di Cyrano
«Amo il presepe, questa gaudiosa rivincita del cuore sulla specularità del pensiero.
Perché, se sui crinali scoscesi della rivelazione la teologia si inerpica temerariamente, il presepe, quello popolare dell’800, non è da meno.
Anzi, la scavalca in arditezza: col bilico dei Suoi ponti, col paradosso delle Sue montagne, con l’anacronismo delle Sue città, con la trasognata semplicità dei Suoi personaggi.
Per questo amo il presepe.
Ma lo amo, soprattutto, perché mi suggerisce un’arditezza ancora più grande: che Lui, il Signore, è disposto a ricollocare la Sua culla, ancora oggi, tra le pietraie della mia anima inquieta»
Così don Tonino Bello, il poetico vescovo francescano cui tanta gratitudine la Puglia e l’Italia devono: per la limpida testimonianza che questo discepolo di Gesù Cristo ha dato nello stile di vita sobrio, nella parola delicata, curata e ben pensata, nell’appassionata e religiosa prossimità ai piccoli, ai poveri.
Don Tonino non se la prenderà, però, se mi prendo la libertà proseguire il suo panegirico del presepe in un altro verso: una zuppa, in fin dei conti, non si rovina se tutt’a un tratto ti metti a girarla nel verso opposto, e se la teologia è spesso delicata come una maionese, il buon Dio è anche resistente come una polenta.
Il grande merito che si deve riconoscere all’invenzione del presepe (che non nasce dal nulla, ma dà linfa veramente nuova al concetto e alla prassi medievale della “sacra rappresentazione”) è la dichiarazione plastica, semplice, immediata e autoevidente, di ciò che Kierkegaard chiamerà “la contemporaneità di Cristo”. È evidente che, anche per via del suo non essere cattolico, il nostro tormentatissimo Danese non si vide illustrare la radiosa letizia del Poverello di Assisi, ma la sua espressione riusciva a riguadagnare per “la specularità del pensiero” ciò che a Greccio fu percettibile come l’aria fresca della sera: d’altronde, l’area tedesca s’era così dissipata sul Vangelo come predicazione, nel secolo precedente, che a un tratto s’era percepito un grande e terribile fossato, tra Gesù e il mondo.
Questo è il fossato che il presepe colma d’incanto, come se nell’aria ferma della notte qualcosa si muovesse appena e poi in subitaneo silenzio si materializzasse un gigantesco scintillante ponte tra una sponda e l’altra. Ecco l’intuizione geniale del presepe, sempre più sviluppata nello srotolarsi della modernità: che scandalo c’è, in fondo, ad avere in un presepe la Brambilla in autoreggenti, se non è stato scandaloso averci la lavandaia che lava, il menestrello che fa serenate e talvolta persino la nutrice che allatta? Non è questione di qualità delle azioni svolte dai personaggi, il fatto è un altro: il meccanismo innescato da Francesco ha pagato un prezzo molto alto per la costruzione di quel ponte incantato, e questo prezzo è il frutto più proprio della modernità (e del cristianesimo), ovvero la secolarizzazione.
Lo so, la parola è antipatica, perché siamo abituati a sentircela spiegare male e, come se non bastasse, la comprendiamo anche peggio di come viene spiegata; la portata teologica della secolarizzazione, invece, è meravigliosa. Per evitare più equivoci del necessario, basta premettere che chi si lascia coinvolgere nell’incanto del presepe lo capisce subito, che quel ponte scintillante che rende la storia di Cristo compresente a ogni epoca è lo Spirito: detto questo, mano a mano che la secolarizzazione avanza, il presepe mostra sempre più apertamente il dramma del Dio-bambino, che «scende dalle stelle […] e viene in una grotta al freddo e al gelo».
Quanta strada, dal primo presepe a noi pervenuto (quello di Arnolfo), quanta dispersione santamente introdotta nella costruzione della scena! Le autoreggenti della Brambilla sono solo l’ultima conseguenza della rivoluzione di Francesco: insomma, se attorno alla stalla c’è posto non solo per gli angeli, per i pastori e per i Magi, ma pure per i popolani di Greccio, vuol dire che sostanzialmente c’è posto anche per chiunque altro. Qui voleva arrivare Francesco, ma chi ha potuto più arrestare questo processo di rivelazione, così simile a una slavina teologica? E così il presepe si popola sempre di più, di anno in anno e di secolo in secolo: i vecchi, i bambini, gli operai e i pescatori, i soldati, i sacerdoti, i profeti, le prostitute, i poveri e i ricchi… tutti si ritaglieranno, mano a mano, il loro posticino. Con la popolazione aumentano “necessariamente” la distrazione e la dispersione: il povero Arnolfo ideò un presepe con il solo Bambino al centro della composizione, ma chi si sognerebbe oggi di dire a un amico di aver fatto “un bel presepe”, se non potesse vantare almeno un paio di ruscelletti, altrettante fontanelle (sennò le pecore che bevono, per un mese?), un’officina metallurgica e un paiolo per il bucato (dotati entrambi di vero-finto-fuoco!)?
