Il Navigatore

di Costanza Miriano

C’è stato un periodo in cui, con rigorosa e millimetrica precisione mio marito in corrispondenza di emergenze pediatriche, spettacolini scolastici e miei inderogabili impegni di lavoro veniva mandato in trasferta. Il chilometraggio di distanza era ovviamente commisurato ai gradi di febbre, e sopra i 38 e 7 veniva spedito in Nicaragua, in Brasile, in Malesia; in fantasiose località delle quali, quando andrò in pensione e avrò finalmente tempo di aprire un atlante, scoprirò l’esatta ubicazione sul globo terracqueo.

 Quando lo chiamavo – c’era uno scarafaggio, non trovavo l’interruttore della corrente, a un figlio si era perforato un timpano – lui stava sempre andando da qualche parte, aggirandosi a caso per le strade di città mai sentite nominare. Ma come fai? – gli chiedevo io, che ogni tanto mi spostano i monumenti, a Roma, e almeno una volta alla settimana finisco dove non dovevo andare (ma c’è sempre qualcosa di istruttivo in questa bella città, e poi basta chiedere indicazioni con aria leggermente spaesata che qualcuno si prodiga per aiutarti, anche se mi danno indicazioni sempre in inglese). “Semplice, – mi rispose lui una volta, eravamo nell’era preistorica antecedente all’avvento dei navigatori satellitari – il mio collega mi ha insegnato come si fa: quando non sai dove andare, vai dritto.”

La regola d’oro mi è tornata in mente qualche giorno fa parlando con una ragazza che mi chiedeva un consiglio: vorrebbe cambiare lavoro, forse ha trovato la sua vera vocazione, col suo ragazzo non è più tanto convinta di continuare, e quanto ai figli fino a che le cose non si sistemano non ci si pensa proprio.

Io non so esattamente cosa abbia potuto indurre in qualcuno l’idea che io sia in grado di dispensare consigli, comunque visto che a volte capita che me ne chiedano, ci provo con tutto il cuore. Ascolto, mi immedesimo, se c’è tempo ci prego, poi cerco di rispondere decentemente. Il più delle volte però non è che mi venga molto di meglio che adottare il consiglio del collega di mio marito: “quando non sai dove andare, vai dritto”.

Il fatto è che il brodo culturale nel quale siamo cresciuti ci induce a pensare che davanti a noi, per sempre, all’infinito, ci saranno sempre dei bivi. Nessuna scelta è definitiva, nessuna ci preclude niente del tutto, sembra il messaggio. Potrò sempre trovare il lavoro che mi realizza, potrò sempre incontrare una persona più giusta per me.

E’ un’enorme bufala.

Non è vero che ci sarà sempre un bivio, non è vero che le strade saranno tutte aperte. Le nostre scelte ci determinano, noi siamo il prodotto dei sì e dei no che abbiamo detto negli anni, e i sì e i no non sono mai neutri. Hanno conseguenze precise e non c’è il tasto per tornare indietro e rifare.

Io per esempio ho incrociato il cammino di alcune persone che forse, chissà, da un punto di vista umano avevano fatto scelte sbagliate, e che pure sono rimaste fedeli a quelle scelte, e solo per la loro fedeltà, per quel rimanere al loro posto, hanno portato frutto. I giudizi di Dio non sono i nostri giudizi, e se tutto concorre al bene per coloro che lo amano, a volte il rimanere al proprio posto di combattimento rende una vita feconda, anche se in modo diverso da quello che avevamo immaginato. Come diceva don Giussani, tu ti puoi anche sbagliare, ma Dio non si sbaglia. Quelli che a te possono sembrare errori, rendono invece la tua vita feconda per il solo fatto che stai lì al tuo posto, a volte anche al tuo lavoro che non ami, con quella moglie che ti ha deluso, vicino a quell’amico che non ti dà l’appoggio che speravi.

Ci sarebbe poi da parlare del lavoro, che in quest’epoca come credo mai in nessun’altra della storia è spesso percepito, soprattutto dai giovani, come qualcosa che deve realizzarci, nel quale esprimere la nostra personalità. Fatichiamo a pensarlo solo come fatica e sostentamento, ed è un altro degli inganni dell’uomo contemporaneo. (*)

Ci sarebbe poi da dire della strampalata idea dell’amore che dilaga da tutti gli schermi piccoli e grandi, dai giornali, dalla maggior parte dei libri, un’idea emotiva e superficiale e poco impegnativa, che prescinde dal lavoro e dalla dedizione, dalla scelta definitiva di una persona pacchetto completo (capito, caro? È tutto incluso nel prezzo, anche quelle belle conversazioni sul potere drenante dei cibi nelle quali ti coinvolgo).

Ci sarebbe, ma se rilascio un altro parere su qualcosa svengo: ho fatto due presentazioni, un incontro e un’intervista in quarantotto ore. Posso solo consigliare a chi sta al bivio di prendersi il nostro stesso navigatore satellitare. Punta sempre dritto verso il cielo. Non è utilissimo in caso di importanti appuntamenti di lavoro, ma la destinazione finale la indica sempre. A volte, quando vuoi cambiare strada è pure un po’ molesto, ma al limite si può anche spegnere.

(*)  Ieri sera dopo l’intervista a radio Maria (si è sentita Lavinia in diretta? “pelché palli con questi signoli?) e una due giorni di presentazioni a Brescia e a Roma avevo poco più di un’ora per pensare e scrivere il post, e mi rendo conto che l’ho tirato un po’ via. Di solito ci penso e ci rumino per giorni. Quello che volevo dire per quanto riguarda il lavoro è che adesso, ai nostri giorni, ha assunto una connotazione di”autorealizzazione, autoespressione”che è molto pericolosa. E’ vero che è bello fare un lavoro che si ama, piuttosto che uno che non si ami. Ed è vero che a questo si può anche sacrificare in parte una maggiore soddisfazione economica, se questo non finisce per pesare sulle spalle di qualcun altro (per esempio anche sulla scelta di avere o non avere figli). Anche io, che predico bene, ho fatto la scuola di giornalismo (ma non la rifarei mai se tornassi indietro), e scrivo pure, quindi non ho il diritto di salire su nessuna cattedra in questo senso. Ma quando sento ragazzi che non escono di casa perché cercano il lavoro che li realizzi mi viene da pensare che siamo un po’ tutti vittime di questa mentalità. Una sorta di infantilismo che viviamo a volte anche nella vita sentimentale e persino spirituale (tornerò sull’argomento). A questi ragazzi consiglio di trovarsi un lavoro comunque sia, e poi magari nel tempo che rimane – se uno non ha famiglia ne rimane tantissimo – cercare di vedere se davvero hanno quel talento che credono di avere. Scrivere, disegnare, recitare, bloggare, fare la regia, lavorare nella comunicazione. Non si trovano più panettieri, artigiani, gente che voglia lavorare con le mani. In compenso siamo pieni di gente di cinema.
A volte mi trovo a pensare ai nostri genitori, cresciuti – nel mio caso – nell’immediato dopoguerra. Hanno trovato un lavoro – il mio è magistrato – al quale magari si sono appassionati anche moltissimo, ma che all’inizio certo hanno vissuto principalmente come sostentamento e fatica, grande fatica. Col sudore della fronte guadagnerai il pane. Per questi ragazzi, ai quali sono state risparmiate tutte le frustrazioni ( e peggio ancora per i bambini di oggi, è una cosa incredibile come siamo selvaggi e disabituati ai no) il mondo del lavoro appare come un inspiegabile muro contro cui all’improvviso si infrange l’idea che si sono fatti di sé.

154 pensieri su “Il Navigatore

  1. Oh, Dani, grazie!! Anche io, davvero. Oggi parlavo anche di te a radio Maria, quando ho detto di tutte le persone meravigliose che ho conosciuto grazie al blog.

    1. 🙂

      Non ho potuto ascoltarti perché avevo qui mio suocero che è arrivato tardi dall’ospedale, dovevo dare la cena, sistemate tutto e ho la lavastoviglie rotta (son problemi!)

      Un abbraccio grande!

      1. Alberto, se mi si rompe la lavatrice io decreto uno stato di calamità pubblica. Per la lavastoviglie scatta solamente l’allarme rosso della crisi isterica.

  2. Adriano

    “Ci sarebbe poi da parlare del lavoro, che in quest’epoca come credo mai in nessun’altra della storia è spesso percepito, soprattutto dai giovani, come qualcosa che deve realizzarci, nel quale esprimere la nostra personalità. Fatichiamo a pensarlo solo come fatica e sostentamento, ed è un altro degli inganni dell’uomo contemporaneo.”

    I gusti sono gusti, ma personalmente troverei triste a essere obbligato a fare per un quarto della mia vita qualcosa che magari odio o non mi soddisfa solo e unicamente perché “mi dà da mangiare”. Sono convinto che la frustrazione, la depressione e la tristezza che ne conseguerebbe, accentuata quando si scopre che i soldi non sono tutto e che c’è invece gente realizzata dal proprio lavoro, non possono non influenzare anche le ore non lavorative. Personalmente ho rinunciato a posti di lavoro “sicuri”, anche di recente, preferendo un’attività altamente precaria ma che mi dà più soddisfazioni.

    No, non navigo nell’oro e non ho potuto fare diverse cose: per esempio non ho mai acquistato un’auto. Ma preferisco questo a rinunciare alla qualità del mio tempo, legato all’entusiasmo di poter esprimere la mia personalità e al fatto di fare un lavoro che mi soddisfi.

    Ripeto: i gusti sono gusti. Ma le tante persone insoddisfatte che incontro ogni giorno mi dimostrano continuamente che ho fatto bene. Sono fortunato? Forse. In ogni caso “la fortuna aiuta gli audaci”.

