«Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia»
(Amleto, Atto I, scena V)
di Matteo Donadoni
SHAKESPEARIANA I – Chiamatelo come volete, Cigno dell’Avon, Guglielmo Scuotilancia, il fatto è che siamo nel cuore del biennio shakespeariano – il 23 aprile un anno se ne sarà già andato – e non abbiamo nessuna intenzione di lasciar correre oltre, anche se con un argomento apparentemente marginale.
Ciclicamente mi capita di incappare in articoli a difesa di un Liceo Classico morituro e la cosa mi inquieta. Non solo perché l’ho frequentato, non solo perché dentro di me cova un desiderio visceralmente insaziato che al classico si iscrivano i miei figli, ma perché vedo che la scuola superiore moderna sforna i più disparati professionisti, dimenticandosi dei cittadini.
Saranno magari bravissimi tecnici, sine dubio, ma lo Stato ha bisogno di uomini. Ha bisogno di cittadini. Ha bisogno di politici. E, senza nulla togliere all’intelligenza né alle peculiari capacità di nessuno, la scuola che meglio forma i ragazzi come persone, come uomini abitanti della polis, è quella che offre la formazione classica. Perché la grande crisi spirituale del mondo occidentale è profondamente legata alla crisi della cultura classica – ovvero la Cultura tout court. Invece, oggi, sua maestà lo Specialista ha sostituito il filosofo, ovvero colui che ha una visione olistica della realtà. Tutti lì a specializzarsi, per essere i migliori nel piccolissimo e nel particolarissimo, e poi così incapaci di gestire la propria vita, così depressi. Ciò dipende anche dal fatto che l’attacco dello scientismo moderno alla religione, relitto della superstizione medievale, ha coinvolto anche l’eredità classica, tanto che i genitori tendono a non iscrivere più i figli al liceo classico, ritenuto ormai non adeguato alla formazione dei moderni rampolli della società multiculturale e tecnologica dei foolish esaltati del tablet.
Si sbagliano. Il Medioevo ha salvato la cultura grecoromana dall’abisso dell’inciviltà e della barbarie, anzi, le ha dato un lustro superiore, immergendola nel vigore salvifico del cristianesimo, che, durante secoli difficili, con penuria di mezzi, al freddo e contro peste e razzie, ha creato l’identità europea. Una koinè cattolica caratterizzata da un’unità di vita, dottrina e disciplina, di ampiezza europea, che ha resistito fino al dramma di quella che alcuni hanno definito “Riforma” protestante, per poi, lentamente, declinare. Ma è proprio in questo humus che ha potuto attecchire il genio umano europeo, a qualsiasi latitudine. E, in qualche modo, quanto eretto dal genio dei secoli cristiani sui due pilastri della cultura europea ha retto fino ad oggi. Perché?
Prendiamo William Shakespeare (1564 – 1616), compie 450 anni, ed è attuale. La sua opera non è solo il frutto del genio di un ragazzo di una tranquilla cittadina agricola della provincia inglese – ancora oggi circondata da boschi e parchi che custodiscono i castelli delle antiche famiglie inglesi, all’epoca Stratford upon Avon contava circa 2000 abitanti –, la sua è un’opera sempreverde, perché in grado di parlare all’uomo di oggi, anzi, all’uomo di ogni tempo. Tanto che di lui è stato detto: «He was not of an age, but for all time» (Ben Jonson, 1572-1637).
William Shakespeare è il più grande scrittore cattolico di lingua inglese, è il più grande poeta inglese e tra i primi poeti del mondo antico e moderno.
Perché? Perché «gli esseri umani di ogni tempo hanno qualcosa da spartire con gli eroi shakespeariani, perché Shakespeare coglie la natura umana nella sua complessità e universalità. E’ questa l’essenza di ogni classico» (Elisabetta Sala, L’Enigma di Shakespeare, Ares 2011). I suoi drammi sono come miniere: è possibile scavare sempre più in profondità, e la profondità è direttamente proporzionale al livello cui riesce ad accedere il lettore o fruitore se rappresentata in scena. Lo stesso vale per i più importanti autori classici che hanno fondato la nostra civiltà, ci hanno permesso di elevarci sopra la barbarie e sopra la miseria. Ci hanno fatti ricchi di cultura, di umanità e perfino di santità, rendendoci capaci di comprendere la realtà, ed infine, grazie a famosi scienziati formati dalla cultura umanistica, resi indipendenti, anche se non del tutto, dal capriccio scellerato della natura.
