dovrebbero tenere lo stesso comportamento anche con il cibo: aspettare che il bimbo abbia 18 anni in modo che possa decidere cosa mangiare…
Attenzione alle parole! 🙂 Bisogno di credere a qualcosa che non si vede, ma che si sente, si percepisce che ci sia. Credere a una cosa che non c’è è sciocco, oltre che inutile, è una illusione palliativa auto inflitta (che è l’accusa contro la religione che va per la maggiore).
si si… quello volevo dire. Loro comunque accettanto un bisogno di trascendenza, mentre gli adulti lo nasconodno sotto le cose.
Caro Francesco, è vero quello che dici, sacrosanto e anche, absit injuria verbis, evidente. Chi è stato bambino o ne ha prodotti o frequentati, sa che anch’essi sono preda di scomposte passioni che li portano sovente a comportarsi male, specie verso i più deboli. A questo serve l’educazione, a dirigere al bene ciò che facilmente potrebbe tendere al male. E’ una responsabilità e un dovere farlo. Io che ormai mi avvicino al mezzo secolo di vita e comincio a mollare i freni inibitori, alle volte mi trovo incerta se intervenire, in treno, in spiaggia, sul lavoro, per rimproverare bambini e giovinastri che disturbano. Quasi sempre lo faccio, magari superando una certa timidezza, perchè mi rendo conto che va fatto, che nessuno lo fa. Così redarguisco 15enni turpiloquenti o col le zampe sui sedili. Immagino i commenti che fanno (ho avuto 15 anni anch’io), ma qualcuno glielo deve pur dire!
A quelli colle scarpe sui sedili, dopo aver provato la tattica del rimbrotto e quella della esortazione accorata, oggi uso quella dell’offrirgli un foglio staccato dal quaderno o album di cui mi trovo provvista, da mettere sotto le suole “per evitare che i sedili le sporchino”. La cosa spiazza, in genere ripongono i piedi al loro posto (però c’è anche stato chi ha ringraziato come se niente fosse…)
Bellissima riflessione.
Ricordo, da bambino e poi anche più grande, fino ai quattordici quindici anni, di essere stato un bastardo maledetto. Ho inflitto torture inenarrabili a piccoli animali (tipo lucertole, rane, piccoli topi), ma ho scaricato il mio sadismo senza freni anche su bambini o ragazzini più piccoli di me. In particolare, ricordo un ragazzino, di due o tre anni più piccolo di me, che veniva spesso, con la mamma, a trovare una sua parente che abitava nel mio palazzo. Appena arrivava usciva fuori e si univa alla nostra piccola banda di teppisti. Purtroppo per lui era un debole. Ricordo di averlo abusato, umiliato, terrorizzato e fatto piangere con una cattiveria disumana. Ricordo che aveva incominciato a temermi e, pur desideroso di unirsi a noi, cercava di starmi alla larga. Ebbene, ben consapevole di questo, mi avvicinavo a lui inizialmente con fare amichevole, per conquistarne la fiducia. Dopo, piano piano, iniziavo ad esercitare violenza (soprattutto psicologica) su di lui, fino ad arrivare a dominarlo completamente. Leggevo con piacere il terrore nei suoi occhi, con piacere lo sponevo alle umiliazioni più feroci e tutti gli altri ragazzini godevano, chi più chi meno, di questa insensata ed oscena cattiveria. Non credo di esagerare a dire che, in quei momenti, eravamo tutti, io per primo, soggiogati e tentati dal diavolo.
Di questo ragazzino, oggi, purtroppo, non ricordo più neanche il nome e, comunque, non so nemmeno se sarebbe opportuno presentarsi a chiedere scusa. Posso però chiedere perdono a Dio di questi orrori che non ricordo di aver mai confessato (forse perché non ero ben consapevole), ma, soprattutto, posso pregare per lui, per la sua salvezza, perché un giorno, terminate le fatiche, possa incontrarlo di nuovo in paradiso ed abbracciarlo come un fratello.
Comunque, Rousseau sì che ne fatti, di danni …
webmrs: ecco, l’avevo già messo tanto tempo fa, tutta colpa di Rousseaux (e Voltaire), bisognerebbe poter fare la storia a nostro piacimento!
p.s. restando in attesa di una Sua gentile etc. etc.
Senza la x. E come dargli torto, povero Gavroche?
…senza la x, vero! (l’ignoranza fa brutti scherzi!)
…….sempre comunque in attesa eccetra!
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/39/Terracotta_da_tanagra,_musa_con_la_cetra,_250-200_ac.jpeg
“Un qualcosa che induceva a sviluppare volontà di dominazione e soggiogamento dell’altro.
Un qualcosa che ci rendeva superbi per ciò che possedevamo e che altri non avevano.
Qualcosa che ci faceva gioire per ogni umiliazione, piccola o grande, che riuscivamo a infliggere.”