    Provare per credere! 🙂

    1. nonpuoiessereserio

      Ci sono giornate in cui torno a casa dal lavoro dopo aver passato ore di stress e malumore eppure quando vedo la serenità dei miei bambini tutto assume un significato.

    2. elisabetta

      dove si mette mi piace?!
      (ehmm, Adriano, muoio anche dalla curiosità di sapere che mestiere fai…)
      un quarto della vita occupato dal lavoro mi sembrerebbe già un’obiettivo fantastico, il mio ne occupa decisamente più di un terzo, che però pesa come fosse la metà e calcolato che per un quarto dormo, il risultato è pessimo

      1. Adriano

        Elisabetta,

        Se togli i periodi in cui non si lavora (scuola dell’obbligo e studi, pensione per chi l’avrà) si potrebbe arrivare al quarto. Ma è un dato variabile.

        Il tipo di lavoro che faccio non è importante (diciamo che sicuramente non annoia). E’ essenziale che mi piaccia (e so che il mio lavoro non piace a tutti: infatti dopo pochi anni sono tra i più ‘anziani’!)

  3. Mi piace, ma con un appunto: non penso che il lavoro debba essere solo fatica e sostentamento perchè credo che lavorare sia una dimensione esistenziale dell’essere umano, parte della sua vocazione. Ci sarebbe piuttosto da discutere forse su cosa significa “realizzarsi”.
    Per il resto mi piace l’idea del navigatore, mi piace applicarlo all’idea di “vocazione”: può succedere che nella vita si facciano scelte sbagliate, ma una volta fissato l’obiettivo anche se abbiamo deviato un po’ la strada per arrivare si trova sempre. E allora il concetto di fedeltà prende un altro sapore: fedeltà al fine, non attaccamento alla strada che si sta percorrendo. E quando si ha chiaro il fine allora si riesce ad amare anche una strada apparentemente deludente

  4. Grazie Costanza: ammiro la tua capacità di guardare con una lucidità semplice e profonda al mondo, e trovarci dentro la trama, il filo che collega, il senso che spiega.
    Eh sì, hai ragione, abbiamo tutti bisogno di tenere fisso il navigatore e ascoltarlo, farci guidare. Con la consapevolezza di avere sempre la guida giusta per ogni bivio.
    Quanto al lavoro, mi permetto di chiosare, perché è tema che mi sta a cuore, al punto che c’ho pubblicato due libri sopra.
    Metti bene in evidenza uno dei due vizi connessi alla professione: l’eccesso.
    Lavoro come senso della vita, come fine ultimo.
    Oggi temo sia più diffuso quello per difetto: lavoro come catena, come mezzo faticoso per permettersi i mezzi e vivere la vera vita, quella della disco, dello sballo, del divertimento.
    Poi c’è la terza via, in medio stat sempre virtus: lavoro come mezzo sì, ma per il fine vero. Come mezzo di santificazione: come cammino dove dare il meglio di sé ma non fine a se stesso, ma per seguire sempre il tuo navigatore.
    Grazie!
    Paolo

    1. Mario G.

      Un grazie pieno di simpatia a Costanza per la sua squisita capacità di raccontare la vita con semplicità e conoscenza.
      @ Paolo, in primis, ma a tutti noi lavoratori, segnalo questa piccola parabola tratta da un libro di scuola di un paese dell’Est:
      “Un saggio va per la sua strada e incontra tre uomini che spingono una carriola carica di pietre. Chiede al primo: – Che cosa stai facendo? – E quello risponde: – E che, non vedi? Sto spingendo questa maledetta carriola! –
      Si rivolge al secondo: – Che cosa stai facendo? – E quello: – Che cosa faccio? Non vedi? Mi do da fare per guadagnare denaro. –
      Si rivolge allora al terzo: E tu, cosa stai facendo? – E il terzo rispose: – Costruisco una santa Chiesa. –
      Provate a pensare a queste tre risposte: tre uomini fanno lo stesso lavoro, ma il loro rapporto con questo è ben diverso.
      Come sarebbe bello il nostro aspetto se ciascun uomo, compiendo il proprio lavoro, costruisse la sua “santa chiesa” !”

  5. Costanza:
    Riguarda tutto bene quello che hai scritto, non torna nulla, anche dal semplice punto di vista pratico, chiami decidersi per sempre, per esempio, decidere di sposarsi e di non sposarsi, si e no, uguale, e poi?
    Per quello, poi, che riguarda il lavoro il sacrificio eccetra mi viene in mente
    la scuola Madre Mazzarello, di Firenze, dove ho fatto l’asilo e due anni di elementari,
    metà dei quali chiuso nello stanzino buio del carbone in castigo e sentivo le suore che fuori dicevano che ringraziavano il Signore che le guidava per la strada dritta dell’obbedienza e della rassegnazione a come uno è (avviamente in Cristo e la Madonna, di cui esse suore insieme a don Bosco sono devotissime)e altri lori deliri.

    1. Fk

      Magari nello stanzino dovevano tenertici di più… capisco che è lunedì, ma tu c’hai sempre i “dominesdei”, come dice nonna…

      1. Per me il lunedì è il giorno più bello, prima cosa perchè non è più domenica(maleddetta domenica!) e poi perchè si ricomincia a FARE.
        (a parte che uno potrebbe FARE anche di domenica, ma l’uggia triste del giorno di festa riesce a levarti qualsiasi entusiasmo….)

        1. Posso suggerire un po’ meno Leopardi di seconda mano e un po’ più Appio Claudio Cieco («faber est suae quisque fortunae»)?

    2. Velenia

      Alvisuccio,(mi riferisco al bambino chiuso nello stanzino del carbone) io ho fatto scuole più che statali,stataliste,e ho trascorso 1/4 del tempo dietro la lavagna e un altro 1/4 in corridoio,la mia maestra mi chiamava “linguacciuta” (ma perchè mai?),al liceo avevo sempre 7 in condotta per i motivi di cui sopra,e vuoi saperlo?Ai miei figli non lo direi mai ma in fondo ne sono orgogliosa.

  6. Erika

    Non so. Sono perplessa. E’vero che a volte ci smarriamo perche’ abbiamo pretese assurde, pero’ e’ anche vero che una persona giovane deve trovarla la sua strada prima di imboccarla, sapendo che in ogni caso richiedera’ sacrificio e costanza ( o Costanza? 😉 ) Secondo me, se non sai dove andare, fermati un momento e cerca di orientarti. Purché sia un momento, non un quarto di secolo…

  7. L’idea del quarto di secolo mi faceva sorridere, conosco persone che davanti ad un bivio ci restano tutta una vita e non vivono. Nella vita reale se devo trovare un posto fisico il mio orientamento è 0. Se devo prendere decisioni quello che molti definiscono ” il mio caratteraccio ” aiuta parecchio, qualcuno la definisce perseveranza, voglia di realizzare i sogni, delle persone che amo e i miei.

    1. 61Angeloextralarge

      Grazie! Buona giornata anche a te!
      Sto “ragazzi” tira su il morale (non ne avrei bisogno ma non fa male) e abbassa l’età! Smack!

  8. Mario

    Credo che nel lavoro, ma più in generale in tutte le cose della vita, non è tanto importante cosa fai, ma come lo fai e perché lo fai.

    Credo che in amore (e qui mi aspetto un nutrito lancio di ortaggi) non è così importante avere accanto una persona anziché un’altra, quanto il progetto che vuoi costruire con quella persona (“amarsi non è guardarsi negli occhi, ma guardare insieme nella stessa direzione”).

    Credo che oggi l’egoismo si è trovato tanti nomi attraenti dietro cui nascondersi: “libertà”, “spontaneità”, “carattere”, “ricerca” e soprattutto “amore”… mentre l’amore, fatto di dedizione e di impegno (e questo soprattutto quando è difficile, quando alla persona con cui hai liberamente scelto di condividere la vita infileresti volentieri la testa nel forno… e invece continui a volerle bene), viene bollato come “ipocrisia”, “conformismo”, “bigottismo”.

    Credo, infine, che, senza Gesù, diventa difficile vivere e scegliere.
    Da un punto di vista materiale, la nostra vita va incontro al fallimento: se non moriamo prima, siamo tutti fatalmente destinati a invecchiare, ammalarci, perdere persone care, ed infine affrontare il nodo della nostra dipartita.
    Ma con Gesù, immersi nell’amore di Dio, tutto, soprattutto la fatica e la sofferenza, acquista un significato nuovo.

    Conosco una persona a cui, a vent’anni, due settimane prima di sposarsi, è stata diagnosticata la sclerosi multipla. È andata incontro ad una paralisi progressiva (oggi, dopo 50 anni, può muovere solo alcuni muscoli del volto… ma sa ancora sorridere), ha visto il suo fidanzato sposarsi ed avere figli da un’altra donna, ha attraversato momenti di grande oscurità….
    Eppure, oggi, trasformata dall’incontro con Cristo, dopo pellegrinaggi, incontri, rapporti profondi di amicizia e di affetto, tanto tanto amore, è una persona splendida, più felice di tanti giovani a cui apparentemente non dovrebbe mancare nulla.
    Una volta, e lo conservo come un ricordo prezioso, mi ha detto: “Valeva proprio la pena di affrontare tutto questo, per conoscere un Bene così grande”…

    1. nessun lancio di ortaggi, condivido che sia importante il “come lo fai e perchè”. Ma non me la sentirei di dire che è indifferente il con chi e il cosa.

