Humanae Vitae, l’attacco finale?

Siccome alcune persone si sono scandalizzate di quello che ho scritto ieri, in merito a un vescovo che ha autorizzato una persona con una storia molto particolare a fare la comunione, pur essendo divorziata e risposata, vorrei tornarci sopra, ripubblicando un meraviglioso intervento che scrisse per noi Flora Gualdani, in risposta a delle sconcertanti affermazioni del professor Chiodi sulla contraccezione.

Se non sapete chi sia Flora cercate notizie su di lei, per me è una vera santa, ha più santità lei in un’unghia di quella che riuscirei a raggiungere io in una vita. È una donna rigorosa e dolcissima, semplice e intelligentissima, intraprendente ma totalmente consegnata al Signore.

Ecco, anche lei racconta che nella sua lunga esperienza di ostetrica e formatrice ai metodi naturali, nella sua vita tutta dedicata all’Humanae Vitae, tra le migliaia di donne che ha seguito, è giunta a consigliare un male minore a 4 o 5 di loro, acconsentendo a che uscissero dalle indicazioni di Humanae Vitae (a una ha permesso che venissero chiuse le tube, a una ha consigliato per un periodo la contraccezione). In meno di un caso su mille. Vi prego, rileggete questo articolo, è un po’ lungo ma ne vale la pena.

Una parte della Chiesa, infatti, sta tentando l’attacco ad Humanae Vitae e a Veritatis Splendor e all’indissolubilità del matrimonio, alla differenza sessuale, prendendo come scusa dei casi limite e una malintesa “misericordia”, che poi è la collaudata tecnica del Partito Radicale: raccontare una storia estrema e commovente, e mostrare quanto soffre quella povera persona per la rigidità di una norma. E poi tana libera tutti.

Invece la Chiesa, come mostra il vescovo cui ho accennato ieri, come mostra questo racconto di Flora di oggi, ha già tutti gli strumenti per accogliere chi fa veramente sul serio, per trovare soluzioni creative e misericordiose per tutti, mantenendo però chiaro l’obiettivo finale, cioè il bene – che è oggettivo e non relativo – senza bisogno di cambiare il Magistero.

La mia impressione, sempre più netta, è che ci sia chi vuole cambiare il Magistero usando questa leva della compassione, mentre la Chiesa è già materna verso tutti quelli che davvero cercano Dio, senza bisogno di cambiare nulla.

Il caso cui facevo riferimento nel post di ieri era davvero particolare, e se lo conosco il vescovo avrà pregato, digiunato e forse anche pianto per quella donna, così come ha fatto Flora per quelle deroghe che ha concesso. Quindi la scusa della misericordia non regge, non c’è alcun bisogno di cambiare il Magistero.

Il prossimo in agenda, il vero obiettivo dei recenti cambiamenti, pare essere il Magistero sull’omosessualità. D’altra parte è stato il Papa a parlare di lobby lgbt dentro la Chiesa, e certamente la lobby punta a far sì che venga affermata anche dal Catechismo come una possibilità equivalente a quella naturale, perché il Magistero della Chiesa nel mondo è rimasto l’unico ad avere il coraggio di affermare il contrario.

Bene, anzi, male. Cioè: se ci vogliono provare, che ci provino a viso aperto, non adottando la solita tattica vittimistica dell’omofobia che va tanto di moda.

La Chiesa non discrimina nessuno, già ora, e non ha alcun bisogno di cambiare il Magistero. Perché non viene da lei, e non appartiene a nessun altro se non a Cristo.

Costanza Miriano

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Siamo all’attacco finale su Humanae Vitae?

 Flora Gualdani è una signora di ottanta anni, una piccola ostetrica figlia di contadini. Dice che la sua pelle è così bella per tutto il liquido amniotico che le è arrivato in faccia in sala parto, mentre le sue donne partorivano. Le sue, perché ogni donna che Flora si è trovata ad accompagnare allo splendore di diventare madre, è diventata un po’ sua figlia. Alcune di loro, magari quella poverissima, la vittima di incesto incinta a undici anni o la donna stuprata, sono state anche tentate dall’aborto. Per poterle accogliere, loro e i loro bambini non cercati, ha costruito delle casette sulla terra ereditata dal padre. Una vita al servizio della vita, ben oltre l’orario di lavoro. E nelle ferie, andava a far partorire le donne dall’altra parte del mondo: nei paesi poveri, per aiutare; in quelli ricchi per imparare. Per poterle raggiungere tutte ha preso anche il brevetto da elicotterista, e si è iscritta a medicina.
Più avanti negli anni, ha capito che l’emergenza era la formazione. Ha studiato bioetica e i metodi naturali con i Billings, Lejeune, la Poltawska. Al termine dei corsi san Giovanni Paolo II li riceveva e li ascoltava, questi mostri sacri, e la piccola ostetrica bruna con loro. Ha portato la regolazione naturale della fertilità ad Arezzo e continua a insegnarla a coppie su coppie. Insomma, sull’Humanae Vitae ha giocato la vita. Lei che ha scelto di non generare nella carne, è madre di una moltitudine. Servono i calli alle ginocchia per pregare, quelli alle mani per servire, mi confida.
Ha scritto una appassionata, informatissima, agguerritissima difesa dell’enciclica di Paolo VI, difesa dai recenti attacchi che fingono di non toccare la dottrina per svuotarla dal di dentro, imbalsamandola, dice lei, facendole perdere lo splendore della verità e della bellezza. E’ un po’ lunga, magari la stampate e la leggete a rate, piano piano. Ma ne vale veramente la pena: è uno spettacolo vedere la passione, la sapienza e la certezza con cui una piccola donna senza dottorati ma con l’autorità che viene da una vita spesa tutta, confuta punto su punto don Chiodi, ammonendolo perché non usi dei casi limite per aprire il foro nella diga, e privare troppe coppie di tanta bellezza.
Nel frattempo, grazie, continuate a scrivere. Grazie, grazie, grazie. Pubblicheremo al più presto qualche estratto delle vostre bellissime lettere. Ogni volta che il popolo dei piccoli si risveglia e si mette in piedi, succedono miracoli.
C.M.
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La norma e la scienza, la tecnologia e la coscienza. Riflessioni a margine della lezione di Maurizio Chiodi sull’Humanae vitae.

di Flora Gualdani

Di fronte alle polemiche sollevate dalla relazione tenuta lo scorso dicembre dal prof. Maurizio Chiodi alla Pontificia Università Gregoriana sulla questione dell’Humanae vitae, sento il dovere di intervenire pubblicamente per dare al dibattito un mio contributo di chiarezza. Lo faccio dalla mia piccola postazione ostetrica dove ho maturato un’esperienza professionale e pastorale lunga ormai oltre mezzo secolo. Sul campo della “procreazione responsabile” penso di aver qualcosa da dire alla mia amata Chiesa cattolica, poiché è uno degli argomenti su cui ho consumato tutta la mia vita. Intervengo come persona preparata ma pure come battezzata. La nostra fede ci insegna che in certe situazioni è necessario non soltanto prendere la parola ma anche alzare la voce (Is 58,1).

L’ambulatorio ostetrico è una specie di confessionale più frequentato di quello dei sacerdoti e certe cose le ho capite ascoltando la vita concreta di alcune migliaia di donne che ho assistito, non soltanto qui nel nostro occidente benestante, ma negli angoli più poveri della terra e in mezzo alle guerre. Imbarcarsi in questo particolare servizio significa navigare tra due derive purtroppo radicate nel mondo ecclesiale: l’angelismo ed il relativismo. Entrambe lontane dalla via maestra, cioè dall’autentico magistero cattolico. L’angelismo si trova in certe comunità e sacerdoti che considerano peccato di egoismo anche l’uso dei metodi naturali. Ho conosciuto coppie con diverse gravidanze ravvicinate, faticosamente subite perché senza alcun discernimento per distanziarle (distanziarle, non rifiutarle senza motivo), e che poi – sfiancate – sono entrate in crisi con la sessualità, mettendo pericolosamente a rischio l’equilibrio coniugale. E’ l’equivoco sulla fecondità ad oltranza, denunciato sia da san Giovanni Paolo II (Angelus del 17.7.1994) sia da Francesco (Intervista nell’aereo di ritorno dalle Filippine, 19.1.2015): diverso lo stile ma stessa denuncia. Nelle mie lezioni spiego che Dio non ci ha fatto con le ali ma con i genitali. Al n. 31 di Humanae vitae la Chiesa ci insegna che «la vera felicità» si trova nel rispettare le leggi sapienti inscritte da Dio nella nostra natura, che noi dobbiamo osservare usando non solo «l’amore» ma anche «l’intelligenza». E ricordo che la Madonna stessa, prima di diventare madre, ha usato l’intelligenza: davanti all’annuncio dell’angelo lei ragionò e pose domande. Ottenute le spiegazioni, fece il balzo della fede.

I COSIDDETTI “CASI LIMITE” E LE ECCEZIONI CHE CONFERMANO LA REGOLA.

L’apertura alla vita è vocazione della coppia. E una famiglia numerosa è auspicabile, sta scritto anche nella Sacra Scrittura. Ma la santità dei coniugi non risiede nel numero di figli (come non sta di per sé nell’uso dei metodi naturali). Il concetto di “procreazione responsabile” non può prescrivere il numero giusto di figli. Ogni storia è a sé e, per ciascuno, Dio ha un progetto personalizzato. A volte tre figli potrebbero essere sinonimo di egoismo mentre in certi casi anche un figlio può essere troppo. Perché l’eroismo non è obbligatorio per la santità. E’ vero quindi che in alcune circostanze la paternità e maternità “responsabile” richiedono effettivamente di evitare una gravidanza. E vengo quindi alla riflessione clamorosa di don Chiodi, che condivido nel punto di partenza ma non nel proseguo.

In cinquant’anni di esperienza, di fronte alle migliaia di donne che ho seguito, si contano nelle dita di una sola mano i casi in cui sono giunta a consigliare un “male minore”. In quei 4-5 casi c’è la donna partoriente che entrò in sala operatoria e poco dopo scoprimmo che il suo utero era come il velo di una cipolla. Già era un mezzo miracolo che fosse arrivata viva fino a quel punto. Conoscevo la sua storia e mi presi la responsabilità di dire ai medici di chiuderle le tube. Farla uscire dalla sala operatoria con le tube pervie sarebbe stato un comportamento irresponsabile. Nella Bibbia c’è scritto che l’uomo non deve sfidare Dio.

Oppure il caso di una gravissima malattia in cui gli interventi chirurgici e la pesante terapia oncologica cui era sottoposta la sposa non avrebbero consentito a quella coppia di usare in tranquillità i metodi naturali. L’alternativa (angelica) era la completa astinenza, contraria alla natura del matrimonio perché avrebbe amputato ai coniugi la dimensione unitiva del loro amore incarnato, caricandoli nel loro calvario di un’ennesima croce, disumana. L’altra strada era quella di “affidarsi a Dio” per accogliere tutto ciò che sarebbe arrivato, senza nessun ragionevole accorgimento. Spiegai che, avendo peraltro già altri figli, la loro “apertura alla vita” significava rispettare anzitutto la vita di chi già esiste in famiglia, nella consapevolezza che andare incontro ad una gravidanza con quel quadro clinico avrebbe esposto al rischio di morte sia la madre che la nuova creatura (oltre alle probabili gravissime malformazioni).

Dal punto di vista morale, una cosa è scoprirsi gravemente malati quando si ha già un bambino in grembo: accogliere quel bambino a costo della propria vita, rinunciando a curarsi, è un gesto eroico che hanno fatto alcune madri esemplari, anche giovani sante dei nostri tempi. Ed è proprio con quel gesto folle che una giovane donna, nel 1964, mi interpellò e mi provocò a dare il via a “Casa Betlemme”. Ben altra cosa è scoprirsi gravemente malati senza essere incinta: aprirsi ad una gravidanza in quelle condizioni diventa invece una sfida nei confronti di Dio. In definitiva, nel discernimento di quella drammatica situazione, consigliai loro l’uso del condom per avere rapporti sessuali senza paura, ma con l’invito a mantenere la disciplina della continenza (cioè della castità), suggerendogli di viverla comunque mensilmente in alcuni giorni.

Ciò che non condivido è che dall’esistenza di alcuni “casi limite” si arrivi a concludere che la contraccezione non appartiene agli atti “intrinsecamente cattivi”. Quelle che ho raccontato le considero semplicemente eccezioni che confermano la regola. Erano scelte che non rappresentavano il bene ma il “male minore” di cui io mi sono assunta la responsabilità davanti a Dio. In quei 4-5 casi ho detto cioè a quelle persone di stare tranquille in coscienza perché avrei chiesto al Padre Eterno di annotare quegli eventuali peccati nel mio libro e non nel loro. Questa è stata la mia personale “soluzione pastorale”.

I “casi limite” sono una materia molto scivolosa, da maneggiare con cura. Basta un piccolo foro e si può arrivare a svuotare una diga intera, sarà soltanto questione di tempo. Pensiamo alla storia dell’aborto: ciò che portò alla legge 194, con il voto dei cattolici, fu anche l’onda emotiva di Seveso e il terrore delle gravissime malformazioni. Voglio ricordare che a Casa Betlemme ho accolto le maternità più difficili che si possano immaginare, storie indicibili: dalle prostitute alla undicenne incinta vittima di incesto. Ma anche in quei famigerati “casi limite” da noi, alla fine, la cultura di morte non ha prevalso. Magari in collaborazione con i servizi sociali e in una rete di solidarietà.

LA “NORMA” CHE CI DISTURBA? E’ LA DISCIPLINA DELLA CASTITÀ.

Quando si parla dell’Humanae vitae e della sua “norma morale” che appare così difficile e oppressiva, una “legge” dura, tanto da finire spesso – si dice – in conflitto con la coscienza e la libertà dei coniugi, secondo me sarebbe opportuno semplificare chiarendo che stiamo parlando della virtù della castità. In materia di limitazione delle nascite, la risposta della Chiesa cattolica, nella sua ininterrotta Tradizione bimillenaria, risiede infatti nel dominio di sé. Una continuità che fu rotta soltanto nel 1930 dagli anglicani nella Conferenza di Lambeth, dietro la pressione del movimento eugenetico rappresentato anche da reverendi esponenti ecclesiali. Papa Pio XI rispose subito a quello strappo il 31 dicembre dello stesso anno firmando l’enciclica Casti connubii. E fu una risposta forte e chiara.

Qui c’è da smontare un altro equivoco sui metodi naturali, che vengono spesso confusi per “contraccezione naturale”. Sul punto san Giovanni Paolo II è stato molto severo come pastore e come pontefice, e ci ha insistito dalle prime catechesi giovanili fino agli ultimi discorsi nei congressi scientifici. I metodi naturali non sono una versione ecologica della contraccezione: sbaglia chi li usasse o li insegnasse come «una variante lecita» di chiusura alla vita (Discorso 14 dicembre 1990). Non si tratta cioè di una bella tecnica per non fare figli, ma di uno stile di vita per la crescita dell’amore, basato su una profonda conoscenza di sè (fertility awareness) e sull’esercizio della castità coniugale (che significa astinenza periodica) nella reciproca fedeltà, in una ragionevole apertura alla vita, lasciando a Dio l’ultima parola. Il discorso naturale-artificiale è quindi eticamente irrilevante: la vera differenza sta nell’esercizio della virtù. Nessun contraccettivo infatti richiede l’esercizio della virtù: «la connessione intrinseca di scienza e virtù morale costituisce l’elemento specifico e moralmente qualificante del ricorso ai metodi naturali» (Discorso 14 dicembre 1990).

La castità però non è fine a sé stessa né toglie qualcosa al piacere sessuale. San Giovanni Paolo II spiegava che educarci alla castità è un passo fondamentale per la maturazione della nostra persona e delle nostre relazioni affettive: il «banco di prova» che ci interpella tutti e che, con il dominio di sé, ci introduce alla maturità dell’amore vero. Il primato della virtù, nel concetto di “procreazione responsabile”, significa quindi che «la tecnica non risolve i problemi etici, semplicemente perché non è in grado di rendere migliore la persona» (Discorso 14 marzo 1988). Se non si capisce questo aspetto basilare, ai metodi naturali togliamo la loro “anima” degradandoli ad una tecnica assurdamente faticosa e poco interessante rispetto ad altre tecniche molto meno complicate, con cui non potrà competere.