Dunque, non confondiamo la sostanza con gli accidenti, la causa finale con la causa strumentale: la tecnologia è un mezzo che, a patto di essere usato bene, aiuta nell’apprendimento. Ma di quale tecnologia ha potuto usufruire Shakespeare? Penna d’oca e cera d’api.
Immaginiamoci l’Inghilterra elisabettiana, quella della cosiddetta Golden Age: bellissime case a graticcio, fango, immondizie ed escrementi per strada, dove erano liberi di scorrazzare polli e maiali, cosicché smaltissero i rifiuti. Odori di ogni tipo. Ratti che ciclicamente rinfocolavano la peste. Zuffe sanguinose ed esecuzioni pubbliche in cui il sangue scorreva a fiotti, aggiungendosi e mescolandosi ai rivoletti delle fogne a cielo aperto sul selciato, dove c’era. Venuto al mondo in una famiglia numerosa – sei fratelli, di cui tre morirono bambini – fu in questo ambiente spesso malsano, che dovette studiare il piccolo William. Sappiamo, per quanto traspare dalle suo opere, che il figlio del guantaio e poi connestabile (una specie di sindaco) venne probabilmente iscritto alla Grammar School di Stratford, cui grazie ad una legge regia potevano accedere gratuitamente i bambini a partire dai sette anni, purché già alfabetizzati – all’uopo c’erano le petty schools o dame schools dove signore istruite, appunto, fungevano da maestre. Era una scuola durissima se confrontata con i canoni moderni: cinque giorni e mezzo su sette, giornate piene, e con piene si intende dalla mattina alla sera: orario estivo dalle sei di mattina alle cinque il pomeriggio; orario invernale dalle sette alle quattro. Nel Medioevo (che in Inghilterra finì più tardi con l’Atto di Supremazia di Enrico VIII Tudor nel 1534) il tempo era scandito dalle campane e, semplicemente, dal sole. Gli alunni avevano diritto a due ore di pausa pranzo ed un paio di settimane di vacanza a Natale e Pasqua, d’estate niente riposo, ovviamente. Ah, il venerdì era il giorno delle punizioni corporali. Si insegnava prevalentemente in lingua latina e quali erano le materie? Latino, letteratura e retorica; un po’ di greco se l’insegnante ne conosceva; storia antica; religione; aritmetica.
Buone basi. Le basi.
Tuttavia, nell’Inghilterra odierna, come è normale che sia, l’istruzione è cambiata molto. Solo di recente c’è stato un lodevole tentativo di riforma da parte dell’ex ministro cameroniano, ora silurato, Michael Gove, ex giornalista dagli occhi vispi, con le idee chiare sui valori che i ragazzi britannici dovrebbero apprendere. Pare infatti che la situazione scolastica inglese fosse peggiore di quella italiana. Secondo un sondaggio della Confederation of British Industry fatto in quasi 600 aziende inglesi, quattro dipendenti su dieci devono fare corsi di formazione sulla grammatica e la matematica perché non sono in grado di “gestire la normale routine di un posto di lavoro”. Non sanno scrivere in inglese e non conoscono le tabelline, perciò calcoli elementari risultano errati e la comunicazione via email soggetta a volubili interpretazioni.
Gove ha tentato di ridare alla scuola inglese un minimo di rigore a suon di versi shakespeariani mandati a memoria e tabelline fino al 12. Il ministro conservative è stato inoltre accusato di essere un provocatore per aver inviato (grazie ai soldi di una charity) 300mila bibbie nelle scuole, perché considera anche la Bibbia un testo chiave della formazione dei ragazzi.
