di Francesca Nardini
Noi tutti avremmo molto da imparare dall’esperienza di scrittori, filosofi e pensatori. Il lavoro degli intellettuali è fatto di pause, riprese, arresti improvvisi anche lunghi, e momenti di grande ispirazione proprio come quelli di chi vive una vita comune, apparentemente meno “alta”, meno interessante; non andrebbero, i grandi scrittori o i poeti, visti come personaggi al di fuori del mondo reale – quel certo cliché che viene a volte rappresentato efficacemente nei film, per cui chi scrive è generalmente un ozioso con la testa per aria.
Avremmo da imparare molto da questa categoria di lavoratori (nella quale brillano alcuni astri molto più di altri, si intende) proprio perché nel loro intimo rapporto con le esperienze di vita non sono immuni alla tristezza, all’indecisione, agli intervalli apparentemente “morti” tra un colpo di scena e il successivo, esattamente come accade ad un impiegato, ad un insegnante, al calciatore, alla mamma. Infatti, quello che si potrebbe mutuare da loro è il saper sfruttare questi momenti di improduttività.
Sembrerebbe che esista una relazione curiosamente proporzionale tra le condizioni sfavorevoli e lo sviluppo del genio. Andando per gradi, lasciandoci guidare dal pensiero di Jean Guitton, fermiamoci a riflettere per un istante sul significato, sulla portata eccezionale del binomio avversità-riuscita. Molti grandi uomini si sono fatti strada nel mondo e nella storia partendo da condizioni piuttosto difficili: Mozart visse un’infanzia quasi completamente anaffettiva, Nurajev dovette lottare e scappare dalla repressione del regime sovietico, Pascoli subì il dolore della morte del padre.
Gli esempi potrebbero essere molti di più, in sostanza per questa gente le basi di partenza non erano esattamente i presupposti ideali per quanto realizzarono successivamente, o come meglio esprime Guitton: “Non è a causa, ma spesso malgrado quella educazione, che essi sono potuti crescere”.
Per cui sarebbe opportuno riflettere su cosa comunemente viene considerato propizio nell’ambito dello sviluppo della persona: ci si preoccupa, ed è sacrosanto, di procurare ottimi insegnanti ai propri figli – chi ne ha avuti, certamente ha percorso con maggiore agio le tappe.della propria istruzione; ci si sofferma ultimamente a studiare un’alimentazione Bio per il proprio benessere così come ci si auspica di aver tra le mani un buon medico di base, attento e perspicace. Tornando sui fanciulli, se le condizioni economiche lo permettono, si fa di tutto per tenerli impegnati in attività extra scolastiche, a volte sperando di essere i genitori di un nuovo Mozart o del successore di Totti, se possibile.
Ma si conoscono veramente le condizioni propizie per quel fanciullo e per il suo futuro? Si è davvero in grado di stabilire cosa lo aiuti e cosa no nella sua crescita, cosa dargli e cosa risparmiargli? A questo punto la coscienza credo si spacchi in due dubbi: da una parte è chiaro che che una prosperità sotto vari livelli (economico, relazionale, logistico) è potenzialmente un buon terreno, anzi ottimo, nella crescita di una persona; dall’altra, quelle falle, quelle mancanze tanto temute e viste di cattivo occhio sono state nella storia in molti casi l’input decisivo, la sorgente feconda delle più brillanti e famose personalità. Di fronte ad un simile dato di fatto ci si dovrebbe davvero domandare cosa sia successo in quei casi, quale misterioso meccanismo si sia innescato all’insaputa di tutti quelli che osservavano dall’esterno. Cosa è veramente una mancanza, un elemento sfavorevole o un’occasione irripetibile?
Guitton sostiene che “questa mancanza dell’oggetto esteriore fa sorgere dentro di voi un impulso che lo sostituisce, è l’io che subentra alla cosa. È il genio”. Ossia ciò che ad un occhio scrupoloso e preoccupato risulta essere una carenza da colmare con qualcosa (nel peggiore dei casi, con niente) può in realtà costituire il trampolino di lancio di una persona determinata a riuscire, in quanto richiede che le sue risorse interiori escano a riempire quel vuoto: se ciò accade, si è di fronte ad un “cammino di rinnovamento di sé e del mondo”, un’azione positiva non solo per chi la vive in prima persona ma che benedice anche tutti coloro che guardano.