In questo cammino servono la disciplina e la Grazia: perché la castità è una virtù che si conquista soltanto mediante la volontà e la preghiera. Ci educa all’umiltà poiché ti mette in ginocchio e ti fa riconoscere la tua fragilità. Ma è parola profetica per la nostra società decadente fatta di melma e di sangue. E’ parola chiave per la fedeltà e la felicità delle famiglie, per l’equilibrio di una vita consacrata, per la salute dei nostri giovani, e per il bene di una persona con tendenza omosessuale. Quindi ha un enorme valore sociale prima che morale. Purtroppo però se ne è banalizzato il significato e non si crede più alla sua praticabilità. L’anno scorso facevo notare al cardinale Caffarra che anche tutto il dibattito infuocato dei recenti Sinodi, se ci pensiamo bene, si ricapitola in fondo sulla grande questione della castità. E’ sempre quello il nodo che viene al pettine, il filo rosso che lega tutto. Sulla comunione ai divorziati si discute sul vivere “come fratello e sorella”. E non si propone l’esigenza della fedeltà al sacramento dopo il tradimento. Idem sulla contraccezione: si vuole aprire alla contraccezione perché si pensa che i coniugi non siano capaci di astinenza periodica cioè di vivere la virtù della castità coniugale con i metodi naturali. E lo stesso per il celibato dei sacerdoti: la questione parte sempre dal rifiuto della castità. E’ una parolina che dà allergia a molti, e purtroppo ho notato che è stata la grande assente nei due sinodi sulla famiglia, la parola latitante. La mia speranza è che venga recuperata al sinodo dei giovani.

In un lungo discorso del 2 marzo 1984, talmente importante da ritrovarlo quasi per intero al n. 103 dell’enciclica Veritatis splendor, san Giovanni Paolo II spiegava che la norma morale insegnata da Humanae Vitae e Familiaris Consortio è «la difesa della verità intera dell’amore coniugale» ovvero «l’originario progetto del Creatore sul matrimonio»: la Chiesa è chiamata cioè, sulla contraccezione, a dare all’uomo la medesima risposta che dette Gesù quando fu interrogato sulla liceità del ripudio della moglie. I pastori, operando «nel nome di Cristo», devono «mostrare agli sposi che quanto è insegnato dalla Chiesa sulla procreazione responsabile non è altro che quell’originario progetto che il Creatore ha impresso nell’umanità dell’uomo e della donna che si sposano, e che il Redentore è venuto a ristabilire». Il discorso, severo e profetico, fotografava con esattezza impressionante il dibattito dei nostri giorni: «la difficoltà vera è che il cuore dell’uomo è abitato dalla concupiscenza: e la concupiscenza spinge la libertà a non acconsentire alle esigenze autentiche dell’amore coniugale. Sarebbe un errore gravissimo concludere da ciò che la norma insegnata dalla Chiesa è in se stessa solo un “ideale” che deve poi essere adattato, proporzionato graduato alle, si dice, concrete possibilità dell’uomo: secondo un “bilanciamento dei vari beni in questione”. Ma quali sono le “concrete possibilità dell’uomo”? E di quale uomo si parla? Dell’uomo dominato dalla concupiscenza o dell’uomo redento da Cristo? Poiché è di questo che si tratta: della realtà della redenzione di Cristo. Cristo ci ha redenti! Ciò significa: Egli ci ha donato la possibilità di realizzare l’intera verità del nostro essere. Egli ha liberato la nostra libertà dal dominio della concupiscenza». San Giovanni Paolo II, in altre parole, ci spiega che il cosiddetto “primato della coscienza” va sottoposto al primato della verità. E che al fondo di tante discussioni teologiche e pastorali forse sta un nostro problema di fede. Se davvero crediamo che Cristo ci ha redenti, allora sappiamo che l’uomo è sempre educabile: «e se l’uomo redento ancora pecca, ciò non è dovuto all’imperfezione, ma alla volontà dell’uomo di sottrarsi alla grazia che sgorga da quell’atto. Il comandamento di Dio è certo proporzionato alle capacità dell’uomo: ma alle capacità dell’uomo a cui è donato lo Spirito Santo […]. La riconciliazione della coscienza umana degli sposi col Dio della Verità e dell’Amore passa attraverso la remissione dei peccati: attraverso l’umile riconoscimento che noi non ci siamo adeguati, per così dire, commisurati alla Verità ed alle sue esigenze e non attraverso l’orgogliosa riduzione della Verità e delle sue esigenze a ciò che noi decidiamo sia vero e buono. La nostra libertà è nell’essere servi della Verità».

Wojtyla, ben consapevole delle difficoltà che le coppie incontrano nel cammino, ci invitava a non confondere la “legge della gradualità” con la “gradualità della legge” (Familiaris consortio n. 34), come se questa norma morale fosse adatta soltanto ad alcune coppie speciali: «la grazia dello Spirito Santo rende possibile ciò che all’uomo, lasciato alle sole sue forze, non è possibile. […] Ogni battezzato, quindi anche gli sposi, è chiamato alla santità, come ha insegnato il Vaticano II – Lumen Gentium 39» (Discorso 17 settembre 1984).

LA NORMA DELL’HUMANAE VITAE NON È BIOLOGISMO: PER CAPIRLO SERVE LO SGUARDO CONTEMPLATIVO SULLA CREAZIONE.

Secondo il professor Chiodi, «l’insistenza del Magistero della Chiesa sui metodi naturali non può essere interpretata come una norma fine a sé stessa, né come una mera osservanza di leggi biologiche poiché la norma punta ad un’antropologia…». Anche su questa affermazione sarei d’accordo. San Giovanni Paolo II, infatti, dedicando ben 129 catechesi alla “teologia del corpo”, ha abbondantemente chiarito che la Chiesa ci insegna «non tanto la fedeltà ad un’impersonale legge naturale quanto al Creatore-persona, sorgente e Signore dell’ordine che si manifesta in tale legge» (Catechesi CXXIV). La norma morale di cui parliamo, cioè, non è di natura biologica ma personalistica, e si fonda sulla «rilettura del linguaggio del corpo nella verità»: gli stessi «ritmi naturali immanenti alle funzioni generative appartengono alla verità oggettiva di quel linguaggio», e noi dobbiamo «tener presente che il corpo parla» (Catechesi CXXV).

In altre parole, di fronte alla fertilità umana non siamo davanti a pure leggi biologiche ma ci troviamo davanti alla maestà e alla sapienza del Creatore, impressa nella nostra natura. Il beato Stensen, vescovo e scienziato meglio noto come Stenone (le cui ricerche hanno dato il nome ad un dotto dell’apparato uditivo), mentre studiava l’anatomia e la fisiologia si metteva addirittura in ginocchio, perché consapevole di incontrare Dio, attraverso “l’opera delle Sue mani” (Salmo 8). A me piace parlare di “sacralità della fisiologia”. La nostra ciclicità femminile è un meccanismo imponente, perfetto e stupendo, fatto di segni e denso di significati. Ha in sé una logica profonda, un Logos che è epifania di un disegno grandioso in cui il linguaggio di Dio si svela anche nel sistema riproduttivo. La ricerca scientifica ha decifrato questo linguaggio e oggi ogni donna è in grado di conoscere, con esattezza e con facilità, quali sono ogni mese i giorni in cui può diventare madre.

La profondità di tutto questo disegno però, diceva san Giovanni Paolo II, si può cogliere soltanto recuperando uno «sguardo contemplativo» davanti alla bellezza della creazione (Evangelium vitae n. 83, Centesimus annus n. 37), ricordandoci che l’uomo è il vertice della creazione: capolavoro in cui la nostra anima immortale è incarnata in un corpo fragile, tessuto dalle mani di Dio che ci ha fatti bene anche dalla cintola in giù, come un prodigio (Salmo138). Usò questo sguardo anche nel predicare gli esercizi a Paolo VI nel 1976, intitolando un capitolo “Il Dio dell’infinita maestà”. Wojtyla, partendo dall’analisi acuta dell’universo, si rifaceva all’itinerarium mentis in Deum di san Bonaventura da Bagnoregio, cioè alla via pulchritudinis. Sul medesimo itinerario leggiamo vent’anni dopo il teologo brasiliano L. Boff e il filosofo vietnamita A. Nguyen Van Si, che in un loro saggio ci invitavano a contemplare la natura e a riconoscerla come un meraviglioso «spettacolo», «un poema ben ordinato». Con lo sguardo contemplativo si apre anche l’enciclica Veritatis splendor ed è lo sguardo fondamentale che, secondo me, manca all’attuale dibattito intorno all’Humanae vitae. Nella mia esperienza, quello sguardo infatti è ciò che aiuta le coppie a superare il fastidio iniziale verso “la norma”, facendole approdare all’ammirazione e alla gratitudine per questo particolare meraviglioso della fertilità. La cosa sarebbe lunga da spiegare, fa parte del nostro specifico impegno pastorale di formazione e sensibilizzazione.

Quanto sia importante questa “conversione dello sguardo” che ci spalanca al mistero della Creazione (Benedetto XVI al Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, 15 novembre 2010) trova conferma sia nella letteratura medica dove oggi si parla di “etica dello stupore” (Evans-Greaves, Journal of Medic Ethics 2001) sia – in fondo – anche in uno dei più illustri e accaniti oppositori dell’Humanae vitae come padre Häring, quando raccontava la sua ammirazione verso «la bellezza del mondo, la gratuità del Creatore». Il celebre teologo spiegava che durante un raduno di cattolici tedeschi, i giovani gli chiesero cosa lui ritenesse essenziale per le persone di qualsiasi età: «risposi: il senso della meraviglia […]. Molti di loro mi pregarono di insistere perché i parroci e i catechisti parlassero del senso della meraviglia» (V. Salvoldi, Una fede si racconta. Colloqui con Padre Häring, Messaggero, Padova 1989, 76-77).

Nel 1960, nel suo magnifico trattato Amore e responsabilità, il vescovo Wojtyla dedicava a simili riflessioni il capitolo “Giustizia verso il Creatore” spiegando che «l’uomo è giusto verso il Dio-Creatore decifrando le leggi del Creatore, riconoscendo con la ragione l’ordine della natura e rispettandolo nelle sue azioni». Come dicevo, suscitare questo atteggiamento di profonda riverenza e adesione verso il progetto originario di Dio sull’uomo, è il compito della Chiesa. Anche Papa Francesco, in apertura del suo pontificato, spiegava che «siamo custodi della Creazione, del disegno di Dio inscritto nella natura» (Omelia per l’inizio del ministero Petrino, 19 marzo 2013) e qualche mese dopo parlava di «amore per tutta la creazione, per la sua armonia», riferendosi alla figura del Santo d’Assisi che ci testimonia «il rispetto per tutto ciò che Dio ha creato e come lo ha creato» (Omelia, Assisi 4 ottobre 2013). Poco tempo fa, denunciando certe colonizzazioni culturali e ideologiche, ha ribadito che pecchiamo contro Dio creatore quando «si vuole cambiare la Creazione come l’ha fatta Lui» (Omelia 21 novembre 2017). “Uomo e donna lo creò”, spiega la Genesi. E, a noi donne, in questo modo preciso Lui ci creò! Con la ciclicità della fertilità, ha voluto consegnare a noi le chiavi della vita, insieme ad una serie di istruzioni. Sant’Atanasio, riflettendo sulla sapienza con cui il Verbo di Dio ha organizzato il mondo riempiendolo di ogni bellezza come un artista, ci ricorda che «è Lui che ha voluto che tutto accada in questo modo» (Discorso contro i pagani).

Tra i neo critici di Humanae vitae si sente dire spesso che l’enciclica è stata scritta in un’altra epoca e quindi andrebbe contestualizzata. Ce lo suggerirebbero anche le due date apposte nel titolo della relazione del professor Chiodi. E’ vero che la storia è cambiata e la società è più complessa. Ma l’uomo non è cambiato. E i peccati sono sempre quelli. Eva ovulava come ovulavo io. Le sapienti leggi iscritte da Dio nella natura e nel cuore dell’uomo non hanno data di scadenza. In definitiva l’antropologia cristiana, fatta di sguardo creaturale ed esercizio della virtù nel rispetto dell’opera di Dio, è un pacchetto completo che non prevede adesioni selettive: non si può essere contrari ad aborto e gender e poi favorevoli alla contraccezione.

LA “TECNOLOGIA” CHE AIUTA LA PROCREAZIONE RESPONSABILE? CONCETTO INSIDIOSO E STRANE DIMENTICANZE.

Altro argomento su cui riflette il professor Chiodi è quello della “tecnologia” applicata alla procreatica. Anche qui condivido il punto di partenza sul fatto che la tecnologia è un modo di agire dell’uomo, ma concludere che «la tecnologia non possa essere rifiutata a priori quando è in gioco la nascita di un bambino» e che in certe situazioni «un metodo artificiale per la regolazione delle nascite potrebbe essere riconosciuto come un atto di responsabilità», ci porta fuori strada cioè fuori dalla sana dottrina.

E’ vero che la téchne è il modo di agire con cui l’uomo lavora sul creato e trasforma anche se stesso. Ma la nostra ragione creativa si deve fermare davanti all’albero della vita: lì, nella trasmissione della vita umana, c’è una precisa “grammatica” scritta da Dio, su cui l’uomo non deve mettere le mani. A meno che voglia abbracciare i “nuovi paradigmi riproduttivi” e arrendersi al mondo nuovo.

La Chiesa quindi non è di per sé contraria a ciò che è artefatto dall’uomo. L’intervento artificiale diventa immorale soltanto quando non rispetta l’opera di Dio e la dignità della persona, oppure quando non serve per riportare a fisiologia la patologia. E’ il caso della contraccezione: un paradosso anzitutto medico perché l’uomo finisce per curare un funzione sana, dato che la fertilità è sinonimo di benessere. Ma è anche un paradosso morale. La psichiatra Wanda Połtawska, in una memorabile lezione all’Istituto Giovanni Paolo II (dove intitolò un capitolo “Santità dell’atto sessuale e orgasmo”), spiegava infatti che l’uomo, «sentendosi come schiacciato dalla forza della sua fecondità», cerca di combatterla e di «correggere ciò che il Creatore ha già creato in modo perfetto». La contraccezione è dunque un «un peccato inutile» poiché in natura esiste già la soluzione cioè i giorni infecondi messi a nostra disposizione, ovvero la nostra capacità di astinenza periodica. Se, come dicevo, recuperiamo lo sguardo contemplativo sull’intera opera di Dio, capiremo che la fertilità è una dimensione che appartiene alla verità della nostra persona: non ci chiede di essere combattuta e fatta fuori ma di essere conosciuta e rispettata nella sua armonia.

In conclusione, nella contraccezione, l’uomo tecnologico cerca di “plasmare” la propria fisiologia: ritenendola inadeguata alle nostre esigenze, s’ingegna a rendere sterile un rapporto sessuale e a spengere la fertilità. Con i metodi naturali usiamo invece tutta la scienza per decifrare e rispettare questo prezioso “particolare” del Disegno di Dio. Ed è l’unica strada dove l’uomo si riconcilia con il suo corpo, la creatura con il suo Creatore, la scienza con la fede e con la morale.

La tecnologia della contraccezione è stato il primo atto con cui l’uomo moderno ha messo mano all’albero della vita. Scardinando la potenza della vita dal gesto sessuale, abbiamo compiuto il primo divorzio da Dio, separando ciò che Lui aveva unito. Ma rappresenta anche il primo divorzio tra i coniugi, perché ne impedisce l’abbraccio totale. E’ come se il marito dicesse alla moglie: “accolgo tutto di te tranne la tua fertilità, che è un problema”.

Quella scissione, come sappiamo, si è poi approfondita in senso opposto con la riproduzione artificiale, andando a spostare il concepimento fuori dal grembo della donna. Nella fecondazione in vitro, infatti, la tecnologia non va ad “assistere” o a ripristinare la fisiologia, ma a “sostituire” l’incontro carnale degli sposi, che diventa un accessorio: il figlio non viene più procreato come frutto di quel gesto coniugale ma prodotto da una equipe, con una procedura incerta nell’efficacia ma sicura nel sacrificio di embrioni. L’equipe di tecnici alla fine consegna un “bimbo in braccio” alla coppia (desiderosa e sofferente), ma lasciandola nella condizione di sterilità. Anche qui la tecnologia, nell’etica cristiana, incontra quindi un limite ben preciso: è cosa buona finché aiuta la natura andando a curare patologie dell’apparato riproduttivo. Penso al prezioso servizio svolto dall’Istituto Scientifico Internazionale Paolo VI (Policlinico Gemelli), specializzato per esempio nella microchirurgia tubarica. Oppure all’analogo approccio portato avanti dalla Naprotechnology. La dignità del concepito e la dignità del matrimonio sono lo spartiacque sulla bontà della tecnologia in materia procreatica.

Per questo, a mio avviso, dire che «la tecnologia non possa essere rifiutata a priori quando è in gioco la nascita di un bambino» è un’affermazione generica e insidiosa. Presta il fianco a tutti coloro che, accusandoci di incomprensione e durezza, fanno pressione sulla Chiesa cattolica affinché – in nome della “apertura alla vita” – sdogani la fecondazione artificiale, normalizzando pure questo comportamento ormai di massa anche tra i cattolici. Le argomentazioni su cui la Chiesa fonda la sua posizione bioetica in materia, troppo spesso poco conosciute, sono scolpite con molta chiarezza in due istruzioni della Congregazione per la Dottrina della Fede: la Dignitas personae (anno 2008) e la Donum vitae, firmata nel 1987 dall’allora Prefetto Ratzinger con la consulenza del prof. Lejeune, Servo di Dio al quale san Giovanni Paolo II nel 1994 affiderà la neonata Accademia per la vita, facendogli redigere lo Statuto.

