Domenica scorsa correvo lungo la Cristoforo Colombo, in un tratto ero parallela al percorso del Giro d’Italia, e invidiavo i ciclisti perché almeno la loro strada, immaginavo, sarebbe stata liscissima, a differenza della parte su cui potevo correre io. Nessuna rabbia, ormai: le buche sono parte del panorama romano, così come i cartelloni del Gay Village di Roma che decoravano tutti gli autobus che mi hanno affiancata. Nessun fastidio, solo noia.
Tremila mail punitive per avere scritto quattro parole – quindici lettere totali – sulla bacheca del Great Ormond Street Hospital. Da giorni ogni tre, quattro minuti ricevo una mail da Facebook; anzi, adesso ho appena controllato, sono nove minuti che non ne arriva una, e mi sento anche un po’ sola. Mi aspetto come minimo che venga Mark Zuckerberg a portarmi il caffè, visto che mi ha abituata alla sua compagnia.
Dunque, le cose sono andate così. Da molti giorni il popolo della vita si è mobilitato per la vicenda di Charlie Gard. Fiaccolate, veglie, lettere, raccolte firme, azioni sui social network, telefonate ad amici che conoscono medici dell’ospedale. Anche io ho cercato di fare tutto quello che può una mamma italiana che lavora e che non può mollare figli e redazione e andare a Londra ad abbracciare i genitori disperati o a supplicare in ginocchio i medici. Il 27 giugno un’amica ha avuto l’idea di andare anche a scrivere qualcosa sulla pagina Facebook dell’ospedale, per far arrivare ai medici la sensazione di un’opinione pubblica fortemente contraria alla loro (cosa che alla fine ha portato risultati, quindi non un gesto sterile, direi). Ho provato subito, ma i commenti in bacheca vengono sottoposti alla approvazione di qualcuno.
Una volta il mio padre spirituale mi chiese di che marca fossi. Voleva farmi capire che ognuno di noi è marchiato a fuoco dal desiderio di qualcosa che manca, dal desiderio e dal bisogno di Dio. “Io sono di marca vuoto” – diceva lui.
Io guardai quello che indossavo, e realizzai in quel momento che, né quel giorno né mai, avevo niente, assolutamente niente, di marca addosso. Era tutto comprato al mercatino o all’ovs o in posti simili. Erano gli anni dei bambini piccoli, del lavoro precario, delle case da comprare ogni volta che la famiglia si allargava. Soldi pochi, e tutti necessari per acquisti più urgenti dei vestiti.
Tiziana Cantone, 31 anni, si è tolta la vita. Sì, è stata imprudente. Ha registrato per gioco o per vanità un video hard. I suoi amici, a cui era destinato, l’hanno tradita. Il video è divenuto virale e si è diffuso in rete. A nulla è valso cambiare lavoro, trasferirsi o cercare di cambiare il cognome. La maledizione del web non l’ha mollata. Una vicenda, che insieme con quella della diciassettenne ubriaca, violentata nei bagni di una discoteca, filmata e diffusa su Whatsapp dalle amiche-iene, pone con urgenza la necessità di pretendere la protezione del diritto di ciascuno alla gestione della reputazione digitale.
Il web è crudele. Se ti penti non puoi tornare indietro. Tiziana Cantone, 31 anni, si è tolta la vita. Sì, è stata imprudente. Ha registrato per gioco o per vanità un video hard. I suoi amici, a cui era destinato, l’hanno tradita. Il video è divenuto virale e si è diffuso in rete. A nulla è valso cambiare lavoro, trasferirsi o cercare di cambiare il cognome. La maledizione del web non l’ha mollata. Nessuno può fermare la macchina infernale del web crudele. Continua a leggere “Il disprezzo online è virale”→
Sinceramente, dopo tutto il tempo passato a rimuovere bestemmie e offese surreali dal mio profilo facebook, ero tentata di lasciar cadere la faccenda, ma non lo farò, per due ordini di motivi. Il primo è che continua a sembrarmi preziosissimo pregare per le vittime del terremoto. Il secondo è che da questa assurda vicenda ho imparato alcune cose utili che vorrei condividere con chi lo desidera.
Per chi si era sanamente distratto dal mondo virtuale, riepilogo. La sera dopo il terremoto ero sul divano con tutta la famiglia, incollati a guardare i luoghi nei quali abbiamo trascorso le vacanze degli ultimi anni con gli amici più cari. Cercavamo volti e luoghi noti. Durante la giornata avevamo chiamato persone che erano ancora lì per capire se si potesse andare a dare una mano, ma la risposta, letterale, era stata: “la Protezione Civile sta cacciando tutti” (nel senso di tutti quelli che non sanno esattamente cosa fare in questi casi). A raccolte di cibo e soldi aveva pensato mio figlio. L’unica cosa che rimaneva da fare era pregare. Quando si muore nel sonno, o in pochi secondi, chissà, magari non si ha neanche tempo di raccomandare l’anima a Dio. Chissà in che condizioni erano quelle anime, pensavo. Se fossi al posto loro sarei felicissima che qualcuno mi presentasse al Padre chiedendo misericordia per me. Continua a leggere “Chi ha paura delle preghiere per i morti?”→
Tremate, tremate! San Valentino, la festa fashion degli innamorati, si avvicina e con lei un mucchio di iniziative, più o meno commerciali, più o meno smielate, ma soprattutto decisamente tragicomiche. E sì, perché l’amore romantico, ai tempi della postmodernità tecnoliquida, oscilla fra due estremi: da un lato il modello proposto dalla trasmissione “Uomini e Donne” di Maria De Filippi e dall’altro il modello tecnomediato delle app come Tinder. Insomma, a mio parere l’amore romantico è gravemente malato, direi moribondo e il San Valentino ai tempi di Maria De Filippi e di Tinder ne celebra il quasi-funerale.
