Saga barbarica

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È la mancanza di attenzione, nella vita, l’origine di ogni disgrazia.

Giovanni Lindo Ferretti, Reduce

di Daniela Bovolenta 

Storia, geografia, liturgia.

Il nuovo libro di Giovanni Lindo Ferretti, Barbarico, edito da Mondadori nel novembre 2013, sgretola la cappa del presente, riflette con pazienza, con sguardo attento, negli anni, sul luogo e il tempo, geografia e storia, riti e preghiere.

L’indice dice già molto. Tre sezioni: ORA (Lodi, Vespri, Compieta) LEGE, ET LABORA (Viaggio in Italia, Audaci imprese, Viaggio a Roma).

Storia, geografia, liturgia.

La mia fiducia nelle capacità e possibilità dell’umanità oscilla tra l’applicazione della regola benedettina: ora, lege et labora e il buon senso tradizionale. Non credo che telefonando, fotografando, in rete collegati ed informati cresca di un’oncia la meraviglia del mondo.

Esaurita, in gran parte, nei libri precedenti la storia individuale e familiare, ora il tema si allarga a storia di popoli, liguri, etruschi, longobardi e bizantini, Incarnazione, invasioni, inculturazione, sangue di diversa origine che converge nella Bella gente d’Appennino, titolo del libro precedente.

Generazioni di popoli montani, stagioni, preghiere, feste, animali, stalle, sudore, fame e fatica.

La storia si fa lentamente geografia, la geografia si fa storia, luoghi di montagna, inverni rigidi, isolamento, carestie e guerre, eserciti che passano e monaci che restano, venti che hanno un nome, sentieri d’altitudine.

Storie di famiglie che si snodano nei secoli, storie di preghiere ripetute sotto lo stesso cielo, i detti sulle stagioni, le Maestà agli incroci dei sentieri, i matrimoni e i funerali.

Matrimoni e funerali scandiscono l’esistenza delle famiglie. I matrimoni sono, nella gioia, promessa di nuova vita e in questo fondanti le comunità. I funerali sono, nel dolore, promessa di vita eterna e in questo rinsaldano le comunità dispensando grazie necessarie a chi resta. La famiglia presiede le necessità vitali della persona, la Chiesa presiede le necessità vitali della comunità; Chiesa e famiglia, istituzioni banalizzate, derise, osteggiate, sono i due poli su cui si attesta la difesa dell’umanità nel nostro tempo. Contro l’attacco mercantile che negando l’anima riduce l’uomo a materiale organico da laboratorio genetico; contro l’attacco spiritualista che scarnificandolo lo riduce a sentimento mutevole.

Giovanni Lindo Ferretti non si sottrae al tempo in cui vive, ma lo osserva da lontano, di traverso, uno sguardo lungo di secoli e stretto d’orizzonte. Preferisce vedere il presente da una stalla (luogo in cui il mondo si è incantato, a Betlemme), con l’odore dei cavalli e montagne spopolate, invece di immergersi nelle vite senz’anima delle città.

Mi ritrovai in una grande casa, umida, fredda, poca luce e molti spifferi e arrivò la musica che non pensavo: il canto della Creazione.

Tumultuoso con vento e bufera, attutito dalla neve, rarefatto nel gelo, noise con le poche attività umane: una motosega, una macchina, un trattore.

Trovare rifugio può essere la sola possibilità cercando di santificare e non dannare i propri giorni. Alzare lo sguardo al cielo, allargarlo alla terra è già tracciare una croce, simbolo di morte sostanza di rinascita.

Ferretti sa il presente, non si illude:

Ovunque il trapasso di civiltà assume la connotazione di crisi economica ma è mutata, sta mutando, la condizione umana. È la prima vera crisi antropologica dell’uomo. Il laboratorio genetico si offre come quintessenza di libertà e si struttura come industria. Ricerca, produzione, commercio. L’ultima frontiera delle merci è l’uomo: materiale genetico in atto. Sfugge all’uomo l’imprevedibile conseguenza delle proprie azioni.