La sottolineatura di Chiodi sul fatto che ci troviamo nell’era tecnologica, è argomentazione che trova una corrispondenza significativa e secondo me preoccupante: si tratta infatti esattamente del primo messaggio lanciato dalla nuova Pontificia Accademia per la vita la quale, nel 2017, ha esordito annullando un seminario internazionale che era da tempo programmato per celebrare il 30esimo della Donum vitae, e lo ha rimpiazzato con un nuovo seminario intitolato “Accompagnare la vita. Nuove responsabilità nell’era tecnologica”.

Riguardo la presunta bontà della tecnologia contraccettiva come “atto di responsabilità”, c’è un altro aspetto importante che da cinquant’anni continua ad essere stranamente sorvolato. Mi riferisco agli aspetti micro-abortivi insiti (in percentuale più o meno elevata) in tutta la contraccezione ormonale e farmacologica. E’ il tema delle cosiddette fughe ovulatorie, noto già ai tempi del dibattito conciliare, che rende incerto il confine tra aborto e contraccezione. Le evidenze scientifiche pongono problemi etici importanti (R. Puccetti, G. M. Carbone, V. Baldini, Quello che nessuno ti dice sulla contraccezione, ed. Studio Domenicano, Bologna 2012; R. Puccetti, I veleni della contraccezione, ed. Studio Domenicano, Bologna 2013), che furono sottolineati dall’Associazione internazionale dei medici cattolici in un corposo documento pubblicato per il 40esimo dell’enciclica. Una decina d’anni fa anch’io mi permisi di intervenire pubblicamente a sostegno di un farmacista cattolico che, con una lettera al giornale dei vescovi italiani, si poneva scrupoli di coscienza nella prescrizione della più comune pillola anticoncezionale (Avvenire, 22.11.007). 

Inoltre, nelle riflessioni degli ecclesiastici favorevoli ad un’apertura sulla contraccezione, non sento mai parlare della “mentalità contraccettiva” e delle sue conseguenze pratiche: non mi riferisco a discorsi moralistici o trascendenti ma anche qui alla letteratura medica, dove è ormai dimostrato che la contraccezione non previene l’aborto ma ne è l’anticamera e il viatico. Poiché delegare ad un mezzo tecnico la responsabilità dei nostri gesti favorisce un’attitudine mentale all’aborto: quando “il mezzo ha fallito” si è più predisposti a optare per l’aborto come soluzione.

Ulteriore lacuna riguarda i danni che la contraccezione ormonale su larga scala sta creando all’ambiente e all’ecosistema, compromettendo addirittura la delicata fertilità maschile: un allarme che apparve già il 27 gennaio 1997 sul Corriere della Sera a firma del professor Aldo Isidori, andrologo dell’Università La Sapienza («Se l’uomo è sterile è anche colpa delle donne») e venne rilanciato pochi anni fa sempre sulla stampa laica (A. D’Argenzio, Ambiente. Il lato B della pillola, L’Espresso, 2.10.2012). Sono argomenti scomodi e politicamente scorretti, che si meriterebbero un capitolo importante nella grande questione dell’ecologia umana. Dobbiamo invece prendere atto che purtroppo anche l’enciclica Laudato sii ha sorvolato sull’argomento. Io mi permisi di evidenziarli in un piccolo saggio che firmai il 12 aprile 2015 e recapitai a numerosi ecclesiastici come contributo di riflessione per il lavori sinodali (Occidente, procreazione e Islam, ed. ilmiolibro.kataweb.it, 2015).

Stiamo parlando, in fondo, del peccato più vecchio del mondo. Quando l’uomo tenta di correggere il Creatore andando a curare ciò che è sano, alla fine si impantana facendosi del male da solo. Fu l’Espresso anni fa a titolare una copertina “Pillola amica killer”, e ha sollevato un certo clamore la notizia che la pillola «oggi è più rischiosa di ieri» e che l’Europa ha aperto un’inchiesta di fronte alla pioggia di causa contro le multinazionali farmaceutiche (Repubblica, 30.1.2013). Altrettanto clamorosa la notizia che in Francia c’è un boom di interesse riguardo i metodi naturali (Le Monde, 11.8.2014).

Tutto questo per dire che anche la comunità scientifica, osservando i danni del nostro divorzio da Dio, ha iniziato a ripensare e sta lentamente rivalutando la sapienza del Creatore, cioè i benefici del rispetto della fisiologia. Io lo definisco “il cerchio della vita”. Prima si è capito che dobbiamo de-medicalizzare la gravidanza. Cioè che la gestazione non è una malattia. Poi ha capito che dobbiamo de-medicalizzare il parto. Poi si è capito quanto è importante l’allattamento naturale, al seno. L’ultima tappa, che chiude il cerchio della vita, sarà la de-medicalizzazione nella gestione della fertilità. Lo ripeto da anni: il futuro è dei metodi naturali. Ne va della qualità della generazione e della qualità dell’amore, cioè della famiglia. La contraccezione è una proposta vecchia. Se ne sono ormai accorte anche le femministe, che da quella iniziale illusione sono state lentamente espropriate della loro potenza generante.

Eppure c’è una forte corrente di teologi e pastori che si ostina, dopo mezzo secolo, a correre ancora dietro alla contraccezione. Il prof. Puccetti li definisce “regressisti”. Ed è un amaro dispiacere leggere nel quotidiano dei vescovi italiani che la sottoscritta insieme ai tantissimi altri difensori dell’enciclica, con la nostra testimonianza di vita e l’abbondanza di argomentazioni concrete, possiamo finire targati come «i più arcigni difensori di una morale fuori dalla realtà», «fustigatori implacabili dei nostri giorni» (Avvenire, 20.10.2017).

Un alto prelato, poco tempo fa, mi obiettava sull’Humanae vitae che «…del resto la scienza è andata avanti». Certamente. Infatti i moderni metodi naturali si sono perfezionati raggiungendo un’affidabilità scientifica ormai pressoché uguale a quella della pillola anticoncezionale. Così anche la pastorale nel mondo ha fatto enormi progressi sul campo dell’Humanae vitae: san Giovanni Paolo II, dopo ogni congresso internazionale, ci riceveva per incoraggiarci ed essere informato sugli sviluppi sia della scienza che della pastorale. L’esperienza di Madre Teresa nelle bidonville di Calcutta o quella straordinaria nella Cina comunista, dimostrano definitivamente che l’Humanae vitae – se si vuole – è applicabile ad ogni latitudine, comprese le periferie esistenziali. Mentre della contraccezione stanno ormai venendo al pettine i nodi che ho accennato.

Purtroppo però, nella nostra opera pastorale in mezzo alla gente, constatiamo su questi argomenti una disinformazione ancora piuttosto grave e diffusa a tutti i livelli: nelle corsie come nelle sacrestie, dai marciapiedi alle accademie. Sono argomenti su cui urge una capillare opera di misericordia spirituale: istruire gli ignoranti. Perché, lo dico da anni e qui lo ripeto: se sopra la disinformazione ci seminiamo la confusione, alla fine raccoglieremo devastazione. Questo tipo di misericordia è quindi il servizio prioritario che offriamo oggi con l’opera “Casa Betlemme”, associazione pubblica di fedeli voluta e riconosciuta dall’allora nostro vescovo Gualtiero Bassetti.

In conclusione, ai neo critici dell’Humanae vitae secondo me manca da un lato lo sguardo contemplativo davanti alla bellezza e alla sapienza della Creazione, e dall’altro uno sguardo scientifico completo sulla realtà della contraccezione.

SIAMO ALL’ASSALTO FINALE SULL’HUMANAE VITAE? SI, CON LA CHIAVE INTERPRETATIVA.

San Giovanni Paolo II ha precisato più volte che la norma morale dell’Humanae vitae è esigente, ma è forte e chiara, in continuità con la bimillenaria Tradizione della Chiesa. Anche san Pio da Pietrelcina volle pubblicamente ringraziare Paolo VI per la parola «chiara e decisa» detta con quella enciclica, «assistito dallo Spirito Santo e nel nome di Dio», a difesa «dell’eterna verità, che mai si cambia col mutar dei tempi» (L’Osservatore Romano, 29.9.1968). E poiché si tratta di una norma chiara, vuol dire che non va interpretata ma va attuata e vissuta, attingendo alla grazia di Dio di fronte alla nostra fragilità.

E’ una precisazione fondamentale, fatta anzitutto al n. 29 di Familiaris consortio, dove san Giovanni Paolo II definisce quello dell’Humanae vitae «un annuncio veramente profetico, che riafferma e ripropone con chiarezza la dottrina e la norma sempre antiche e sempre nuove della Chiesa sul matrimonio e sulla trasmissione della vita umana». Qualche anno dopo, nel ribadire che «la grazia di Cristo dona ai coniugi la reale capacità di adempiere l’intera “verità” del loro amore coniugale» puntualizzava di nuovo: il problema più grande sta nelle «voci che mettono in dubbio la verità stessa dell’insegnamento della Chiesa». Costoro si assumono «una grave responsabilità» poiché «si pongono in aperto contrasto con la legge di Dio, autenticamente insegnata dalla Chiesa» e «guidano gli sposi in una strada sbagliata». Quanto è insegnato dalla Chiesa sulla contraccezione cioè «non appartiene a materia liberamente disputabile fra teologi. Insegnare il contrario equivale a indurre nell’errore la coscienza morale degli sposi». Parlare di “conflitto di valori o beni” e della necessità di un “bilanciamento”, spiegava il papa, «non è moralmente corretto, e genera solo confusione nelle coscienze degli sposi» (Discorso 5 giugno 1987). L’anno successivo, nel 20esimo dell’enciclica, interviene nuovamente sulla irreformabilità e rivolgendosi ai teologi spiega che quello dell’Humanae vitae è un insegnamento che «appartiene al patrimonio permanente della dottrina morale della Chiesa». L’ininterrotta continuità con cui la Chiesa lo ha riproposto, nasce dalla «difesa della dignità e della verità dell’amore coniugale». I coniugi, prosegue Wojtyla, non vengono aiutati nella loro responsabilità verso l’amore coniugale anche quando «con conseguenze davvero gravi e disgregatrici, la dottrina insegnata dall’Enciclica sia messa in discussione, come talora è avvenuto, anche da parte di alcuni teologi e pastori di anime. Questo atteggiamento, infatti, può indurre il dubbio su un insegnamento che per la Chiesa è certo, oscurando così la percezione di una verità che non può essere discussa. Non è questo un segno di “comprensione pastorale”, ma di incomprensione del vero bene delle persone. La verità non può essere misurata dall’opinione della maggioranza». Questo discorso severo apparve il 14 marzo 1988 su L’Osservatore Romano (con il titolo «I coniugi sono chiamati a vivere l’intera verità della “Humanae vitae”, i pastori ad insegnarla senza metterla in discussione») e provocò una forte reazione di una certa corrente teologica che, guidata ancora una volta da Bernard Häring con l’appoggio dei mass media internazionali, trovò l’adesione di numerosi e influenti teologi e intellettuali mitteleuropei nella firma della “Dichiarazione di Colonia”, un documento di dissenso sottoscritto poi anche da sessantatré teologi italiani.

A me pare che la preoccupazione di san Giovanni Paolo II fosse quella di arginare i tentativi di coloro che, volendo “reinterpretare” la norma dell’enciclica, ne mettevano pericolosamente in dubbio i contenuti per scalzare duemila anni di Tradizione cattolica. Una volta un vescovo, confidandomi le sue obiezioni sull’Humanae vitae, mi disse: «vedrai che tanto quando muore Giovanni Paolo II tutto questo finisce». Riuscii soltanto a balbettare: «Ma Eccellenza, è la dottrina!». Devo dire che, tra tutte, quella fu la mazzata più forte che ho ricevuto. Il tono era delicato e suadente, ma nella sostanza era come se mi avesse detto: hai sprecato inutilmente la tua vita. Uscii da quel colloquio disorientata, stordita. Per rimanere in piedi di fronte a certe coltellate, ti inginocchi in adorazione silenziosa, e poi riparti. Non mi permetto di giudicare le persone, né le autorità teologiche né i pastori né tanto meno un pontefice. Però voglio leggere i fatti. E mi pare che quel vescovo avesse purtroppo ragione. La sua previsione si sbagliava di pochi anni. Alle porte del 50esimo anniversario, l’Humanae vitae è tornata infatti di nuovo sotto attacco. Ma stavolta non è più un assalto frontale. Ci sono ancora alcuni pastori e teologi che ne invocano la rottamazione senza mezzi termini. In questo assalto – che credo sarà l’ultimo – la strategia messa in campo è invece molto più sottile e si presenta proprio come una raffinata e imponente operazione di reinterpretazione in chiave pastorale.

Lo scorso luglio, dopo un’iniziale smentita, abbiamo appreso che in Vaticano è stato costituito un gruppo di studio con il compito di riaprire i faldoni che erano sul tavolo di Paolo VI. Questa commissione dovrà capire cioè, come sia stato possibile che il beato Paolo VI abbia disatteso alla fine il famoso “parere di maggioranza” favorevole alla contraccezione. Probabilmente si indagherà su quali “pressioni” possa aver subito nella sua decisione solitaria. Mentre san Giovanni Paolo II ha usato il suo pontificato per approfondire le ragioni dell’Humanae vitae nel suo limpido “no” alla contraccezione, la nuova commissione vaticana ha dichiarato invece che, grazie a questo lavoro di ricerca, «sarà possibile mettere da parte molte letture parziali del testo» (L. Bertocchi, Humanae vitae sotto la scure del discernimento, La Nuova Bussola quotidiana, 27.07.2017).

Secondo tassello. Qualche mese fa il quotidiano dei vescovi italiani ci ha informato che, nel panorama degli eventi per il 50esimo dell’enciclica, «l’iniziativa culturale di maggior spessore è senza dubbio» il corso organizzato dalla Facoltà di Scienze sociali e dal Dipartimento di teologia morale della Pontificia Università Gregoriana. Nel presentare questo ciclo mensile di incontri, che durerà otto mesi fino al maggio 2018, viene spiegato che la questione di fondo è capire «come mettere in sintonia il quadro normativo di Humanae vitae con la tensione al rinnovamento alla luce del primato della coscienza che si respira in Amoris laetitia». Si tratta cioè di «approfondire e ipotizzare nuovi percorsi». In pratica il tema resta quello della contraccezione: «dal divieto alle nuove proposte?». Coloro che considerassero ciò che ha scritto Paolo VI sui metodi naturali «un obbligo da perpetuare “nei secoli dei secoli”» si sbagliano, prosegue Avvenire, perché sono «tutt’altro che principi cristallizzati in eterno», come «vorrebbero far credere i più arcigni difensori di una morale fuori dalla realtà». Non si tratta di rottamare l’enciclica, precisa l’articolo, ma finalmente di «risanare le divisioni che, proprio sul punto hanno segnato e ancora segnano il mondo cattolico, alla luce di un’operazione di verità e di saggezza», superando la vecchia la polarizzazione tra favorevoli e contrari alla pillola. L’enciclica, in sintesi, va calata nel «naturale dinamismo collegato al cammino dell’uomo incarnato nella storia»: non se ne nega l’impianto dottrinale ma va in qualche modo «sviluppata, fatta crescere» (L. Moia, Cinquant’anni dopo. L’Humanae vitae di Paolo VI: Chiesa, amore e vita, come si cambia?, Avvenire, 20.10.2017).

Durante il secondo incontro di questo corso, il professor Chiodi, nella relazione che ha suscitato tanto clamore, ha ripetuto un ritornello che sentiamo ormai da qualche anno e ci viene somministrato continuamente come un tranquillante: “la dottrina non si tocca”. Anche Chiodi ha spiegato infatti che «non si tratta di abolire la norma» dell’Humanae vitae ma di «mostrarne il senso e la verità».

L’approccio interpretativo usato in questo ultimo assalto all’enciclica, come ho già affermato in altre occasioni, lo definirei un tentativo di “imbalsamazione”: cioè lasciare intatto l’esterno della dottrina, ma svuotandola dentro, con le abili mani degli interpreti e con i loro “adattamenti pastorali”. Nell’intento di “allargare il corridoio dei casi particolari”. Una strategia che ha l’obiettivo ultimo di collocare elegantemente l’Humanae vitae in bacheca. Il senso dell’operazione è duplice: togliere la contraccezione dalla categoria dei peccati, e declassare i metodi naturali ad una bella opzione, un “ideale alto” sicuramente “consigliabile” ma riservato a certe coppie “speciali” capaci di vivere a quelle altezze.