Continua ad osservare Guitton che, spesso e volentieri, se si dovessero attendere le condizioni perfette per agire non si comincerebbe mai. Potremmo trasportare il discorso sul piano dei piccoli uomini e piccole donne che siamo: proprio come un André Vincentaire che scrive una delle sue opere maggiori nel trambusto di un caffè, o come un Anatole France che ricerca disordine e confusione per mettersi a scrivere (mentre nel silenzio riesce soltanto a leggere, dice lui), così si può imparare a fare una torta con le dosi sbagliate perché la farina non è sufficiente e fuori piove, scoprendo che la torta è invece buonissima proprio perché l’impasto è rimasto sorprendentemente fluido e chi poteva immaginarlo. Allo stesso modo, i direttori spirituali consigliano spesso di dire un rosario detto male, ma di dirlo piuttosto che aspettare il momento di dirlo come si deve.
C’è evidentemente una sapienza nello sfruttare le condizioni avverse che supera la logica cui si è abituati – la logica del fare bene che pure non va buttata via. Il problema è che una logica non sempre applicabile non è una buona logica di vita: porta a distinguere la bontà delle situazioni con un metro talvolta sballato. “Le condizioni più favorevoli non sono sempre le migliori, dato che l’uomo bistratta ciò che ha in abbondanza” chiosa tagliente Guitton. Lo spirito e il cammino che esso compie si nutre spesso anche di ciò che è mediocre, come sussura Teresa “Je préfère la monotonie du sacrifice”, Teresa che aveva già scelto il meglio, avendo assaporato l’esaltazione del quotidiano.
Tutto ciò può purtroppo essere travisato e preso per lassismo, rassegnazione, un ragionamento studiato ad hoc per consolarci un po’. Io invece considero una volta di più Jean Guitton come un luminoso educatore, un apri-pista temerario da seguire assolutamente per scoprire, ognuno nell’intimo, quante occasioni d’oro sono nascoste nel quotidiano apparente non-potere, non-riuscire, non-avere.
Il prefisso “non-” è un ottimo segnale per nostre aspirazioni più grandi.
Credo che sia necessario in ogni caso un grande amore. Non si conosce che ciò che si ama, ed è l’amore, perfino nelle sue forme più banali, come può essere l’amore per la musica per Mozart o quello per il calcio per Totti (lì dove lo sport diventa arte) che ci fa fare la fatica necessaria a tirare fuori quel genio necessario a colmare il gap delle possibilità, come giustamente dice Guitton, e del resto senza amore anche se fossimo posti nelle condizioni migliori e avessimo tutte le risorse a nostra disposizione non sapremmo mai andare oltre la mediocrità, perché ogni apprendimento, da quello della grammatica o della geometria fino a quello della vita spirituale richiede sacrificio. sacrificio che nessuno è diposto a compiere senza amore.
Verissimo caro don Fa’, come diceva anche sant’Agostino (vado a memoria: “non si conosce se non nell’affezione”).
Con l’occasione suggerisco a tutti un libro di Jean Guitton, che tuttora ricordo con commozione e riconoscenza: “Il lavoro intellettuale” Ed. San Paolo.
Buona giornata a tutti! 😉
Credo che Dio non lasci soli i suoi figli e, soprattutto nei casi più disperati, riesce a tirarli fuori alla grande da situazioni impossibili come molte storie di vita insegnano. Certo, questo non può esimere i genitori dall’impegno di impartire una buona educazione che ovviamente dovrà essere equilibrata e onesta. La cosa più difficile, per i genitori benestanti è quella di insegnare le rinunce e il sacrificio e, in questo caso la ricchezza diventerà un gap.
Questa riflessione a mio parere lascia un po’ il tempo che trova. Per un Totti o un Pascoli O un Mozart (che comunque era un benestante) ce ne sono altri milioni che non riescono. Per un Samuel Eto’o che guadagna miliardi ci sono millioni di bambini africani che in situazione di disagio psico-fisico nascono e muoiono. Le situazioni avverse possono essere scintilla dove trovano una personalità adatta che sa recepire lo stimolo e farne motivo di riscatto.
Io sarei per lavorare su quelli che non ce la fanno e creare condizioni più favorevoli per tutti. Preferisco una società dove tutti stanno mediamente bene, economicamente e affettivamente, che una società dove non si vive bene e che ogni tanto produce un genio.
Preferisco periferie dove i bambini crescano con dei valori sani senza diventare dei geni. La condizione del non potere, non avere, non riuscire è insita all’uomo in quanto mai soddisfatto per cui, sperimentando tale condizione, siamo tutti potenziali geni.
Non credo che c’entrino le classi sociali o la ricchezza o la povertà. Credo che l’autrice di questo post faccia un discorso trasversale che ha un fondo di verità. Effettivamente chi ha tanto molte volte non si adopera e non impiega appieno le proprie capacità. Invece da una mancanza che può essere economica, affettiva o di altro genere può scattare la molla del riscatto. Mi viene in mente una ragazza giovane che conosco che non ha avuto una vita facile: mamma fragile, padre assente per problemi psichici, non è stata mai protetta, ha fatto da madre a sua madre: ebbene è venuta su equilibrata, positiva e allegra perchè ha scelto di non soccombere. Certo non è sempre così. Il genio poi è un optional, se è genio viene fuori comunque dalle periferie o dai castelli.