      1. Mario

        Certo che non è indifferente con chi vivi un progetto!
        Quello che intendo dire è che ciò che ci qualifica, e ci permette di costruire qualcosa insieme a qualcun altro, non è innanzitutto il carattere, l’attrazione fisica, la simpatia, ma le nostre scelte, ciò per cui vogliamo vivere…
        Penso che i matrimoni sarebbero più solidi e più felici se ci si sforzasse di capire e concordare prima qual è il progetto che vogliamo condividere, gli ideali a cui desideriamo che la nostra famiglia aderisca.
        Invece mi sembra che si dia molta più importanza alle emozioni che l’altra persona suscita in noi, e che, piuttosto che rischiare di contraddire quell’emozione, si preferisce evitare di andare in profondità.

        1. ho capito cosa intendevi dire, e sono d’accordo. Ma per prevenire il lancio gratuito di ortaggi ho preferito puntualizzare.
          Poi ci sarà chi pensa che l’unica cosa che importa è trovare la persona giusta, il lavoro giusto, la città giusta ecc… ma le favole servono a poco, la realtà è molto più appassionante

    2. I soliti racconti apologetici, migliaia e migliaia di apologie quasi uguali e i bambini si commuovono e mettono subito mano al rosari?
      Ma per favore!!!
      Certo, c’è chi è capace nelle avversità di trovare la forza di andare avnti e di essere anche “sereno” che si chiami Cristo amicizia vicinanza degli altri eccetra, e c’è anche chi non la trova, chi ne trova di più chi ne trova di meno. Non c’è mica sempre bisogno dell’incontro con Crsito. In quanto al discorso che ne valeva la pena…tralasciamo.

      1. Mario

        Caro Alvise,
        si può contraddire un’idea, ma come puoi contraddire una vita?
        Ci sono persone che trovano in Gesù la forza di affrontare difficoltà che sembrerebbero insormontabili, e di farlo con la gioia di vivere in quelle difficoltà.
        Io non so se esista qualcuhe non credente che ha la stessa forza e la stessa gioia, ma se esiste io credo che comunque anche a lui/lei la grazia di danzare nella pioggia arrivi sempre da quel Gesù che non conosce ancora.
        Ti invito con tutto il cuore a guardare questo video:
        http://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=2951
        Prego per te.
        Ciao,
        Mario

    3. ma quale lancio di ortaggi! giorni fa sono andata a trovare un’amica nel suo ufficio e chiacchierando è venuto fuori che su questo punto la pensavamo proprio allo stesso modo… Certo, l’uomno giusto è sempre quello che sposi. E scoprirai un sacco di difetti che magari non ti aspettavi. Ma se pensi che avresti potuto avere di meglio aspettando un altro po’….ti sbagli di grosso. Magari un altro non lascerà i calzini sporchi sugli scaffali della libreria… e schiaccerà il tubetto di dentifricio nel mezzo anzichè dal fondo! a parte gli scherzi… non sono i pregi e i meriti a fare il rapporto con l’altro, ma la volontà di intraprendere una strada comune e aiutarsi nelle cadute guardando sempre il punto indicato dal Navigatore (e talvolta capita anche che se uno dei due si distrae, il compito di andare avanti lo fa uno solo per tutti e due…)

      1. 61Angeloextralarge

        Giuliana! Non reggo mentalmente le persone che ragionano “Se avessi aspettato”… “Se avessi deciso diversamente”… “Se avessi fatto prima”… etc. Intanto perchè vivendo di “se” fantasticano su un’ipotetica realta immaginaria e si perdono il presente. Possibile che il presente non abbia un “bacio di Dio” da offrirci? Mi pare strano! E poi… LE LAMENTAZIONIIIII sono già state scritte! BASTAAAA!

        1. sono molto d’accordo con te Angela! hai visto il film “La finestra di fronte”? …. bè, parla proprio di questo. E’ il motivo per cui di solito le donne tradiscono il marito: si sentono deluse dalle aspettative e cercano altrove la realizzazione di un desiderio, invece di guardare a quello che hanno già.

          1. 61Angeloextralarge

            Visto! Galoppiamo con la fantasia e ci perdiamo il meglio che la vita, anzi Il Signore, ci sta donando.

  9. canefedele

    Il gruppo lettori e scrittori “sposati e sii sottomessa” richiede cortesemente un ampliamento dell’articolo, nel comma: lavoro, vocazione, Dio.

    Grazie

  10. forse hai ragione tu, costanza, e col tempo probabilmente lo scoprirò, ma il mondo come lo descrivi tu appare così grigio e privo di passione e realizzazione che mi rifiuto di crederci. Non contesto tutto, molte cose sono insindacabili verità, come quella del fidanzato-pacchetto completo, peró conosco chi nella vita è realizzato, con un lavoro he gli piace e un uomo/donna che ama appassionatamente dopo tanti anni… le cose cambiano tanto a seconda della compagnia che hai e dell’uomo che hai accanto. Essendo fermamente religiosa non penso comunque ch la vita debba essere votata all’accettazione passiva e alla rassegnazione, non è nella natura umana, ed è stato Dio a farci così. La vita è fatta di grandi passioni e di grandi e potenti sentimenti che ci danno la forza per accettare, accogliere o combattere gli imprevisti che ci sbarrano la strada.

    1. perfectioconversationis

      @gretapiccininni: io non ho visto nel post questo atteggiamento “grigio e privo di passione”, al contrario, quel che arriva a me (che con la costanza – ma non con la Costanza! – ho dei problemi) è che le scelte più grandi e potenti sono quelle che si radicano. Capaci tutti, più o meno, di avere un week-end di trascinante passione, di iniziare un lavoro nuovo pieni di entusiasmo, di iscriverci a un corso di cinese.
      Il punto è vedere se con la persona del week-end riesco a condividere la vita, se passata la novità non inizierò a ripiegarmi su me stessa, se avrò la determinazione di studiare il cinese per mesi e mesi, per imparare davvero qualcosa. Non si tratta di accettazione passiva, nel mio programma di vita c’è sempre “essere felice”. Solo che la felicità dei primi cinque minuti alla lunga è superficiale e noiosa: mille volte meglio approfondire, dare forma concreta. Persino Nostro Signore, quando ha voluto comunicarci il suo amore, si è incarnato. Ha preso corpo, ha accettato il disagio, la fatica, il dolore e infine la croce. Una lettera di belle parole non sarebbe stata la stessa cosa.
      Tuttavia, lo ammetto, l’equilibrio è difficile e precario: fino a che punto dobbiamo proseguire in una strada che ci fa del male, ad esempio, pur non essendo affatto cattiva in sé? Faccio un esempio: una persona, per soddisfazione personale e soprattutto per mantenere la famiglia (cioè un preciso dovere di stato) fa un lavoro impegnativo e stressante. Dopo un certo periodo, si rende conto che questo lavoro sta minando la sua salute. Non sarebbe legittimo tentare di cambiare, prendendo eventualmente un rischio? Ma se espone a questo rischio tutta la propria famiglia, come capire il giusto punto di equilibrio? E non è un danno più grande, per la stessa famiglia, rischiare di perdere il proprio capo? La risposta a questo quesito io me la chiedo da almeno in pario d’anni.
      Tu parli di passione: il mio ideale di passione è quello di un musicista, che per anni studia il proprio strumento, fa prove su prove, si esercita ogni giorno, ricerca l’eccellenza. Alla fine arriva la sera del concerto, sembra tutto facile, il pubblico è trascinato dalla musica e i suoi sentimenti si esaltano. Ma per il pubblico dura una sera, per il musicista dura una vita.
      Per come la vedo io, c’è un momento della vita in cui dobbiamo cercare davvero la nostra vocazione personale, non solo e non tanto perché così ci sentiremo più realizzati, ma per corrispondere al progetto più profondo che Dio ha su di noi: l’unico, in ultima istanza, che può farci davvero felici. Quindi, ad esempio, è più che legittimo cambiare idea sui fidanzati (ci si fidanza proprio per questo motivo: per conoscersi meglio e solo dopo prendere un impegno definitivo), così come è giusto a 20/25 anni provare a fare lavori vari, seguire un po’ il cuore e un po’ le circostanze sul lavoro. A quell’età si è responsabili solo per sé, benissimo quindi guardarsi attorno. Ma poi viene la piena maturità, il momento delle scelte, che inevitabilmente significano prendere qualcosa e scartare qualcos’altro. A quel punto dovremmo (dico dovremmo, perché, come dicevo, a volte ho dei problemi con la fermezza) trovare il nostro senso, la nostra realizzazione e la nostra passione in ciò che abbiamo scelto, non in ciò che abbiamo scartato.
      A me la passione che non si incarna nel tempo sembra proprio di poco valore.

  11. 61Angeloextralarge

    – Il fatto è che il brodo culturale nel quale siamo cresciuti ci induce a pensare che davanti a noi, per sempre, all’infinito, ci saranno sempre dei bivi. Nessuna scelta è definitiva, nessuna ci preclude niente del tutto, sembra il messaggio. Potrò sempre trovare il lavoro che mi realizza, potrò sempre incontrare una persona più giusta per me”: il quadro è molto chiaro e preciso. Grazie, Costanza!
    – “Posso solo consigliare a chi sta al bivio di prendersi il nostro stesso navigatore satellitare. Punta sempre dritto verso il cielo”: un consiglio come questo è la risposta a: “Io non so esattamente cosa abbia potuto indurre in qualcuno l’idea che io sia in grado di dispensare consigli”.
    – “A volte, quando vuoi cambiare strada è pure un po’ molesto”: forse perché vogliamo fare a modo nostro?
    – “ma al limite si può anche spegnere”: il problema è che lo spegniamo troppo?

  12. grandi smanie??? ahahahahah non posso che compatirvi se il vostro modo di pensare è così avvilito ( e avvilente), cinico e sottomesso, perché altrettanto lo sará la vostra vita.