Ripercorrendo il filo di questa strategia, troviamo due momenti decisivi in cui è stata tirata fuori la chiave interpretativa. Uno è nella famosa relazione introduttiva con cui il card. Kasper, su invito di Papa Francesco, nel febbraio 2014 aprì il Concistoro straordinario in preparazione al Sinodo: parlando della genitorialità responsabile e del suo significato profondo, spiegava che questa responsabilità risiede non in una casistica, ma in «una figura sensata vincolante». E aggiungeva una nota a piè pagina dove si afferma che «l’enciclica di Paolo VI Humanae vitae, del 1968, sulla genitorialità responsabile può essere interpretata…» (W. Kasper, Il vangelo della famiglia, Queriniana, Brescia 2014, p. 19). Pochi giorni dopo, Papa Francesco riprende l’argomento specifico in una intervista. Il giornalista gli chiede se, a mezzo secolo dall’Humanae vitae, sia venuto il momento per la Chiesa di riprendere in mano il tema del controllo delle nascite, come auspicava il cardinale Martini. Nella sua risposta, Francesco afferma che «tutto dipende da come viene interpretata l’Humanae vitae…» (Corriere della Sera, 5 marzo 2014).

UNA MORALE “FUORI DALLA REALTA’” O FUORI DALLA MAGGIORANZA?

Il vero nodo del problema è che la norma morale di cui stiamo parlando non è “fuori dalla realtà” ma è fuori dalla maggioranza: cioè non vi corrisponde il comportamento della stragrande maggioranza dei cattolici. I critici dell’Humanae vitae considerano quindi «urgente la necessità pastorale di colmare la differenza, “addirittura l’abisso” esistente, tra la dottrina e la prassi prevalente della maggior parte dei coniugi cristiani» (L. Moia, Verso il Sinodo. Matrimonio e sessualità, il primato della coscienza, Avvenire 29 luglio 2015).

Nella sua relazione il professor Chiodi spiega che «la maggior parte delle coppie vive ormai come se quella norma non esistesse». Ufficialmente la norma è rimasta, ma «anche molti pastori in pubblico, nelle catechesi e nelle preghiere preferiscono non parlarne». Ed è significativo – prosegue Chiodi – che anche Amoris laetitia «ne parli così poco» dell’Humanae vitae: «è citata soltanto sei volte», e viene presentata in «una formulazione relativamente soft». Chiodi osserva inoltre come Amoris laetitia «non faccia esplicito riferimento alla contraccezione come “intrinsecamente sbagliata”», mentre «avrebbe potuto farlo facilmente, come fa Veritatis splendor».

Se quindi «dal punto di vista pastorale l’urgenza del problema contraccezione sembra essere gradualmente diminuito», osserva Chiodi, resta però il fatto che l’enciclica Veritatis splendor, al n. 80, ha incluso la contraccezione tra gli intrinsece mala. E ciò complica evidentemente l’operazione di reinterpretazione in corso. Il vero baluardo, dunque, contro cui si sta consumando l’assalto non è tanto l’Humanae vitae, quanto la Veritatis splendor dove san Giovanni Paolo II, forse prevedendo certi futuri tentativi di sfondamento, volle chiudere la partita, da un lato chiarendo che esistono alcuni “assoluti morali” (tra cui la contraccezione come l’adulterio e l’aborto), dall’altro condannando definitivamente l’etica della situazione e la teoria della “opzione fondamentale”.

Per quanto mi riguarda, la sofferenza non sta tanto nell’essere classificati come fanatici moralisti o duri “dottori della legge”. La sofferenza più grande è vedere la Chiesa cattolica che proclama santo un gigante come Giovanni Paolo II e poco dopo inizia a demolirne l’insegnamento.

Se il problema è l’impopolarità di una norma morale, mi pare di poter dire che i piani alti della Chiesa si trovano oggi nella tentazione di abbassare l’asticella della morale sessuale nel tentativo di rendere un certo annuncio più gradevole e meno esigente. Si tratta però di una drammatica illusione. Nei Paesi Bassi questa strategia degli sconti al confessionale e delle “soluzioni pastorali” (messa in atto già dai tempi del ’66 con il “Nuovo Catechismo olandese”) ha dimostrato risultati disastrosi in termini di avvicinamento alla fede. E la situazione della terra tedesca ci dicono che non sia molto rosea. La scelta di arrendersi alle logiche del mondo e alle sue maggioranze è un errore tragico che risale ai tempi di Pilato: anche lui sapeva bene da che parte stava la verità ma fece quello che fece – spiega l’evangelista – «volendo dar soddisfazione alla moltitudine» (Mc 15,15).

A Casa Betlemme invece sono molti di più di quanto si pensi i giovani sposi che vengono, da decenni, ad imparare dall’Humanae vitae. Qui insegniamo loro non ad interpretarla ma ad incarnarla nella propria vita sponsale, lasciandosi interpellare dalla “vera felicità” (Humanae vitae n. 31). Giovani famiglie talmente affascinate e trasformate da questo vangelo della sessualità, che alcune di loro hanno deciso di dedicarsi anima e corpo a testimoniare la bellezza, la bontà e la praticabilità di questo insegnamento.

Un’ultima annotazione, sul «nuovo femminismo» che auspicava san Giovanni Paolo II al n. 99 di Evangelium vitae. Per capire a pieno il tema della procreazione responsabile lui si è fatto aiutare da due donne speciali, due giganti che ho avuto la fortuna di ascoltare a lungo come docenti: la psichiatra Wanda Połtawska e la ginecologa missionaria Anna Cappella. Io penso che la morale e la teologia (mi riferisco specialmente alla mariologia) sono state scritte troppe volte da uomini. La relazione di Maurizio Chiodi può essere condivisibile in alcuni passaggi, però finisce per allinearsi alla grande operazione di coloro che vogliono “rileggere” l’Humanae vitae con adattamenti e libere interpretazioni: è una corrente molto forte che, riesumando un armamentario di vecchie argomentazioni e grimaldelli teologici (finalizzati a sdoganare la contraccezione), usa Amoris laetitia per scardinare la sana dottrina e duemila anni di Tradizione cattolica. Tradendo, nei fatti, il magistero di san Giovanni Paolo II e tutte le sue raccomandazioni pastorali. Il titolo della relazione, in definitiva, esprime un programma: “Rileggere Humanae vitae (1968) alla luce di Amoris laetitia (2016)”. La mia preferenza va ad un altro tipo di relazione, firmata da una donna, Marina Bicchiega, che collabora con me da venticinque anni su questo tema specifico. Contiene tutto ciò che serve per rispondere alle sei obiezioni tipiche e capire il cuore di questo grande dibattito. Il titolo è leggermente diverso ed è formulato da un’altra prospettiva: “Le ragioni dell’Humanae vitae alla luce di san Giovanni Paolo II (Libertà e Persona, 4.12.2017).

Arezzo, 28 gennaio 2018, San Tommaso d’Aquino

Flora Gualdani, ostetrica – fondatrice opera “Casa Betlemme”

QUI la versione dell’articolo di Flora Gualdani in PDF

110 pensieri su “Humanae Vitae, l’attacco finale?

  1. marcoventinove

    Non mi scandalizza che un vescovo possa aver autorizzato una persona dal passato complicato a ricevere il sacramento della comunione, mi stupisce invece l’accanimento di una parte della Chiesa sui soliti temi, quelli della contraccezione, dell’aborto, della sessualità e dell’omosessualità. È indispensabile un aggiornamento della dottrina. Dio è amore, non è un guardone né un moralista.

    1. Kosmo

      Sciocchezze…
      In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto.
      Se volete un’aggiornamento della dottrina potete iscrivervi ad una delle millemila sette protestanti. non avete che l’imbarazzo della scelta.

      1. marcoventinove

        Ciao Kosmo, concordo con te: i segni della legge non passeranno, siamo d’accordo, eppure avete inteso che fu detto (in quanto è scritto nella legge) Occhio per occhio e dente per dente ma io vi dico di non opporvi al malvagio. Gesù stesso ci esorta a comprendere le scritture nel loro significato più profondo, a volte in apparente contraddizione con esse. Cristo, che è venuto a compiere la Legge e i Profeti, ha realmente inteso abrogare l’istituto del ripudio, sancito dalla Legge e i Profeti, quando ha parlato dell’indissolubilità del matrimonio? Come tradurre la parola greca “porneia” nel Vangelo di Matteo, a proposito dell’unica eccezione prevista da Gesù rispetto al vincolo matrimoniale? Si tratta di questioni spinose e assai dibattute tra gli specialisti. Ma il punto è che nel catechismo cattolico sono presenti alcune affermazioni, come quelle sugli atti omosessuali, che non trovano alcun riscontro nelle parole di Gesù. Occorre assolutamente distinguere tra ciò che è parola di Dio (e per un cristiano la Parola autentica si è incarnata in Cristo e si manifesta primariamente nell’incontro con Cristo) e ciò che è opera dell’uomo.

    2. Saulle Mattei

      Ma se modernizziamo la dottrina (a proposito per dottrina, cosa intende? Morale, Etica, Pastorale o la Teologia?) su quali fondamenta appoggerà la Chiesa? E su quali principi dovrebbe essere cambiata? Non sembrerà forse la casa costruita sulla sabbia e non piuttosto sulla roccia?
      O ammettiamo che il Vangelo è uno, ma sempre vivo ed attuale perché parla intimamente a ciascun uomo di qualunque tempo, oppure non riceveremo nessun sollievo (la Samaritana al pozzo chiese a Gesù: “dammi della tua acqua”). Ma quello che è peggio, non solo non avremo sollievo per noi stessi, ma nemmeno una parola di conforto per la moltitudine ferita, che incontriamo sulle nostre strade (il Signore vide la folla e ne ebbe compassione perché erano come un gregge senza pastore).
      Ricomponiamo le fila, intorno al Vangelo, senza addurre o richiedere cambiamenti, perché, in fin dei conti, è da 2000 anni che il messaggio di Gesù si impasta con la nostra umanità. Con frutti eclatanti.

      1. marcoventinove

        Non ritengo necessario modernizzare la dottrina (per dottrina intendo innanzitutto il catechismo, quindi la teologia). Nessuno è più moderno e “inattuale” di Cristo. Si tratta di continuare a scavare nei testi per far emergere ciò che forse è rimasto sepolto. Alcuni tra i nuovi teologi stanno cercando di farlo. Ma capisco che si tratta di un percorso laborioso e pieno di trappole. Recentemente è stato rifoemato il Padre nostro. A me non piace la nuova traduzione ma ne condivido il metodo.

        1. Francesco Paolo Vatti

          A me, invece, non piace la traduzione né il metodo. Il verbo greco originale, tradotto in latino col congiuntivo esortativo inducas e in italiano nell’infinito (imperativo negativo )indurre, non può essere ragionevolmente tradotto con abbandonare a (la mia prof. di greco del ginnasio mi avrebbe segnato l’errore in blu). é composto da una parte che vuol dire portare e da una parte (prefisso) che è una particella che indica l’andare verso, quindi significa proprio portare verso. Non penso che si possa trovare qualcosa di nascosto nella Scrittura se si prende una parola e se ne stravolge il senso….(personalmente ho qualche problema anche con la traduzione “rallegrati” dell’Annunciazione, benché qui la traduzione sia letteralissima)

    3. Alda

      Marco29… Ti dice niente”Passeranno il cielo e la terra ma le mie parole non passeranno mai”?…. Non sono a libera interpretazione, se non ti piacciono sei protestante, non cattolico..

      1. marcoventinove

        Ciao Alda, le parole di Cristo – che è Logos – non passeranno mai. Occorre però accertare se la dottrina (quella contenuta nel catechismo per intenderci) sia davvero coerente con l’insegnamento di Gesù. Quando utilizzo il verbo “aggiornare” non intendo dunque significare la necessità di innescare un processo di innovazione nel Magistero della Chiesa, bensì un ritorno al cuore stesso della Legge e i Profeti.

        1. Alda

          Come ti viene in mente di dubitare che la dottrina che insegna il CCC possa essere “incoerente” con l’insegnamento di Gesù? E chi potrebbe essere preposto per accertarlo?

        2. Ah, ecco… è chi di grazia oltre te ovviamente che sollevi la questione, sarebbe deputato a questo “accertamento”.

          Spero tu sia consapevole che il CCC è la summa, il compendio della conoscenza delle Scritture della Chiesa nei secoli…

          Quante e quali fonti sarebbero da rivedersi e dopo il suscitato aggiornamento, saranno da essere “aggiornate”??

          Spero tu non sia perfetto rappresentante di questa corrente https://costanzamiriano.com/2019/08/05/leredita-di-giovanni-paolo-ii/#comment-144671

          1. marcoventinove

            Non credo di essere la persona più adatta per occuparmi di tale “accertamento”, e non sono né il primo né la voce più autorevole che abbia sollevato la questione. Mi limito a constatare che nel corso dei secoli alcuni “aggiornamenti” ci sono stati. Il simbolo niceno ad esempio è stato riformato nel corso dei secoli con l’aggiunta del famoso “filioque”.
            Chi erano i farisei? Quelli che si sentivano migliori degli altri, quelli che si ritenevano nel giusto ed erano sempre i primi a giudicare i comportamenti del prossimo, quelli che sapevano tutto e non avevano mai dubbi.
            La Chiesa ha saputo costruirsi nel corso dei secoli una perfetta identità farisaica. Gesù amava i peccatori perché gli altri non hanno bisogno del medico. Gesù amava i peccatori per avere qualcuno da perdonare. Gesù amava i peccatori perché si sta meglio in loro compagnia.
            Siamo tutti peccatori e nessuno è realmente degno di partecipare alla mensa del Signore.

            1. “La Chiesa ha saputo costruirsi nel corso dei secoli una perfetta identità farisaica.”

              Mah! Bella affermazione davvero…

              Ho idea che tu parli tanto di misercordia verso il peccatore (magari facendo, spero, giusta differenza tra peccato e peccatore) e poi non esiti a puntare il dito verso Tua Madre definendola peccatrice senza nessun patema…

              Il tutto poi solo per giustificare i tuo arrovellamenti.

            2. the_punisher_020

              Dio ama certamente tutti gli uomini e ci ha indicato attraverso Cristo la via per la salvezza: la Chiesa di Cristo, sempre santa, assolve a questo compito. Un rabbino che conosca a perfezione la legge ebraica, potrebbe confermare che Gesu’ si serviva della Torah e della Halacha in modo impressionante: Egli amava tutti gli uomini ma non il peccato, ed esortava chiunque incontrasse a non peccare piu’.
              Spesso, si ritiene che la misericordia di Dio possa legittimare ogni nostro comportamento peccaminoso e non si rammenta che Dio, per Sua stessa natura, non puo’ assolutamente andare contro giustizia.
              Chi vive nell’ingiustizia, nel peccato, non puo’ essere gradito a nostro Signore; e per chi persevera la giustizia che precede sempre la misericordia, scattera’ a tempo debito, come un’ineluttabile mannaia.

              1. the_punisher_020

                * […e per chi persevera nel peccato, scattera’ a tempo debito la giustizia divina come un’ineluttabile mannaia, poiche’ questa precede sempre la misericordia].

              2. Sai più che la mannaia (che si associa solitamente al boia), ma fa sempre pensare alla “zappa che uno si dà sui piedi” 😉

                Il fatto è che poi ai soli piedi non si limita…

                1. Francesco Paolo Vatti

                  Bellissimo commento, Bariom! Mi ricorda qualcuno che diceva che non credeva nelle punizioni divine, perché noi uomini siamo troppo bravi a punirci da soli… Teologicamente sarà sbagliata, ma mi pare un’immagine efficace….

              3. marcoventinove

                “Chi vive dell’ingiustizia, nel peccato, non può essere gradito a nostro Signore”.
                Io penso che viviamo tutti dell’ingiustizia e nel peccato, altrimenti il sacrificio di Cristo sarebbe inutile. Cristo ha preso su di sé i nostri peccati proprio perché noi viviamo nel peccato.
                Se ci salveremo non sarà per merito nostro ma per merito di Cristo. Naturalmente dovremo fare la nostra parte.
                Io penso che al nostro Padre celeste stiano a cuore soprattutto i peccatori più incalliti. Qualunque genitore può capire ciò che intendo dire.

                1. Insomma il Vangelo (o la Dottrina) secondo marcoventinove…

                  Tu pensi che Dio pensi … siamo al top!

                  La realtà e che Dio ha certamente a cuore TUTTI i peccatori e che non c’è peccato di cui l’Uomo si penta (piccolo particolare) che Dio non possa perdonare, infatti anche Gesù parla di CONVERSIONE, che significa cambiamento (radicale) di vita…

                  Quindi cosa intendi per “peccatore incallito”?
                  Cosa intendi con “chi vive nell’ingiustizia e nel peccato è gradito a nostro Signore.”?

