di Andreas Hofer
Ci si può fare un idolo persino della verità, perché la verità, scissa dalla carità, non è Dio: ne è soltanto l’immagine, un idolo che non dobbiamo né amare né adorare (e tanto meno dobbiamo amare e adorare il suo contrario, ossia la menzogna.
(Blaise Pascal)
Parole come “certezza” e “verità” non godono di buona stampa nel nostro mondo. Viviamo, è ampiamente noto, in una “civiltà ipotetica” dove ogni convinzione reca il marchio della provvisorietà e che, per contrasto, sembra nutrire una fastidiosa allergia per ogni forma di “pensiero forte”. Tanto che, come ha scritto qualcuno, la minaccia attuale in campo religioso non è certo più l’intolleranza, ma il suo calco rovesciato: un indifferentismo mascherato da “tolleranza”. Sembrano essere davvero giunti i tempi della “religione dell’umanità” annunciata da Robert Benson, una religione infinitamente “dialogante” desiderosa unicamente di trovare il consenso di tutti e di accantonare ogni divergenza, vista come il male radicale. Carità senza verità, misericordia senza giustizia: è l’insidia idolatrica che la penna tagliente di Nicolás Gómez Dávila ha denominato «tentazione della carità», contrastata con limpida decisione da Benedetto XVI nella Caritas in veritate. «Senza verità», scrive il papa, «la carità scivola nel sentimentalismo. L’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell’amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario. La verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale».
La tentazione della verità
Reagire alle seduzioni dell’idolo è cosa naturale, in uno spirito sano e vitale. Occorre però scansare l’agguato di una nuova e speculare idolatria, sapersi guardare da un’altra minaccia, e non di minor conto: la tentazione della verità, ossia la verità separata dalla carità, che altro non è se non risentimento travestito da ideale di giustizia.
Un’ira immoderata può condurre, in spiriti eccessivamente polemici, a cadere in quella che Thomas Merton ha chiamato la «teologia morale del diavolo»: verità senza carità, giustizia senza misericordia, sono questi i momenti fondamentali, dice Merton, al cuore di questa perversa «teologia del castigo, dell’odio, della vendetta» in cui «non l’amore, ma il castigo è il compimento della Legge».
A voler combattere l’idolo senza aver prima ingaggiato una lotta con se stessi si rischia infatti di diventarne la copia uguale e contraria. Ci si illude di trovare liberazione passando da un eccesso all’eccesso contrario. Abbaglio accecante. L’idolo è una verità impazzita che rivendica un posto spettante non a se stesso ma all’unico vero Dio; è da ridimensionare, non da abbattere con le sue stesse armi. «Due errori opposti e successivi», scrive Thibon, «non si annullano, si sommano».
Perdere la misura: qui si trova la scaturigine d’ogni fanatismo, vale a dire di una fede assimilata a ideologia.
Non nella fede come armatura risiede la via d’uscita da una simile impasse, ma nella fede come comunione spirituale e comunicazione interiore col Dio-Uomo. In un cristianesimo autenticamente vissuto non può darsi fanatismo di sorta.
La falsa fede nella forza del numero
Fanatico, ci dice il filosofo tedesco Robert Spaemann, è «colui che tiene per certo che il senso può essere soltanto qualcosa da lui posto e realizzato. Se prende atto del fatto che chi agisce è sottomesso al potere superiore del destino, il fanatico si rifiuta però di accettarlo. Vuole cambiare le condizioni entro cui agisce o perire. […] Non è disposto a tollerare la sua impotenza di fronte all’ingiustizia che gli è toccata e dà fuoco a tutto il mondo perché il diritto sia ricostituito» (R. Spaemann, Concetti morali fondamentali, Piemme, Casale Monferrato 1993, p. 119).
Può sembrar paradossale, ma fanatico non è chi crede troppo nel Dio cristiano. È piuttosto colui che – per quanto verbalmente possa continuare a richiamarvisi – vi crede troppo poco, tanto da essere sordo alla Gelassenheit – termine tedesco di difficile traduzione, il cui senso può forse essere reso ricorrendo a una parafrasi come “abbandono fiducioso”. Il fanatico, contando solo sulle proprie forze, è incapace di seminare e attendere che la grazia “faccia il suo corso”. Vuol vincere con la forza del numero, finendo così solo per spezzare, con esiti infausti, i fili invisibili che legano, quaggiù sulla terra, la zizzania e il grano buono.
Contrassegno del fanatico è l’incapacità di riconoscere limiti morali al proprio agire, nel suo animo alberga la folle convinzione secondo cui unicamente le proprie azioni possono conferire senso e significato all’esistenza (folle, secondo un noto passo di Chesterton, non è colui che ha perso la ragione, ma chi tutto ha perso fuorché la ragione). Convinto che se le proprie azioni scomparissero, se egli cessasse di agire, il mondo stesso cadrebbe nell’oblio, vuole plasmare con forza la realtà esercitando una “pressione” (“fare pressione” non a caso è espressione che rimanda alla meccanica, allo scontro di forze).