    1. di solito chi si arrabbia molto e in maniera così scomposta è perché è stato toccato su un punto dolente.
      Mi dispiace, soprattutto per te.

      1. lidiafederica

        sì, ma un po’ di ragione ce l’ha, no? ci sono grandi smanie (tipo di chi vuole diventare tronista) e grandi passioni (di chi vuole diventare filosofo, o calzolaio,o idraulico, o psicologo in carcere – ne conosco, e fanno un’opera meritoria- o matematico, o critico letterario).
        le grandi smanie vanno condannate, ma le grandi passioni vanno solo che incoraggiate.
        penso che gretapiccinini volesse dire questo.
        Fare i fornai di notte è bellissimo, e ringrazio i ofrnai del pane che compro la mattina, il mondo sarebbe orribile senza fornai, ma lasciare la cattedra di Filosofia a Torino in mano a Vattimo e Odifreddi (penso che i nomi siano noti) invece di impegnarsi a diventare filosofi, se se ne ha l’attitudine e la passione, per diventare fornai è un peccato. O no?

        1. io per smanie intendo coloro che inseguono un traguardo non commisurato alle proprie capacità o all’effettiva necessità del ruolo al quale si ispira. Ad esemppio lavoro nel mondo del giornalismo e vedo un esercito di giovani usciti da quella fabbrica di disoccupati che è Scienze delle Comunicazioni.Arrivano ultratrentenni a fare stage gratuiti con la testa piena di confusione e senza nessuna conoscenza specifica (arrivano gli scienziati dico io…)

    2. Ma quale avvilente, io appena alzata noto subito il lato del bicchiere mezzo pieno nella mia vita. Così affrontare quello mezzo vuoto è molto più facile, senza agitarmi inutilmente per riempirlo. Insomma un pò di gratitudine a Dio per la strada che abbiamo già percorso, senza parossimi di angoscia per quella che faremo ancora insieme.

    3. E i cristiani sono cretini, e se mi converto mi si rovina il genio (lo disse D’Annunzio a Madre Cabrini, la quale gli rispose che almeno a sant’Agostino non aveva fatto quell’effetto) e il cristianesimo è da femminucce e ha rammollito l’impero romano etc. etc. etc.

  13. costanza

    Sì, scusate, ieri sera dopo l’intervista a radio Maria (si è sentita Lavinia in diretta? “pelché palli con questi signoli?) e una due giorni di presentazioni a Brescia e a Roma avevo poco più di un’ora per pensare e scrivere il post, e mi rendo conto che l’ho tirato un po’ via. Di solito ci penso e ci rumino per giorni. Quello che volevo dire per quanto riguarda il lavoro è che adesso, ai nostri giorni, ha assunto una connotazione di”autorealizzazione, autoespressione”che è molto pericolosa. E’ vero, come dice Adriano, che è bello fare un lavoro che si ama, piuttosto che uno che non si ami. Ed è vero che a questo si può anche sacrificare in parte una maggiore soddisfazione economica, se questo non finisce per pesare sulle spalle di qualcun altro (per esempio anche sulla scelta di avere o non avere figli). Anche io, che predico bene, ho fatto la scuola di giornalismo (ma non la rifarei mai se tornassi indietro), e scrivo pure, quindi non ho il diritto di salire su nessuna cattedra in questo senso. Ma quando sento ragazzi che non escono di casa perché cercano il lavoro che li realizzi mi viene da pensare che siamo un po’ tutti vittime di questa mentalità. Una sorta di infantilismo che viviamo a volte anche nella vita sentimentale e persino spirituale (tornerò sull’argomento). A questi ragazzi consiglio di trovarsi un lavoro comunque sia, e poi magari nel tempo che rimane – se uno non ha famiglia ne rimane tantissimo – cercare di vedere se davvero hanno quel talento che credono di avere. Scrivere, disegnare, recitare, bloggare, fare la regia, lavorare nella comunicazione. Non si trovano più panettieri, artigiani, gente che voglia lavorare con le mani. In compenso siamo pieni di gente di cinema.
    A volte mi trovo a pensare ai nostri genitori, cresciuti – nel mio caso – nell’immediato dopoguerra. Hanno trovato un lavoro – il mio è magistrato – al quale magari si sono appassionati anche moltissimo, ma che all’inizio certo hanno vissuto principalmente come sostentamento e fatica, grande fatica. Col sudore della fronte guadagnerai il pane. Per questi ragazzi, ai quali sono state risparmiate tutte le frustrazioni ( e peggio ancora per i bambini di oggi, è una cosa incredibile come siamo selvaggi e disabituati ai no) il mondo del lavoro appare come un inspiegabile muro contro cui all’improvviso si infrange l’idea che si sono fatti di sé.

    1. lidiafederica

      In generale sono d’accordissimo, e il post mi è piaciuto moltissimo, è quello che ci vuole. Però anche i sogni vanno incoraggiati.
      Io ho fatto il dottorato in Linguistica slava, con una tesi su bielorusso e lituano, e ora ho un progetto (ma devo trovare finanziamenti) per occuparmi di avestico, sanscrito e lingue baltiche.
      E sono disoccupata – ho i risparmi da parte, e tiro avanti ancora qualche mese, il tempo di finire la tesi di dottorato e cercare qualcos’altro. Ora, non è che io non voglia uscire di casa (negli ultimi anni fra ricerche all’estero varie sono stata molto più fuori che dentro, comunque), ma è vero che non me lo posso permettere, adesso, di prendere casa da sola, e continuo a vivere in famiglia, e ho 27 anni.
      Come me siamo non in pochi – biologi, filosofi, linguisti- per la maggior parte emigriamo, come anche io conto di fare.
      Fare altri lavori va bene, se dovessi fare, che ne so, la commessa magari alla fine mi piacerebbe pure e studierei avestico la sera, ma io credo che il mondo abbia bisogno anche di gente che prenda i sogni in mano e si butti, anche se ciò significa fare la fame all’inizio (o restare a casa, posto che bollette a parte tutto il resto me lo pago da sola e dò anche soldi a casa).
      Qulache settimana fa ho fatto una lezione all’Università, e agli studenti ho detto: “Ragazzi, quello che vi insegno oggi magari lo riterrete del tutto inutile, e folli lo siete di certo, a starmi ad ascoltare in una bella giornata di sole, ma io vorrei che voi foste affamati di sapere, di sapere tutto, anche le cose inutili, che la fame vi facesse interessare e scoprire il lato meraviglioso persino delle lingue slave minori”.
      Secondo me questa fame è ciò che manca davvero – i ragazzi vengno all’Università già rassegnati, svogliati, senza sogni, con l’idea di “devo guadagnare”….io non voglio insegnare solo linguistica, vorrei insegnare sogni.

    2. G

      Se DAVVERO non vuoi nascondere i tuoi talenti (la parabola parla chiaro) ti puoi anche spostare; non e’ detto che il lavoro sia proprio sotto casa (come si ostinano a pensare in molti). Ma cio’ comporta un sacrificio enorme, e’ una scelta appunto, che non tutti vogliono affrontare. Bisogna davvero fidarsi di Dio..

      1. lidiafederica

        Infatti io sono emigrata per il doc (e non è stato facile), e come me molti altri. Praticamente tutte le persone più dotate e intelligenti che conosco ripetono la litania: ce ne siamo andati.
        Io ora cerco lavoro in tutta Europa: visto che gli investimenti per la cultura all’estero sono circa il doppio o triplo di quelli in Italia, penso che riemigrerò. Ma penso che se tutti ce ne andiamo, sotto casa chi resta? Vattimo e Odifreddi.
        Ecco, io l’Italia in mano a Vattimo e Odifreddi non la vorrei lasciare….

    3. Adriano

      Costanza

      “è bello fare un lavoro che si ama, piuttosto che uno che non si ami.”

      E’ bello, ma mi rendo conto che è una grande fortuna poterlo fare. In un mondo perfetto questo dovrebbe valere per tutti. In un mondo perfetto. Noi non siamo in un mondo perfetto. Ma questo non ci esime dal fatto che possiamo (dobbiamo?) tendere verso la perfezione.

      1. Adriano, è bellissimo fare un lavoro che ci piaccia e credo davvero che questo meriti anche qualche sacrificio. Altrettanto bello, se ci pensi, ma forse più difficile, è farsi piacere il lavoro che si fa.

  14. Io cerco un lavoro disperatamente ultimamente, uno qualsiasi, poi se arriverà l’occasione della mia vita sono sempre allerta e pronta a coglierla al volo, senza però sacrificare le persone che amo. Per quanto riguarda i bivi nella vita, io ci vedo anche delle possibilità.

    1. Se ti capita (e pregherò anch’io perché ti capiti), qualunque cosa ti capiti potrai farla diventare l’occasione della tua vita. Non dipende dal tipo di cosa che pensi di voler fare ora ma da come farai quella qualsiasi cosa che ti capiterà di poter fare. E questa non è teoria.

  15. perfectioconversationis

    Recentemente mi è capitato di assistere a un dialogo tra un paio di giovani (ma non giovanissimi, tra i 20 e i 30 entrambi). Erano al bar, al tavolino vicino al mio, quindi sono stata costretta dal loro tono di voce a non perdere neppure un dettaglio.
    La ragazza si lamentava con l’amico perché era fidanzata da alcuni anni e il fidanzato non metteva il matrimonio neppure nell’orizzonte del possibile. Diceva: “se continua così, anche se gli voglio bene, lo mollo: io voglio una famiglia”.
    Si passa poi all’argomento lavoro: lei non lo trova, o meglio, lo avrebbe trovato, ma si tratta di lavorare in un laboratorio di pasticceria anche il venerdì e il sabato sera. O di fare i turni in fabbrica. Ma in questo modo non può uscire con gli amici, quindi ha rinunciato.