Te eri così? I
….io che ho patito sotto i preti poi ho anche patito della superbia e prepotenza universitaria degli anni ’70
(non avendo mai fatto parte di nessun gruppo qualsiasi) e quindi ho preso e sono andato via a lavorare in Inghilterra
un lavoro duro, ma ben retribuito e innaffiato di birra a Newcastle. Del resto basta avere letto “La fattoria degli animali” e/o “Il signore delle mosche”….
….mi raccomando non “Degli anelli” ma “Delle mosche”!!!
OT: segnalo la bellissima lettera di ringraziamento a Meriam Ibrahim scritta dalla microbiologa nigeriana cattolica Obianuju Ekeocha:
http://www.cultureoflifeafrica.com/2014/07/an-african-woman-gratitude-to-mariam.html?m=1
Cova, grazie! Lettera davvero meravigliosa
Si decisamente non sono sempre angeli, altrimenti non avrei passato tutte le elementari e le medie a scappare dagli specchi perché ero una ” balena grassa e quattrocchi “.Anche se mia madre diceva che da grande non sarebbe stato più così non ci credevo, così da adolescente ho messo le lenti a contatto e sono passata da un estremo all’altro arrivando a pesare 45 kg perché volevo essere perfetta e non volevo più sentirli. Poi da grande è arrivato Francesco, che mi ama così come sono difetti e tutto, ma di certo non direi mai che sono sempre buoni anzi, i bimbi sanno essere spietati e crudeli.
Ne parlavo giusto ier sera con amici, di quel tristissimo figuro di Rousseau.
Un mio antico professore amava chiosare che i bambini sono animaletti, che l’e-ducatore deve condurre, fare uscire, dallo stato di bestie per raggiungere lo stadio umano.
Personalmente credo che al bambino manchi la capacità empatica, cioè di capire la sofferenza di qualcuno fuori di sé. Il passaggio ad essere umano avviene quando si capisce il significato di prossimo.
Ma certa gente non cresce mai.
😀
….non inferiore comunque a Adinolfi, Rousseau!
Ah, osservazione intelligente e bene argomentata, pienamente pertinente. Peccato manchi d’empatia.
….mentre invece argomentatissimo profferire “quel tristissimo figuro di Rousseau” dove l’unica cosa giusta è che triste lo era di sicuro! Ma perché “figuro”? Che vuol dire?
Vuol dire uno che pontificava di educazione e buttò i suoi figli in orfanotrofio. Una cosa così.
La persona giusta di cui seguire le teorie.
Forse che era il prototipo dell’intellettuale “chiagn’e fotte”?
http://books.google.it/books?id=EJklvF0l97MC&pg=PA303&lpg=PA303&dq=darnton+rousseau&source=bl&ots=bRFtxNb-UF&sig=i3pcWVMEIAwJNgCOoNqmatEj7ds&hl=it&sa=X&ei=u_DZU8zpNKKu0QWxloDIDg&redir_esc=y#v=onepage&q=darnton%20rousseau&f=false
….tipo voi?
VOLTAIRE, ROUSSEAU E I MOSTRI
Che differenza tra i campioni del laicismo illuminista e la Chiesa!
di Antonio Margheriti Mastino
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3370
…storia scritta da un cane!
«I always like a dog, so long as he isn’t spelt backwards.»
Grazie! Semplici verità. Dette benissimo. Boccata d’aria fresca per me, che educo i miei figli con la consapevolezza che vadano educati e non lasciati fare e passo per una madre severa in mezzo alla schiera di mamme libertarie. Salvo poi sentirmi rivolgere complimenti stupiti e ammirati per come i miei – normalissimi!!! – figli si comportano.
webmrs:riformulo la domanda:
“Nella pittura moderna non si nota alcuna traccia di rispetto per
l’uomo Ma neppure per gli animali e per i fiori. Anche questi si demonizzano e divengono
magici.
Tale situazione si è venuta formando a poco a poco: lentamente si è consumato l’antico
patrimonio della tradizione umanista. Già nella prima metà del secolo si può notare
– proprio anche nelle grandi creazioni ritrattistiche – una demonizzazione dell’immagine
umana e, in questo caso, può essere che la trasparenza del fondo scuro davanti
al quale è collocata la figura (una volta essa veniva collocata invece davanti ad un
luminoso sfondo dorato) conferisca al ritratto di quest’epoca quella speciale interiorità
che non avevano i ritratti del secolo diciottesimo. A cominciare dal 1880 si diffonde
sempre più intorno all’uomo e dentro di esso il senso del Nulla e, all’inizio del secolo
ventesimo, si fanno strada orientamenti che non possono ne vogliono più raffigurare
un’immagine umana che non sia deformata.”
Non sembra uno scritto di Paolo Pugni?
A due anni i bambini, sono già dei piccol mafiosi… sanno esercitare il ricatto e pretendono il “pizzo”. Eh già!
Ma babbi e mamme buone (mamme soprattutto…) non hanno che un sol giudizio: “Ma è un bimbo… poverino…” 😉 😐