Oscuramento dell’intelligenza
Ancor prima che su una fede deviata, il fanatismo si fonda, direbbe Michele Federico Sciacca, sull’oscuramento dell’intelligenza. Solo una ragione dotata di senso del limite, cioè in relazione con l’essere e la realtà, è in grado di mutarsi in intelligenza e saggezza. Incline al fanatismo, ancora una volta, è invece la ragione arrogante, insuperbita e smisurata, una ragione raziocinante assurta a “misura di tutte le cose”, cui è ignota la docilitas (*).
Siamo spesso tentati di dimenticare i limiti della nostra conoscenza. Ne aveva invece un’acuta percezione il cardinale John Henry Newman, il celebre convertito che nella sua Grammatica dell’assenso ricorre a un’immagine molto efficace per dimostrare quanto vada evitata la confusione di certezza e infallibilità.
Si pensi a un uomo, dice Newman, che dovesse scorgere al chiaro di luna una figura confusa tra gli alberi. Mosso dalla curiosità, quegli comincia allora ad approssimarvicisi; quando, ad un tratto, ogni esitazione cessa: gli par certo d’aver intravisto la sagoma di un altro uomo, che però non si muove né risponde quando viene chiamato. L’uomo s’avvicina ulteriormente, fino a toccare la figura con la mano, e solo allora constata per certo il suo errore: quello che aveva preso per un suo simile altro non era infatti che un gioco di ombre creato dalla luce lunare proiettata sulle fronde. Eppure l’evidenza dell’errore commesso è stata preziosa: essa ha generato una nuova e più salda certezza, consegnandoci nel contempo un tesoro d’umiltà, ossia che esser certi ed essere infallibili sono cose ben differenti.
Pressione o leva?
In fondo il fanatismo è una maschera che palesa, in chi se ne serve, un devoto del potere ansioso di cogliere immediatamente i frutti del proprio sforzo “conversionistico”, l’adoratore di una religione della forza bruta che ha sacrificato lo Spirito Santo sull’altare dello spirito organizzato. Una fede senza speranza, priva di senso del mistero, pregna di quella falsa solennità in cui Borges ha visto un «simulacro della dignità e della saggezza», ignara tanto del paradosso della forza debole (nel Dio cristiano si incontrano estrema forza ed estrema soavità) quanto di quello del distacco.
Il distacco, questo marchio dell’autentica religiosità, rigetta il principio della pressione; esso sembra fondarsi piuttosto su un altro e ben diverso principio della fisica: quello della leva. Come ad unire in sé, in una misteriosa solidarietà, le leggi dello spirito e quelle della natura, il cristianesimo non si prefigge «di annullare la vita terrena, ma di innalzarla incontro a Dio che si abbassa. E come nel mondo fisico per sollevare un grosso peso ci vuole una leva, in cui la forza applicata deve trovarsi a una certa distanza dalla resistenza, così anche nel mondo morale la vita ideale deve avere una certa lontananza dalla vita immediata per poter agire su di essa con più forza, per poter agire su di essa con più forza, per poterla così più velocemente sollevare in alto. Solo chi è libero dal mondo può agire a suo vantaggio. Uno spirito prigioniero non ha la possibilità di trasformare la propria prigione in un tempio luminoso, deve innanzitutto uscirne» (Vladimir Solov’ëv, Islam ed ebraismo, La Casa di Matriona, Seriate (BG) 2002, p. 99).
È un prezioso condensato di saggezza quello di chi, come la Chiesa, seppure costantemente dileggiata dagli scherani della “dittatura del desiderio”, ci spinge al “sacrificio dell’immediato”, invitandoci a scansare le passioni “predatorie”.
Coniugare fermezza e mitezza, sapersi fare inermi lottatori abbracciati alla croce, disarmati dell’odio che interiormente consuma. Qui, tra la leva e la croce, s’incammina l’unica via di fuga dalla prigione del regno della quantità e della ferrea legge del numero, cifra d’ogni fanatismo.
(*) La docilitas – elemento fondamentale della virtù della prudenza, che san Tommaso definisce genetrix virtutum, madre delle virtù – è la facoltà che per definizione marca il limite. Per docilitas va intesa «la capacità di istruirsi, che al cospetto della molteplicità delle cose e delle situazioni da apprendere, rinuncia a fuggire nell’assurda autarchia di un sapere presunto. S’intende la capacità di lasciarsi dire qualche cosa, che non sorge da una vaga modestia ma semplicemente dalla volontà di raggiungere una reale conoscenza (che include d’altronde necessariamente vera umiltà). Incapacità di apprendere e saccenteria sono in fin dei conti forme di resistenza contro la verità delle cose reali; ambedue poggiano sulla incapacità di obbligare il soggetto col suo «interesse» a quel tacere che è una premessa imprescindibile, dalla quale non si può transigere, di ogni conoscenza della realtà» (Josef Pieper, La prudenza, Morcelliana, Brescia 1999, p. 40).