E in Italia? Abbiamo una scuola d’eccellenza. Snobbata. Poi però assistiamo al fenomeno paralavorativo noto come “corso di formazione” (ma come, un laureato non è da considerarsi formato?) Allora, invece di costringere insegnanti, manager e supermanager privi di istruzione classica a sostenere costosissimi corsi di formazione, sarebbe meglio mandare i nostri ragazzi a frequentare il povero e tanto bistrattato Classico, dove si leggono Platone, Aristotele e Seneca, Quintiliano, Cicerone, Tucidide e Tacito e poi Agostino e Tommaso, e una legione di altri autori che, evidentemente, offrono ancora molte cose utili – classiche? – anche per il nostro bislacco mondo moderno. Perché, se anche il mondo cambia, il cuore dell’uomo è sempre uguale.
I giovani italiani, dunque, non hanno bisogno di meno classico, ma di più classico. Hanno bisogno di affrontare le verità che valgono sempre, hanno bisogno ancora di imparare versi di Dante e Shakespeare a memoria, ma anche di confrontarsi con Omero e Virgilio. E perfino con Tirteo.
La priorità della scuola non sono le lavagne luminose o “un tablet su ogni banco”, come viene detto non senza una certa sicumera, ma, al netto di un riscaldamento decente, di un ambiente di studio decoroso, ben illuminato e privo di spifferi (come invece purtroppo spesso non accade), la priorità della scuola italiana in un mondo governato da sofisti ed imbonitori è la conoscenza delle nostre radici, della Bibbia e della storia. Con l’introduzione della filosofia, possibilmente sin dalle elementari (dato che i bambini si pongono tutte le più importanti domande metafisiche entro gli otto anni d’età) e della retorica alle medie. Da queste materie classiche si sviluppano i concetti del rispetto e dell’etica, della libertà e dell’umiltà, senza i quali non si può costruire una vera civiltà. I nostri ragazzi hanno bisogno di sapere da dove vengono e perché sono venuti al mondo, poi, se vorranno, si specializzeranno in ciò che più piace a loro. Ne avranno le basi. Potranno perfino andare a fare l’avvocato in Cina, per quanto io trovi la cosa una colossale idiozia.
La posta in gioco non è, banalmente, la perdita del lavoro da parte degli insegnanti di greco, la posta in gioco è veramente alta, come ha profetizzato l’indimenticato Hilaire Belloc ne La Crisi della Civiltà: «In questa crisi le uniche alternative sono: o la nostra guarigione per mezzo della restaurazione del Cristianesimo o lo spegnersi della nostra civiltà». In senso ampio: urge la ricostruzione della tradizionale cultura europea.
Ragazzi il Classico non è più difficile di un’altra scuola: sono sicuro che fra voi si cela un nuovo bardo. E poi, se con fatica e sberloni (veri), ce l’ha fatta una schiappa come me…
Mah, lo scientifico mi pare assai più completo….
sono d’accordo!
Che la scuola sia stata usata negli ultimi 50 anni per distruggere la capacità critica e di pensiero è ormai una tragica realtà, purtroppo ancora perseguita tenacemente e ideologicamente, visto che siamo l’unico paese in cui la scuola “di stato” (non “pubblica”, prego, ma “di stato”..- che orrore!) è l’ unica gratuita….
Matteo si meriterebbe
http://en.wikipedia.org/wiki/Imperial_Crown_of_the_Holy_Roman_Empire#mediaviewer/File:Holy_Roman_Empire_Crown_(Imperial_Treasury)2.jpg
Sono d’accordo con Paola, lo scientifico trovo che sia la scuola per eccellenza, ma il problema non è la scuola. Da noi tutti ambiscono a iscrivere i figli al Liceo Classico, il problema che ce ne è uno solo, gestito male da parecchi professori bene da pochi. Devi essere fortunata che i tuoi figli capitino con quei pochi che si salvano. Perché il problema non è la scuola, ma chi la fa.
“Perché il problema non è la scuola, ma chi la fa.”
Proprio così (credo)!
Assolutamente vero. Infatti, se gestito bene (come ho avuto la fortuna di frequentare, purtroppo dico “fortuna”, ma dovrebbe essere la normalità) e se gli insegnanti sono bravi a fare il loro mestiere, il liceo classico dà la stessa preparazione dello scientifico + il greco. Quindi molto più completo dello scientifico.
