di Innocenza Laguri
Quell’affermazione del filosofo Petrosino che poco della vita diventa esperienza mi ha stimolato a non “subire” soltanto la circostanza che mi è capitata. Finito il pranzo in un bar con un’amica mi alzo, sento la testa che gira e non riesco a stare in piedi, una cosa improvvisa e soprattutto, diversamente da altri malanni (non poi molti) che ho avuto, incontrollabile.
Mi trascino fuori e saluto in fretta l’amica che non è così fortona (cammina con un po’ di difficoltà) e non mi sembra mi possa aiutare.
Dopo qualche metro, mi siedo su un pouf di un bar, poi finisco in terra , un ragazzo (mi pare) mi aiuta e, sbagliando in buona fede mi fa alzare, mi appoggia ad una sbarra della pensilina del tram, mi chiede se ce la faccio, dico di sì, ma poi mi ritrovo in terra dopo un buio totale. C’è gente attorno, mi fanno sedere su un divano esterno dello stesso bar, il barista mi porta un po’ d’acqua,il ragazzo che mi ha soccorso chiama l’ambulanza, io mi sento già meglio e mi accorgo solo allora di sanguinare copiosamente da un ginocchio e dal mento, penso però sia inutile l’ambulanza (mi sovviene l’incubo del cosiddetto “pronto” soccorso dove ho accompagnato un fracco di gente per ore e ore).Ma il ragazzo è deciso,l’ha chiamata e giustamente mi dice che vedranno loro. Le altre persone che si sono radunate se ne vanno, il ragazzo resta. Gli chiedo se non abbia fretta,dice no, stava andando a casa, mi sovviene che non so se io mi sarei fermata, penso che dopo il primo soccorso avrei cercato di far stare lì un altro e glielo dico ringraziandolo, è una bella testimonianza.
Gentilissimi anche i barellieri, mi dicono che, avendo perso coscienza sono da pronto soccorso. Si va al Policlinico, non si spaventi per le sirene spiegate, facciamo più in fretta. Misurano più volte la pressione che è bassa, domande varie se ho dolori al petto. Mi sembra una gentilezza da volontari, che danno un senso altruistico al proprio lavoro, chiedo al più giovane se ha visto la sera prima in tv il film di Scorzese “Al di là della vita”, dice solo per un pezzo, troppo psichedelico (usa una espressione del genere) e poi loro non sono paramedici. Breve digressione :in America invece quelli dell’ambulanza sono paramedici, ma poi in ospedale se non sei assicurato devi pagare.
Codice giallo, il pronto soccorso del Policlinico ha una faccia irriconoscibile:è nuovo di zecca. Mi sembra di vedere più di una astanteria, quella in cui entro ha tanti letti, ciascuno separabile da tendoni che vengono tirati (quando il medico vista o l’infermiere lavora col paziente) e poi riaperti perché, penso, così i pazienti sono controllabili.
E’ stata la prima volta, dunque da anziana, che arrivo al pronto soccorso in ambulanza con le sirene. Mi sento capace di aspettare per questo e poi perché da un po’ di tempo, quando mi ammalo o faccio un esame, percepisco che non è più garantito che tutto passi: prima o poi qualcosa non passerà, è evidente…..Non c’è più quella pretesa-fede-certezza-diritto che si torni come prima. E mi sovviene che tra gli ormai non pochi amici che ho voluto o mi è capitato di accompagnare al grande passo, due che avevano il tumore al cervello hanno cominciato con uno svenimento. Anche per questo alle varie domande dei medici rispondo “fino adesso no”. Mi sento comunque molto impreparata per quella circostanza che può venire.
Prelievi, una radiografia,ecc.A un certo punto mi portano, solo per una questione di posti, nella astanteria-intensiva, ai mie lati ci sono due anziani ( voglio dire due persone che ne hanno più di me….) che sono dentro uno scafandro spaziale per l’ossigeno , bocca aperta e sonno profondo, a me sembrano già morti.