“…ciascuno di noi può ridurre la fede, il cristianesimo, a discorso, come una verità che noi pensiamo di possedere, e proprio per questo, a volte, siamo accusati di intolleranza, e il Papa dice: non è che sbagliano quando ci dicono così, perché «nessuno può avere la verità. È la verità che ci possiede, è qualcosa di vivente! [un’esperienza] Noi non siamo suoi possessori, bensì siamo afferrati da lei. Solo se ci lasciamo guidare e muovere da lei, rimaniamo in lei, […] pellegrini della verità»”
(don Julian Carron, guida del movimento di Comunione e Liberazione, commentando l’omelia di Benedetto XVI alla S. Messa a conclusione dell’incontro con il “Ratzinger Schülerkreis”, Castel Gandolfo, 2 settembre 2012).
Grazie Andreas, faccio miei questi insegnamenti perché mi rendo conto che la mia indole è incline a cadere in questo errore, un punto di vista da tener presente.
Ottimo e lucido articolo, che invita noi tutti ad una seria riflessione, perché molti di noi (io non mi sottraggo) sono presi spesso da una “furente” smania di difesa della “verità” cadendo nell’idolatria di cui Andreas scrive, dimenticando che è Cristo RE dell’Universo, non ha bisogno della nostra difesa, noi abbiamo bisogno della sua…
Anche i testimoni di jeovha si presentano alla porta (sotto mentite spoglie) a portare la loro verità. Guarda caso sempre testi alla mano, sempre citando, sempre confrontando e accusando, le altrui convinzioni o modi di vivere, ma quando dico loro: “fratello potremmo disquisire all’infinito e forse potrei ribattere punto su punto, ma parlami della TUA esperienza di Gesù Cristo…” di solito balbettano qualcosa e se ne vanno (e loro hanno molto più zelo di noi nell’annuncio).
Perché una cosa sola dovremmo conoscere e per questo annunciare: “Gesù Cristo, e questi crocifisso”.
Perché ben cita il titolo di questo articolo: la leva, quella capace realmente di sollevare il mondo sino alla soglia del Paradiso, di sollevare l’Uomo sino alle soglie della Vita Eterna, è LA CROCE… e la forza da applicare a questa leva è l’AMORE.
…io però, mi contenterei anche solo della carità, almeno! O no, per forza anche la verità ci vuole, insieme?
Non basta la compassione e il cercare di alleviare le pene degli altri? Se uno andasse a vistare i carcerat, a vestire gli ignudi, a dar da mangiare agli affamati, a consolare gli afflitti, compirebbe azioni a vuoto senza la fede nella verità?
O non potrebbe nemmeno compierle? Quanto alla metafora della leva mossa dall’amore, mi sembra, ovviamente, pretesca!
No, non compirebbe assolutamente azioni a vuoto, né nessuno può impedirgli di compierle (né difronte a Dio, ammesso uno ci creda, non avrebbero valore).
Se la metafora è “pretesca”, mi fai un complimento 😉
Suppongo che la risposta sia “se non ho carità, ciò non mi giova nulla”
ovvero: «Non ne ricevo alcun giovamento». Il sacrificio della vita, specie se fra i tormenti, è il massimo che un uomo possa fare ed è perciò mentovato come il grado più alto al quale possa arrivare il dono che si esplica nelle assistenze varie ai poveri, ai malati, ecc. Il far la carità, come si suol dire, e il farla nel modo più largo che si possa immaginare, non giova, se non si ha nel cuore la carità. Si possono dare i beni e perfino la vita, o per averne gloria presso agli uomini, o per acquistar meriti presso a Dio, ma ogni sacrificio che ha per movente l’egoismo, è perduto per quel che ci concerne. «Il dar via tutto quel che abbiamo, mentre rifiutiamo il cuore a Dio, non giova» (http://www.laparola.net/testo.php?versioni%5B%5D=Commentario&riferimento=1Corinzi13)
Ecco caro Alvise due risposte alla tua domanda, apparentemente contraddittorie…
Quella di senm_webmistress è formalmente ineccepibile (e certo non sarò io a contraddire S. Paolo) e parte dal presupposto: “se non ho la Carità”.
Ma la tua domanda partiva da: mi accontenterei di avere la Carità, almeno!.
La Carità (Amore) è un Dono di Dio e come è presente nell’Uomo la spinta al male, e presente il desiderio del bene e anche la possibilità di compierlo. Per cui (io credo) chi compie il bene per Carità, attua un bene, anche inconsapevole della Verità, cioè che questo bene gli viene da Dio.
«Il dar via tutto quel che abbiamo, mentre rifiutiamo il cuore a Dio, non giova» se non a coloro che ricevono i frutti di questa spogliazione e sempre che anch’essi per questo “lascito” ringrazino Dio, e magari pregando per il benefattore, chiuso a Dio, ne ottengano la salvezza.