Bello il presepe, sempre più bello perché sempre più mondano, sempre più divinamente a rischio, sempre più dannatamente credibile: «Chi sopporterà il giorno della sua venuta?» Malachia parla di quello che noi celebriamo nel presepe, oltre che dell’ultimo Avvento del Messia. E prosegue: «Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai» (3,2). Se il Profeta non sta scherzando (cosa che tenderei a escludere), allora anche del presepe parlava Paolo, scrivendo che «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio» (1Cor 1,27-29). Ecco il punto: se quel Dio nato nella stoltezza e nella debolezza, nell’ignominia e nella nullità, proprio quello è «il Salvatore nato per tutto il popolo» (cf. Lc 2,10-11)… beh, allora ogni personaggio del presepe rischia grosso. O perché mai il vecchio Simeone avrebbe detto: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele» (2,34)?
Scherzava anche lui? Era in preda a ordinaria demenza senile? O stava semplicemente ricordando che – per chi non se ne fosse accorto – le acque rottesi nel parto verginale di Maria sono davvero più corrosive e ustionanti della lisciva, e che il loro scorrere, atteso e imprevisto, era perentorio e irrimediabile come la voce che uno s’immagini di sentire dall’Altissimo?
«E chi sopporterà il giorno della sua venuta?»: non certo Erode, che pure è un personaggio presente nei migliori presepi napoletani. Dove sta? Beh, quando c’è, di norma sta sulla terrazza del suo palazzo, lontano, e sorseggia “’na tazzunell’ ‘e cafè” mentre i suoi soldati già marciano verso Betlemme («…segno di contraddizione – continuava Simeone – perché siano svelati i pensieri di molti cuori»). Non solo adoratori, nel presepe moderno: sempre più vero, sempre più simile alle prove generali del giudizio universale… Bellissimo e terribile, il presepe, icona della vita in quanto il suo senso giace trascuratamente abbandonato sotto spoglie volgari, e tutt’intorno vorticano poteri, passioni, desideri e amori che sembrano essere i veri attori della scena.
Questa è davvero una cosa incantevole del presepe: per quanto siano animati, non riesce mai di cogliere un’espressione di vera cattiveria o di tristezza, eppure è chiaro che sono sempre meno i personaggi che possono risultare direttamente a contatto con la mangiatoia. Terribile parabola della religione contemporanea: a quest’oste sembra interessare molto più dei soldi degli avventori che del «Salvatore che è nato per tutto il popolo», eppure non ha la faccia di una cattiva persona; anche l’ubriacone riverso sul tavolo davanti a lui ha un’espressione francamente soddisfatta e serena, ma non credo che stia vagheggiando in sogno la mangiatoia del Dio-bambino. Che ne sarà, di questi? Meritano davvero il fuoco eterno perché non sono accorsi fuori dal paese dietro a quei pastori puzzolenti? E guardate questa giovane popolana, che torna dal forno verso casa con le pagnotte calde in braccio: sembra quasi sfiorare con lo sguardo i fianchi del giovane pescatore intento a rassettare le reti… sono questi che devono essere confusi e ustionati con la divina lisciva prorotta dal grembo della Vergine?
E chi lo sa? Ecco l’umile e tremendo spazio di Dio: il silenzio dopo la domanda. Neanche quelli che si sono avvicinati alla mangiatoia, del resto, possono rassicurarsi definitivamente circa quanto per loro sarà l’esito di quella notte pl-acida. Sulla capannella, l’angelo inneggia alla Gloria di Dio, e lascia la pace terrestre sospesa a quella difficile variabile della “buona volontà” (che non si capisce di chi debba essere); per conto suo, nella mangiatoia, il Bambino sorride come chi sa già di avere tutto il mondo in pugno, e non sembra preoccuparsi molto del fatto che al momento la maggior parte dei personaggi lo stia beatamente ignorando.
Vicinissimi a lui, però, stanno pazientemente i due personaggi più importanti (dopo Maria e Giuseppe), i veri custodi dello spirito della Chiesa, ossia l’asino e il bue. Certo, quanti fossero abituati a pensarli come i termosifoni della mangiatoia non si saranno mai stupiti di trovarli lì; chi però sa perché la tradizione cristiana abbia trovato indispensabile il dettaglio apocrifo riportato da Giacomo, beh, quello non sa smettere di stupirsi che i due magnifici animali siano lì, in vista di quelli che vanno a prostrarsi al Salvatore riconoscendosi come suo popolo, e non al ruscello, vicino al pescatore, o dietro alla locanda, in vista dell’oste.