Arriva l’anziana sorella di uno dei due: gli prende la mano e gli parla in milanese : “Allura, me la va? Svegliess su , te vedaret che te turnet a ca, svegliess svegliess. Sun chi, varda che sun chi”. Il fratello sta lì, bocca spalancata quasi defunto. Poi gli chiede spesso se vuole che lei stia lì o che se ne vada (penso voglia farsi dire vai e glielo dice anche una infermiera) ma no, poi si va preoccupando e va e viene. Non distingue la divisa e chiede ad una infermiera generica la diagnosi, poi quella professionale le dice che è una polmonite, da lì in poi non c’è verso di smentirla continua a ripetere al personale e al fratello che la polmonite gli è venuta per la doccia che gli hanno fatto il giorno prima due assistenti del Comune.il fratello è sempre nella stessa situazione. Possibile che sia così chiusa ad altre ipotesi? Io intanto ho tirato fuori dalla borsa un testo sociologico sulla società post mortale ( termine per indicare il rifiuto attuale della morte) che avevo da leggere sul tram. Mi sono messa a leggerlo e proprio mentre lei ripete la causa della polmonite leggo “ si assiste oggi a una decostruzione della morte nel senso che essa perde il suo statuto ontologico a vantaggio di una moltiplicazione infinita di cause. La morte sparisce, si dissolve nella ricerca ogni giorno più spinta delle sue cause accidentali o patologiche”. La vecchietta , nella sua semplicità, sta dentro questa logica della causa accidentale.
Curioso: il testo (ne porto sempre uno con me per quando sono sul tram) per un verso mi dà una spiegazione di un fatto , per un altro mi rende anche insofferente a questa presenza ,la vecchietta ( è sempre più vecchia di me, di questo sono certa) infatti mi disturba e dunque le volte in cui si gira verso di me …non sono disponibile.Gasp!!!
L’infermiera generica le fa qualche domanda personale, cui lei aderisce volentieri ( la poverina sta vivendo un momento difficile!) sono due fratelli vedovi, senza figli, abitano insieme. Dice.” se avessimo avuto figli…”. Arrivano altri due vecchi che mi sembrano ancor peggio. Uno si lamenta in modo un po’ animalesco quando gli fanno il prelievo, tirano la tenda e il parente racconta: dopo una caduta con frattura allettato, pannolone, imboccato…..Che senso ha mi viene subito da chiedermi? Certo serve a educare i parenti , e per lui? Che passa nella sua testa? So che sono davanti a uno spostamento della mia logica.
Gli infermieri e i medici sono molto professional-routinari: siamo nel Pronto Soccorso, vanno e vengono migliaia di casi, difficile evitare il punto di vista del “ quanto lavoro mi dà questo qui, vediamo se sta buono”. Davanti alla vecchietta con la fissazione della doccia un infermiere ridacchia , quando è arrivato il mezzo morto da tempo allettato, lo stesso infermiere, mettendosi i guanti per accudirlo, canticchia. Alle consegne , verso le 9 di sera, sempre lui, a proposito di un’altra vecchietta, dice: “L’ho appena cambiata io, era piena di merda fino al buco del culo” .Ma lo sta dicendo a un collega …lo avrei probabilmente detto anch’io, se a quardant’anni fossi lì al suo posto. Certo costui non è il meglio ,ma mi domando se sia possibile in questa routine spesso infernale vedere i pazienti come persone. Mi viene in mente il paragrafo dell’amico Hadjadj intitolato “La trascendenza dello zio Raymond” (dove dice che la trascendenza è la cosa più ordinaria del mondo…si può incontrarla nello zio Raymond perché in ogni suo più piccolo gesto si può scorgere l’esigenza di felicità.. anche nel riciclo continuo del suo catarro). Non è letteratura, ma è un punto di vista non facile!!!
Mi riportano dall’altra parte dell’astanteria, non intensiva, anche qui sono quella che sta benissimo , (si cercano sempre certezze, anche modeste!!!!) e, composta nel camicione nuovo e chic del nuovo pronto soccorso (però classicamente manca già un legaccio dietro) leggo il mio libro sulla società postmortale. Dopo sei ore di osservazione sono dimessa, sembra sia stata una combinazione di bassa pressione e poca acqua (mi dimentico di bere…come tutti i vecchietti!). Prima di uscire mio marito mi vuole fare bere, in una sala con tante sedie c’è la macchinetta, sono le 10 di sera e la vecchietta sorella è ancora lì, il fratello è ora su in reparto ma lei sta lì, potrei chiederle come mai ..ma non lo faccio, in fondo anch’io ho avuto il mio da fare.
Tutta gente che prende una pensione. …e fin qui non c’e’ niente di male. Se non fosse che la stanno togliendo a me per darla a loro.
Vivere e sopravvivere
Vivere il dolore e sopravvivere al dolore
Vale per i pazienti, i parenti e gli operatori ospedalieri
Solo rispetto
E infinita riconoscenza per la “fortuna” di quel che non càpita (al presente, sempre al presente, anche in passato)
Spero (non credo, eh) sia perchè non serve, con tutto quello che ciò significa a sua volta
Signora Innocenza, lei mi è di grande aiuto, anche se ho “solo” 45 anni… Mi fa pensare al salmo “nella vecchiaia daranno ancora frutti…” Che Dio la benedica sempre
grazie per la testimonianza