Infondo esiste una Parola che dice: “Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne”. 😉
In realtà sono io che ho proprio letto all’incontrario il commento di Alvise. Anzi, l’ho proprio scavalcato senza guardare, temo 🙁
Ecco, l’ho detto nella pubblica piazza. Che mi serva di lezione per evitare gli atteggiamenti da “donna Sofia la smargiassa” 😉
😀
Andreas: otimo e da rileggere, stampare e portarsi dietro in Cappellina, copiare e divulgare. Il commento, per quel che mi riguarda, può essere prematuro e inesaustivo… quindi torno più in là… 😀
….tutti ottimi esegeti, Papa compreso!!!
Trovare il sano equilibrio tra verità e carità nell’annuncio della Parola è qualcosa su cui sto riflettendo da tempo!
Da una parte, infatti, mi sento sempre “mancante” verso Dio perchè non riesco ad essere una testimone forte quando ci sono disquisizioni su vari temi ( soprattutto etici) con i miei colleghi al lavoro, o con gli amici atei….dall’altra ho anche visto che in queste “discussioni da bar” ognuno rimane, alla fine,sempre della propria idea quando si disquisisce in modo teorico…a meno che qualcuno non parli di sè e della propria vita vissuta!
Esporsi in prima persona e raccontare come la fede ti ha cambiato in qualcosa di specifico, in un ambito della tua vita…è molto più efficace di dire ” questa è la verità e se non la fai vai all’inferno”, perchè purtroppo, oggi, la paura dell’inferno non spaventa più ( e dico purtroppo perchè benchè il rapporto con Dio debba essere fondato sull’amore..un sano timor di Dio non fa mai male!).
Parlare con chi pensa di stare bene e di avere tutto ciò che gli occorre senza Dio non è davvero cosa facile perchè non c’è desiderio di vero ascolto, non c’è ricerca.
E’ solo quando mostri con la tua vita che tu, grazie all’esperienza dell’Amore di Dio, hai trovato una fonte di gioia così profonda da farti affrontare con fiducia anche le difficoltà..allora qualche coscienza la scuoti, perchè tocchi nel profondo il loro desiderio di felicità che non trova mai soddisfazione nelle cose del mondo cui si affidano.
Troppo spesso, tra noi cattolici scorgo un senso di zelo eccessivo che seppur parte dalla migliore intenzione di non venire a patti con il mondo annacquando le verità di fede, rischia di divenire rigidità farisaica che, più che avere come perno l’amore per gli altri a cui si vuole portare la buona novella, ha quello per se stessi ( “io gliel’ho detto, sono a posto con la coscienza ora affari suoi se non lo mette in pratica!”).
A tal proposito vi cito un pezzo di un libro, secondo me bellissimo del Cardinal Martini “La gioia del Vangelo”:
” Sappiano quali sono le condizioni del dialogo: che si abbia stima del parere dell’altro, che si ritenga possibile non solo arricchire gli altri ma pure esserne arricchiti. Tuttavia, che cosa può nascere dall’esercizio di un dialogo fatto in condizioni non del tutto corrette? Può nascere una specie di incertezza sulle proprie opinioni, una poca sicurezza di sè, perchè , se l’altro ha ragione, forse ho torto io. Coinvolgendomi nel dialogo posso giungere a smarrire la mia identità, a confonderla , a mescolarla. In tal modo può accadere che io diventi vergognoso del Vangelo.[…] E’ questo il rischio del dialogo: a un certo punto, senza volerlo, mi trovo a vergognarmi un pò del Vangelo, della mia certezza, della mia convinzione profonda. […] Giustamente la Costituzione conciliare Gaudium et spes riconosce che ci possono essere ovunque dei frammenti di valori cristiani, anche in sistemi di pensiero molto lontani dal cristianesimo. Ma nel desiderio di trovarli, rischiamo di relativizzare la nostra fede e di non sapere più bene cosa voglia dire annunciare il Vangelo. […] La sfida è tale da far venire voglia di rinunciare al dialogo, di non accettare i valori delle altre religioni, di esorcizzare qualunque valore umano presente al di fuori del cristianesimo, per paura di perdere quel tesoro preziosissimo che è la gioia del Vangelo.[…] La gioia del Vangelo è propria di chi, avendo trovato la pienezza della vita, è sciolto, libero, disinvolto, non timoroso, non impacciato. Ora, credete che chi ha trovato la perla preziosa, si metterà a disprezzare tutte le altre? Assolutamente no! Chi ha trovato la perla preziosa diventa capace di collocare le altre in una scala di valori giusta, di relativizzarle, di giudicarle in relazione alla perla più bella. […]Chi ha trovato il tesoro non disprezza ilr esto, non teme di entrare in commercio con coloro che hanno altri tesori, perchè è ormai in grado di attribuire l’esatto valore ad ogni cosa.[…] A chi ha la gioia del Vangelo sarà data l’intuizione del senso di verità che ci può essere in altre religioni. A chi possiede poco la gioia del Vangelo, la capacità di dialogo gli si smorzerà nelle mani ed egli si irrigidirà nella difesa tenace di quel poco che possiede, si chiuderà in se stesso, si metterà in contrasto con gli altri per il timore di perdere il poco. La poca gioia del Vangelo è causa di meschinità, di tristezza in ogni campo della vita ecclesiastica e sociale, di cuore ristretto, è causa di litigi su piccole cose”.