Sai perché non prevarranno? Le porte degli inferi intendo. Perché c’è sempre una compagnia che non molla. Perde, cade, s’arruffa. Litiga anche. Ma non molla. E mica perché ha in sé la forza, anzi. Proprio perché è debole. Perché non confida in sé. Ed è così forte che tutto sa volgere al bene, non grazie a sé, ma grazie a Colui per il Quale agisce, con errori, sbandamenti, colpe, ruzzoloni. Sempre rialzata. Continua a leggere “La forza della compagnia”→
C’era una volta Pickwick, no non quello del Circolo, ma la prima volta che Baricco mise piede in TV, per raccontare il bello della lettura. Allora diceva cosa sensate, non era ancora famoso e non giocava a fare Patrick Jane, il bello the The Mentalist. Allora una sera tira fuori questa faccenda del giovane Holden (se cliccate la vedete anche) e di come avesse questa capacità di guardare oltre, di andare sempre “più in là” (un po’ come spiega che si debba fare il nostro Montale in Maestrale). Continua a leggere “Stai sempre su Facebook”→
di Rossana Barbirato con Eleonora Lancerotto e Sara Martini
Il matrimonio cristiano è una vocazione? La chiamata a vivere questo stato di vita si può paragonare alla vocazione alla vita consacrata o al sacerdozio?
San Giovanni Paolo II, nell’udienza del 18 agosto 1982, afferma che “il matrimonio corrisponde alla vocazione dei cristiani solo quando rispecchia l’amore che Cristo Sposo dona alla Chiesa sua Sposa, e che la Chiesa cerca di ricambiare in Cristo”. Il matrimonio cristiano, quindi, ha in sé un’esigenza radicale: chiede che gli sposi siano disposti e capaci di donarsi l’uno all’altro, di sacrificarsi, se necessario, a modello di Colui che non ha smesso di amare neanche quando era inchiodato alla croce.
Sul lato destro della stazione Porta Nuova di Torino, il lato destro guardando i binari, dissimulata tra la lunga fila di accessi che si aprono tutti uguali nella parete di marmo dallo stile austero, c’è una piccola cappella. Un gruppo che si occupava di assistenza ai barboni organizzava ogni mese la S. Messa in quella cappella e a me, da ragazzo, capitava di andarci. Continua a leggere “Te Deum Laudamus perché hai aggiunto agli amici tanti amici”→
Sul sito di Repubblica dicono “a parte che chi le ha consigliato il titolo è un genio del marketing, per il resto no comment”. Vorrei chiarire che:
a) Obbedire è meglio è preso dal Primo libro di Samuele, che è parola di Dio. Direi che Dio è un genio, sì, come minimo.
b) Di usare queste parole me lo ha suggerito Roberto Dal Bosco, che anche lui è un genio, seppure leggermente meno.
c) Non avevo intenti di marketing, e vorrei chiarire qui una volta per tutte che si guadagna decisamente di più facendo la baby sitter che la scrittrice, quanto al rapporto ore di lavoro/reddito, e che il marketing è l’ultimo, diciamo il penultimo dei miei pensieri (appena prima del calciomercato).
Confesso: mi innervosisce e non poco questa faccenda che ormai tutti siamo travolti dalla sindrome del pollice verso, non quello di Cesare ma quello di Zuckenberg. Che ormai tutto è un mi piace o non mi piace, segno peraltro che stiamo del tutto sostituendo le categorie di giusto e sbagliato, di vero e falso, con quelle appunto di gradimento alto o basso. Ora finché questo riguarda cose opinabili come la scelta di un presidente della Camera, delle performance di Buffon (quelle di Totti si sa sono eccellenti per definizione specie su questo blog) può anche andare bene, ma quando si comincia a riferirle al Papa e al suo agire allora mi intorbido.
Leggiamo la notizia dal Corriere della Sera “Da oggi è possibile fare testamento biologico, anche se solo simbolicamente, in rete. Grazie ad una applicazione di Facebook promossa dall’associazione Luca Coscioni e realizzata dalle agenzie Ninja LAB e Mikamai. L’applicazione si chiama The Last Wish (ovvero l’ultimo desiderio)”. Ora, siccome noi sappiamo che l’Associazione Luca Coscioni è sempre feconda quando si parla di genialate, decidiamo di capire di che cosa si tratta, e accediamo all’applicazione. continua a leggere