                  Perché dire “è gradito” è cosa grossa. Io so che:

                  «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale.» Romani 12,1

                  «Uno spirito contrito è sacrificio a Dio,
                  un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi.» Salmi 50,19

              4. marcoventinove

                Proprio chi vive nell’ingiustizia e nel peccato è gradito a nostro Signore. Qualunque genitire può comprendere ciò che intendo.

                1. Quelli che si sentivano migliori degli altri, quelli che si ritenevano nel giusto ed erano sempre i primi a giudicare i comportamenti del prossimo, quelli che sapevano tutto e non avevano mai dubbi.

                  I soliti discorsi da ignorante. Dei farisei Cristo disse “fate ciò che dicono, ma non imitateli nel comportamento”. Quindi certo molti erano ipocriti e si sentivano migliori degli altri, ma questo non implica che il loro insegnamento fosse sbagliato. Infatti erano i portatori del pensiero ortodosso dell’ebraismo.

                  Proprio chi vive nell’ingiustizia e nel peccato è gradito a nostro Signore. Qualunque genitire può comprendere ciò che intendo.

                  Sei proprio luterano: vai a farti un giro sul loro Titanic. Qualunque genitore “gradisce” i figli che brancolano nel peccato? Sei anche un genitore degenere, allora.

                  1. giulia

                    La Verità resta Verità anche se detta dalla bocca di un ipocrita, invece tanti finti ignoranti prendono quella frase di NSGC (“Fate ciò che dicono…”) come scusa per non seguirla la Verità, storpiandone completamente il senso!

                    1. Marco 29

                      La verità è sempre la verità, concordo. Ma i farisei, con il proprio formalismo, spesso se ne allontanavano. Pensiamo ad esempio al famoso episodio del sabato tra i campi di grano. Penso anche a quanti cercarono di lapidare l’adultera, stavano semplicenebte applicando la legge. Gesù non ha abrogato la legge ma ci ha insegnato a comprenderla. Con il cuore, non con il cervello.

                2. Francesco Paolo Vatti

                  Sono genitore e, proprio in questo momento, sto vivendo dei rapporti difficili con uno dei miei figli (non specifico se figlio o figlia) che sta facendo delle cose che non capisco e non condivido e ha fatto più di uno strappo con me. Direi che sia la situazione che dice lei. Amore tantissimo, pena tantissima, purtroppo, essendo umano, anche rabbia e difficoltà a mantenere un rapporto normale. Vorrei che cambiasse modo di vivere. Non mi sento di dire che il gradimento da parte mia sia la cifra attuale del nostro rapporto. Ci dedico tempo, pazienza, fatica, sonno, ma vorrei vedere un cambiamento dall’altra parte, non mi sta bene così. Prendo atto (dato che stiamo parlando di maggiorenne e non ho molti mezzi coercitivi), il mio amore continua (si estrinseca in tutte le attività a suo favore, anche negli alterchi e nel cercare di non rispondere in maniera distruttiva), ma non ha la mia approvazione.
                  Certo, si lasciano le 99 pecore per andare a recuperare quella smarrita, ma solo perché esse stanno dove devono stare, non è che si preferisca la pecora smarrita (altrimenti non l’avrebbe cercata, sbaglio?).

    4. Ely

      Forse abbiamo bisogno di rileggere le parabole della misericordia,, la storia dell’adultera salvata dal fariseismo dei più, la parabola del padre misericordioso che non lascia fuori casa il figlio dissennato e ritornato per convenienza… Ma che Dio é il nostro che fa i complimenti al peccatore pentito mentre non approva il pubblicano preciso con le sue pratiche. Che Chiesa sarebbe la nostra se lavorasse alla selezione dei degni e degli indegni e si sentisse a posto avendo tenuto fuori dalla porta i “peccatori”… Sarebbe semplicemente vuota perché saremmo tutti privi dei “requisiti”.

      1. Ely

        Errata corrige: Per” pubblicano” intendevo dire il “fariseo”, in riferimento alla parabola che vede giustifiato il Pubblicano pentito, che si sente indegno anche solo di entrare nel tempio, mentre il fariseo si giustifica da sé elencando la fedeltà alle sue pratiche.

      2. Beatrice

        @Ely
        Ma non è fariseismo proprio il seguire con precisione tutte le pratiche religiose senza minimamente preoccuparsi se la propria vita è in contrasto con quanto insegnato dal Vangelo? Non è un formalismo sterile pretendere di salvarsi facendo solo quelle poche cose che la Chiesa chiede di fare (preghiere, confessione, messe di precetto, comunione, penitenze della Quaresima) come se la vita eterna fosse un premio ottenibile tramite raccolta punti? Metto il mio bollino quotidiano perché ho adempiuto al tal precetto e fa niente se tutta la mia vita contraddice ciò in cui dico di credere a parole e con le pratiche religiose! Gesù non pretenderà mica che mi converta davvero e che segua quanto scritto in un testo di 2000 anni fa (testo tra l’altro dalla dubbia autenticità visto e considerato che non c’erano i registratori all’epoca)! Io scherzo ovviamente, ma è inquietante pensare che questo modo di ragionare è molto diffuso oggi anche tra chi ha importanti incarichi ecclesiastici.

        Che senso ha fare la Comunione quando tutta la tua vita è segno evidente della mancanza di quella Comunione con Cristo? L’Eucaristia non è una specie di biscottino magico che funziona da sé, ma come tutti i beni spirituali dà frutto nella misura in cui una persona lo accoglie con le giuste disposizioni interiori.
        Davvero pensiamo di poter tranquillamente rinnegare Cristo con ogni singola scelta che facciamo nella nostra vita (sul lavoro, in amore, in famiglia, etc.) e poi sentirci a posto adempiendo solo a qualche semplice precetto religioso?

        Quanto alla questione che la Chiesa non dovrebbe selezionare tra degni e indegni ci sono due punti da precisare. Uno: la Chiesa apre le porte a tutti, non c’è nessuna dogana da passare per partecipare alle funzioni religiose e ci mancherebbe! Chiunque può partecipare a messe, adorazioni, recite del rosario e altre celebrazioni varie. Non c’è nessuna selezione con bodyguard all’ingresso dei luoghi di culto (a volte c’è la polizia per il rischio di attentati o di furti, ma a meno che tu non abbia una bomba o qualche altra arma nella borsa ti lasciano passare). Solo nel caso di alcune grosse cattedrali ho visto gente a cui è stato vietato l’ingresso per l’abbigliamento poco consono alla sacralità del luogo (e meno male!), ma quelle stesse persone tornate con uno scialle sulle spalle hanno visto le porte della chiesa aprirsi facilmente davanti al loro outfit più sobrio. Ugualmente la porta del confessionale è sempre aperta a tutti, perché se un peccatore sente l’esigenza di confrontarsi con un prete è sempre una cosa bella che va incoraggiata, anche nel caso in cui tale peccatore dovesse essere reticente a modificare la sua condotta.

        Ma, e qui entriamo nel punto 2, che alcuni Sacramenti debbano essere elargiti dalla Chiesa dopo un’accurata selezione è Gesù stesso a rimarcarlo quando in Gv 20, 22-23 dice: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi». Un carmelitano una volta in un’omelia ha raccontato un aneddoto su Padre Pio: il frate, ricevendo in confessionale un intero pullman di fedeli con parroco al seguito, diede soltanto un’assoluzione e forse non era neanche il prete! D’altronde più volte Gesù ci ammonisce di diventare degni del Suo Regno: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me» (Mt 10, 37-38).

        Per tornare all’esempio di prima della necessità di avere l’abbigliamento consono, Gesù ricorda in una parabola che per partecipare alle nozze occorre l’abito della festa e se non l’avremo verremo cacciati via malamente. Ora, non so tu, ma io preferisco un prete che, nel caso non abbia l’abito della festa, me lo dica chiaramente e mi indichi come procurarmene uno prima che sia troppo tardi.

        1. Ely

          Ciao Beatrice! Forse mi sono espressa male, ma concordo con quel che hai scritto tu anche se approfondirei molto molto molto, nella preghiera quel passaggio del Vangelo di Gv che hai citato sulla remissione dei peccati. Considerando che Gesù ha detto anche “siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” e “perdonate 70 volte 7” – cioè sempre, ogni giorno, senza stancarvi, credo che “non rimettere i peccati” sapendo che resteranno non rimessi è una bella responsabilità che solo Santi come P. Pio possono permettersi 🙂 e la Chiesa che discerne sapientemente ogni caso. Per questo prima di mandare i suoi ad amministrare la Misericordia, Gesù li riempie dello Spirito Santo – che è Dio e dà la vita e riammette il peccatore nell’amicizia con Dio. E quando il peccatore si presenta al banchetto nuziale senza l’abito della festa, il Vangelo dice che il padrone stesso gliene mette addosso uno adatto e caaccia fuori l’invitato solo se non lo vuole accettare.

          1. Roberto

            @Ely
            “il Vangelo dice che il padrone stesso gliene mette addosso uno adatto e caaccia fuori l’invitato solo se non lo vuole accettare”

            Ma in quale Vangelo lo ha letto? Nel mio trovo questo : “Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l’abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz’abito nuziale? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.”

            1. Ely

              Ciao, Roberto!
              Hai ragione, non è scritto nel Vangelo. L’avevo sentito da un biblista che, spiegando la parabola aveva fatto riferimento a usi ebraici – che non ho potuto verificare – che erano molto significativi per esprimere la Misericordia di Dio. Tra l’altro, alla luce della Redenzione, mi sembrava molto coerente. L’uso che ci raccontava il biblista prevedeva che il padrone che aveva organizzato le nozze, offrisse l’abito adatto all’invitato che ne fosse privo. Quindi trovarsi in sala senza abito significava averlo rifiutato.
              Gesù con la sua Passione, Morte e Risurrezione ci ha ridato la veste candida di Figli amati, e, per quanto si cerchi di non macchiarla …non c’è verso! Anche il giusto pecca sette volte al giorno… e l’unico peccato imperdonabile è quello contro lo Spirito Santo, cioè il rifiuto della grazia (?). Tutti gli altri, il Signore ci aiuti e ci illumini a riconoscerli per pentircene e lasciarci vestire di Misericordia e diventare misericordiosi come lui. Perchè, quando pecchiamo, per quanta vertenza possiamo avere, rimane scritto che, in fondo in fondo, “non sappiamo quello che facciamo”. Sappiamo dare il nome al peccato e dire quale comandamento abbiamo trasgredito, ma il male, sappiamo cos’è? Alla fine, lo temiamo e odiamo tutti. Forse mi sbaglio, ma mi piace crederlo. E credo non ci sia penitenza peggiore di ritrovarci con un cuore indurito che non sa intuire e vedere spiragli e possibili vie di bene ovunque… Sarebbe la disperazione e non la auguro a nessuno.

          2. Beatrice

            @Ely
            Gesù ha anche detto: «Se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli. E se pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice: Mi pento, tu gli perdonerai» (Lc 17, 3-4). Come vedi dice sì di perdonare sempre instancabilmente, ma di farlo dopo aver prima rimproverato il reo e solo se si pente. Oggi troppo spesso ci si dimentica che essere misericordiosi significa anche rimproverare qualcuno quando deve essere rimproverato.

            Il nazista Eichmann ne “La banalità del male” di Hannah Arendt continuava a ripetere ai giudici del processo per giustificarsi: “io obbedivo solo agli ordini, non mi rendevo conto di stare sbagliando, perché nessuno mi ha mai detto che stavo facendo qualcosa di male”.

            Se un bambino malato sta per essere privato dei supporti vitali perché la sua qualità della vita viene giudicata troppo bassa, quel bambino non ha bisogno che io perdoni i medici, quel bambino ha bisogno che io quei dottori li ammonisca duramente, perché così facendo forse riesco a salvare un innocente dalla condanna a morte e dei potenziali carnefici dalla dannazione eterna.

            Non per niente “ammonire i peccatori” è tra le sette opere di misericordia spirituale, che sono altrettanto importanti delle opere di misericordia corporali anche se godono di minor fama.

            Quindi un sacerdote che decide di non “rimettere i peccati” a qualcuno, non manca di misericordia se lo fa a ragione, ma al contrario esercita proprio un’opera di misericordia spirituale. Convengo con te sul fatto che si tratta di una bella responsabilità e che richiede una continua assistenza da parte dello Spirito Santo! Io non vorrei essere al loro posto per nulla al mondo! Eppure mi sembra che molti consacrati oggi non si rendano conto di questa responsabilità immensa che hanno: vedo in giro tanta ignoranza e faciloneria, quando non vera e propria indifferenza e mancanza di fede. Padre Pio passava le ore in confessionale e sicuramente non prendeva il suo compito di rimettere i peccati a cuor leggero. Quanti sacerdoti possono dire lo stesso oggi?

            Una volta ho letto su internet la testimonianza di un ragazzo che aveva una grave dipendenza da pornografia e commetteva spesso atti impuri con se stesso. Ebbene, sai come ha fatto a liberarsi da quella sua malsana ossessione? Il desiderio di ricevere il Corpo del Signore era così forte da spingerlo a resistere alla tentazione finché non se ne è liberato del tutto. Mi chiedo se con l’aggiornamento pastorale che si vuol imporre oggi sul modo di ricevere l’Eucaristia quel ragazzo avrebbe avuto lo stesso tipo di percorso o non sarebbe stato lasciato molto poco misericordiosamente nella morsa della sua degradante dipendenza.

            1. Quindi un sacerdote che decide di non “rimettere i peccati” a qualcuno, non manca di misericordia se lo fa a ragione, ma al contrario esercita proprio un’opera di misericordia spirituale. Convengo con te sul fatto che si tratta di una bella responsabilità e che richiede una continua assistenza da parte dello Spirito Santo! Io non vorrei essere al loro posto per nulla al mondo! Eppure mi sembra che molti consacrati oggi non si rendano conto di questa responsabilità immensa che hanno: vedo in giro tanta ignoranza e faciloneria, quando non vera e propria indifferenza e mancanza di fede. Padre Pio passava le ore in confessionale e sicuramente non prendeva il suo compito di rimettere i peccati a cuor leggero. Quanti sacerdoti possono dire lo stesso oggi?

              E quanti San Pio rimandava, anche in malo modo, senza neppure terminare la confessione?

              Mancava forse di misericordia o faceva quello che ogni buon genitore dovrebbe fare (visto che qui qualcuno faceva il paragone Dio Padre – padre genitore).

              Certo lui aveva un particolarissimo discernimento degli spiriti, ma o crediamo che questa assitenza dello Spirito Santo, il sacerdote che andiamo ad incontrare la otterrà da Dio a favore nostro (anche se ci dirà ciò che non piace sentirci dire) o facciamoci protestanti e vediamocela noi con Dio…

              1. Beatrice

                Bariom quando fai così sei snervante! Hai obiettato dicendo esattamente quello che ho detto io! Padre Pio come esempio di grande rigore e di grande santità nell’amministrare il Sacramento della Confessione l’ho citato io apposta ad Ely per dimostrarle che essere misericordiosi significa anche rimproverare e non assolvere a tutti i costi un peccatore impenitente. E allora che mi stai a dì?

                Se la tua risposta stizzita nei miei confronti deriva dal fatto che ho rimarcato come esistano sacerdoti che esercitano male il loro carisma speciale e importantissimo, lo ribadisco perché è così. Se tu non lo vedi, è un problema tuo.

                Oggi come non mai bisogna fare molta attenzione a chi affidare la propria anima, perché ci sono tantissimi medici ciarlatani che o sono incompetenti o sono in malafede.

                Protestanti rischiamo di diventarlo proprio seguendo certi preti e le loro idee! Quindi la soluzione non è fare a meno dei sacerdoti, io non l’ho mai sostenuto, ma discernere per andare da quelli giusti.

                1. @Beatrice, sono basito…

                  Il mio commento andava proprio nella direzione opposta, cioè di conferma e sottolineatura del tuo commento che trovavo ineccepibile.

                  Temo che tu mi abbia battezzato come “contro di te” a priori, per cui tutto viene distorto, mentre ti assicuro che io cerco di non essere mai “contro” per partito preso o ad personam.

                  Se non mi trovo d’accordo lo dico, se sono sulla stessa linea e trovo utile ribadire lo faccio, talvolta no, se mi pare superfluo.

                  Mi spiace tu ti sia “snervata” per nulla… 🙂

  2. Caterina

    I “soliti temi” ( contraccezione,
    aborto, omosessualità praticata, ecc.) sono temi o peccati, molto presenti nelle nostre società, che, come tutti i peccati, fanno soffrire e ostacolano la realizzazione umana secondo i disegni di Dio di chi li compie e di chi li subisce. Dio, proprio perché è Amore, e la Sua Chiesa perché non dovrebbero preoccuparsene ed occuparsene?

    1. marcoventinove

      Ciao Caterina. A parer mio occorrerebbe mettere in risalto la presenza luminosa della Grazia, più che le tenebre del peccato. Non saranno le nostre opere a salvarci. Ma nulla è impossibile a Dio.
      Inoltre non sono così convinto che al nostro Padre celeste interessi così tanto ciò che facciamo sotto le lenzuola…
      Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato; si potrebbe dire la medesima cosa a proposito della castità.