Ho potuto più volte constatare, il primo anno di università, che l’unica differenza in materia matematico-scientifica tra me e i miei colleghi provenienti dallo scientifico era una maggiore familiarità di questi ultimi con il sistema delle dimostrazioni matematiche. E basta. Questo vantaggio è durato solo il primo semestre. Basta il primo esame di analisi matematica ad appianare tutti.
lo scientifico, ai miei tempi, lo facevano quelli che non sapevano l’italiano… 🙂
Il classico , ai miei tempi, lo facevano quelli che non se la sentivano di fare lo scientifico. Poi, chi non se la sentiva nemmeno di fare il classico andava a geometri…
E in tanti, ERRONEAMENTE, si iscrivono al classico perchè vanno male in matematica, pensando sia più facile (peccato che sia lo stesso programma con solo due ore settimanali). Per poi arrancare e rischiare la bocciatura.
Quindi in programma al classico ci sarebbero, per esempio: limiti e derivate; geometria analitica e studio di funzioni; calcolo integrale; disposizioni, permutazioni e combinazioni…
Esatto. I nuovi programmi del liceo classico comprendono anche analisi, quanto lo scientifico. Ovviamente allo scientifico si approfondisce di più, avendo un’ora in più a settimana. Ma ovviamente allo scientifico non ci sono neanche quelle quattro ore di grammatica greca al ginnasio, né le tre ore di letteratura greca al liceo. Detto fuori dai denti: un teorema in meno si recupera facilmente, le basi della cultura occidentale un po’ meno.
Suvvia, basta guardare i temi d’esame quando escono sui giornali per capire la differenza…gli studenti del Classico non capirebbero nemmeno di cosa parlano i temi di matematica o fisica dello Scientifico (o dei Tecnici).
In terza prova, oltre a svariate altre cose, ho avuto anche uno studio di funzione (con richieste ridotte, ma per limiti ovvi di tempo, dato che dovevo fare anche una traduzione dal latino con commento, idem in inglese, tre quesiti di storia, e poi non mi ricordo più).
Gli studenti del classico i temi d’esame dello scientifico li capiscono benissimo, (se hanno avuto buoni insegnanti, ma del resto anche allo scientifico, se non hai avuto un buon insegnante, alla fine non capisci la matematica…e ai classicisti all’esame non presentano 2 versioni tra cui scegliere :-P)…o i classicisti che vanno a fare gli scienziati e gli ingegneri sono dei marziani?
Ma anche fosse: gli studenti dello scientifico non sanno tradurre il greco, anzi, non sono in grado nemmeno di leggerlo. Idem i tecnici, che il più delle volte neanche sanno il latino. Perchè per loro non è un di meno allo stesso modo? Perchè il liceo artistico non viene disprezzato quanto il classico? Si potrebbe dire che stanno il loro tempo a disegnare…e invece non è giusto. Sono scuole diverse, è giusto che ci siano dei campi privilegiati diversi. O greco e latino non sono importanti perchè “inutili”? Per chi non va a fare ingegneria o matematica/fisica, anche certa analisi matematica lo è. Per un archeologo e uno storico, greco e latino sono fondamentali. Idem per chi va a perseguire una carriera artistica per l’artistico.
E comunque, riscrivo: dopo il primo esame di analisi matematica le differenze in questa materia non esistono più. Questo vantaggio dello scientifico è recuperabile in meno di 6 mesi…il classico ti permette di fare subito TUTTO (a parte andare a lavorare a 18 anni, ma quello nemmeno lo scientifico). Lo scientifico no.
Lo scientifico, la scuola più completa, in genere sforna persone che non se la tirano……
Non me la tiro affatto: se hai fatto lo scientifico non hai le basi per parte di lettere classiche. Se hai fatto il classico hai lo stesso le basi per le facoltà scientifiche.
Mica sono più bravi quelli che vanno al classico, hanno una formazione più completa, a più ampio spettro. Un corso di studi che ha lo stesso programma in tutte le materie + una materia aggiuntiva, rispetto ad un altro, è più completo.
A mio parere scegliere lo scientifico significa, a meno di imparare altre cose fuori dalla scuola di propria iniziativa, precludersi delle strade universitarie. Non riesco a definire più completo un corso che preclude delle strade.
Più completo mica vuol dire che è migliore! Quello dipende da cosa vuoi fare nella vita.