@Cla per la verità se ai tempi della mia conversione (che è nata dal “classico” annuncio), se mi avessero detto: “fai questo o andrai all’inferno”, avrei risposto “all’inferno vacci tu!…” avrei girato i tacchi e me ne sarei andato… (e all’inferno ovviamente oggi ci credo e bado di non finirci io)
Esporsi in ciò in cui la Fede in Dio ti ha cambiato e ha cambiato la tua vita, questo sì, sempre. Se questa è la tua certezza nessun discorso altrui potrà modificarla (e come se ti volessero convincere che non hai conosciuto la tal persona e non l’hai amata…).
E se proprio vuoi fare un invito tipo “fai questo”… “fai questo per gustare un felicità ed una pienezza che nient’altro al mondo può darti!”
Le disquisizioni “etiche” vanno fatte, credo, ma sempre per ritornare al cuore dell’Annuncio, al perché di quest’Etica, che è Divina.
Se non si hanno gli strumenti, le conoscenze e non si ha chiaro il senso della ragionevolezza di quest’Etica (cioè se ci si limita al “è così perché e così” anche per sé stessi), se dentro di sé si ha il sacro timore di venir “messi in buca”, meglio non accettare la disputa.
Non per la pessima figura personale (la facciamo anche solo nel dirci credenti a volte) ma per il cattivo servizio che facciamo alla Verità.
“E’ questo il rischio del dialogo: a un certo punto, senza volerlo, mi trovo a vergognarmi un pò del Vangelo, della mia certezza, della mia convinzione profonda.” citando la tua corretta citazione di Martini.
Io per esperienza so che se nella tua vita “brilla l’Amore di Dio” e le tue Croci sono illuminate, la gente viene da sola a chiedere: primo, motivo della tua Speranza; secondo, magari qualcosa sui perché “etici”, ma in quel momento l’approccio sarà ben diverso!
“Io per esperienza so che se nella tua vita “brilla l’Amore di Dio” e le tue Croci sono illuminate, la gente viene da sola a chiedere: primo, motivo della tua Speranza; secondo, magari qualcosa sui perché “etici”, ma in quel momento l’approccio sarà ben diverso!”
Esatto…è proprio questo il punto centrale, secondo me!
Per scendere proprio nel concreto: mi accorgo che ci sono cose ( come la scelta del matrimonio, ad esempio) che sono solide in me…perchè scelte e vissute nella fede, messe in pratica, ne ho vista la solidità la consistenza e i frutti!
Su queste non tempo la testimonianza, nè il confronto e vedo che porta frutto perchè amici che magari non credono nel matrimonio vedono la nostra gioia!
Su altre questioni, invece, ho sperimentato che quando gli altri sono in gradi di mettermi in dubbio con poche parole e perchè io stessa ha ancora dei dubbi, perchè su certi punti la mia fede è ancora fragile, più teorica e meno vissuta….lì faccio l’esperienza della fragilità del rischiare il dialogo inteso come ” è così e basta” senza saperne rendere ragione.
E allora, rimando la disputa ( proprio per non fare un cattivo servizio alla verità) e mi metto a pregare su quell’aspetto, su quel lato della fede che traballa nella fiducia che dove non sono arrivata io magari potrà arrivare qualcun’altro che ha una testimonianza da dare ( e che io starò per prima ad ascoltare!!!).
“e mi metto a pregare su quell’aspetto…”
Sempre un’ottima scelta 😉
“E’ solo quando mostri con la tua vita che tu, grazie all’esperienza dell’Amore di Dio, hai trovato una fonte di gioia così profonda da farti affrontare con fiducia anche le difficoltà..allora qualche coscienza la scuoti….”
Ma tu puoi solo “mostrare” la tua gioia e non la fonte della tua gioia. La fonte della tua gioia la puoi solo dichiarare, con le parole. Gli altri, non avendo esperienza della fonte della tua gioia, possono solo vedere le tua gioia che te dichiari provenire eccetra eccetra….
Più che corretto Alvise, ma se tu assetato in pieno deserto, vedi qualcuno perfettamente ristorato e che anzi con il sole a picco sembra neppure disidratarsi, e gli chiedi: “ma dove trovi l’acqua (o il ristoro)” e il tale ti risponde: “la trovo lì o là…”, ti porrai i problema “ma lì o là da qui non li vedo…” o partirai in quella direzione?