In realtà, nessuno di quelli che piega il ginocchio davanti al Dio-bambino può fare più che adorare in silenzio e gratitudine, senza munirsi d’altro che di quella “gaudiosa rivincita del cuore”, perché sta scritto:
«Il bue conosce il proprietario
e l’asino la greppia del padrone,
ma Israele non conosce
e il mio popolo non comprende»
(Is 1,3)
Prima! Il commento serio a domani! Notte…
Cyra’, vedi che io sono un’anima semplice – al minimo sindacale. 🙂 Anch’io amo il presepe e tu lo sai!!!!!
Sei sempre bravissimo
110, lode e dignità di stampa. Buonanotte a tutti.
contributo con storia di famiglia che pala di presepi e altro
Buona giornata a tutti
http://ow.ly/81bmz
Paolo,
Allora posto anche la mia di storia di famiglia legata al presepe…
http://danicor.wordpress.com/2011/12/14/il-presepe-e-corbellini-2/
Grazie Daniela!
In ogni famiglia c’è una “Letizia”? A casa mia sono io. E’ troppo bello “adornare” casa per Natale! Quando si aspetta un ospite importante si mette fuori “la roba buona”, quindi a Natale, per l’Ospite degli ospiti, tanto è sempre troppo poco! Ovviamente con gusto.
Dimenticato: grazie Paolo!
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
Sin da piccolo anch’io sono sempre stato affascinato dal presepe, dalla sua magia.
La notte che diventa giorno, le luci che si accendono, le montagne del deserto sullo sfondo, il rumore del ruscello o degli arnesi degli artigiani.
Mi sono sempre illuso che tutti gli uomini dovessero innamorarsi di Dio sentendo il calore che proveniva dalla mangiatoia, respirando l’aria magica di questa Betlemme.
Lo so che la cattiveria esiste, c’era in Erode e in tanti uomini dell’epoca, farisei e non, ma non riesco a guardare il presepe con gli occhi di un grande. Per me il presepe è nello stesso modo dentro e fuori dal tempo, rappresenta il momento sublime dell’incarnazione di Dio, della scommessa di Dio, dell’Amore di Dio verso di noi.
😀
Insomma, dopo il presepe (ma io in realtà direi dopo il Natale, Francesco ha colto e sviluppato per primo un elemento che c’era fin dall’inizio) non c’è più nulla di pro-fano (fuori dal tempio), perché il tempio è diventato il mondo intero e se non tutto, certo, è sacro, tutto però è consacrabile…
Buon giorno ragazzi! Bravo Cyrano. Giusto ieri, dopo una giornata frenetica sono uscita con le ultime forze.
A casa siamo in 5, in una casa piccola ma tanto accogliente. Non possiamo fare un presepe enorme, ma per quanto piccolo sia me ne prendo cura personalmente ogni anno, e ogni anno aggiungo qualche dettaglio.
Giusto ieri, dopo una giornata frenetica sono uscita con le ultime forze e con mio fratello Andrea e prenderne altri. Lui mi guarda e mi fa ” Ma ne vale la pena? E’ piccolissimo “. Io ho colto l’occasione per spiegargli cosa stavamo realmente facendo e una volta tornati a casa gli ho spiegato del bue e dell’asinello, che abbiamo ricollocato in modo che fossero ben in evidenza.
PS ci ho messo anche una piccola Paperella, perché quasi non oso ma ho sempre sperato ci fosse un’angolino anche per me.
Ehi! Anche io metto sempre una paperella! Ai bordi del laghetto. Adesso penserò a te e alla tua ogni volta che la guarderò.
“, Sei tu mai giunto alle sorgenti del mare e nel fondo dell’abisso hai mai passeggiato?
Ti sono state svelate le porte di Morte e le porte dell’ombra le hai vedute?
Hai tu considerato le distese della terra ? Dillo se sai tutto questo! Per quale via si va dove abita la luce e la tenebra dove ha la sua dimora, affinché tu le conduca al loro dominio e tu conosca i sentieri della loro casa? Sei mai giunto ai serbatoi della neve, hai mai visto i serbatoi della grandine che io tengo per il tempo di sciagura, per il giorno di lotta e battaglia? Per quali vie si diffonde la luce e il vento orientale si spande sopra la terra?[…]Tieni tu stretti i legami delle Pleiadi o sciogli tu i vincoli d’Orione?”
Mi sembra che non ci sia da aggiungere altre chiacchiere!!!
Allora Giobbe rispose al Signore e disse:
[2]Comprendo che puoi tutto
e che nessuna cosa è impossibile per te.
[3]Chi è colui che, senza aver scienza,
può oscurare il tuo consiglio?
Ho esposto dunque senza discernimento
cose troppo superiori a me, che io non comprendo.
[4]«Ascoltami e io parlerò,
io t’interrogherò e tu istruiscimi».
[5]Io ti conoscevo per sentito dire,
ma ora i miei occhi ti vedono.
Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissate,
[5]che cosa è l’uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell’uomo perché te ne curi?
[6]Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli,
di gloria e di onore lo hai coronato:
[7]gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi;
Mi permette di aggiungere qualcosa?
Resto sempre incantata a guardare i presepi, però, purtroppo non ho il dono della semplicità, di chi riesce ad accettare la bellezza senza domande né orpelli .