      1. Bella parafrasi finale…

        Per uscire dalla teoria, esempi di applicazione pratica, tanto per avere un’idea sulla prassi oltre che sulla teoria?

        Perché nella succitata teoria, può starci tutto e il contrario di tutto…

        1. vale

          @ bariom

          anche io sarei curioso della pratica… allora s.paolo, per esempio, ( nelle lettere ai romani,ai corinzi e ai galati) faceva la parte del bacchettone senza misericordia perché si occupava di ricordare alcune cosucce.

          p.s. ad admin non mi è passato un commento ieri o ieri l’altro.suppongo per problemi di identificazione del nome associato a email.soluzioni? merci).

          1. Ma come avrai letto @vale, purtroppo il nostro @marcoventinove non è “convinto”…

            La domanda è: su cosa dovrebbero poggiare le nostre convinzioni?

            E guarda @marcoventinove che il sottoscritto solo pochi anni prima dei tu 29 (se quella è la tua età) era convinto di TUTTO l’opposto di ciò che la Chiesa insegna… ciò che mi fa veramente spece è che un conto è essere “ateo-agnostico-anticlericale”, uno bene diverso è essere (o meglio stare) nella Chiesa e pretendere di stravolgere ciò che insegna o sulla base delle proprie “convinzioni”, pretendere la Chiesa cambi..

            I temo che questa condizione sia bene peggiore di quella di un ateo.

            1. marcoventinove

              Avevo 29 anni qualche anno, quando ho scelto quel nome.
              Sono pieno di dubbi. Non pretendo che la Chiesa cambi ma ho bisogno di capire per credere. Il verbo credere mi fa pensare a qualcosa su cui si sa poco.
              Io non CREDO di avere 29 anni perché SO di non avere 29 anni. La fede invece si muove tra le cose che non conosciamo, affinché si rivelino. Io credo che Dio si aspetti da me qualcosa, qualcosa che non sono in grado di dargli. Ma questo è un altro discorso…

              1. Per essere uno “pieno di dubbi”, fai affermazioni abbastanza “ardite”…

                Poi, una cosa sono i dubbi su ciò che personalmente Dio mi chiama a fare, ma l’esperienza mi insegna che chiedendo (e vi sarà dato) ed essendo aperti alla Suo Volontà, Dio non tarda a rispondere

                Giovanni 16,23 part

                «…In verità, in verità vi dico: Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà.»

                Luca 11,13

                «Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!».

                altra cosa sono i dubbi su ciò che la Chiesa insegna (sempre molto insidiosi).
                Anche qui la preghiera aiuta, ma ancor di più la disposizione prudente dell’animo che ci spinge a mettere il nostro cuore e la nostra mente nel dubbio SU CIO’ CHE NOI AFFERMIAMO (o crediamo), non su ciò che la Chiesa insegna, come anche oggi più che mai, diffidare dai propagatori di menzogne o dubbiosi (questi si) “aggiornamenti”

                «Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore.» Efesini 4,14

                Di questo si ha bisogno per “capire”, ma credo ci sia un pericolo nel pensare che dal “capire” venga il credere…
                Forse che Pietro qundo affermava «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» aveva “capito” tutto?
                Appoggiarsi alla mente (territorio per eccellenza del mentitore) piuttosto che al “cuore” – nel senso ebraico, sede della profondità dello spirito dell’Uomo, dove Dio parla e si manifesta – è fare un fatica doppia e porsi su di un piano inclinato piuttosto pericoloso.

            2. vale

              @bariom

              agnòstico agg. [dall’ingl. agnostic (Th. H. Huxley, 1869), der. del gr. ἄγνωστος «ignoto»] (pl. m. -ci). – Relativo ad agnosticismo: teoria, concezione, filosofia agnostica. Per estens. (anche come sost.), chi non prende posizione in ambiti di vario genere, dalla fede religiosa alla politica o, scherz., riguardo a ogni attività che comporti una scelta: essere, apparire, mostrarsi agnostico. Nel linguaggio politico, stato a., quello che non assume una posizione definita rispetto ad argomenti etico-religiosi. ◆ Avv. agnosticaménte, in modo agnostico, con manifesta indifferenza per la realtà (politica, sociale, ecc.) o per problemi particolari: negare agnosticamente i valori della cultura.

              ( dal sito della treccani)

              quindi la vera domanda è:

              come si fa ad essere al contempo “agnostici” ed “atei” ( considerando che quest’ultima è una presa di posizione, una scelta,appunto,ben definita?)

              1. @vale, la tua precisazione è più che corretta…

                Concedimi questo accostamento (che al limite diviene un ossimoro), perché volevo in realtà racchiudervi una casistica più ampia, che talvolta sui trova nella medesima persona, a riprova di una complessiva non chiarezza interiore, tale dal dirsi o essere nelle affermazioni, talvoltà l’uno, piuttosto che l’altro 😉

      2. the_punisher_020

        […] Inoltre non sono così convinto che al nostro Padre celeste interessi così tanto ciò che facciamo sotto le lenzuola…

        Un santo sacerdote gesuita (proclamato venerabile assieme a Padre Pio), per non cadere in tentazione e mantenersi casto sull’esempio del Cristo, dormiva sempre sul nudo pavimento. Questo fatto di cui tutti erano a conoscenza, venne accertato anche dalle suore presso le quali egli si recava per tenere gli esercizi spirituali: alla mattina, trovavano sempre il letto intonso come la sera prima.
        Questo sacerdote, aveva pure il dono della bilocazione.
        Ancora: S. Rita da Cascia, la santa delle “cause impossibili”, considerava le parti intime come peccaminose (in linea con tutti i santi medievali), e pare che non solo evitasse di guardarle ma nemmeno le toccasse…
        Pare, dunque, che i grandi santi abbiano ben chiaro che non sia possibile usare la sessualita’ in modo distorto, quand’anche non si noccia a nessuno…

      3. “Inoltre non sono così convinto che al nostro Padre celeste interessi così tanto ciò che facciamo sotto le lenzuola…”

        Al Nostro Padre Celeste intreressa tutto quello che facciamo…

        1Corinzi 6,15

        Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai!

        Ma a qualcuno fa comodo pensare che “sotto le penzuola” sia cosa a sé (per il Crtistiano leggasi Talamo Nuziale – non esiste un “sotto le lenzuola”) – altri lo pensano per il proprio denaro, altri per la politica, altri per i propri affetti, ecc…

        Sei profondamente ingannato amico mio, e partendo da un inganno in cui perseveri perché il combattimento si farebbe troppo duro, propaghi menzogne.

        Ma anche sulla menzogna, immagino avrai una tua visione “aggiornata”…

        1. marcoventinove

          Sta scritto anche che le figlie di Lot rimasero incinte del loro padre.
          È scritto che Lamec prese due mogli. È risaputo che Davide e Salomone avessero più di una sposa. Nell’antico testamento sono presenti alcune norme ormai superate – e che devono essere contestualizzate – sull’impurità delle donne durante il ciclo mestruale e sui soggetti attratti da persone dello stesso sesso. La sodomia e la lussuria rimandano in genere all’empietà e ad una condotta lasciva. Ma non bisogna a parer mio estremizzare. Le relazioni fondate sull’amore, sul rispetto reciproco e sulla responsabilità vanno considerate con una certa prudenza.

          1. Anche Abramo ebbe un figlio dalla schiava pur essendo sposato…

            Non per estremizzare ma tu vorresti paragonare simili rapporti con uno di tipo sodomita perché ammantato di “buoni sentimenti”?

            Chi è che “estremizza”?

            1. the_punisher_020

              Bariom, non hai compreso chi è “Marcoventinove”?…Vai a ritroso, e cerca il “battibecco” che costui ebbe con l’admin e Costanza M.
              Verosimilmente, capirai che è la medesima persona.😁

              1. Beatrice

                Marcoventinove è Vincent Vega, vero? Mi sembrava fosse familiare il suo modo di parlare…

              2. Sai @punisher, io non riesco a riandare sempre con la memoria ad alcune cose (ma è un problema di una forma di dislessia e non lo dico come battuta), peraltro certi discorsi tornano come ritornello anche fatti da altri, per cui se e quando ho tempo e voglia, rispondo… poi quando vedo che è tempo e fiato sprecati… smetto 😉

  3. the_punisher_020

    Che Dio sia amore, soltanto amore, e’ indubbio. Agostino, per questo, dira’:ama e fai cio’che vuoi”; ancora: “Signore, rendimi casto ma non subito”.
    Egregio Marcoventinove, non bisogna però intendere male i meravigliosi aforismi di Agostino, perché non esprimono una liberatoria a mettere in opera ogni pratica che ci frulla per la testa purché fatta con amore.
    É vero che Agostino rapporta tutto alla legge dell’amore sostenendo che solo chi ama e’ libero veramente, ma occorre chiarire che questo amore è volto alla rettitudine, alla perfezione ed alla verità che conferiscono all’uomo la libertà.
    E per lui, la libertà è liberazione dal dominio delle passioni disordinate, dal peccato, dalla legge: l’more che osserva la legge senza esserne soggetto.
    Si è liberi quando si è raggiunta la perfezione, che non consiste nell’assenza di difetti, ma nella perfezione dell’amore.
    E quando Agostino richiede tempo a nostro Signore per raggiungere la perfezione, PER ESSERE CASTO, PURO, non significa che voglia spassarsela nel contempo, ma che desidera combattere tutti i vizi ed i difetti della carne con le sole proprie forze al solo fine di acquistare merito presso Dio.

    1. Nat

      Gli errori non cessano di essere tali solo perché diventano di moda (G. K. Chesterton)

  4. Marina Bicchiega e Davide Zanelli

    Vi informiamo che Flora Gualdani sta lavorando da tempo ad un seconda puntata di questa lettera. Nonostante fosse piuttosto lunga e dettagliata, il suo atteggiamento nei confronti dei famigerati “casi limite” è stato da qualcuno frainteso, e lei ha ricevuto critiche severe sia dal fronte dei relavisti sia dal fronte degli angelisti. Così ha deciso che interverrà di nuovo per chiarire ancora meglio il suo pensiero e la sua esperienza su questo tema assai delicato.

    PS. per chi ancora non conoscesse Flora, il modo migliore per avvicinarsi velocemente alla sua personalità è guardarsi con calma il bellissimo documentario “Alle sorgenti della vita”, prodotto dall’Associazione Oratorium e splendidamente recensito da Costanza su questo blog.

    1. Nat

      Credo che molti ricorderanno le “incoraggianti” parole che la povera Flora si sentì dire da un vescovo quando gli espose i suoi progetti. A senso erano queste: ” Fai pure, ma sappi che appena GPII finirà la sua missione, il suo insegnamento sarà rimosso e dimenticato.”
      Non so, forse quel vescovo aveva doti profetiche oppure…
      Certo che a risentirle oggi qualche brivido lo mettono.

  5. Maria Cristina

    Scasate ma perche’ controbattete a Marcoventinove quando ci sono fior di sacerdoti, vescovi , cardinali e teologi che piu’ o meno la pensano come lui?
    Non ricordate la frase del cardinale Martini sul “ ritardo di duecento anni” dell’ insegnamento della Chiesa cattolica rispetto alla societa’ moderna?
    Ecco ora quel gap di duecento anni stanno cercando di colmarlo, come auspicava il card. Martini. E per colmarlo e’ ovvio che sui temi come contraccezione, sessualita’ , omosessualita’ , divorzio e secondo o terzo matrimonio, fine vita e eutanasia ecc. la Chiesa ( secondo costoro) debba rimodernarsi, altrimenti rimane ferma al Medioevo.
    Ripeto perche’ ribattere a Marcoventinove ed essere o mostrarsi sempre ossequienti e mai critici verso la gerarchia cattolica che ormai per la maggioranza condivide queste idee? Se tali idee le aveva il card. Martini perche’ non puo’ averle Marcoventinove?

    1. Valeria Maria Monica

      Ebbene dopo anni di aggiornamento sui siti kattolici comincio a pensare di essermi informata abbastanza.
      La fiducia nella (neo) Chiesa è definitivamente distrutta. Pietra sopra.
      Idealmente mi ritiro in una valle boscosa.
      Comincio a pensare che Roald Dahl sia stato veramente profetico – e papa Benedetto nel suo famoso discorso di Natale alla radio bavarese,.
      Comincio a pensare che la nostra vocazione di cristiani nel terzo millennio sia restare fedeli nella nostra vita e servire il Signore nella gioia, sapendo che ci è chiesto solo di attraversare questo periodo di eresia restando fedeli alla vera fede, ma non di combattere una eresia spaventosa che dovrà fare il suo corso e metterci alla prova prima di essere sconfitta.
      Non ci è chiesto di lottare contro il papa. Solo di aspettare nella fede di avere di nuovo un papa che ci guidi alla Verità.

      1. Luigi

        “Comincio a pensare che Roald Dahl sia stato veramente profetico […]”

        Uhm… immagino si intendesse Rod Dreher (da non confondersi con la birra omonima!).
        Altrimenti mi sfugge il collegamento 🙂

        Ciao.
        Luigi

    2. Marco 29

      Non credo che la Chiesa debba inseguire la modernità. Dal decreto Perfectae caritatis del concilio Vaticano II:
      “L’aggiornamento della vita religiosa comporta il continuo ritorno alle fonti e allo stato primitivo degli istituti, e nello stesso tempo l’adattamento degli istituti stessi alle mutate condizioni dei tempi”.
      A parer mio occorre verificare se, strada facendo, non abbiamo smarrito qualcosa di importante.

    3. Cioè @Maria Cristina, a un @marcoventinove o chi sia, se ritengo sia in errore, dovrei rispondere con un pistolotto sul Card. Martini??

      Ci sei già tu che ci pensi… a ognuno io suo.

      Io poi non condivido il tuo passaggio logico nella prassi e anche nella sostanza (posso?), anche perché a essere conseguenziali, perché ad ogni singolo discorso o affermazione lontana (tanto o poco dalla Verità) non prendercela con Satana, che sparge fumo, menzogne e inganni e bona lì?

      1. Maria Cristina

        Semplicemente trovo ormai stucchevoli i cattolici che non osano mai per nessun motivo criticare certe tesi progressistec e modernista nonche’ vere e proprie eresie se a sostenerle sono vescovi o personaggi potenti e influenti nella Chiesa, e che sostengono che chi non fa cosi’ e’ “ nemico dell’ unita’ “ della Chiesa.
        Non si capisce che se certe mentalita’ hanno potuto prosperare in seno ai fedeli cattolici e’ stato per il cattivo esempio dei cattivi maestri che si trovavano in posizioni di alto prestigio ecclesiastico.Se teologi acclamati dal papa stesso sostengono le stesse tesi si sta zitti, se invece lo fa un semplice Marco29 si insorge…ma che senso ha?

  6. Klaus B

    Il Signore ha chiamato a sé Paola Bonzi. Mi viene da piangere anche se la conoscevo solo attraverso i suoi scritti. Una vera grande Donna e un vera grande Italiana. Lei sì.

  7. The_punisher_020

    @marcoventinove
    Penso anche a quanti cercarono di lapidare l’adultera, stavano semplicenebte applicando la legge. Gesù non ha abrogato la legge ma ci ha insegnato a comprenderla. Con il cuore, non con il cervello.

    Appunto. Ma non facciamo confusione: Gesù, pur fermando i lapidatori, non legittimo’ i costumi dell’adultera, e siccome Dio ha una sola parole, presumo che costei non avrebbe avuto un’altra chance qualora si fosse trovata ancora in balia dei lapidatori.

    1. Beatrice

      @The punisher
      «e siccome Dio ha una sola parola, presumo che costei non avrebbe avuto un’altra chance qualora si fosse trovata ancora in balia dei lapidatori»

      Ma dove l’hai presa questa idea? Mi sembra chiaro che Gesù abbia voluto abolire la barbara tradizione di lapidare le adultere (pratica purtroppo ancora presente in alcuni Stati islamici). Quindi, no, se l’adultera fosse stata trovata ancora in balia dei lapidatori Gesù avrebbe agito nello stesso identico modo, cioè salvando la donna da una pena crudele inflitta da peccatori forse peggiori di lei.