    In 10 minuti, ha fatto uno spaccato sociologico che fa riflettere: affetto senza impegni, lavoro senza fatica.

        1. lidiafederica

          Vale quello che ho detto sopra.
          Se babyducling (che nick carino) vuole fare la fornaia, è bellissimo, anche perché senza fornai il mondo farebbe schifo. Se mia figlia volesse fare la fornaia sarei felice, e fiera di lei, come se facesse l’economista o la filosofa.
          Ma se lei avesse la passione per la filosofia, e invece di impegnarsi per diventare filosofa (e magari non lasciare che la Filosofia italiana sia dominata da Odifreddi, Vattimo e Cacciari) dicesse “no, adesso la filosofia mi rende troppi pochi soldi (o niente affatto) devo guadagnare di più” e rinunciasse sarebbe un peccato, no?
          Il dramma è di chi pensa che solo con un lavoro intellettuale sei un figo, solo se hai fatto il classico, che se hai studiato per fare lo psicologo sei un fallito se fai il bancario, o che l’importante è guadagnare un pacco di soldi come Tronchetti Provera.
          Questo è tristissimo, e sbagliato.
          Ma se una persona ha il grande sogno di fare ricerca sul cancro, o fare ricerca sulla tragedia greca e fare, magari, una nuova edizione critica di Eschilo o fare ricerca sulla teologia patristica, io gli direi, provale tutte, prima di fare il fornaio!!
          Poi certo: bisogna sposarsi, avere figli, e allora anche il fornaio va bene, e io sono la prima che dice che la mentalità del “prima mi realizzo, poi mi sposo a 37 anni” è deleteria, ma prima di rinunciare a fare il filosofo, io ti dico, pensaci bene, perché i talenti vanno usati!
          E poi non ti puoi lamentare se mentre tu fai il fornaio e voelvi fare il filosofo e non ci hai provato Odifreddi scrive i libri e la gente gli crede, se mentre tu fai il fornaio e voelvi fare il prof di filosofia e non hai provato nelle scuole insegnano che Dio non esiste, se mentre tu fai il fornaio e volevi fare il microbiologo e non hai provato si fa ricerca sugli embrioni, etc…
          Questo è per dire che accontentarsi va benissimo, io sono la prim a dirlo, ma rinunciare senza provare no.
          penso siamo d’accordo su questo, comunque.

  16. Ho trovato un po’ grigio il fatto che in pratica dobbiamo abbandonare tutti i sogni e disilluderci all’istante perché la vitavera è fatta di costanza e sacrifici, dobbiamo iniziare a pensare che non avremo il lavoro sognato, il compagno amato. Ho detto anche peró che alcune cose le condivido; anche io ho fatto le mie scelte e sto cercando di portarla avanti e so quanto difficile e faticoso sia, ma mi rattrista e non poco sentire cambiare il termine “passioni” in “smanie”. per quanto riguarda l’ultimo commento: la generazione dei giovani ( che mi comprende) fa pietà sono tutti a lamentarsi di questa società brutta e cattiva che non li aiuta a trovare lavoro e a realizzarsi e toglie loro ogni speranza nel futuro, ma quando il lavoro lo trovano o è troppo faticoso, o lo lasciano perché non gli danno il capodanno libero o il mese di agosto per andare al mare, oppure non sono disposti a fare quel mese di pratica non retribuita che non è invenzione della società moderna ma fa parte di quel concetto di gavetta che esiste da tempi immemorabili. La verità è che non hanno voglia di praticare e aspettano che gli cada dal cielo un lavoro facile e con ottimi guadagni, a dispetto di chi studia o sgobba come un pazzo.

    1. infatti non ho detto che le passioni non esistono ma che molti scambiano (pateticamente) le smanie per passioni, come molti scambiano l’amore con la gastrite (come disse Groucho Marx)

    2. “… dobbiamo abbandonare tutti i sogni”? Ma quali sogni? Ci sono sogni autentici e sogni ingannatori, desideri di felicità e subdole illusioni. E poi, sonzogno o son desto, a regola il cristiano dovrebbe essere un materialista (resurrezione della carne) piuttosto che un sognatore, o no?

      1. lidiafederica

        Io ho un piccolo sogno: fare ricerca in Linguistica. A me sembra che nei giovani i sogni vadano incoraggiati, io li vedo alcuni dei miei studenti all’università, svogliati, che pensano a prendere la laurea e iniziare a guadagnare…e la fame di sapere? E la gioia della ricerca, la gioia di passare la notte in bianco su un manoscritto ed essere felice? La gioia che provavo quando studiavo armeno antico , la meravigliosa emozione di imparare a leggere in sasncrito..etc…o di risolvere un problema di trigonometria..
        Ragazzi, questo è ciò che dobbiamo trasmettere!
        Poi x carità, famiglia e realismo prima di tutto, ma per favore datemi degli studenti con dei grandi sogni!

        1. Nessuno ti impedisce di ricercare per conto tuo, non credo che si senta proprio il bisogno di nuovi ricercatori a carico dello Stato, si dice ricercatori e subito è obbligatorio pensare al cuore pulsante del paese che va mentenuto pulsante da uno Stato che non sia miope, ma non è (sempre9 così, migliaia di ricercatori in scienze (cosiddete) giuridiche in paleografia pagana e crsitiana in scienze umane non meglio specificate il fonetica in storia della lingua e migliaia di luci accese nelle stanze dove loro dvrebbero continuare a ricercare migliaia di Kilowattore di riscaldamento di pulizia di carta da culo dei gabinetti nei loro gabinetti, “vogliamo ricercarreeee!!!!” si sente che ripetono, “c’è la fuga dei cerveliiii” proseguono a belare, tutti l’Università vorrebbero intraprendere., la carriera degli studi, la ricerca, l’insegnamento milioni e milioni di giovani che doverbbero essere avviati sulla strda della ricerca delle lettere delle arti della (cosiddetta) medicina, pediatria, psichiatria, milioni di psichiatri, psicologi, psicofanbti, tutti

          1. a caccia di spipendi, tredicesime, indennità, assegni pei figlioli, miliardi di figlioli, anche loro a scuola, al liceol a lettere, filosofia, legge, dirittol economia, scienze (definite9 umane zoologia, idolatria….

            1. perfectioconversationis

              Grande, Alvise!

              In ogni luogo si serve un solo Signore e si milita sotto un unico Re
              (Regola di s. Benedetto)

              Ultimamente mi viene sempre più da pensare che almeno i lavori manuali (contrariamente al mio) tendono ad avere una precisa utilità, che fa parte della loro dignità.

            2. lidiafederica

              La Germania investe in ricerca (anche umanistica) il triplo dell’Italia. Qual’è il Paese più ricco?
              Tutti a belare..ma che idee, come Tremonti che “con la cultura non si mangia”….
              In Germania chissà perché fanno la fila per accaparrarsi i ricercatori italiani…Continuiamo così, e poi si dice di declino dell’Italia.
              A me fa davvero schifo questa mentalità. Se uno vuole fare l’imbianchino sono la prima dirgli “grande, fallo” ma se uno vuole fare il matematico sono la prima a dirgli anche “grande, fallo”.

              e scusa, cosa c’è di “grande” in queste parole?
              Ora et labora io sapevo s’applicasse a chi lavora nei campi come a chi pubblicava studi di Teologia.
              Ma dimenticavo, Ratzinger invece di studiare manoscritti ebraici doveva lavorare nei campi e nel tempo libero insegnare teologia.
              Ecco, diciamo che S.Tommaso era uno il cui lavoro non aveva nessuna dutilità. Come pure S.Agostino. O Giovanni Paolo II. Nessuna utilità, fare ricerca filosofica. Bene
              Che belle idee per il futuro dell’Italia.

            3. perfectioconversationis

              @ lidiafederica: senza andare nel dettaglio della comparazione tra ricchezze della Germania e dell’Italia, vorrei solo dirti che mi hai fraintesa. Non intendevo dire che non si debba investire in cultura e ricerca. Al contrario, ritengo che la cultura e l’istruzione italiane trarrebbero gran giovamento se venissero liberate dal gran numero di pesi morti, quali sono tutti gli aspiranti al POSTO di professore, ricercatore, avvocato… senza nessuna vocazione né intenzione di eccellere in questi campi. Se ha modo di leggere il bel libro di Paola Mastrocola, Togliamo il disturbo, potrà apprezzare come la demagogia dello studio per tutti non abbia fatto bene a nessuno: non ai dotati per lo studio, perché livellati verso il basso, non ai dotati per altro, perché ovviamente forzati verso una strada per cui non sono tagliati. Questo ha danneggiato tutti, l’intero sistema paese, ma più di tutto le classi più basse. Una volta poter far studiare un figlio significava la speranza di una vera promozione sociale, oggi promette soprattutto disoccupazione, tanto più per chi non ha gli agganci economici e famigliari per cavarsela in ogni caso. La scuola che voleva essere super-democratica è diventata la più classista possibile, perché non promuove i bravi (ricchi o poveri che siano), ma solo quelli che partono già ben piazzati.
              Altro motivo del mio commento è che io faccio un lavoro iper-virtuale e a volte mi piacerebbe produrre qualcosa di cui si possa dire “l’ho fatto io”.

            4. lidiafederica

              scusi, ma lei tra parentesi che lavoro fa?
              A teatro ci va mai, o dal medico (le inutili scienze mediche), o all’opera, o ha mai letto un’edizione critica dell’Odissea, di Platone, o di Shakespeare?
              I Paesi che vanno avanti sono quelli che fanno ricerca, gli altri sono destinati al declino.