Eh lo so, dipende dalla tua sete e se sei così pieno di te da dire: “ok, vado dalla parte opposta!”
Buona passeggiata e attento ai miraggi 🙂
E cioè a dire che voi avete trovato la fonte, gli altri lo vedono da come godete ristorati nel deserto dell’oggi, e si rifiutano di dirigersi verso dove dite voi?
Ma intanto, prima cosa, io vedo solo discorsi, qui scritti, e non so quanto sia goduriosa o felice la vostra vita. Mi immagino più o meno come la mia o come quella di tutti.
O vi sentite come dei S.Francesco che portava in giro la sua umiltà e letizia e parlava con gli uccelli i lupi e frate foco e sorella luna eccetra?
Oh Alvise la tua vena di “bastian contrario” porta la sequenza logica dei tuoi discorsi al limite del “ma ci fai o ci sei”.
Tu ti puoi immaginare che la nostra vita (nostra di chi? io parlo per la mia) sia come ti pare, la mia non credo proprio sia come la tua. Sei tu sempre il primo a dire (quando ti conviene) “che ne sapete della vita degli altri!”. Allora sii almeno coerente…
Ho scritto che gli altri “si rifiutano di dirigersi dove …ecc”? Non mi pare proprio.
In ultimo, è lapalissiano che io come nessuno qui, può mostrare come è realmente la propria vita… e allora anche la tua prima asserzione: “Ma tu puoi solo “mostrare” la tua gioia e non la fonte della tua gioia. La fonte della tua gioia la puoi solo dichiarare, con le parole. Gli altri, non avendo esperienza della fonte della tua gioia, possono solo vedere le tua gioia che te dichiari provenire eccetra eccetra…” a cui soggiace una domanda, vale come il due di picche. Se non sei disposto a confrontare le idee in linea “teorica” o filosofica, cosa vuoi, che qualcuno qui si bilocasse a casa tua?
Io non sono bastian contrario. Fo delle osservazioni alle vostre affermazioni.
Siete voi a dire che siete felici perché ci avete una marcia in più. Io invece osservo che potete solo dichiararlo che ci avete una marcia in più, non mostrarlo, e tantomeno di-mostrarlo, perché siete UGUALI , vivete iguali, soffrite o non soffrite uguali a noi poveri Cristi umani normali che si cerca di vivere il meglio che si pole anche senza verità trascendenti misteri eccetra. Con tutto il rispetto per la padrona a me non mi convince nemmeno che uno scriva un libro con delle ricette di buon vivere e poi vada a venderlo in giro come non fosse un libro tra gli altri libri, ma una bibbiettina portatile post-moderna.
Vabbè Alvise…
Io Cristiani (grazie a Dio) ne ho incontrati – non dico di me – e non vivono “uguali”, non soffrono e non gioiscono “uguali” e non muoiono “uguali”. Se non nell’uguaglianza che ci dà il vivere nella carne come tutti (anche Cristo si è fatto “uguale” a noi…).
Tu non vedi differenza. O non hai mai incontrato un Cristiano (peccato…) o lo hai incontrato e non hai voluto vedere nessuna differenza.
Certo che se speri di vedere le differenze seguendo un blog, è una gara dura (o sei qui come sempre per riportare noi “alla ragione”)… ma non poniamo limiti all’Onnipotente.
Ti saluto.
“Tu non vedi differenza. O non hai mai incontrato un Cristiano (peccato…) o lo hai incontrato e non hai voluto vedere nessuna differenza.”
Ne ho incontrati tanti, non ne mancano certo, nella terra dei preti (sedicenti cristiani) (perchè non può essere che così e solo Iddio lo sa chi è cristiano e chi no) e erano uguali a tutte le genti comuni, più o meno in salute. Chiunque lo può dichiarare di essere cristiano, poi la sua vita, come appare agli altri, ovviamente, è uguale! O no?
Che intendi per “vita uguale”? dove vorresti trovare le differenze?
Bariom: bella questa immagine! Smack! 😀
ahimé, un altra “martiniana”….
lo gnosticismo o relativistico,sperando di non essere “scomunicato” da Bariom ,fatto cardinale…( è,chiaramente, un’iperbole polemica….)
non capisco la continua crasi tra: ho la fede mostrami le tue opere,con le mie opere( o fatti,vita vissuta e quant’altro) ti mostrerò la mia fede.
non ho bisogno di aver visto o sperimentato, dall’aborto alla ” mirari vos” contro i massoni per sapere che è sbagliato.
o ad alcune interpretazioni sulla discontinuità( per altro verso anche sulla continuità) del vat.II
è così-senza “vita vissuta”- poiché lo dice una sequenza ininterrotta di insegnamento, tradizione, e perfino, se uno si dà la pena di usarla senza “paletti”, logica….