Ma ha scelto il suo luogo nel mondo:

Io per parte mia lego il mio destino, per il tempo che mi è concesso, a questo pugno di monti, a questo orizzonte su cui ho aperto gli occhi.9788804632252-barbarico_copertina_piatta_fo

Conosce i luoghi, i gesti, dove avviene l’essenziale:

Sono poche le persone che conosco, a cui voglio bene, che insegnano, hanno insegnato le preghiere ai propri figli: non le conoscono proprio o hanno voluto dimenticarle come ingombranti residuali di secoli bui. Si è interrotta una trasmissione che perpetuava una storia travalicante secoli e millenni: da Adamo all’ultimo nato. Tutt’al più trasmettono buoni sentimenti fluttuanti nel vuoto, ombre di scimmie sullo sfondo […] Niente preghiere per i bimbi, niente storia, niente geografia, niente poesia, niente da imparare a memoria perché indispensabile. Si comunica la comunicazione e non si conosce la comunione.

La vita è delle famiglie, nelle famiglie, minarne le ragioni economiche, sociali, spirituali è minare la condizione umana.

Ritorna alla storia, quella che ha forgiato gli uomini, i popoli che eravamo, le lingue che parliamo:

La condizione umana cresciuta nell’incontro di tre percorsi che si possono ricondurre a Gerusalemme, Atene, Roma pare aver esaurito la propria spinta propulsiva (!) e in odio a sé, alla propria storia, brancola in un indistinto primordiale in cui tutto si equivale o tende ad una perfezione disincarnata, virtuale.

Una civiltà che si è affacciata alla storia con graffiti propiziatori alle potenze percepibili, affinata ed innalzata da un da un artigiano eccelso e un pensiero ragionevole, è culminata nell’apoteosi dell’arte e sull’artista è crollata. Una disfatta che è odio di sé e della propria storia.

Il mondo nella sua vastità con tutta la quota di male e di dolore che vi alberga e ogni singolo cuore che lo riverbera contengono più gioia e bellezza, più luce, di quanta ne possa contemplare la migliore struttura sociale che tutt’al più ne regolamenta un vago bagliore. L’umiltà, la riconoscenza, la compassione sono misure di grandezza che contraddistinguono l’uomo e non impediscono, al contrario sostengono, la sue sete di conoscenza e di senso.

Ma, con forza, Giovanni Lindo Ferretti, passa a una riflessione quasi cosmologica (incrocio qui le sue due ultime opere, il libro Barbarico e l’opera Saga, opera di Teatro Barbarico Montano per cavalli e cavalieri), perché nel cosmo, per primo, si vedono le tracce di Cristo. Uomini barbari guardano al sole che sorge e che tramonta, al mistero del firmamento, alla bellezza come segno indelebile del Creatore. Il suo discorso si fa allora liturgico, mi stupiva l’assenza del latino da tutti questi ragionamenti, fino a che non ho ascoltato Saga e l’ho trovato.

Agenti del sacro sono sacerdoti e monaci e liturgia dei sacramenti e delle ore è il loro ambito e compito. Tra la potenza e lo splendore della liturgia, che anticipa e richiama i Cieli attestandone anelito e distanza, e il perpetuarsi del mistero della vita in ogni non ancora-nascente-nato al mondo, sta lo spazio dell’arte e la sua storia. La bellezza è ciò che la qualifica, la verità la rende doverosa e indispensabile.

Se la Chiesa cattolica riduce la liturgia a funzione assembleare, bramosa di orizzontale ed appagata in questo, si rende estranea e superflua all’arte oltre  rendere un pessimo servizio agli uomini a cui non resta che snocciolare incrementandola la sequela dei diritti.

Se il sacro sparisce, sparisce l’arte.

Eppure dell’arte non coltiva il mito moderno dell’artista ultra-umano, ha piuttosto una visione romanica, devota e collettiva:

Sia scoraggiata l’arte, con amore e benevolenza in tenera età, poi osteggiata. Si incoraggino i giovani nell’artigianato, nel sapere materiale, nelle capacità manuali. L’idea del libero sviluppo artistico delle personalità, tanto cara alla mia generazione da essere diventata un dogma, si presentava, in teoria, soluzione ovvia e molti mali che affliggono l’umanità. Basta guardarsi intorno, faccia a faccia con individui la cui personalità si è sviluppata liberamente, per non perseverare oltre.

I cavalli, se capisco bene, in tutto questo s’inseriscono come tratto distintivo, come principio materiale che sviluppa un’etica e un’estetica (non a caso: la cavalleria!):

In una manciata di millenni l’uomo ha costruito la propria storia, l’ha voluta civiltà; ha sviluppato la propria dimensione psichica e comportamentale avvalendosi della complicità di un animale che facendosi cavalcatura ne ha potenziato le doti fisiche: l’ha fatto più alto, più veloce, più potente; l’ha fatto cavaliere.