          2. lidiafederica

            Questa è esattamente la mia posizione: bisogna seguire i propri SOGNI di ECCELLENZA.
            In Italia ci sono troppe Università, troppi studenti, e c’è troppo il mito del Pezzo di carta. Io sono la prima paladina del fatto che bisogna distrugegre alla radice l’idea che se sei laureato o hai fatto il classico sei figo, e se hai fatto il tecnico o una scuola professionale sei un fallito. Questo è classimo bello e buono, e proprio a quello mi riferivo quando parlavo degli studenti demotivati.
            Stavo pensando giusto prima a un altro libro della Mastrocola, La scuola spiegata al mio cane, dove mette in luce il valore della letteratura.
            Ma una cosa è dire “se non hai voglia o attitudini per l’eccellenza fai altro” e una cosa è dire “puoi fare ricerca nel tempo libero invece di consumare energia elettrica”, no? è questa mentalità che crea le troniste e le veline, non so se mi spiego. Perché chi fa ricerca sul serio la notte non dorme, altro che “lavoretto facile e inutile”.
            Poi, che anche a me venga voglia a volte di lavorare e fare cose concrete, sì, certo. Il mio fidanzato ed io siamo entrambi ricercatori, ed entrambi stimiamo il alvoro manuale: io personalmente ho chiesto a una sarta di insegnarmi a cucire, lui si è messo afare il pane in casa, io a cucinare cose sempre più elaborate e se i miei figli vorranno fare gli artigiani ne sarò fiera e felice!
            E mai e poi mai dirò di un lavoro che è “inutile”, che sia un filosofo o che sia un idraulico (beh, forse lo dirò delle veline e dei tronisti).

            1. lidiafederica

              PS @ perfectioconversationis: grazie del “lei” (non per me, ovvio, ma per la cortesia che presuppone)! I
              o le ho dato del tu, prima, ma solo perché all’inizio davo sempre del lei nel blog, poi mi pareva scortese dare del lei a chi dà del tu, sembra un po’ “presa per i fondelli” e sono passata a un generico “tu”.

            2. ma l’eccellenza non è un sogno.. Se uno eccelle deve farsi valere non sognare.
              Il problema che ci sono troppe persone che credono di avere capacità superiori e invece non le hanno, quelli hanno sogni. L’eccellenza è una realtà (o non lo è)

  17. Sara

    Questo articolo capita a fagiolo. Torno da una mattinata allucinante passata nel reparto psichiatrico di Pisa, non come paziente -anche se il risultato potrebbe essere quello- ma come studentessa di medicina che vede scolorirsi tutti i sogni che si era fatta. Dico io, ma chiedo troppo se voglio solo fare del bene e trovare il mio posto nel mondo???
    Se qualcuno mi chiedesse qual è la cosa più importante che ho imparato della vita è che le cose non vanno mai come vorresti tu. Per disgrazia o per fortuna. Perché seppur faticoso dover combattere quotidianamente, la vita non sarebbe quel viaggio così appassionante in cui si scopre -parlo almeno personalmente- che dietro a tutto puoi sempre scorgere la Presenza, quel Dio Padre che ti tiene per mano. Certo, mica facile vederlo ma che soddisfazione quando ne cogli la scintilla! Concludo con una bellissima citazione del già recensito film “Bella”: “Se vuoi far ridere Dio, raccontagli i tuoi progetti.” Buona (piovosa) giornata a tutti!

    1. lidiafederica

      Sì, se vuoi farLo ridere raccontagli i tuoi progetti, ma se vuoi farLo felice raccontagli i tuoi sogni, i tuoi progetti e le tue aspirazioni e diGli che vuoi studiare fisica nucleare insieme a Lui, studiare armeno antico (io l’ho fatto) insieme a Lui, lavorare in borsa a Wall Street insieme a Lui e possibilmente diventare presidente degli USA insieme a Lui.
      E se non ci riesci, non crolla il mondo, ma Tu e Lui insieme sognate in grande – in grande, grandissimo, che a volte può anche significare in piccolissimo.

      1. Fefral

        E poi a un certo punto ti accorgi che il sogno che hai sempre sognato lo stai vivendo non a wall street ma a casa tua, mentre spieghi (con magari addosso una maglia con su scritto NYSE) a tua figlia che la mamma non fabbrica soldi ma semplicemente cerca di evitare che i soldi di altri non si volatilizzino del tutto per colpa dello spread (o sprirz

        1. Fefral

          (Scusate ho la febbre e il mio iPhone ne approfitta e scrive da solo)
          O spritz come diceva la mia estetista settimana scorsa

  18. ” a regola il cristiano dovrebbe essere materialista” ???? sei sicuro??? secondo me è un’immensa sciocchezza, nel cistianesimo c’è poco di materiale e anzi lo stesso presupposto di questa religione è la fede.. che mi sembra tutto tranne che materiale… io non ho detto che la vita non è dura, penso che questo sia alla portata di tutti, ma un po’ di sano ottimismo e speranza è quello che rende accettabile il tutto, il confine tra sogno e illusione è molto etereo ma se sperare significa rischiare di rimanere un giorno delusi, lo trovo di gran lunga più confortante e coraggioso di rassegnarsi.

    1. Forse non mi sono spiegata bene: non mi riferisco al materialismo storico (filosofia) e ai suoi sviluppi politici economici e sociali. Mi riferisco a tutta una serie di questioni che fanno parte integrante del cristianesimo. La fede non è campata in aria, ha a che fare con una tomba che prima era piena e poi l’hanno trovata vuota. Dentro c’era Uno che, essendo vero Dio, è diventato anche vero Uomo, si è sottoposto a tutta la trafila solita per nascere, crescere, morire. Poi è risuscitato in carne e ossa, come toccherà a tutti noi.
      Non te la prendere ma immateriale vallo a dire ai buddisti, che come massima aspirazione hanno quella di dissolversi nel nulla…:-)

    2. piesse. Qualcuno che ti spiegherà come stanno le cose molto meglio di me:
      “Il materialismo della Resurrezione in un mondo troppo spiritualista”
      Intervista a Vittorio Messori [Da “Il Foglio”, 19 Aprile 2003]
      http://www.kattoliko.it/leggendanera/modules.php?name=News&file=print&sid=1200

      “[…] la cultura oggi egemone […] non è affatto materialista come comunemente la si intende e rappresenta, ma è assolutamente spiritualista. Solo qualche vecchio parroco può tuonare contro il materialismo che intriderebbe la contemporaneità. In realtà a vincere è lo spiritualismo della tentazione gnostica. Il simbolo del nostro tempo è infatti la bomboletta di deodorante.”

  19. PEPPE

    Il 2° fattore costitutivo dell’uomo è il lavoro (il 1° è l’affettività), pur di realizzarsi si deve lavorare, se è strettamente necessario anche gratis, ma giusto per potersi realizzare come persona e conservare la dignità di uomo.

  20. perfectioconversationis:
    prova, proviamo, però, anche, a metterti/ci nei panni di qualcuno che ascoltasse i nostri
    non meno fatui discorsi su famiglia figlioli scuola educazione vacanze eccetra mentre seduti al tavolino di un bar riempiamo lo spazio di suoni vani, anche fossero discorsi su libri teorie pensieri religioni società in crisi e di seguito, sai che palle!!!

    1. perfectioconversationis

      Che pallissime…!

      (Però, capita solo a me uno strano fenomeno? Delle cose che mi interessano davvero io parlo poco per uno strano pudore e solo se vengo in qualche modo stimolata, mentre un sacco di gente si sente autorizzata a prendermi in ostaggio su attività sportive che non pratico, razze canine che non mi interessano, località turistiche che non mi visiterò mai…).

  21. Alberto Conti

    Mi ha commosso il riferimento al fatto che Dio rende fecondi anche gli errori, perchè ultimamente (inteso come “in fondo”) faccio fatica a crederlo; riporto anche uno stralcio di don Carron che sintetizza ciò che desidero: “Per questo non abbiate paura degli sbagli, perché tutto serve se uno è leale con l’esperienza del cuore e col giudizio che ne viene; l’unica cosa è non avere paura dello sbaglio, non essere formali senza mettere in gioco la propria umanità, il proprio cuore, perché il cuore capisce più di qualunque altra cosa quando qualcosa gli corrisponde.”

    1. Fefral

      Beh, se pensi che la storia della salvezza si è fatta anche con assassini e prostitute, vuoi che Dio non renda fecondi anche gli sbagli fatti in buona fede?

  22. 61Angeloextralarge

    Admin! puoi cancellare il mio commento di poco fa? Grazieeee!
    5 dicembre 2011 a 19:18 #

  23. Ragazzi, mi ritiro per le nanne con il libro sotto l’ala e un sacco di sogni da realizzare….con tutta calma.
    Un bacio a tutti voi e Buon proseguimento di serata!

  24. Torniamo, per favore, un momento, a un discorso aritmetico…
    Allora, io direi, scuole di base per tutti, e poi…
    L’1% per cento di 60.000.000 fa 600.000, mettiamo, ricercatori scientifici, umanistici,
    artistici, eccetra…
    Mettiamo di dare ciascuno a queste persone, minimo, 2000 euro il mese lordi, verrebbe, per 13 mesi, 15,600.000.000 l’anno…
    La Germania di sicuro investirà questa cifra, io non lo so, a me mi sembra che ci sarebbe delle cose che venissero prima, prigioni, case per vecchi (con personale stipendiato),posti ndi assistenza psichiatrica, il che non vuole dire che ci siano per forza tutti DOTTORI, gente senza nulla, immigrati, disgraziati, abbandonati eccetra…
    Tutto il resto cazzate!!!