Quindi davanti a un presepe mi faccio sempre la stessa domanda: ma io, se mi venisse detto di andare in una grotta ad adorare un neonato perché è il Figlio di Dio, uscirei fiduciosa nel cuore della notte?
Devo essere sincera con me stessa, ammettere che no, anzi probabilmente mi farei una grassa risata e guarderei con sufficenza questi creduloni. O al limite chiederei a chi ha autorità in materia: i sacerdoti, i quali all’epoca mi avrebbero risposto che erano tutte baggianate.
Questo mi sconforta molto, perché mi dimostra con evidenza che quando Gesù diceva “beati i semplici, beati i puri di cuore”, si riferiva certamente a qualcuno assai diverso da me.
Non lasciarti prendere dallo sconforto, ti prego. Ciò che hai scritto è molto bello e vero.
“Stando a quanto si dice, in Israele sarebbe nato il re del mondo e costoro si mettono in cammino seguendo le indicazioni di una qualche stella. Alle persone dabbene tutto ciò sembra quanto mai assurdo e puerile.” Eppure…
http://paparatzinger-blograffaella.blogspot.com/2008/01/card-ratzinger-lo-sguardo-dei-magi.html
Il presepe a casa di mia mamma s’è sempre fatto, e quando mia sorella ed io eravamo piccole era un vero e proprio rito con la collocazione di muschio, ghiaia, pecore e altre specie animali, capanna ad anni altrni sostituita da una grotta di cartapesta, sfondo blu stellato….La ricostruzione della natività era forse uno dei momenti più belli dell’anno perchè anche se mio padre non c’era più ci facceva sentire unite più che mai. E non tanto perchè “il natale è la festa della famiglia”, ma perchè ci si metteva tutti al lavoro.
Quando ho conosciuto mio marito, che è napoletano, sono entrata in una dimensione in cui il pensiero del presepe scorre sotterraneo durante tutto il resto dell’anno. Non è solo una parentesi che viene chiusa nel ripostiglio dopo i giorni comandati, ci si pensa anche durante gli altri mesi. A san Gregorio Armeno si lavora costantemente. Certo, da novembre in poi è quasi impossibile camminare tra le botteghe, ma te le puoi godere con calma anche ad aprile. Ora tutti sanno che gli artigiani di quella zona si ingegnano di produrre statuine della Brambilla scosciata o di Lapo Elkann, Monti e Tremonti. Ma io non sapevo che una figura essenziale del presepe napoletano classico è Benito, il pastore beatamente addormentato. La tradizione dice che non va svegliato perchè sennò il presepe scompare. Mah… a me questa del sogno non piace tanto. Sono più propensa a interpretarlo come l’immagine di una umanità che dorme e non sa che il Salvatore è nato, ma che è toccata dalla luce dell’evento, che Cristo si è fatto uomo anche per lei. Un po’ come nei dipinti di Caravaggio, la luce colpisce il santo martire Matteo, ma anche il suo carnefice. Se solo ci svegliassimo…
http://www.presepenapoletano.it/rivista/anno4_n1/Benino.htm
ho scoperto che il nome originale è Benino, non Benito. E in questo articolo si spiega il “sonno” del personaggio, come un viaggio eccezionale (appropriato il paragone con la Hypnerotomachia Poliphili, che nell’arte ha un seguito vastissimo). Continuo a pensare che per quanto affascinante la dimensione del “sogno”, la realtà del Verbo fatto carne è ben più corrispondente ai nostri desideri di vero e di bello.
(scusate la fissa artistica, ma è una deformazione quasi professionale!)
Non ti preoccupare Giuly queste cose da noi facevano parte del corso di Estetica, come il mio vecchio amico Platone, trovo molto bella la sua concezzione che oggi definiremmo anima : quella parte di noi che essendo stata per un periodo non dentro al nostro corpo, ma vicinissina all’Idea per eccellenza ( il Bene Assoluto ), sa riconoscerla e la cerca una volta chiusa nel corpo mortale.
Grazie, Cyrano! Copio-incollo per la mia pagina natalizia!
Grazie per il pensiero e per il laghetto!
http://www.innocentenglish.com/cute-pictures/wp/wp-content/uploads/2008/05/adorable-baby-ducks.jpg
Sì, «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele» e fuori Israele, quel che conta è che al centro del presepe sfolgori il Veniente, che non viene per sé ma per gli uomini tutti, e quindi si compiace che la sua natività si popoli a dismisura a perdifiato di una moltitudine brulicante e disparata di maschi femmine variamente affaccendati e sfaccendati, volti, ceffi, soavi e torvi, candidi e lascivi, pii e magliari, industriosi e infingardi, intenti e sbandati, probi e filibustieri, ciascuno candidato alla rovina E alla resurrezione, quale dell’una o dell’altra conquistatore non è tributato a noi spiare.