      Tuttavia hai ragione a dire che Gesù non ha inteso legittimare i costumi dell’adultera, salvandola dalla lapidazione. Sai, io sono appassionata di albi illustrati per bambini. C’è una bravissima artista che si chiama Rebecca Dautremer, la quale ha illustrato un’edizione particolare della Bibbia. Le storie sono quelle dell’Antico e del Nuovo Testamento, ma sono state riscritte in maniera romanzata, per questo il titolo del libro è “Una Bibbia”. Ebbene, sono andata a vedere la storia dell’adultera salvata dalla lapidazione: Gesù diceva il famoso “scagli la prima pietra che è senza peccato”, diceva all’adultera “non ti hanno condannata? Neppure io ti condanno”, ma non c’era traccia del tanto indigesto “ora va’ e non peccare più”. Capisci? Per la cultura moderna il Gesù che salva un’adultera dalla lapidazione va bene, lo accettano, ma il Gesù che ricorda alla stessa adultera di non peccare più, no, questo aspetto di Lui lo rifiutano, troppo bigotto, non si può dire a qualcuno di aver peccato e di non farlo più, e poi sarà mica peccato se si segue il cuore e si ama una persona anche se è impegnata! Insomma la conosciamo bene tutta la manfrina del “love is love” attraverso cui si vuole sdoganare qualsiasi pratica sessuale! Quindi oggi più che mai c’è bisogno di ribadirlo quel “va’ e non peccare più” detto dal Signore perché fosse ben chiaro che non approvava il comportamento dell’adultera.

      1. The_punisher_020

        È una mia logica deduzione, perché i farisei osservavano la legge di Mosè e non risulta che abbiano dismesso tale pratica nemmeno dopo l’ascesa in cielo di Gesù.
        Oltretutto, in Mt 5,18 di legge: “In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto”.
        Gesù, dunque, non era venuto per cambiare la legge.
        Ancora: in Gv 9,31 si evince che Dio esaudisce coloro che fanno la Sua volonta’, ed è evidente che se adultera avesse perseverato nella sua condotta peccaminosa, non avrebbe ottemperato alla volontà di Dio (“va e non peccare più “), incorrendo così nei rigori della legge vigente.

        1. Matteo 5,17

          Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento.

          1. Marco 29

            Concordo. Gesù non abolisce, compie. E interpreta. La celebre espressione “Ma io vi dico” in alcun modo può essere intesa come il tentativo di cancellare la Legge contenuta nell’Antico Testamento, altrimenti occorrerebbe ammettere che Gesù si sia contraddetto, cosa che non penso. Ciò vale anche per il celebre episodio dell’adultera e per l’indissolubilità del matrimonio. È fondamentale “tenere insieme” Mosè e Gesù. Naturalmente Cristo è il vero Logos, la Luce.

        2. Beatrice

          @The punisher
          Ma la legge che Gesù non intendeva cambiare era la Legge Divina espressa nei dieci comandamenti, che si riassume col famoso “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso” (Lc 10, 27). Perché, se amo Dio e il prossimo come me stesso, allora non ucciderò, non ruberò, non desidererò la donna d’altri e via così con tutti i dieci comandamenti.

          C’è un’enorme differenza tra la legge di Dio e la legge degli uomini, la prima viene anche chiamata diritto naturale e la seconda diritto positivo, il diritto naturale è più importante e precede il diritto positivo.

          La legge che avevano creato i farisei era un cumulo di precetti inutili, 613 per la precisione, che Gesù ha abolito eccome perché evidentemente non venivano da Dio. Per esempio Gesù ha abolito il divorzio, che era invece stato permesso da Mosè (al sinodo sulla famiglia uno dei progressisti disse: “Può Pietro essere meno misericordioso di Mosè e non concedere il divorzio?”, frase che sottintende che Mosè è stato più misericordioso di Gesù). Altre cose che ha abolito Gesù sono le abluzioni e il divieto di mangiare certi cibi considerati “impuri”: “Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro” (Mc 7,15).

          Ribadisco: Gesù ha anche abolito la lapidazione delle adultere, infatti non mi sembra che i primi cristiani lo facessero, anzi erano loro ad essere lapidati a morte, come successe a Santo Stefano. Nella parabola del grano e della zizzania Gesù ci dice chiaramente di non andare a sradicare la zizzania per non rischiare di togliere di mezzo anche il grano. Non spetta a noi condannare le persone, perché non possiamo vedere nel loro cuore o conoscere il loro futuro: per esempio se Maria Maddalena fosse stata colta mentre trasgrediva il sesto comandamento e fosse stata lapidata non sarebbe mai potuta diventare Santa. Finché siamo vivi c’è speranza di redenzione per tutti e quando moriamo è solo Dio che può sapere con certezza come giudicare l’operato di un uomo.

          1. Marco 29

            Gesù non abolisce la sanzione della lapidazione ma la rende di fatto inapplicabile. Gesù non abolisce la legge del taglione ma ci ricorda che per essere perfetti occorre amare perfino il proprio nemico. Gesù non abolisce il ripudio ma ci ricorda che il matrimonio è un sacramento che avviene alla presenza di Dio.

      2. Simonetta

        Anche io avendo due bambini sono appassionata di libri illustrati. C’è da dire che sono tutti molto edulcorati e in linea con il pensiero dominante. Abbiamo letto una versione ‘aggiornata’ del lupo e i sette capretti, dove mamma capra è rappresentata come una madre un po’ isterica terrorizzata dal mondo (e da un lupo, che è diventato vegetariano): non serve più insegnare quella ‘sana diffidenza’ ai figli, perché viviamo nel mondo dell’amore. La storia del gigante egoista di Oscar Wilde che ho trovato in edizione moderna, toglie completamente ogni riferimento a Cristo: la religione se non viene usata per essere derisa e offesa è tabù (il più grosso tabù…essere Cristiani oggi è la cosa più trasgressiva). Ho preso poi un libro con belle illustrazioni moderne: ad una festa nella giungla organizzata dal boa (che da tempo ha fame e la caccia gli va male) vanno tutti gli animali, all’inizio un po’ diffidenti, ma cadono nel tranello perché il boa amichevole riesce a farli entrare nella sua bocca. Ma arriva l’elefante che schiaccia la coda al boa e li libera. Ohibò, questa non può essere una storia di oggi, mi sono detta. La storia sarebbe finita a tarallucci e vino per tutti, perché il boa magari era vegano. E infatti sul risvolto di copertina era una storia di più di 30 anni fa in una edizione con nuove illustrazioni e stranamente non edulcorata. Così anche nelle favole spesso il male sparisce, il mondo rappresentato non è quello reale.
        Si vuole cancellare il male, (prima il demonio, figura medioevale) adesso il senso del peccato, di cosa è bene e di cosa è male. Tutto va bene purché sia dettato dall’amore. Bisogna capire a questo punto cosa è amore.

    2. Ely

      A The Punisher,
      se credi che la parola Dio sia una, allora devo concludere che Gesù direbbe di nuovo: chi è senza peccato scagli per primo la pietra! E siamo da capo e non si finirebbe più… Non possiamo annacquare il Sangue di Cristo con piccole logiche e grandi rabbie, sacrosante e lecite – per carità!. Ma l’ultima parola a chi vogliamo darla? Davvero vogliamo scagliare la pietra.
      La testimonianza raccontata da Beatrice, del ragazzo dipendente dalla pornografia, è meravigliosa ed è la prova che Dio si apre da Sè la via nel cuore dell’uomo anche quando è legato da vizi e peccati indicibili. Potremmo chiederci: chi ha messo il desiderio dell’Eucaristia nel cuore di quel ragazzo? Era una coscienza immersa nel peccato eppure la Grazia voleva salvarlo proprio mentre noi non ci avremmo scommesso un centesimo. E magari l’avremmo etichettato e dato per spacciato… (spero di no!) Per quanto riguarda poi le innovazioni nella Chiesa: qualsiasi regola pastorale possa venirci in mente per creare strade di riconciliazione e di INCLUSIONE, non sarà mai l’ultima e non potrà mai limitare l’agire di Dio e spegnere la sua fantasia divina per venire incontro all’uomo con la sua Grazia. I nostri mezzi sono umani e la grazia se ne può servire per i suoi disegni. E’ questa la via di speranza che intendo io, quella che non immaginiamo ma che lo Spirito sa aprirsi in mezzo ai drammi più disumani, alle tragedie indicibili e tra i casi più disperati. Che poi ci sia da indignarsi e da piangere in tutte le lingue per gli abomini a cui assistiamo, non c’è dubbio. Ma sta proprio qui la sfida che il cristiano deve raccogliere: Sperare o disperare? Condannare o credere a una Misericordia che supera tutto già ora, e ancora di più nella vita eterna? E non c’è dubbio che la Bontà di Dio ci mette in crisi quando spalanca le porte a pubblicani e prostitute che scoprono la loro dignità di figli di Dio. Benedette le associazioni cristiane (e non!) che hanno fatto di questa inclusione la loro missione.

  8. The_punisher_020

    […] “La legge che avevano creato i farisei era un cumulo di precetti inutili, 613 per la precisione, che Gesù ha abolito eccome perché evidentemente non venivano da Dio”.

    Gesù, in quanto ebreo, era lui medesimo soggetto alla legge data, ed i farisei non perdevano occasione per potere coglierlo in fallo.

    Ora, la legge ebraica era chiara e perentoria nel caso di commissione di adulterio: Il Levitico (20:10) indica la pena di morte per entrambi i trasgressori (uomo e donna); così il Deuteronomio (22:22)

    Gesù, interrogato nel merito, non dice che la donna non abbia peccato e nemmeno che tale legge fosse “ingiusta” (secondo la Torah, che Gesù osservava scrupolosamente, l’attentato al matrimonio è considerato come un tradimento dell’alleanza con Dio), ma, da perfetto conoscitore della legge, ravvisa tutte le falle di quell’agire frettoloso quanto impietoso: potremmo dire, che si appella a ciò che possiamo leggere nel Dt cap.17:7 : il lapidatore deve essere il testimone diretto ed essere senza colpe…condizioni evidentemente non soddisfatte in quel caso presentato da quei farisei.

    Non è dato a sapere se quella adultera che conobbe la misericordia di Dio, abbia invertito rotta…ma in caso negativo, RIBADISCO, non avrebbe avuto una seconda chance, proprio perché Dio è misericordioso col peccatore che si ravvede e non con quello che persevera nell’errore dopo aver beneficiato della Sua misericordia.

    1. Beatrice

      @The punisher
      Gesù era ebreo, ma era anche Dio e in quanto Dio poteva cambiare la legge mosaica in tutti quei punti dove evidentemente non era conforme alla Legge Divina. Uno dei cambiamenti più grandi e vistosi è stato quello di togliere il divorzio. La legge mosaica permetteva infatti a un uomo di ripudiare la moglie e questa pratica si fondava su Deuteronomio 24,1: “Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che ella non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa”. Gesù, interrogato sulla questione, ha ristabilito la verità sul matrimonio voluta da Dio, cioè si tratta di un’unione sacra e indissolubile che nessun uomo può rompere.

      Altro celeberrimo cambiamento apportato da Gesù riguarda l’abolizione della legge del taglione espressa in Levitico 24, 19-20: “Se uno farà una lesione al suo prossimo, si farà a lui come egli ha fatto all’altro: frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente; gli si farà la stessa lesione che egli ha fatto all’altro”. Gesù disse invece: “Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra” (Mt 5, 38-39).

      L’Antico Testamento va interpretato alla luce del Nuovo, non possiamo leggere dei passi di Levitico e Deuteronomio come se fossero ancora attuali per noi e come se Gesù non li avesse chiaramente aboliti con le sue parole. Questo vale anche per quei passi che parlano della necessità di lapidare l’adultera. Infatti nessuno dei cristiani ha mai applicato una tale pena, né gli apostoli, né i primi seguaci di Cristo, né quelli venuti dopo, è stato subito chiaro che Gesù non volesse assolutamente che un’adultera subisse una morte così crudele. Tu ti dici sicuro che l’adultera dell’episodio evangelico non avrebbe avuto una seconda chance nel caso in cui fosse stata colta a commettere lo stesso peccato. Ma se a noi uomini fragili e peccatori è stato insegnato a perdonare 70 volte 7, non pensi che a maggior ragione lo faccia Colui che è la Misericordia fatta persona? Tu credi davvero in un Dio che ti dà una chance sola e basta, sprecata quella tanti saluti e buonanotte? Mi spiace, ma io credo in un Dio sempre pronto a perdonare, che non sta lì a contare il numero delle nostre cadute, ma sta a vedere quanto sincero è il nostro pentimento e quanta buona volontà ci mettiamo per cambiare. Mi immagino Dio come Geppetto che non smette mai neanche una volta di amare il suo burattino, nonostante gliene combini di tutti i colori. Non è che alla seconda disubbidienza di Pinocchio lo cancelli dalla sua vita, anzi mai e poi mai smette di andare a cercarlo perché lo vuole riportare a casa sano e salvo, costi quel che costi (e sappiamo che a Dio è costato molto venirci a cercare per salvarci).

      1. In realtà ( cerco di dare un contributo, non di polemizzare @Beatrice 😉 ) non si può dire propriamente che Gesù “abolisca” (lo dice Lui stesso “non crediate che sia venuto per abolire la Legge e i Profeti” e parlava agli Ebrei del tempo), ma si potrebbe sire a elevare la Legge ad un livello più altro (alzare l’asticella…).

        Leggiamo infatti:

        Matteo 5,22
        Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.

        Matteo 5,28
        ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.

        Matteo 5,32
        ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.

        Matteo 5,34
        ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio;

        Matteo 5,39
        ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra;

        Matteo 5,44
        ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori,

        Matteo 12,36
        Ma io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio;

        Quasi tutte parole che contrastano o meglio esigono qualcosa in più e di diverso da quello che derivava dai famosi precetti.
        Per certi versi la “legge” si fa ancora più stringente e “dura”…

        Questo ci ricorda e attesta che non c’è “legge che ci salva”, né i 613 mitzvòt, né la “legge” di Cristo, perché come dice S. Paolo, ogni legge ci attesta che siamo peccatori e che tutti siamo rinchiusi sotto il peccato (per beneficiare tutti della Grazia)…

        Chi, sulle proprie forze, può amare il nemico o perdonare “l’imperdonabile”, chi anche solo riesce a non adirarsi o dare dello stupido ad un suo fratello? Eppure il Giudizio lo attende…

        E’ Cristo il SOLO che ha compiuto la Legge (sia quella Mosaica che quella del Vangelo), solo convertendoci a Lui e implorando lo Spirito, potremo sperare di compiere le opere buone preparate perché noi le si compia e ottenere il perdono di tutte le nostre mancanze.

        Il Padre poi da sempre, verso l’Uomo ha avuto un precisa pedagogia e di questa pedagogia fa parte la Torah (prima di quella lo stesso Dio invitava il Popolo a mettere allo sterminio i vinti… donne e bambini compresi. Era un “altro dio”?). Non ci sono quindi 613 precetti “inutili”…

        Sono inutili allo stesso modo in cui dei nostri riti o anche delle nostre prassi o preghiere o elemosine, facciamo un vuoto esercizio esteriore.
        Chi vive con cuore retto, forse anche non potendo osservarli tutti, quei 613 precetti, forse non sarà gradito al Signore?

        Infine, dobbiamo ricordare che Dio non ha mai ritirato la Sua benedizione dal Popolo Eletto e che anzi come dice S.Paolo

        2Corinzi 3
        14 Ma le loro menti furono accecate; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, alla lettura dell’Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato. 15 Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; 16 ma quando ci sarà la conversione al Signore, quel velo sarà tolto.

        Quel “velo” non fu forse posto sui loro occhi a favore nostro che eravamo pagani?

        Sono solo spunti di riflessione che metto “sul piatto”.

        1. Va da sé che possiamo considerarli “inutili” per un Cristiano che si applichi seriamente nel suo combattimento di conversione 😉

      2. The_punisher_020

        […] “Tu credi davvero in un Dio che ti dà una chance sola e basta, sprecata quella tanti saluti e buonanotte? ”

        Nel caso in questione, sicuramente.
        Dio in persona, le disse: “Va, e non peccare piu'”; e quell’avverbio finale suona come un monito definitivo.

        1. Beh @punisher è un po’ quello che il Signore ci fa dire tramite la sua Chiesa “Propongo con il tuo santo aiuto di non offenderti mai più. e di fuggire le occasioni prossime di peccato” seppure apparentemente siamo noi a prendere l’impegno…

          Eppure, eppure, non so tu, ma quante volte sono venuto meno a questo impegno 😐

          Io non credo per la “adultera” non ci sarebbe stata una seconda-terza-quarta… opportunità.
          La debolezza dell’uomo difronte al peccato, ci è ben nota…

          Nella fattispecie comunque, mi pare si stia ragionando troppo per astratto.

          1. The_punisher_020

            Siamo tutti d’accordo che ”
            La debolezza dell’uomo difronte al peccato, ci è ben nota…” e, per l’appunto, Dio penso’ bene di istituire il sacramento della riconciliazione; ma se il Salvatore ti grazia e ti dice personalmente di non commettere piu’ quel peccato specifico (che rompe l’alleanza con Dio), oppure, che so’, “di non mangiare la mela; tu, che fai? Persisti nei tuoi comportamenti?