PS dimostrami nel merito che ho torto, non accusarmi di tirarmela perché ho risposto a una frecciatina ingiusta con la stessa moneta 🙂
Sì, ma allora proprio non vuoi capire.
“Stesso programma” ??? Ma lo sai che lo studio di funzione di cui ti vanti è tipo argomento del terzo anno allo scientifico? Secondo te cosa fanno per altri due?
Forse preferisci parlare di fisica? Infatti dopo Antigone studiavate la teoria ondulatoria della luce, no? Forse il tuo argomento preferito era l’elettromagnetismo, così elegantemente descritto da Maxwell. Purtroppo si tratta di un sistema di equazioni differenziali vettoriali a derivate parziali, e temo che non sia nemmeno lontanamente nel programma di matematica del Classico.
Ma per piacere…
Ma certo che era una stupidata! Non me ne vanto di certo, era per dire che lo studio di funzione lo studiamo pure noi, visto che si è detto che non sappiamo neanche cosa sia 🙂 Ti pare che uno che ha fatto ingegneria si vanta di una stupidata del genere! Certo che è più facile del tema d’esame dello scientifico! Fischia, devi farlo in un quarto d’ora…
Boh, ragazzi, avete fatto uno scientifico stràfico se vi hanno insegnato a risolvere i sistemi di equazioni differenziali alle derivate parziali che si studiano all’università in analisi matematica 3 🙂
Tutte quelle cose che dici, a un livello da liceo, comunque, le ho studiate. Se in tanti istituti non si fanno quelle cose, è perchè i professori perdono tempo, non perchè non siano previste…
Tra i miei colleghi all’università le equazioni di maxwell non le avevano analizzate bene se non a fisica 2, insieme a noialtri 🙂 avevano l’infarinatura e la conoscenza del loro significato, come noi. I sistemi alle derivate parziali sono mezzo corso di analisi 2.
Non è che non voglio capire, è che ho studiato insieme a gente proveniente da tanti corsi diversi, sta grande differenza non l’ho vista. Mio fratello ha fatto lo scientifico, cosa studiava l’ho visto, non dico cose a caso, mettiamola così: magari sono io che ho fatto un classico stràfico con un prof eccellente!
Allora diciamo: lo scientifico ha un programma più completo in matematica (più tempo, quindi più approfondito). Il classico ha una materia in più, è più completo dal punto di vista delle discipline per l’accesso all’università. Il perito e il tecnico è più completo per le dicipline per l’accesso diretto al mondo del lavoro.
Tutti contenti? 🙂
Dai, fischia, un po’ di sano campanilismo e vi inacidite tutti… 😛
Per la cronoca, io ho studiato in un Istituto Tecnico in un corso pensato per chi voleva fare Ingegneria, quindi matematica e fisica coprivano argomenti che arrivavano, più o meno, a coprire Analisi 2 e Fisica 2, ecco perchè cito Maxwell come esempio dalle superiori.
Sono però d’accordo con l’intervento sopra di @Paola…ad esempio un mio compagno dell’epoca s’è poi laureato in Lettere: bene, ma nessuno di noi pensa “visto! l’approccio razionale dei tecnici gli consente di studiare facilmente anche latino, perchè ha imparato a pensare!”. Viceversa, dei rari ingegneri che hanno fatto il Classico voi dite che è proprio grazie al latino o al greco che ha potuto laurearsi…credo vi prendiate un po’ troppo sul serio!
Ma va. Io mi sono laureata perchè ho studiato duro…mica per il greco (che magari mi avrà influenzato nel metodo di studio e ragionamento), quello l’hanno studiato anche i miei compagni che si sarebbero suicidati il primo anno. E io mi sarei suicidata facendo altro 🙂
Bellissima la scuola che hai fatto, se trattava così bene quelle cose!
E’ bello che ci siano questi indirizzi per chi è già ben orientato nella scelta. I licei, nonostante le tipologie diverse, secondo me sono molto meno “indirizzati”.
Mi hai ancor più convinto: chi fa lo scientifico ( ed ho insegnato in entrambe le scuole) esce bello pratico, e non se la tira. Che piaccia o no.