Il Bambinello ciascuno ama, e inconfondibilmente, chi benedirà il suo vagito sarà salvo, ma chi lo manderà negletto ignoriamo se sarà perduto, giacché è lecito immaginare che s’annoverino salvati anche tra i rei che non intenderanno (per sbadataggine o durezza di cuore) la supplica salutare: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34)
Grazie! In queste sere la preghiera coi bimbi la diciamo in sala, davanti al presepe. Luci spente tranne quelle di albero, presepe e qualche lanternino. Siamo davanti a Gesù bambino, guardiamo e descriviamo insieme quello che c’è attorno a Lui. Poi cantiamo il Tu scendi dalle stelle. Lo sguardo incantato può lasciare posto a qualche spinta per riuscirsi a sedere sul posto d’onore, in braccio a me, o a solletichi e risatine tra di loro. Sono così piccoli! Eppure credo che la contemplazione di questo momento gli rimarrà stampata dentro per sempre. Sono felice di essere una mamma, e felice di questo compito: costruire anime umane, piuttosto che cattedrali. E, ogni tanto, ecco la Grazia di azzeccarci a mettere il mattone giusto al posto giusto…
🙂
“È per me motivo di gioia sapere che nelle vostre famiglie si conserva l’usanza di fare il presepe. Però non basta ripetere un gesto tradizionale, per quanto importante. Bisogna cercare di vivere nella realtà di tutti i giorni quello che il presepe rappresenta, cioè l’amore di Cristo, la sua umiltà, la sua povertà. È ciò che fece san Francesco a Greccio: rappresentò dal vivo la scena della Natività, per poterla contemplare e adorare, ma soprattutto per saper meglio mettere in pratica il messaggio del Figlio di Dio, che per amore nostro si è spogliato di tutto e si è fatto piccolo bambino.
La benedizione dei “Bambinelli” – come si dice a Roma – ci ricorda che il presepio è una scuola di vita, dove possiamo imparare il segreto della vera gioia. Questa non consiste nell’avere tante cose, ma nel sentirsi amati dal Signore, nel farsi dono per gli altri e nel volersi bene. Guardiamo il presepe: la Madonna e san Giuseppe non sembrano una famiglia molto fortunata; hanno avuto il loro primo figlio in mezzo a grandi disagi; eppure sono pieni di intima gioia, perché si amano, si aiutano, e soprattutto sono certi che nella loro storia è all’opera Dio, il Quale si è fatto presente nel piccolo Gesù. E i pastori? Che motivo avrebbero di rallegrarsi? Quel Neonato non cambierà certo la loro condizione di povertà e di emarginazione. Ma la fede li aiuta a riconoscere nel “bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”, il “segno” del compiersi delle promesse di Dio per tutti gli uomini “che egli ama” (Lc 2,12.14), anche per loro!
Ecco, cari amici, in che cosa consiste la vera gioia: è il sentire che la nostra esistenza personale e comunitaria viene visitata e riempita da un mistero grande, il mistero dell’amore di Dio. Per gioire abbiamo bisogno non solo di cose, ma di amore e di verità: abbiamo bisogno di un Dio vicino, che riscalda il nostro cuore, e risponde alle nostre attese profonde. Questo Dio si è manifestato in Gesù, nato dalla Vergine Maria. Perciò quel Bambinello, che mettiamo nella capanna o nella grotta, è il centro di tutto, è il cuore del mondo. Preghiamo perché ogni uomo, come la Vergine Maria, possa accogliere quale centro della propria vita il Dio che si è fatto Bambino, fonte della vera gioia.”
(Benedetto XVI, Angelus, 13 dicembre 2009)
“Chi sa che i Re Magi sui loro tre cavalli bianco, rosso e nero simboleggiano l’iter del sole dall’aurora alla sera, e che sui presepi piú antichi si collocava una figura femminile, la Re Màgia, a rappresentare la luna?”
O che gli ultimi personaggi che si mettono nel presepio (non è un errore di battitura), anche dopo i Re Magi, sono le Anime del Purgatorio?
Questo e altro in: Roberto de Simone, Il presepe popolare napoletano, Einaudi Tascabili, Saggi, 2004, 136 pagine, 9 euri.
E già che ci sono, vorrei condividere anche uno dei miei presepi preferiti:
http://www.wga.hu/cgi-bin/highlight.cgi?file=html/b/bartolo/panel1.html&find=bartolo+fredi
“Voi avete voluto celebrare il Natale con questa figurazione scenica, che si chiama il Presepio, con questo « specchio del Salvatore », come scrive S. Girolamo (Ep. 108, 10, P.L. 22, 384); […]
Bellissima cosa, Figliuoli carissimi; bellissima cosa, che si allaccia alle più antiche e genuine tradizioni, sia dell’arte, sia della pietà del popolo italiano; bellissima cosa, che ci fa tutti fanciulli nella ricerca della espressione elementare ed arcadica del racconto evangelico, ma tutti saggi, tutti commossi e comprensivi, davanti ai sommi valori umani e religiosi, che si tentano rappresentare, e tutti singolarmente invitati ad incontri prodigiosi tanto con i massimi Artisti, che hanno profuso tesori di genialità e di bellezza nell’iconografia del Presepio, quanto con i più grandi Santi, che davanti al Presepio hanno pianto, pregato, cantato e gioito.