    1. Sara

      io voto per i posti di assistenza psichiatrica…così almeno il lavoro me lo daranno (visto che la pensione ormai me la posso scordare)….

    2. lidiafederica

      La Germania ha tutto MOLTO meglio di noi (sussidio di disoccupazione, sussidi alle famiglie, giustizia veloce, export alla grande, case di riposo fighissime (ci sono stata)) e in più investe sulla cultura.
      E sa qual’è la prima cosa che ha fatto all’inizio della crisi? AUMENTARE i fondi alla cultura!! E hanno detto ” Solo con la CULTURA usciremo dalla crisi!”. Cioè, pazzesco.
      Risultato? Loro con un’economia florida, Università eccellenti, disoccupazione ai minimi; noi…vabbè, lasciamo correre.
      Si goda un’Italia in cui Dante, Platone, Socrate, la ricerca filosofica, linguistica, la psicologia, etc. sono cazzate, mi raccomando.
      Anzi. Eliminiamo proprio le facoltà umanistiche. Bruciamo le biblioteche.
      Io sto leggendo la Repubblica di Platone, ma visto che è una cazzata, mi compro Topolino.

      1. Io mi contenterei della Repubblica Italiana, vera!!!
        Che i platonizzanti continuino a paltonizzare, che chi vuole leggere
        e studiare legga e studi, che i ricercatori continuino a ricercare,
        ma io, credo, almeno, selezione, i numeri che ho dato prima (ho dato i numeri?)sono esagerati, nella realtà operativa e utile per tutti basterebbero molto meno e ricercatori e universitari, ora, qui, da noi, si ragiona come se l’università fosse diventata una scuola dell’obbligo, e la ricerca una sua naturale appendicite, mentre invece non dovrebbe essere a cotesta maniera che è diventata che si sente parlare sugli autobus solo tra studenti di scienze della comunicazione(sic!!!)o che altro di contario alla ragione, io non mi intendo di cultura, ma avevo sempre pensato che gli studi superiori fossero per pe genti superiori (per caqpacità9 e i ricercatori che dovessero essere una parte sceltissima di questo tutto già scelto, senza torti aquegl’altri che doverbbero essere tutelati e assistiti a come si dice oggi accompagnati al lavoro e se non lavorassero che venissero come èstato detto dalla disoccupazione. Mica è dette che se uno fosse disoccupato dovesse essere per forza ricercatore!!!

          1. lidiafederica

            sì, anche io sono d’accordo, ma non vi rendete conto che in Italia la cultura e la ricerca vere sono agonizzanti?
            Ma dove vivete? Io all’Università ci lavoro, e vi assicuro che viene da piangere.
            Poi ripeto: se vi piace un’Italia dominata filosoficamente da Vattimo (per la cronoca: filosofo di Torino, professa la filosofia del pensiero debole, cioè la ragione non conta un cavolo e non può conoscere niente, ovviamente anticlericale) e dominata culturalmente dalla sinistra più becera (non quella bella idealista, ma quella alla Floris d’Arcais), prego.
            Poi ci sono frotte di italiani che scrivono “un’altro” e “un pò” e “se sarebbi” e chissà perché.
            I mille laureati in scienze delle comunicazioni non piacciono neanche a me, ma vi rendete conto che se oggi in Italia uno vuole fare ricerca il filosofia si trova tutti contro a dirgli “che lavoro inutile, la cultura non paga!”
            Vogliamo un’Italia così? No ditemi.
            Io non voglio un’Italia in cui sei figo se fai l’avvocato e sei un fallito se fai il tabaccaio, ma nenache un’Italia in cui sei un fallito se guadagni mille e duecento euro al mese facendo edizioni critiche di Platone o di Guareschi.

            1. lidia, forse sbaglio ma secondo me Alvise sa benissimo di cosa parli. Solo che lui è fatto così…. gli piace fare l’antipatico e il bastian contrario.

              (inter nos … a proposito di un’altro con l’apostrofo: ce ne abbiamo anche qua dentro nel blog, gente figa comunque! 😉 )

            2. lidiafederica

              Forse sì, io me la prendo perché questi sono due problemi che davvero stanno portando l’Italia alla rovina.
              Da una parte la laurea per tutti, scienza delle comunicazioni e compagnia bella; dall’altra l’idea che “con la cultura non si mangia”.
              Abbiamo già portato il Paese al baratro, ma quando ci renderemo conto che ciò di cui l’Italia ha bosogno come d’ossigeno sono
              a. meno laureati in scienza delle comunicazioni, ok
              b. più panettieri etc,. ok
              c. più intellettuali, veri! Gente che dedichi la vita alla cultura, anche a quella che sembra inutile, anche alle lingue morte, anche alla zoologia..

              La cultura che genera tronisti, escort, laureati inutili, milioni di inutii giornalisti e inutili avvocati è la stessa che relega filosofi, linguisti etc. nel limbo del “il tuo è un lavoro inutile”.
              Il sogno della nostra classe dirigente non è che in un futuro prossimo TUTTI i bambini imparino a scrivere “un po'” e non “un pò” (secondo me chi srive così dovrebbe essere bocciato in 2° elementare, altro che Università): il loro sogno è che siamo tutti davanti alla TV a guardare il Grande Fratello e a comprare i prodotti della pubblicità….

            3. lidiafederica

              Vabbè, ok, la vera priorità non è scrivere “un po’ ” o “un pò” ma la lotta alla povertà e all’emarginazione, ma vi assicuro che una società colta reagisce meglio! E scrivere “un pò” è sinonimo del fatto che non si apre un libro da decenni…o se lo si apre, mi chiedo come lo si legga…
              Insomma, ragazzi, io non voglio polemizzare inutilmente, io vorrei un’Italia sana, faro di cultura come nel XV secolo, ma perché cavolo la Germania deve essere il deus ex machina in economia, cultura, scienza, ricerca, ect. e noi sempre fanalino di coda??
              Poi, non sputo nel piatto dove spero di mangiare, W la Germania, ma un po’ mi rode leggere cose del genere “invece di ricercare su cazzate andate a lavorare”, ecco. MI chiedo che Italia daremo ai nostri figli.

            4. Alessandro

              puntata dei Simpson, servizio speciale del telegiornale sulla crisi economica di Springfield

              Kent Brockman (giornalista inviato): “Le cose non sono così rosee come erano una volta; qui all’ufficio di collocamento la disoccupazione non riguarda più solo i laureati in filosofia, ora anche la gente utile si trova in difficoltà!”

        1. lidiafederica

          Sì, ma si rende conto che sono due cose diverse?
          Che in Italia ci siano troppi laureati, troppe Università e troppi corsi di laurea inutili – sì.
          Su questo sono d’accordo, secpndo me ci dovrebbe essere il numero chiuso ovunque.
          Poi bisogna rivalutare i lavori manuali, non c’è bisogno della laurea per valere qualcosa, anzi. Molto meglio un bravo artigiano che un economista idiota.

          Ma da qui a dire “fai ricerca tempo libero lo Stato non ha bisogno di altri ricercatori” “lavorate a cose utili invece di sprecare kilowatt di energia elettrica nelle stanze in cui state a fare cazzate” non mi pare la stessa cosa.
          O no?

          1. Non me lo dire a me del numero chiuso, io lo avrei chiuso da sempre, e poi non darmi del LEI, sono un povero vecchio, ma sono alla mano.
            Io non ho detto lavorate a cose utili, che ognuno faccia quello che crede, o utile o anche meno, ma no pretendere, in nome della cultura eccetra, che uno pretenda perché Lui è in grado di offrire qualcosa in quanto Lui può dimostrare di poterlo offrire no genericamente a cazzo di cane!!!

            1. lidiafederica

              “no pretendere, in nome della cultura eccetra, che uno pretenda perché Lui è in grado di offrire qualcosa in quanto Lui può dimostrare di poterlo offrire no genericamente a cazzo di cane!!!
              Non ho capito tanto bene, ma suppongo che volessi dire che non serve gridare “cultura! cultura!” senza dimostrare che si è bravi davvero.
              Sono d’accordo. Di solito i ricercatori che urlano o gli studenti che protestano sono non particolarmente bravi o fuori corso da anni.
              Però che il trend degli ultimi anni siano stati tagli sempre più numerosi alla cultura, è vero – e il risultato? Ma dai, lo vediamo tutti: orde di aspiranti veline, orde di laureati inutili senza cultura vera e senza motivazione, una scuola a pezzi, niente artigiani perché anche fare l’artigiano richiede studio, pazienza, applicazione..come i ricercatori!
              Io sono felice che tu senta gli studenti sul bus parlare di fare ricerca, io li sento sempre commentare lultima puntata del GF o del loro nuovo iPHone o di dove fare l’aperitivo…ecco, è questo che io vorrei eliminare!
              E un bravo panettiere è meglio del laureato semi-analfabeta (ce ne sono), ma pretendo, questo sì, che la cultura sia considerata un valore.
              Perché sennò sai che fine facciamo? Quella di un Paese di giovani spaesati, a cui nessuno ha insegnato né il valore della cultura intesa come sapere chi è Amleto, amore della lettura, fame di sapere, né il lavoro del lavoro manuale ben fatto.
              Hanno in testa una cosa sola: FARE SOLDI. Ok che il lavoro è sostentamento, però figli belli, è anche qualcosa in più! è onestà, passione, competenza.
              In una società per cui fare il filosofo è una cazzata, il massimo dell’aspirazione non è fare il bravo idraulico, magari fosse così, ché quella già sarebbe una bella società: è fare la escort o il tronista o l’avvocato evasore totale.
              Io perciò dico: la scuola pubblica deve essere una REGGIA, i bambini e i ragazzi devono avere una scuola di livello altissimo sia a Milano sia a Messina, sia ai licei che negli istituti tecnici, le Università devono essere poche ma davvero eccellenti, l’arte, il teatro, il cinema devono essere incentivati. Se si facesse davvero così l’Italia sarebbe con un debito pubblico al 10% e al primo posto nel mondo.
              Invece finanziamo sempre “le cose con cui si mangia”, e i nostri ragazzi vivono nello schifo culturale. Ecco.