Comunque, a scanso di equivoci, io sto rispondendo a titolo personale, nel senso, io per aver studiato il greco, non mi ritengo superiore (magari dal tono non si capisce, mannaggiammè). Mi spiace se ne ho fatto una questione per il fatto che intendo il termine “completo” con un determinato significato e per il fatto che quello che ho visto scrivere sul mio liceo non corrisponde alla mia esperienza (evidentemente, purtroppo, solo personale, se in tanti sostenete il contrario, il che mi fa essere triplicemente grata al mio professore di matematica e alla mia professoressa di scienze, che applicando efficacemente il programma hanno permesso a me e ai miei compagni di essere così preparati).
Sul tirarsela in generale, però, nel senso di ritenersi superiori in qualche modo, avete ragione, e la cosa non dipende dal corso di studi: spesso sembra che la cultura scientifica non sia tale. Questa cosa è un problema, vedi episodio agghiacciante del medico riportata sotto.
Se non sai cosa ha scritto Plutarco, vergogna! Sei un ignorante, mentre se lo sai pure tradurre, ah! Che persona acculturata, un intellettuale. Se non sai qual è il primo principio della termodinamica, e vabbè, che sarà mai…sono cose oscure, incomprensibili, magari sulla propria ignoranza si ride e si IRride chi invece ne capisce, povero nerd disadattato.
Questo problema però non si risolve definendo inutili le lingue e la letteratura antica e abolendole, ma potenziando l’insegnamento tecnico-scientifico dappertutto, e considerandola cultura generale a tutti gli effetti.
Cioè, bisogna uscire dalla logica per cui chi ha fatto il tecnico non ha “cultura”, e chi ha fatto il classico ha perso tempo studiando cose inutili…perchè, alla fine, il primo principio della termodinamica è molto più fondamentale (nel senso che è un fondamento!) degli scritti di Plutarco.
Nella mia classe è stato possibile, vorrei che potesse essere così ovunque!
Quanto è vero…
Sono d’accordo. Lo dico da “pentita” di non aver scelto il classico. Peraltro i migliori al classico diventano, tra le tante altre cose possibili, eccellenti medici, ingegneri, scienziati ecc… Perché hanno imparato a pensare.
Mi si conceda un tentativo ironico. Studio di un cardiologo quotato di altamente blasonato ospedale nordico. Davanti al referto di un paziente in visita di controllo trova il valore di un esame a 0,12 mentre la volta precedente era 0,8: aumenta il dosaggio del farmaco perché 12 è più grande di 8… (non è una barzelletta). E più di un amico (rigorosamente del classico) rimane indifferente quando gliela racconto… Le persone, per Grazia, sono diverse e le diverse scuole dovrebbero servire per consentire ad ognuno di scoprire i propri talenti.
Non è ben chiaro perché la “restaurazione del cristianesimo” dovrebbe passare solo dal Classico, lasciando intendere che tutte le altre scuole siano per dei senza Dio. L’articolo è un po’ di parte o, come si dice in italiano moderno, “biased”
Infatti non passa da lì, ma dalla t stimo bianca, ringraziamo Dio!
Testimonianza
Il problema è che siamo una colonia americana. Vogliono creare un popolo di consumatori di prodotti elettronici americani, costruiti in Cina, questo è lo scopo dei ‘tablet’. Non vogliono gente che ragiona. Questa è l’amara veità.
Io al figlio n.2 che voleva fare lo scientifico ho proposto di iscriversi in una sezione in cui si fa un’ora di greco la settimana in via sperimentale, -perché? -mi ha chiesto, per leggere i classici in lingua originale, gli ho detto, non puoi non conoscere Antigone tu che hai un desiderio così grande di giustizia. Perché in lingua originale , non posso leggerli in italiano?
Beh non è la stessa cosa se un cannolo lo mangi a Torino o lo mangi a Palermo, o no.
…irrealistico pensare di poter leggere Antigone (addirittura!) in lingua originale
con un ora di greco la settimana! (credo io)
Antigone si legge all’ultimo anno anche al classico , si legge a scuola e i prof aiutano a tradurre. Come sono i cannoli nel Chianti?
Ed il Vangelo in che lingua dovremmo leggerlo?
L’aspirina che prendi per il mal di testa, te lo cura anche se la “ricetta” è tedesca?