Potrebbe essere così. Ma non mi spiego come intere masse che vivono queste condizioni di disagio permangano in quelle condizioni. Anche lei cara giusi parla giustamente di UNA ragazza. Anche io ne conosco QUALCUNO. Rimangono comunque pochi di fronte ad un grido di disagio collettivo.
Credo il cuore del discorso sia un altro. Questo articolo forse lo sottende, ma forse ci “gira” troppo intorno, non arriva diretto al punto… o forse mirava ad altro che io non ho compreso.
Ma la riflessione, meglio, la rinnovata certezza che in me stimola, è che senza la difficoltà, il limite, il fallimento, la prova, non si cresce, non si progredisce, non si muta, non si cambia mai direzione, non si fa mai esperienza. Anche, ma non solo, nella propria Fede.
Fuori di ogni metafora, senza la CROCE, non si percorre alcun tipo camino.
Vale per il “genio” come per il più umile e semplice degli Uomini.
Oltre alla Croce c’è l’ “inquietudine”, quell’inquietudine che ha portato animi particolarmente sensibili, a ricerche quasi spasmodiche, dentro a fuori di sé. Tanto spasmodiche queste ricerche, quest’inquietudine per la MANCANZA, che ha portato alcuni sino all’autodistruzione. Perché la Mancanza, quella profonda, quella esistenziale, è la mancanza di un Senso, di una Risposta, di un Perché… è quella sete di Infinito che tormenta l’Uomo (come ci ricorda Sant’Agostino) sinché non riposa in Dio.
Alla Croce la risposta è la RESURREZIONE. La Resurrezione di Cristo, la possibilità grazie a Lui, di poter sperimentare questa Resurrezione in noi, ogni giorno, ogni momento, in ogni Croce. E’ ciò che da senso ai nostri fallimenti, alle nostre sofferenze, ai nostri limiti, alle nostre debolezze, anzi è ciò che fa di questi “buchi neri” della nostra esistenza, i punti più luminosi, punti di forza e di svolta dove incontriamo l’Amore di Dio e abbiamo la prova della Sua Esistenza.
Ciò risponde anche alla Mancanza, alla nostra inquietudine profonda, ma soprattutto ci dà “i mezzi” e lo zelo per annunciarlo a chi questa inquietudine ancora sperimenta, a volte nei modi più terribili. E’ LA risposta, per iniziare un cammino dove poi incontrare Cristo e fare esperienza della Morte e Resurrezione.
Il punto focale toccato dall’articolo verte ancora una volta, sulla tematica dei figli e della loro “educazione alla vita”.
L’inganno profondo in cui ognuno di noi Genitori può cadere, per un amore viscerale ben comprensibile, ma che ci rende a volte miopi, è quello di essere spinti a preservare i nostri figli dallo sperimentare qualsivoglia tipo di delusione, di amarezza, di fallimento, di precarietà (che non è solo economica), di umiliazione, privandoli così dell’esperienza fondamentale della Croce. E invece di indicare loro il Cammino, forti e testimoni della nostra stessa esperienza, li priviamo della possibilità di un incontro serio con Cristo e Cristo Risorto.
La Croce la incontreranno, non possiamo farci nulla, e verrà il giorno in cui noi non saremo lì a far loro da scudo e l’esperienza sarà ancor più dura, e ne potrebbero uscire scandalizzati.
Guardiamoci intorno… questo è il male profondo di gran parte della Gioventù di questa generazione, causato dalla travisata concezione di ciò che è “buono” per le loro vite e per la spasmodica corsa a coprire ogni loro inquietudine, con un’abbondanza di “cose”, che soffocano il senso della Mancanza.. la mancanza di Dio nella loro vita.
“grido di disagio collettivo”…mi sembra retorico e astratto; infatti non ti spieghi “come intere masse (…) permangano in quelle condizioni”. Io lo spiegherei anche con il fatto che ci sono milioni e milioni di risposte uniche e individuali, tante quante sono le persone nel mondo, che fanno i conti con la realtà, inquinata da ogni tipo di male.
Carlo se vuole posso trovare dei sinonimi. Non lo trovo meno astratto dell’articolo. Il mio “non spiegarmi” era un tentatiivo di confutare la tesi dell’articolo e cioè che la condizione di “mancanza”, sia terreno fertile per la nascita di geni. Per me non lo è se non a livello di qualche individuo singolo. E finchè la risposte continueranno ad essere tante quante sono le persone del mondo si muoverà ben poco…
Roberto S.:
…sono d’accorco, non credo che avere una croce sul groppone sia condizione “favorevole” al sorgere di persone geniali, come non credo sia più positivo (per il genio)non ci avere nessuna croce (se lo fosse possibile).. Come invece sono certo meglio croci sul groppone non avercele, di nessun genere,!!!