            1. Eppure la mela, che mela non era, fu mangiata… 😉

              Il Salvatore ci grazia, ci grazia ogni volta. Tra noi e l’adultera del Vangelo, non credo ci sia gran differenza.
              Solo perché Cristo era li fisicamente e ha parlato? Allora tutte le generazioni a seguire hanno avuto “qualcosa dimeno” … non credo proprio!

              Ti saluto.

            2. @The_punisher_020
              La tua interpretazione sull’incontro con l’adultera non ha alcun senso, oppure non l’abbiamo proprio capita. Può essere benissimo che quella donna non sia più caduta nell’adulterio, ma non è possibile che non abbia più peccato in generale (a meno che non sia morta poco dopo), perché nessun essere umano, Cristo e Maria a parte, ha questa facoltà.

              Dio perdona infinite volte, se ogni volta c’è pentimento sincero, e abbiamo una chance fino all’ultimo istante di vita. Nei diari di Santa Faustina c’è scritto:

              Chiunque la reciterà [la Coroncina], otterrà tanta Misericordia nell’ora della morte. I sacerdoti la consiglieranno ai peccatori come ultima tavola di salvezza; anche se si trattasse del peccatore più incallito se recita questa coroncina una volta sola, otterrà la grazia dalla mia infinita Misericordia” (Diario, 687).

              La tua domanda:

              Persisti nei tuoi comportamenti?

              ha molto senso ed è centrale, ma la risposta è molto più complessa di quanto non lasci intendere. Sembra che uno possa dire esclusivamente “sì”, e dannarsi, o “no” e salvarsi, a patto di non peccare più. Ma non è così semplice, perché c’è una tensione drammatica dietro. La linea generale ce la dà San Paolo:

              18Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; 19infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. 20Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. 21Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. 22Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, 23ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. 24Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? 25Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato.

              Noi dobbiamo fare i conti con il peccato originale: il Battesimo ci ha rimesso da quel peccato e dalla pena correlata, ma la nostra natura umana rimane sempre soggetta alla concupiscenza. Dunque io posso volere e amare Dio costantemente, ma la mia debolezza mi farà cadere ripetutamente sino all’ultimo giorno. Quello che mi consentirà di salvarmi è il rendermene conto ogni volta e chiedere sempre perdono a Dio. Questo non vuol dire, come sostengono certi, confessarsi già con l’idea di peccare successivamente, tanto poi Dio mi perdona di nuovo (sarebbe un’ipocrisia, un falso pentimento e la confessione non sarebbe valida): vuol dire essere persuasi al massimo delle nostre capacità di non voler peccare più, ma essere consci dei limiti della nostra carne. È quello che il CCC spiega attorno ai punti 400:


              409 La drammatica condizione del mondo che « giace » tutto « sotto il potere del maligno » (1 Gv 5,19) fa della vita dell’uomo una lotta:

              « Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta incominciata fin dall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio ».

              1. The_punisher_020

                Vorrei proporre una situazione immaginaria , oppure, se vogliamo, un esperimento mentale che può essere utile per capire la posizione che sostengo.
                Si immagini che l’adultera salvata da Gesù dalla lapidazione venga nuovamente colta in flagranza di reato e, questa volta, ricondotta da Gesù con il correo e l’accusa sia sostenuta da più testimoni diretti dalla condotta e moralità ineccepibili; ebbene, cosa potrebbe dire il Cristo all’adultera recidiva? Forse: “Va, e non ri-peccare più?”
                Oppure:”Benche’ io, Tuo Signore, abbia sancito la sacralita’ e l’indissolubilita’ del matrimonio, tu sei sopra della legge vigente e puoi tranquillamente continuare ad attentare al matrimonio…

                1. Questo tuo “esercizio mentale” presuppone troppe cose e per di più ipotizza e mette in bocca a Cristo le parole che tu pensi dovrebbe o non dovrebbe pronunziare nel caso in cui…

                  Mi pare esercizio mentale piuttosto sterile, salvo per chiarire il tuo pensiero, che risultava già abbastanza chiaro 😉

                  1. Non è che “presuppone troppo”, la sua domanda semplicemente ricade nella fallacia logica nota come “falsa dicotomia”. Ovvero, nel caso ipotizzato mette erroneamente in contrapposizione “vai e non peccare più” con “ti è consentito peccare” (più altre considerazioni peregrine, tipo “riconosciuta colpevole”, come se nel primo caso non lo fosse stata – Gesù riconosce chiaramente la colpevolezza della donna, non aveva certamente bisogno delle prove filmate, altrimenti invece di dire “chi è senza peccato…” sarebbe finita come nell’episodio biblico di Sara e i vecchioni).

                    È abbastanza evidente cosa farebbe Gesù, visto che in un altro passo del Vangelo è riportato:


                    «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.»

                    Il che non vuol dire che Dio perdona all’infinito: il tempo del perdono si conclude con la morte terrena. Se il peccatore si fa cogliere in peccato mortale, gioco finito. Ma finché è in vita, può cadere e rimettersi in piedi settantasette volte sette.

                    1. The_punisher_020

                      Mi scusi, ma ritengo che non c’entri proprio nulla cio’ che lei afferma sul caso in questione.
                      Puo’ essere utile, rivedere gli articoli del nostro Catechismo (1855-1.859…) per capire come opera la misericordia di Dio in base alla tipologia dei peccati.
                      L’adulterio era considerato (allora piu’ che oggi…), peccato mortale, tant’e’ vero che era punito dalla legge con la lapidazione.
                      Comprende? Il perdonare “settantasette volte sette” nella fattispecie di cui si discute, non c’entra proprio nulla.

                    2. I passi del CCC che hai citato non portano alcun sostegno alla tua tesi: ribadiscono semmai che i peccati mortali sono di tanti tipi, non solo l’adulterio: i comandamenti sono dieci e i vizi capitali sette. Che siano di gravità diversa e puniti diversamente si sa, ma anche se uno finisce all’inferno e viene punito meno duramente di un altro non vedo come la cosa sia di consolazione: comunque ha perso Dio e rimane condannato al supplizio per l’eternità. Chi non pecca mortalmente di adulterio di certo pecca mortalmente di altre cose: ripeto, è una verità incontestabile perché l’unica concepita senza peccato, e dunque non sottoposta alla concupiscenza, è la Vergine Maria.

                      Sull’argomento sei confuso e francamente fossi in te farei domande invece di affermazioni. Anche perché la misericordia di Dio è questione centrale e non sono tollerabili errori né in un senso (Dio perdona anche chi non si pente) né nell’altro (ad un certo punto Dio non perdona più). Il peccato che non viene perdonato è esplicitamente menzionato da Cristo ed è quello contro lo Spirito Santo: tra i sei tipi che lo configurano, il primo è la disperazione della salvezza, ovvero proprio sottostimare la misericordia divina.

                    3. Beatrice

                      @The punisher
                      I peccati mortali si chiamano così non perché chi li commette deve essere messo a morte (meno che mai con la lapidazione), ma perché uccidono la vita di Grazia dell’anima. Tutti i peccati mortali, anche l’adulterio, possono essere perdonati se uno se ne pente e li confessa col proposito di non commetterli più. Poi se li commette ancora può tornare dal sacerdote a ricevere nuovamente il perdono, l’importante è, però, che almeno ci provi a non commetterli più, non che faccia quello che vuole pensando “tanto poi mi confesso”.

                      Se uno ha passato una vita a commettere un certo gravissimo peccato magari legato al sesto comandamento, non è raro che poi abbia difficoltà a mutare comportamento e, pur mettendocela tutta, gli capiti di cadere più volte. Per favore, non mettiamo in giro false idee del tipo “se ricadi un’altra volta in un certo peccato mortale basta, Dio non ti perdona più!”. Come ha detto Fabrizio c’è il rischio pericolosissimo di indurre le persone a dubitare della Misericordia di Dio e di disperare della salvezza.

                      I passi del Catechismo che hai citato tu parlano non a caso della Confessione Sacramentale (1856):
                      «Il peccato mortale, in quanto colpisce in noi il principio vitale che è la carità, richiede una nuova iniziativa della misericordia di Dio e una conversione del cuore, che normalmente si realizza nel sacramento della Riconciliazione».

        2. Marco 29

          “Va e non peccare più” è quel che Gesù dice ogni giorno a ciascuno di noi. E noi ogni giorno, dopo l’ennesimo errore, continuiamo a pregarlo dicendo: “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Dio ama molto i grandi peccatori perché quando (e se) si convertono, sono molto più riconoscenti dei tiepidi praticanti. Colui al quale il creditore ha condonato il debito maggiore, sarà maggiormente zelante nella fede, perché ha sperimentato il perdono di Dio. L’episodio dell’adultera dimostra che Cristo perdona sempre ma noi non siamo quasi mai in grado di accogliere il suo perdono e di rinascere. Perfino Giuda, se avesse avuto più fiducia in Cristo, si sarebbe salvato.

          1. The_punisher_020

            “Va e non peccare più” è quel che Gesù dice ogni giorno a ciascuno di noi. E noi ogni giorno, dopo l’ennesimo errore, continuiamo a pregarlo dicendo: “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

            Vorrei chiarificare che quando noi recitiamo nel Padre Nostro quel passaggio (“rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”), chiediamo semplicemente a Dio di perdonarci proporzionalmente alla nostra disponibilita’ a perdonare chi ci ha fatto del male; in parole povere, diciamo:”perdonaci solo se noi perdoniamo”.
            L’episodio dell’adultera, dimostra che Dio e’ misericordioso ma che chi abusa della Sua misericordia (“Va, e non peccare piu’), incorre senz’altro nella Sua giustizia.

            1. Infatti….ma sembra che abbiate dimenticato una cosa fondamentale, che Gesù ci dice a tutti noi “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.” Matteo 5, 48

              Il “và, e non peccare più” rimanda/significa esattamente “siate perfetti ecc…..”

              Rispettare i Comandamenti è l’ABC, è la “scuola elementare” della vita di Fede…eddai ! …ma per essere “santi” e/o aspirare alla santità, e/o essere graditi a Dio, capiamoci, ti viene proprio lo schifo e il vomito a peccare mortalmente e gravemente….. Non faresti mai una cosa che dispiace a chi ami : questa è la ratio che sta alla base dell’amore e della santità.

              Se la fai – o la continui a fare – significa che, o non ami chi dici di amare, o non hai capito/compreso cosa è l’amore, ma neanche capisci la Fede e le opere.

              La famosa adultera – e che cacchio ! – e NON lo sai il 6° comandamento ?!?….e quì stiamo parlando del PRE avvento del Salvatore : le parole di Gesù sono di misericordia (“neanche io ti condanno”), certo, ma sono anche “lapidarie”, chiare ed inequivocabili : “Và, e d’ora in poi NON peccare più” ovviamente riferito all’adulterio.

              Chi perdona (Gesù, attraverso/per mezzo del confessore) certo che non fa la “conta” dei peccati, il Signore NON è un ” ragioniere” ma , cavolo, chi aspira alla santità SI’, e certo che deve farla !!!

              E che sono scemo io – dice l’aspirante santo a se stesso – che non so e non capisco che questo è MALE ?

              Chi vive nella ricerca e nella Grazia di Dio, chi aspira alla santità e alla perfezione del Vangelo, proprio NON riesce a peccare mortalmente : e ci sono scritti ed esempi a cominciare da San Paolo fino ai santi dei giorni nostri.

              Alla fin fine, è solo una questione di comprensione di amore di Dio e di come piacergli.

              1. The_punisher_020

                […] “ma sono anche “lapidarie”, chiare ed inequivocabili : “Và, e d’ora in poi NON peccare più” ovviamente riferito all’adulterio”.

                Infatti: uomo avvisato, mezzo salvato; eppoi se non ascolti la parola di Dio e vuoi dannarti, sei liberissimo di farlo…

                1. The_punisher_020

                  @Bariom
                  Sì, dice tutto. La soteriologia ci insegna che l’iniziativa misericordiosa di Dio si fonda sulla appropriata risposta di fiducia e gratitudine: Dio gradisce essere adorato e che si faccia la Sua volontà.
                  Zaccheo, ad esempio, venne toccato dalla misericordia di Dio e questo lo portò poi a comportarsi con giustizia nelle relazioni col prossimo: la misericordia di Dio realizza così pure la giustizia, perché ci spinge ad essere interiormente e profondamente giusti ed equi. Anche se non ci è dato a sapere, probabilmente anche l’adultera, toccata nel profondo del cuore dalla misericordia del Cristo, avrà intrapreso il percorso di salvezza e lasciati al palo i lapidatori che nemmeno mancano ai giorni nostri.😉

                  1. L’iniziativa misericordiosa di Dio si basa esclusivamente sul fatto che Dio è AMORE!

                    Amore sconfinato per l’uomo, tanto che ha sacrificato la vira di Suo Figlio quando eravamo suoi nemici…

                    Poi tu puoi pensarla basata su qualunque altra forma di do ut des, ma saresti fuori strada.

          2. Alda

            Da ignorantissima in materia tecnologica, posso chiedere com’è che certi messaggi compaiono scritti in maniera sgradevolmente verticale, pesanti da leggere…?

            1. È un problema di impaginazione: quando si risponde a qualcuno il margine sinistro si sposta verso destra per indicare la relazione domanda-risposta, e quindi lo spazio orizzontale si riduce inesorabilmente. In questi casi bisognerebbe pubblicare la risposta come un commento nuovo e indicare esplicitamente a chi si sta rispondendo, ma non sempre uno se ne rende conto…

              1. Alda

                Infatti ho notato che nei “lunghissimi” non c’è il “rispondi”… Grazie della spiegazione, pur avendo un ingegnere informatico in casa io sono una capra😬😬

      3. Marco 29

        Cara Beatrice, mi piace quello che hai scritto (anche se su qualche punto il mio pensiero è diverso).

  9. The_punisher_020

    @ Beatrice – Non vorrei prolungare la discussione all’infinito, penso pero’ che valga la pena soffermarsi e riflettere sulle parole del Cristo rivolte alla donna adultera (“Va’, e non peccare più “). Mi pare che queste parole non vengano valutate nel modo appropriato, e che ci si dimentichi che la giustizia e misericordia di Dio sono due caratteristiche non in contrapposizione tra loro , ma operanti in egual misura.
    A tal uopo, ripropongo la riflessione del Card. G.L. Muller sul caso oggetto di discussione: “Attraverso quello che oggettivamente suona come un falso richiamo alla misericordia si incorre nel rischio della banalizzazione dell’immagine stessa di Dio, secondo la quale Dio non potrebbe far altro che perdonare. Al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la santità e la giustizia; se si nascondono questi attributi di Dio e non si prende sul serio la realtà del peccato, non si può nemmeno mediare alle persone la sua misericordia.
    Gesù ha incontrato la donna adultera con grande compassione, ma le ha anche detto: «Va’, e non peccare più» (Giovanni, 8, 11). La misericordia di Dio non è una dispensa dai comandamenti di Dio e dalle istruzioni della Chiesa; anzi, essa concede la forza della grazia per la loro piena realizzazione, per il rialzarsi dopo la caduta e per una vita di perfezione a immagine del Padre celeste”.

    1. Con la mia solita franchezza, devo dirti che il tuo atteggiamento comincia a darmi sui nervi. Forse è un problema di comunicazione, ma non credo.

      Solo per limitarmi a quello che ho scritto io, perché gli altri han scritto lo stesso:

      non sono tollerabili errori né in un senso (Dio perdona anche chi non si pente) né nell’altro (ad un certo punto Dio non perdona più)

      La prima parentesi è il pensiero di Mueller che hai riportato: dunque se è chiaro che siamo tutti d’accordo su quel punto, per quale motivo lo usi per contraddirci? Trovo la cosa irrispettosa.

      Il tuo problema è l’errore opposto, e non c’entra niente Mueller.

  10. Ely

    Forse può far bene spostarsi dal piano morale a quello psicologico per capire certe posizioni. Non che io abbia strumenti per farlo… è solo una riflessione maturata nel desiderio di cogliere le ragioni di ciascuno. Se c’è un’adultera c’è anche un uomo ferito dall’adulterio. Entrambi, ognuno per la sua posizione, sono in crisi. L’adultera è un’infelice per il fatto che sta fuori dal patto coniugale e dall’alleanza con Dio. L’uomo tradito è ferito perché gli è crollato il mondo addosso, si è spezzata la relazione che doveva essere fondata sulla fiducia e la fedeltà. Quando la fiducia è tradita la ferita è immensa, quasi impossibile riuscire di nuovo a credere in chi ci tradisce. Davvero il mondo crolla. Quell’uomo e quella donna sono persone spezzate dentro e non c’è altra via oltre al perdono che possa rimarginare la ferita. Non ce n’è altra. Solo il perdono, quello umano e quello divino. Senza perdono si rimane con la ferita che nessuna giustizia potrà sanare. Come non c’è ergastolo che possa sanare e far tornare una persona a cui è stata tolta la vita. Perdonare significa far risorgere un amore trafitto a morte. Il perdono è infinitamente più forte del peccato… e di sicuro vince sempre tutte le cause.

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