Per apprezzare la bellezza delle cattedrali dovremmo evitare che intorno si costruiscano palazzi di un’epoca posteriore? Per quanti km?
Comunque, pizza solo a Napoli e solo margherita…
Velenia.
…non avendo fatto nessun liceo di nulla e mangiato nessun cannolo, se non in Sicilia, non lo so!
Bellissima riflessione, attualissimo per noi che abbiamo appena iscritto il nostro primogenito al LICEO CLASSICO TRADIZIONALE, lo stesso in cui io ho conseguito la maturità nel lontano’96. Ho una gratitudine infinita nei confronti di questa scuola che mi ha formato a 360 gradi, come donna, come cittadina, come persona. Non me ne abbiano gli studenti ed ex studenti degli istituto tecnici ma io non riesco proprio a “ragionare con i ragionieri” tutto un altro mondo 😂. E così tra amici che hanno iscritto i figli all alberghiero specializzato in russo, allo scientifico specializzato in cinese, alla ragioneria specializzata in informatica, noi abbiamo deciso di far crescere Rosario nel più’ classico dei classici. Perche’ in un momento storico,in cui credo la crisi prima di essere economica, e’ umana e dei valori veri, possa formarsi con la consapevolezza della sua ricchezza e del suo valore umano:cosa che noi genitori stiamo ritenendo fondamentale e molto più importante di una qualifica a scopo solo ed esclusivamente lavorativo. Il resto, il futuro, il lavoro, questo sta solo nelle mani di Dio, e cosa c’è di meglio di incontrare Dio scoprendo cosa siamo veramente ?!
Ah ah ah
Per un attimo ho anche pensato che fosse serio…
Non contro il Classico, ma una strampalata idea di classicismo!
<>
Non contro il Classico, ma una strampalata idea di classicismo!
— Piaccia o meno, e nonostante le mille riforme, persino oggi al classico si insegna non tanto greco e latino ma, soprattutto, un modello del mondo che è quello pre-scientifico, pre-moderno. Si insegna un modello del mondo in cui, anzitutto, conta lo status ricevuto e conta la retorica nell’arena publica, conta il saper argomentare la propria posizione e non contano i fatti bruti. Un modello del mondo in cui l’efficienza ed il cambiamento devono sempre cedere il posto alla tradizione ed in cui la logica (che, mi dispiace, è matematica) è secondaria all’opinione e, appunto, all’argomentare. Un mondo nel quale il cambiamento continuo che l’innovazione determina entra solo di sfuggita nel corso di studi perché, alla fine, se si studiano e leggono continuamente cose di un mondo che per secoli è stato uguale a se stesso, al centro del quale c’era l’Europa, nell’ombelico della quale (si fa per dire) ci stava l’Italia, si finisce (in media, sia chiaro) per pensare che non solo era così, è GIUSTO che sia così in secula seculorum. Amen.
Morale: l’allievo/a medio/a acquisisce una visione del mondo ed una cultura che sono esattamente quelle del figlio delle elite borghesi italiane di 90-50 anni fa! E questo, se non sei il solito tipo nella coda destra (del grafico di distribuzione dei talenti) che poi si arrangia da solo, ti segna, per sempre.
È “colpa” del classico? È “colpa” del greco e del latino? L’umanesimo non conta una cippa? odio filosofi, poeti, romanzieri, artisti, filosofi greci e rinascimentali? No. Anzi, mi piacciono assai e li consumo a iosa. Ma sono un lusso, un grande, stupendo lusso. Stupendi beni di consumo per le elite che se li possono permettere e che, per permetterseli, dedicano anzitutto il loro tempo a fare medicine, software, robot, opzioni e via elencando gli orrendumi costosi che questa globalizzazione ci ha imposto invece di godersi il mandolino e le bellezze del Foro… Fa fastidio dover ammettere che Cicerone e Vasari sono un lusso mentre l’informatica, la contabilità, le nozioni base di ingegneria meccanica ed elettrica sono OGGI una necessità? Sono veramente desolato, cari difensori della tradizione, ma un antipiretico, terribile prodotto della modernità scientifica, potrebbe forse aiutare a superarlo quel fastidio ed a osservare i fatti per quel che sono.