Carlo:
…voglio sperare che tu voglia intendere “ogni tipo di male” come di fatto le comuni, purtroppo, difficoltà di ogni genere, “endogene e esogene” (!), contro cui tutti ci troviamo a lottare durante la vita.
Roberto S.: ma che cosa dovrebbe muoversi? Era l’eresia comunista ( di cui per vent’anni sono stato un fervido credente anch’io), a voler unire i proletari di tutto il mondo…queste masse di affamati dovrebbero unirsi…ma contro chi? Chi è il cattivo affamatore del popolo? L’occidente è diventato prospero (in ogni senso) e fonte di civiltà, quando ha accolto e proclamato Cristo. La conversione del singolo cuore, dei singoli cuori, ha fatto la rivoluzione. Una rivoluzione…preterintenzionale! Parallelamente la nostra società rischia un’involuzione proporzionale al suo allontanarsi da questa luce. La fame e la miseria, sono anche in parte frutto di politiche ed economie ingiuste ma l’origine vera è in quella forma di male individuale che si chiama egoismo, sopraffazione…ancora più in fondo c’è la paura di morire…
continuo anche per filosofiazzero: “ogni tipo di male” per me è questo…100 cuori battono grazie ad un meraviglioso e raffinatissimo congegno (questa è la creazione), 1 cuore va in fibrillazione ventricolare e si ferma (questo è il male).
Secondo me l’ esempio è sovrapponibile ad ogni altra situazione, dai rapporti affettivi a quelli economici, politici ecc.
«… la nostra società rischia un’involuzione proporzionale al suo allontanarsi da questa luce.»
Consonanze dal web: http://www.lanuovabq.it/it/articoli-poveri-e-felici-contro-ogni-previsione-5744.htm
@ senm_webmistress
Grazie per il link, molto appropriato!
ah, per la cronaca, ecco fra poco dove si arriverà a furia di negare la ragione:
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-e-ora-vogliono-sdoganare-la-pedofilia-5742.htm
E ora vogliono sdoganare la pedofilia di Roberto Marchesini
Finalmente ci siamo. Parliamo dell’uscita della nuova edizione del DSM ( Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) il manuale diagnostico più famoso del mondo, prevista per il maggio 2013.
tanto, “Anche gli animali lo fanno, quindi è naturale”; “Lo facevano anche gli antichi Greci”; “Kinsey ha dimostrato che è normale”.
buona lettura
@Roberto S.
Anzitutto grazie per l’intervento.
Certamente il post, che si limita a rielaborare il pensiero del grande scrittore, provoca la nostra coscienza più di quanto ci si aspetti: nasce infatti come una lezione sull’esercizio della scrittura e, sorprendentemente, ci costringe a fare un discorso molto più ampio. Ma questo rientra nel genio di Guitton appunto, per cui vale la pena stare al gioco.
Trovo, personalmente, che si sia un po’ confuso il genio con la fama (vedi meglio una società in cui tutti stanno mediamente bene che una in cui c’è povertà e in cui uno su mille ce la fa..), forse gli esempi da me portati si prestavano facilmente a questa associazione di idee. Il punto invece è un altro, e ho tentato di metterlo in luce con la mamma che fa la torta con meno farina: cosa c’è di sensazionale in una torta? Te lo dico io: niente sul piano della fama, ma tanto, tantissimo sul piano del genio che, in questo contesto, è vivere la propria vocazione. Il cuore del discorso è centrare la propria vocazione, radicata nell’amore, che è talmente potente da superare ogni difficoltà.
Per questo motivo non preoccupano le condizioni esterne, i mezzi, le possibilità economiche: abbiamo a che fare con un processo di sviluppo, innescato dall’Amore (quello del Vangelo), che non ha bisogno affatto di situazioni umanamente più favorevoli e che è accessibile a tutti. A tutti.
Da ultimo: tu saresti per “lavorare su quelli che non ce la fanno”, e chi non lo è? Pensi di essere originale? 🙂 permettimi la battuta, ce n’è di gente che lo fa mentre noi scriviamo sul blog.. Quando faccio ripetizioni ho a che fare non con piccoli Einstein da scoprire ma con semplici ragazzi in difficoltà. È grazie a questa apparente non-bravura, non-successo, che mi è venuto il santo dubbio: qui, in questo fanciullo, c’è un tesoro che il mondo non vede.
Spero di aver stimolato questo dubbio, malgrado il mio stile letterario un po’ alla buona XD