Nei suoni e nelle immagini di Saga, questa estetica barbarica inculturata è ben visibile, ma non si ferma a una nostalgia del passato, conservando uomini e cavalli, famiglie e preghiere, si prepara per il futuro.

E in questo, è mia convinzione, hanno importanza gli incontri con gli uomini, specie se testimoni.

Il libro si conclude con un “Viaggio a Roma”, alla Chiesa Nuova di San Filippo Neri e di padre Maurizio Botta, C.O., una vecchia conoscenza di questo blog:

Padre Maurizio mi fa partecipe con un abbraccio della compassione, della misericordia che l’hanno travolto e di cui ogni santo giorno rende merito, inchiodato nel suo confessionale, perché a nessuna colpa, a nessun dolore sia negata la speranza e ad ognuno sia concesso di aprirsi al perdono, alla grazia.

 Ci sono persone che custodiscono, tramandano, vivificano tesori e grazie, vero patrimonio immateriale dell’umanità di cui il patrimonio materiale è diretta conseguenza; un narrare per opere e manufatti di cui Roma è approdo e Gerusalemme origine.

N.B.: Tutte le citazioni in corsivo sono tratte da Barbarico, di Giovanni Lindo Ferretti, Mondadori, Milano 2013.

***

 leggi e guarda anche

Ritorno a casa 

Il senso del cavallo e della stalla per Giovanni Lindo Ferretti su IlFoglio.it

18 pensieri su “Saga barbarica

      1. Ha fatto venir voglia di leggerlo anche a me (e in questo particolare momento, non è un’impresa da poco, credimi…). Grazie, non sai quanto 😀

        1. Molto ma molto affascinante, almeno a giudicare dal titolo: e capita proprio a fagiolo, ora che si sta “riscrivendo” la storia dei cosiddetti “barbari”, scoprendo che non erano affatto quei buzzurri dagli elmi cornuti che abbiamo conosciuto alla scuola elementare. A partire da quelli più conosciuti in Italia: i Longobardi.
          http://ilpalazzodisichelgaita.wordpress.com/2013/08/15/i-longobardi-conquistatori-sfortunati-in-crisi-didentita/

  1. …tutti meglio, anche i longobardi, eccetra, degli “invasori ” di ora, sui quali vi invito cortesemente, visto che admin me l’ha cancellata, a leggere l’ultima “preghiera” di Camillo Langone (dove compare anche Giusy)!

    1. Giusi

      Ha perfettamente ragione Langone! In realtà io all’anagrafe mi “intitolo” Maria Giuseppa come la nonna paterna. Da piccola mi chiamavano Giuseppina (in famiglia mi chiamano ancora così). Giusi è saltato fuori a scuola: gli amici non ti chiamano Giuseppina è troppo lungo e poi è rimasto. Non mi fa impazzire. Tornassi indietro mi farei chiamare come la più bella tra le donne: Maria. Ma ormai: cosa fatta, capo ha. Ma perchè poi Admin ti ha cancellato quella preghiera? Chissà cosa avevi aggiunto…..

      1. Giusy:
        Però il (cosiddetto) relativismo insegna, almeno, a vedere le cose nella loro giusta prospettiva, storica cronologica, come minimo. Pensa un po’ te come se la saranno vista tutte le Marie d’Italia quando arrivarono questi popoli foresti…

  2. Blueiron

    Blueiron

    GLFerretti è un’ulteriore dimostrazione di quanto il percorso di fede possa valorizzare tutto, compreso il suo indiscusso talento artistico. Il contributo che può si può esprimere attraverso il linguaggio delle arti e della cultura, è notevole e invita tutti i cattolici a tenere vivi e a rinnovare i talenti, sdoganandoli dalla funzione narcisistica e mettendoli al servizio degli altri e dell’evangelizzazione.

  3. “GLFerretti è un’ulteriore dimostrazione di quanto il percorso di fede possa valorizzare tutto, compreso il suo indiscusso talento artistico”

    Indiscusso?.

  4. Blueiron

    Indiscusso e lo ribadisco! Perchè quando si esprimono contenuti attraverso il linguaggio artistico più congeniale (musica, letteratura…) e si comunicano non solo emozioni ma anche valori condivisi o condivisibili, vuol dire che il talento c’è. Può piacere o meno, ma questa è un’altra cosa e non mi interessa, almeno in questa sede, entrare nel merito.

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