Bellissima cosa, ripetiamo, il Presepio, anche per un altro aspetto, che voi Lavoratori, più che altri, con la vostra partecipazione al Concorso-Presepi, avete mostrato di comprendere, e di voler penetrare ed esprimere. […] Avete compreso che la nascita di Gesù è storica e reale, ma ha un riferimento universale a tutta l’umanità, e riflette qualche cosa di nostro e di attuale, che i più bravi a comporre oggi un Presepio, in una delle vostre case, in una delle vostre officine, in una delle vostre aziende, sanno cogliere e sanno rappresentare. Può darsi che questo criterio di rappresentazione introduca qualche elemento anacronistico nella descrizione della scena della notte di Betlem, o qualche stile fantastico e ben lontano dalla sempre rispettabile ed encomiabile fedeltà descrittiva e fotografica della scena stessa. Ma l’arte cristiana, in cotesto esercizio popolare di immediata e soggettiva figurazione, ha concesso e concede qualche libertà, quando essa serve ad avvicinare l’incantevole sequenza evangelica alla realtà di pensiero e di vita del mondo nostro, del mondo moderno.
Ricordiamo, ad esempio, d’aver visto, nell’esposizione d’arte sacra tenuta a Roma durante l’Anno santo, un quadretto, che rappresentava una misera e ansiosa fuga notturna in Egitto, mediante una jeep in pessime condizioni, guidata al volante da S. Giuseppe, mentre al finestrino della vettura interiormente illuminata si affacciava, con un giocattolo in mano, il bambino Gesù, quasi a rappresentare con tragico e umoristico realismo la sorte affannosa di tanti profughi, che gli anni di guerra ci hanno tristemente abituati a vedere fuggire nelle più avventurose e penose condizioni.
Sì, questo è da ricordare e da capire: Cristo non è lontano nei secoli e nei luoghi propri della sua apparizione storica; Cristo è venuto nel mondo per vivere la sorte dell’intera umanità, per assorbire in Sé quanto di umano possiede la stirpe di Adamo, all’infuori, s’intende, della macchia originata dal primo fallo, e venuto per riflettere ed emanare da Sé, sul mondo, quanto di umano e di divino Egli ha destinato a nostro conforto, a nostro esempio, a nostra luce, a nostra salvezza. Cristo è vicino, Cristo è presente, Cristo è nostro, se lo sappiamo capire ed accogliere: il Presepio ce lo ricorda.”
(Paolo VI, dal Discorso ai partecipanti al XII concorso ONARMO per il presepio negli ambienti di lavoro e nelle famiglie, 26 gennaio 1964)
“e e tremendo spazio di Dio: il silenzio dopo la domanda. Neanche quelli che si sono avvicinati alla mangiatoia, del resto, possono rassicurarsi definitivamente circa quanto per loro sarà l’esito di quella notte pl-acida. ”
È tutto il giorno che ci penso, tra un impegno e l’altro, a questa frasetta buttata lí dal nasone. Posso rassicurarmi serenamente? Quando mi accosto al Cristo vivo, sono degna? Quando mi affanno in tante cose, le faccio per la Sua gloria o per la mia? Agisco come Superman o faccio Diego dal Vega, in fondo dissimulando male qualche capacità della quale vado fiera?
Marta o Maria?
Non darò mai una risposta esauriente… Scivolo spesso, lo so, sono consapevole. Poi ci provo di nuovo… Poi mi rassereno: c’è spazio per tutti davanti alla grotta!
«E felice quell’Alleluia che si canterà in cielo dove tempio di Dio sono gli angeli! Ivi l’accordo dei lodatori sarà perfettissimo, come sarà imperitura la gioia dei cantori. Lassù non ci sarà la legge delle membra che contrasta con la legge della mente, non ci sarà la discordia causata dalla cupidigia che mette in pericolo la vittoria della carità. Qui dunque, anche se preoccupati, cantiamo l’Alleluia per poterlo cantare esenti da preoccupazioni. Perché quaggiù preoccupati? E non vorresti che sia preoccupato quando leggo che la vita dell’uomo sulla terra è una tentazione? Non vorresti che sia preoccupato quando ancora mi si dice: Vegliate e pregate per non cadere in tentazione? Non vorresti che sia preoccupato quando la tentazione è così diffusa che la stessa nostra preghiera ci obbliga a pronunciare quelle parole: Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori? Ogni giorno supplici, ogni giorno debitori. E vorresti che io resti tranquillo, quando ogni giorno debbo chiedere perdono per i peccati e aiuto di fronte ai pericoli? Riguardo ai peccati commessi dico: Rimettti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori. E subito dopo, in vista dei pericoli imminenti, aggiungo: Non ci indurre in tentazione. E come si trova nella serenità il popolo che, unendosi a me, grida: Liberaci dal male? Nonostante tutto questo però, o fratelli, sebbene cioè ci troviamo in mezzo al male, cantiamo l’Alleluia al nostro Dio perché è buono e ci libera dal male. E quando ti libera dal male, perché ti guardi attorno per individuare il male da cui ti libera? Non andare lontano, non sospingere l’occhio della tua mente di qua e di là. Ritorna in te, guarda a te. Ad essere ancora cattivo sei tu stesso; e quando Dio ti libera da te stesso, ti libera dal male.