al classico vanno (o sono andati) in grande maggioranza i figli e le figlie dell’elite che, in Italia, è particolarmente auto-perpetuante, e questo conta. Insomma, il classico è, in media, la scuola dell’elite, cioè di quel 10% che, in ogni generazione, copre poi i ruoli più o meno dirigenziali nei vari settori. Il punto è che, poi, quelle scuole le elite le formano, gli danno una cultura, delle capacità professionali e cognitive, una visione del mondo, del loro ruolo, di ciò che serve o no, di ciò che conta nella vita o meno. Ma queste persone avranno a che fare con il mondo di ora e non dell’altrieri – è bene conoscano il mondo odierno (e le lingue che vi si parlano, ah le lingue straniere…), le regole che lo governano, le scienze e le tecniche che lo reggono. E, soprattutto, ne acquisiscano la logica, il modello, la visione. Che non è quella dello status ereditato, che non è quella del lei non sa chi sono io, che non è quella dell’elegante locuzione, che non è quella del tanto tutte le opinioni sono uguali e vale quella che meglio si argomenta, che non sono quelle del grande passato dietro alle spalle – ma del grande futuro che ti costruisci, che sono quelle della responsabilità individuale e del chi sbaglia paga, che sono quelle dell’innovazione, della competizione, della mobilità sociale e culturale in un mondo globale ed eterogeneo…
…bravissimo fortebraccio! Proprio così!
Il pistolotto sopra l’ho preso (ed un po’ riadattato) da:
http://noisefromamerika.org/articolo/aboliamo-classico
Ah, Matteo, peccato che tu ti sia dimenticato di Euclide!
A proposito, cosa c’era scritto sulla porta d’ingresso della Scuola d’Atene?
Oh, sarebbero anche 750 anni della nascita di Dante…
Alcune riflessioni sensate, anche se espresse in modo estremo e ideologico (sennò, secondo Fortebraccio, non le avremmo capite), ma ricordo che la formazione personale non si esaurisce con la scuola superiore; c’è anche l’università, dove tanti studenti “classici” scelgono facoltà scientifiche, e viceversa.
Ho cercato di preservare il testo (accorciandolo) anche nel tono (nell’originale è giustificato da una premessa che ho omesso per brevità). Può essere che non sia riuscito a riassumerlo al meglio , e me ne scuso (ma del resto ho citato la fonte per permettere di poter consultare la discussione completa – e molto più articolata).
Il testo di Donadoni contiene un’assunto: si diventa cittadini durante i cinque anni di liceo (scuola superiore). La miglior formazione è quella classica.
Pensando a come siamo messi, avrei voglia di chiuderli a giugno, ‘sti licei.
E se penso allo studio della seconda lingua… Ma facciamo una cosa: lasciamo che i genitori scelgano se dedicare quelle ore (in prima elementare ben 2) a religione o a inglese: vediamo che succede… Magari poi scopriamo che gli oratori si popolano di frotte di ragazzini per recuperare la dottrina “bucata” durante il giorno, chissà!
Comunque cio’ che conta e’ quale fosse la percentuale di iscritti al classico fra i laureati nati tra il 1930 ed il 1974 circa. Perché quella, ossia chi oggi ha fra i 40 e gli 84 anni, e’ la classe dirigente italiana attuale! Non altra.
Tra le altre, quella è anche la classe degli insegnanti, gli attuali formatori.
Lo spirito critico si apprende facendo ricerca per davvero, sia essa in biologia o in glottologia o in matematica o facendo impresa in un ruolo o nell’altro. Poi si affina, al piu’, leggendo, andando al teatro, musei e al cinema. Non basandosi sull’Abbagnano, il Sini, o come diavolo si chiamava il manuale di filosofia.
(E sì, l’università andrebbe rasa al suolo (e rifatta), ma solo dopo la scuola superiore. In ogni caso, prima, va prevista una specifica formazione post-universitaria (tipo PhD) per chi voglia fare l’insegnante ed infine stabilito un serio (e semplice) metodo di valutazione degli insegnanti (di ciascun ordine e grado), in modo da mantenere sempre “viva” la selezione)
Ah, la nascita di Dante. Mi chiedevo il perché di quello spreco di pellicola intitolato “La solita commedia”…