e non mi pare un cattivo servizio alla Verità( cristianamente intendendola,s’intende).
altrimenti non si capirebbe il perché siano visti come tesimoni della Verità sia una madre Teresa di Calcutta( che praticò la Verità salvo avere anche- come lei stessa disse-un periodo di “assenza o silenzio di Dio”), o un curato d’Ars che passò la sua vita a discernere i cuori, o la suora di clausura che di “pratica” ne fa poca o punto, ma di preghiera molta….( e che testimonianza “pratica” o di vita “vissuta”potrà mai dare l’eremita del II secolo nel deserto egiziano o siriano-del quale si è persa perfino la memoria,per dire, piuttosto che Francisco Marto( uno dei tre di Fatima , morto a 11 anni, se non erro)?
la possibilità che chi è extra ecclesiam, anche nella “lumen gentium”(dogmatica?o solo pastorale anche questa, chiedo lumi al nasone latitante….) è rivolta a :” chi senza colpa ignora il Vangelo…”
ad oggi, c’è ancora veramente qualcuno che non ne ha sentito parlare?
certo Martini non è stato un Sant’Atanasio o Cipriano.
al Martini affianco( non “oppongo”, : affianco ill’altrettanto Cardinale G. Biffi:
“Nella visione tradizionale, condizionata più o meno fortemente dalla grande eredità agostiniana, era naturale pensare che, dal momento che il nome di Gesù è il solo in cui si possa avere salvezza, chi non arrivava a onorarlo era posto sulla strada della perdizione. Se la Chiesa è il fondamento e la sede della verità, chi ne è fuori deve essere ritenuto in errore. Se la redenzione di Cristo è necessaria per riscattare l’uomo dalla sua miseria, chi non se ne lascia raggiungere rimane in uno stato di decadimento morale, dove è ben difficile operare il bene. Così si riteneva, e cosi è anche giusto che nella sostanza si continui a ritenere: Gesù di Nazaret è davvero il Salvatore di tutti; nessuno – neppure gli ebrei (e tanto meno gli altri) – possiede una strada diversa per andare al Padre. Se questa convinzione si sbiadisce, il cristianesimo non c’è più”
Cara Vale, non credo affatto diciamo (o quanto meno pensiamo) cose diverse… per cui ti “assolvo” e rimando la scomunica 😉 😀
C’è però un po’ il vizio (in molti, per cui ti riassolvo) partendo da un preciso caso “personale” o una particolare sfaccettatura di un tema, per partire lancia in resta a farne una tematica “assoluta” e tirare in ballo fanti e Santi (io sto tra i fanti si capisca, spero almeno nella giusta “milizia” :-))
Io non ho affermato alcun assoluto tipo “opere – non annunci” o “amore – non teologia” o “vita vissuta – non teoria”. Ho parlato dialogato “terra-terra” con chi (cla) ha esposto un dubbio e una difficoltà, nella sua risposta ancor più umilmente confermata.
Magari fossimo tutti il Curato d’Ars, o Madre Teresa, o Sant’Agostino… ma siamo (io sono) poveri peccatori con tanti limiti. Io mi accontento di non nascondere l’Opera di Dio nella mia vita, di dare ragione della Speranza che c’è in me e di non dare scandalo, visto che oramai, come cristiano sono “persona pubblica”.
E’ certo che la Verità (tutta intera) sta nella Chiesa, ma la Verità è CRISTO e Lui non è venuto a giudicarci tutti in errore (per chi è nella Chiesa è ancora più grave l’errore – il peccato – il giudicare – il non avere misericordia) è venuto ad amare TUTTI sino alla morte di Croce.
Tu sei sempre stata nella Chiesa? Se sì, benedici Dio di questo privilegio: se no, come non puoi avere misericordia per i lontani?
Misericordia è andare loro incontro dicendo loro “ti amo perchè Dio ti ama” (o almeno “sappi che Dio ti ama”). Non dicendo “guarda che sei in errore”.
Avrà modo di comprenderlo, non dubitare.
La tua premessa: “ahimé, un altra “martiniana”…. non è una apertura sull’amore, ma di nuovo un giudizio sull’errore (o sbaglio?), peraltro un “errore” tutto da dimostrare, anzi visto che la Verità è nella Chiesa, non mi risultano su questo, pronunciamenti ufficiali d’errore. 🙂
….più realisti del Re!!!
ma infatti dicevo a Cla…( e stavo per scrivere cia. un acronimo inquietante…) te lo so già. ti ho tirato dentro solo per “spiritello” di polemica. un po’ come fa l’Alvise…
sul “martiniano” errore non lo dico io.e non lo giudico neppure un “errore” .( vedi che sotto sotto hai voglia di scomunica….).bastava tener conto del fatto che volevo mettere un po’ di pepe adversus la citazione su Martini…
mi limito a contrapporre l’affermazione di un cardinale a quella di un’altro cardinale,che spero non sia tenuto in minor conto.