        1. lidiafederica

          io compro sempre Topolino 🙂 Mi ha deluso enormemente il fatto che nella versione tedesca non esistono Paperopoli e Tolpolinia, vivono tutti nella stessa città! Scandalo!

  25. Erika

    Mi spiace che in generale ci sia una così pessima opinione dei giovani. Io ne conosco tanti che cercano un lavoro, uno qualsiasi. Hanno una laurea, ma se trovassero posto in fabbrica ci andrebbero al volo. Vanno a raccogliere le pesche d’estate. Non si può rinfacciare a queste persone il fatto di aver voluto studiare.

  26. nonpuoiessereserio

    Una mamma casalinga che ami fare la mamma e la casalinga è il massimo per me. Il lavoro più nobile e il pilastro della famiglia. Poi va bene tutto, come dice Alvise, ognuno faccia quello che vuole senza dire agli altri cosa debbano fare, basta volersi bene e offrire la propria vita a Dio (per chi crede Alvise).

    1. lidiafederica

      Giusto, perciò se uno vuole fare il ricercatore o se una donna vuole fare la ricercatrice in filologia greca, o biologia marina, o chimica come Marie Curie (ottima madre di due figlie) ha tutto il diritto di provarci se non altro, giusto? Senza pretendere il posto all’Università, ma senza rinunciare.
      Una mia nonna era casalinga, felice di esserlo, con quattro figli (di cui due morti bambini); l’altra si era laureata in Storia moderna, una delle prime donne della sua generazione a laurearsi, faceva l’insegnante alle medie, adorava il suo lavoro, aveva tre figli e curava la casa in modo perfetto, ed era felice – per me sono entrambe due modelli stupendi.
      Un’ultima cosa, poi basta, sto scrivendo l’Odissea.
      Noi ci lamentiamo per l’aborto, e la pornografia, e l’eutanasia…
      Ma finché la classe intellettuale sarà dominata da quella gente, ce l’avremo sempre, ed è ipocrita lamentarsi.
      Ai giovani cattolici dico: fate quello che volete, ovvio, ma, se pensate di avere le capacità, dedicatevi alla scienza, alla cultura, alla politica. Altrimenti lasciamo scuole, Università, Parlamenti agli abortisti, a coloro che vogliono l’eutanasia, la pornografia, .e non ci potremo lamentare!

      1. Fefral

        Lidia, quello che dici è giusto. E lo condivido. Ma qualunque cosa facciamo possiamo farla e rendere un servizio alla società.
        Qualche anno fa pensavo di poter cambiare il mondo facendo chissà quali grandi cose.
        Ho appena finito una telefonata con un amico con cui siamo soliti cambiare il mondo più volte alla settimana, cose davvero grandi, altro che le riforme di Monti, altro che Merkel e Sarkozy!
        Poi finiamo puntualmente per scoppiare a ridere e raccontarci le nostre giornate, sempre uguali, sempre di corsa, preoccupazioni banali, nulla di trascendentale, le cose di sempre… Ma è in quelle cose che cambiamo il mondo. E ti assicuro che lo vedi cambiare quando ci si inizia a mettere nell’ottica di lavorare per cooperare alla creazione di Dio. Ed ogni cosa, anche quella apparentemente più insignificante, contribuisce davvero nel bene e nel male.
        Per questo penso che non bisogna assolutamente rinunciare ai sogni. Ma a volte i sogni vanno anche saputi interpretare. Ora però tra influenza e sonno spero di non fare sogni troppo strani. Buonanotte

        1. lidiafederica

          Sono d’accordo: essere Merkel e Sarkozy non è per tutti.
          però per qualcuno è, e io spero che sia per qualcuno che ha alti ideali, magari cristiani.
          Non è da tutti insegnare Filosofia alla statale..ma x qualcuno sì. E via dicedo.
          Poi, il primo dovere è verso la famiglia, gli amici, i genitori…oh yes.
          Il mondo lo si cambia nelle piccole cose. ma anche nelle grandi.
          Insomma, signori: o ci andiamo noi nei posti chiave dell’economia mondiale, del governo, della ricerca, o ci vanno loro. Tertium non datur.
          E con ciò vado al lavoro 🙂

          1. quello che volevo dire è che si può pensare in grande anche nelle piccole cose, perchè il mondo lo cambia anche quella mamma che ogni mattina si sveglia alle 6 per avviare tutta la baracca, e lo cambia anche quell’impiegato di banca che svolge il suo lavoro coscienziosamente e non per fregare il cliente, e quella barista che ti fa lo scontrino anche senza che tu lo chieda e che accompagna il caffè che ti prepara ogni mattina con un sorriso. Sai che ti dico? Cambia molto di più il mondo il sorriso di quella barista che le menate di quei due che vogliono salvare l’europa.

            1. detto ciò il cattolico che può aspirare a posti di “comando” che si faccia il culo e ci provi! Nel vangelo c’è scritto che i talenti vanno investiti perchè diano frutto, quindi chi può (per capacità, circostanze, ambiente favorevole ecc…) ha il dovere di provarci.
              Purchè non dimentichi che se perde il senso cristiano della vita (dare la vita!) ogni suo successo umano sarà anche una grande soddisfazione personale ma rimarrà assolutamente sterile.

            2. lidiafederica

              E dai fefral, lo so! Non sono scema. E so che il sorriso sull’autobus cambia il mondo (perché i Governi governano, ma noi viviamo). OK.
              Ma: quei due non fanno menate! Fanno leggi pro-aborto perché noi ce ne stiamo zitti, fanno leggi che portano i giovani a non avere lavoro, fanno leggi anti-famiglia. perché noi ce ne stiamo zitti, e sorridiamo.
              OK: la prima testimonianza è in casa e sul bus e nel bar. Cambia il mondo attorno a te, il resto verrà. OK.
              Ma la seconda testimonianza è pubblica.
              Non siamo giustificati dal non impegno schermandoci dietro “ma io sorrido la mattina”. Con ciò non dico che dobbiamo essere tutti Merkel e Sarkozy, va benissimo che io sia barista e cambio il mondo col caffè, ma se il mio amico ha voglia di buttarsi in politica, lo sostengo.
              LA cultura PUBBLICA cattolica italiana produce in media solo mediocrità (non faccio i nomi per non scadere, ma è così) mentre PRIVATAMENTE (e si vede qua sul blog) produce anche grandi persone. Vedi il problema?
              Ripeto, io l’Italia dominata dalla cricca intellettuale di Odifreddi e dalla cricca finanziaria che riduce le famiglie a consumatori non la voglio.
              Tu sai nominarmi oggi un grande intellettuale cattolico italiano? Io no. e la censura non c’entra, c’entraimo noi…
              perché le cattedre sono occupate da comunisti? perché all’UNiversità mi prendono in giro se difendo il papa e dicono che la cultra cattolica è da ignoranti superstiziosi? perché in Francia c’è Maritain e da noi Antonio socci, con tutto il rispetto?? perché, perché perché…

              E quando sento dei cattolici dire che i giovani aspiranti registi dovrebbero andare a fare i baristi penso che poi se al cinema c’è “Vacanze di Natale 3000” con scene pornografiche e Co. non voglio sentire UNA SOLA lamentela da parte dei cattolici! Sarebbe un po’ ipocrituccio, no? Comodo, più che altro.
              Poi che il talento ci sia in solo una parte dei giovani,sì; lavorare intanto che si scoprono i talenti, certo; ma neanche dire “non ci provo manco”, troppi registi!
              Eh certo..troppi. Tinto Brass e Co. già ci sono, a che pro prenderne altri.
              Poi è vero che se cambiamo le persone attorno a noi nessuno andrà più a vedere vacanze di natale 3000, perfetto! Sono d’accordo, sono la prima che cerca di farlo.
              Ecco, non volevo scaldrmi, poi men che meno con te che ‘ste cose le sai benissimo.
              Ma lo stato in cui versa la cultura italiana mi fa piangere il cuore, ecco.

          1. Velenia

            Mi è piaciuta molto la nostra Costy quando l’altra sera a Radio Maria,citando non ricordo quale santo,ha detto “cambiamo il mondo una pratica alla volta”.

  27. Al solito da qualche tempo, e unicamente per quotidiani (strafottentemente impellenti) impegni, non riesco a soffermarmi per leggere i vostri commenti – sigh/sob/sigh – ma esimermi dal dirti almeno, Costanza:

    – INEFFABILE ARTICOLO! –

    io non potevo. Me lo sono proprio goduta con caffè fumante in sottofondo (preparato per l’occasione, e non so…)

    Sei M – E – R – A – V – I – G – L – I – O – S – A.

    Ecco.

    1. Velenia

      @admin,Gli Incredibili!!!,lo metto nella mia cineteca personale subito dopo “the family man”.

  28. admin

    “LA cultura PUBBLICA cattolica italiana produce in media solo mediocrità (non faccio i nomi per non scadere, ma è così)” 🙁
    “mentre PRIVATAMENTE (e si vede qua sul blog) produce anche grandi persone.”
    🙂 🙂 🙂 🙂 🙂

I commenti sono chiusi.