[…]
Cantiamo Alleluia anche adesso, sebbene in mezzo a pericoli e a prove che ci provengono e dagli altri e da noi stessi. Dice l’Apostolo: Dio è fedele e non permetterà che siate tentati al di sopra delle vostre forze. Anche adesso, dunque, cantiamo Alleluia. L’uomo resta ancora dominio del peccato, ma Dio è fedele. Né dice che Dio non permetterà che siate tentati, ma: Non permetterà che siate tentati al di sopra delle vostre forze; al contrario, insieme con la tentazione, vi farà trovare una via d’uscita sicché possiate reggere. Sei in balia della tentazione, ma Dio ti farà trovare una via per uscirne e non perire nella tentazione. Ti si potrebbe paragonare al vaso del vasaio: con la predicazione vieni modellato, con la tribolazione vieni cotto. Ebbene, quando la tentazione t’incoglie pensa che ne uscirai: essendo Dio fedele, il Signore ti custodirà quando entri e quando esci.
[…]
Qui e lassù si cantano le lodi di Dio, ma qui da gente angustiata, lassù da gente libera da ogni turbamento; qui da gente che avanza verso la morte, lassù da gente viva per l’eternità; qui nella speranza, lassù nel reale possesso; qui in via, lassù in patria. Cantiamolo dunque adesso, fratelli miei, non per esprimere il gaudio del riposo ma per procurarci un sollievo nella fatica. Come sogliono cantare i viandanti, canta ma cammina; cantando consolati della fatica, ma non amare la pigrizia. Canta e cammina! Cosa vuol dire: cammina? Avanza, avanza nel bene, poiché, al dire dell’Apostolo ci sono certuni che progrediscono in peggio. Se tu progredisci, cammini; ma devi progredire nel bene, nella retta fede, nella buona condotta. Canta e cammina! Non uscire di strada, non volgerti indietro, non fermarti!»
(Agostino, ovviamente…)
Riconoscendo la dovuta maternità della prassi a Angeloextralarge:
Smack!
“Seguendo le direttive di san Francesco, durante la Santa Notte furono sistemati nella grotta di Greccio un bue e un asino. Egli aveva infatti detto al nobile Giovanni: “ Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”.
Da allora il bue e l’asino fanno parte di tutti i presepi. Ma donde deriva questa usanza? Com’è noto, i racconti natalizi del Nuovo Testamento non ne fanno parola. Se approfondiamo questa domanda, scopriamo un particolare importante sia per le usanze natalizie, sia per la spiritualità liturgica e popolare natalizia e pasquale della Chiesa.
Il bue e l’asino non sono semplici prodotti della pietà e della fantasia, ma sono diventati ingredienti dell’evento natalizio a motivo della fede della Chiesa nell’unità dell’Antico e del Nuovo Testamento. In Isaia 1,3 leggiamo infatti: “il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone; ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”.
I padri della Chiesa videro in queste parole una profezia che fa riferimento al nuovo popolo di Dio, alla Chiesa composta di giudei e pagani. Davanti a Dio tutti gli uomini, giudei e pagani, erano come buoi ed asini, privi di intelligenza e conoscenza. Ma il Bambino nella mangiatoia ha aperto loro gli occhi, cosicché ora essi riconoscono la voce del proprietario, la voce del loro Signore.
Nelle rappresentazioni medioevali del Natale vediamo come i due animali abbiano quasi volti umani, come si inchinino consapevoli e rispettosi davanti al mistero del Bambino. Ciò era perfettamente logico, perché essi avevano il valore di segno profetico dietro cui si nasconde il mistero della Chiesa, il nostro mistero, secondo il quale noi che di fronte all’eterno siamo buoi e asini, buoi e asini cui nella Notte Santa sono stati aperti gli occhi, sicché ora riconoscono nella mangiatoia il loro Signore.
Ma lo riconosciamo realmente? Quando collochiamo nel presepio il bue e l’asino, dobbiamo rammentarci tutte le parole di Isaia, che non sono solo vangelo – cioè promessa della futura conoscenza -, bensì anche giudizio sull’accecamento attuale. Il bue e l’asino riconoscono, ma “Israele non conosce e il mio popolo non comprende”.
Chi sono oggi il bue e l’asino, chi “il mio popolo” che non comprende? Da che cosa si riconoscono il bue e l’asino, da che cosa si riconosce “il mio popolo”?