o devo intendere il contrario,visti i tempi?
e basta leggere i suoi scritti che adito a qualche dubbio lo danno. ma così come esiste un Don Gallo che dice quel che dice, figuriamoci se nella chiesa non c’è spazio per un Martini. persino per un pocopraticantedevoto come me. spero.( che , per altro, a quel che sembra, non era neppure visto dall’interessato come un “antipapa” come spesso è stato presentato. ancorché gesuita…)
Oh mamma… mi sono perso! 😀
L’articolo mi pare un efficace richiamo alla prudenza e all’umiltà, di cui bene o male tutti – fatta forse eccezione per la padrona di casa – abbiamo bisogno. E’ deducibile fin dalle premesse che non è intenzione dell’ottimo autore soffocare con dosi massicce di “dialoghismo” l’eccesso di zelo che a volte contraddistingue alcuni cattolici “integristi”. Se un po’ di sano spirito polemico tiene ben desta l’attenzione e stimola l’intelligenza delle cose, dobbiamo pur riconoscere che il sacro furore quando scade in fanatismo (ideologia) ci fa perdere l’interesse per la realtà, impegnati come siamo a difendere una verità troppo disincarnata. A volte crediamo di combattere per la difesa della verità, mentre stiamo più prosaicamente difendendo noi stessi.
(e comunque leggere Martini mi annoia tanto quanto Biffi mi rinvigorisce)
e, forse, anche se fuori tema, ti rinvigorirà ancorpiù questo:
http://www.corrispondenzaromana.it/una-stella-risplende-dopo-la-notte/
“Ho parlato dialogato “terra-terra” con chi (cla) ha esposto un dubbio e una difficoltà, nella sua risposta ancor più umilmente confermata.”
Esattamente, partivo da una riflessione totalmente personale sulla mia difficoltà a dialogare con amici atei trovando il giusto equilibrio tra verità e carità!
Il “martiniana” attribuitomi da Vale è esattamente quello che mi spiazza e mi dispiace che accada tra noi cattolici. Non si conosce per niente una persona ma solo dal fatto che fa una citazione le si assegna un’etichetta con tutto ciò che consegue ( in questo caso, mi sembra di percepire con molte accezioni negative …). Giusto per la cronaca di Martini invece io non so quasi nulla…ho letto solo il libro che ho citato, avendolo trovato nella libreria di mia suocera un pò di tempo fa (il grosso su di lui l’ho saputo seguendo i vari dibattiti dopo la sua morte). e non l’ho citato per creare polemica nè per ergere Martini ad esempio da seguire ma solo perchè mi è tornato in mente mentre leggevo il post in questione e mi sembrava molto calzante alla discussione.
E calzante lo era… ma tant’è l’essere calzante per taluni non è sufficiente (poi la citazione fosse stata d’altro autore, andava bene)
[e io pure di Martini ho letto poco ;-)]
Geniale Andreas, complimenti! 😉
Ringrazio tutti quanti, grazie anche per gli ulteriori spunti di riflessione. Devo confessare che questo è un post “autobiografico”, vale a dire che ho spesso ceduto – e cedo – alla “tentazione della verità”, dunque sento particolarmente di dover “lavorare” su questo punto. L’obiettivo è quello di limare, filtrare sempre più l’impuro connubio tra l’orgoglio e la verità. È evidente a tutti che la verità senza carità è l’angelo tentatore di quel cattolicesimo con la “kappa” su cui si è soffermato tempo fa anche Cyrano. Ci sarebbe molto da dire, purtroppo ho poco tempo, nei prossimi giorni ancor meno. Mi limito a suggerire la lettura di questi pensieri del solito Thibon, che col suo stile impareggiabile ci ricorda come dovremmo porgere la verità: con mani supplichevoli, come mendicanti: http://filiaecclesiae.wordpress.com/2012/11/11/la-verita-orgogliosa-non-puo-dare-niente/
‘Questo nostro tempo sarà tempo di purificazione. Se non sarà più possibile “vivere di rendita” al riparo della “sacra volta” della Cristianità. se la fede sarà meno proclamata a livello istituzionale, allora dovrà sopravvivere nei cuori che sapranno farne una presenza più intima. In fin dei conti dire fede è dire comunione spirituale col Signore. Personalmente credo sia l’unica via per evitare le secche di quel cattolicesimo fossilizzato e immobile, chiuso in perenne “difesa”. ‘
Complimenti davvero!
Andreas: e se ti dicessi che sto ancora rimurgnando sulle prime righe? 😉
Anche di questo post sto ancora rimurginando… Smack a te che crei il “movimento interiore” che può stimolare a lavorare su sé stessi. 😉
Come sai per me quelle righe di Thibon sono diventate fonte perenne di meditazione, non c’è giorno che non mi tocchi ricordarle… 😉
.http://www.youtube.com/watch?v=AEzTdBJUHO8&feature=player_detailpage ..hai poco tempo?