Perché mai gli esseri privi di ragione riconoscono e la ragione è ceca?
Per trovare una risposta dobbiamo tornare ancora una volta con i Padri della Chiesa al primo Natale. Chi non riconobbe? Chi riconobbe? E perché ciò si verificò?
[…]
E la nostra posizione qual è? Siamo tanto lontani dalla stalla appunto perché siamo troppo raffinati e intelligenti per questo? Non ci perdiamo anche noi in una dotta esegesi biblica, nei tentativi di dimostrare l’inautenticità o l’autenticità storica di un certo passo, al punto da divenire ciechi nei confronti del Bambino e non percepire più nulla di lui? Non viviamo anche noi troppo in “Gerusalemme”, nel palazzo, racchiusi in noi, nella nostra autonomia, nella nostra paura di persecuzione, sì da non riuscire più a percepire di notte la voce degli angeli, unirci ad essa e adorare?
In questa notte i volti del bue e dell’asino ci rivolgono perciò questa domanda: il mio popolo non comprende, comprendi tu la voce del tuo Signore?
Quando collochiamo le statuine nel presepio, dovremmo pregare Dio di concedere al nostro cuore quella semplicità che riconosce nel Bambino il Signore, come fece una volta Francesco a Greccio. Allora potrebbe succedere anche a noi quanto Tommaso da Celano, quasi con le stesse parole di san Luca relative ai pastori del primo Natale (Lc 2,20), dice dei partecipanti alla messa di mezzanotte di Greccio: tutti se ne tornarono a casa pieni di gioia.”
Da Joseph Ratzinger, “Immagini di speranza: Le feste cristiane in compagnia del Papa”, Edizioni San Paolo 2005
http://papabenedettoxvitesti.blogspot.com/2009/07/nel-bambino-gesu-si-manifesta-al.html
Buona notte ragazzi, vi auguro un bellissimo fine settimana….un bacio!
PS ci sentiamo lunedì!
“l’angelo inneggia alla Gloria di Dio, e lascia la pace terrestre sospesa a quella difficile variabile della “buona volontà” (che non si capisce di chi debba essere)”
BUONA VOLONTA’
“Narra il Vangelo che la moltitudine angelica cantava: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Gli angeli annunciano ai pastori che la nascita di Gesù “è” gloria per Dio nel più alto dei cieli; ed “è” pace sulla terra per gli uomini che egli ama. Opportunamente, pertanto, si usa porre sulla grotta queste parole angeliche a spiegazione del mistero del Natale, che nel presepe si è compiuto. Il termine “gloria” (doxa) indica lo splendore di Dio che suscita la riconoscente lode delle creature. Dirà san Paolo: è “la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo” (2 Cor 4,6). “Pace” (eirene) sta a sintetizzare la pienezza dei doni messianici, la salvezza cioè che, come nota sempre l’Apostolo, si identifica con Cristo stesso: “Egli è, infatti, la nostra pace” (Ef 2,14).
Vi è infine il riferimento agli uomini “di buona volontà”. “Buona volontà” (eudokia), nel linguaggio comune, fa pensare alla “buona volontà” degli uomini, ma è qui indicato piuttosto il “buon volere” di Dio verso gli uomini, che non conosce limiti. Ed ecco allora il messaggio del Natale: con la nascita di Gesù, Dio ha manifestato il suo buon volere verso tutti.”
(Benedetto XVI, dall’Udienza generale del 27 dicembre 2006)
naturalmente, Alex… la mia esegesi si soffermava sul fatto che spesso il cartiglio è (per necessità di spazio) tronco…
ma no, Cyrano, non è che volessi criticare la tua esegesi, figurati; soltanto, ho preso spunto da un passaggio del tuo more solito pregevole post per lasciare la parola a BXVI a riguardo di quel “buona volontà” il cui significato non è troppo noto (e sinceramente una rinfrescatina ha fatto comodo pure a me 🙂 )
l’esegesi benedettiana, su quel punto, è (more solito davvero) ineccepibile, e si rifà a tutta una tradizione teologica di matrice alessandrina (eh, sì, l’agostinismo di Benedetto è double-face, come ogni vero agostinismo). Il problema che avevo sollevato nel post, però, resta per il fatto che al di là della dichiarazione dell’angelo, l’imminente strage degli innocenti sta per rimettere in discussione che la pace “in terris hominibus” sia legata alla sola “bona voluntas” di Dio. Oppure bisogna intendere “pace” in modo tale che possa ben includere “luctus et angor”…
Propendo per “Oppure bisogna intendere “pace” in modo tale che possa ben includere “luctus et angor”…”
Mia madre fa un presepe straordinario tutti gli anni. E’ una delle cose più belle del Natale in casa mia. Ma poi il libro sei riuscito a recuperarlo?
Francesca
ci stiamo attrezzando 🙂
buon presepe allora, in attesa della notte **acida 🙂