Mio padre si chiama donatore

di Raffaella Frullone   La Bussola Quotidiana
 «Ho passato anni della mia infanzia a fantasticare su di lui. Costruivo castelli sulle poche cose che sapevo: capelli biondi, occhi azzurri, laureato. Giorni frenetici e notti insonni passate a immaginare il suo carattere, le sue passioni. “Forse era un musicista, come me”, mi dicevo, “forse era un’artista squattrinato, per questo l’ha fatto,  aveva bisogno di soldi”. Poi ho scoperto che il donatore numero 81 era un professionista affermato, un medico che si definisce credente. Il mio padre biologico».

24 anni, newyorkese, Alana Stewart è quello che in gergo tecnico si chiama a donor-conceived adult, ossia un adulto concepito da donatore. La sua è una delle vicende raccontate nel documentario Anonymous father’s day (giornata del padre anonimo) che per la prima volta dà voce a un popolo che ogni anno nei soli Stati Uniti conta dai 30mila ai 60mila nuovi nati. Tanti sono infatti i bimbi che vengono al mondo grazie alla donazione di sperma da parte di padri rigidamente protetti dal più totale anonimato.

Prodotto da Jennifer Lahl, già direttrice di Eggsploitation (sul tema della donazione di ovuli), e presidente del Center for Bioethics and Culture Network di San Francisco, il documentario, disponibile on line in lingua inglese, offre una panoramica inquietante su un’industria globale senza traccia che sta timidamente venendo allo scoperto grazie ad internet. Mai come in questi anni infatti, proliferano blog, siti e social network attraverso i quali i figli di padre donatore cercano tracce delle proprie origini, si incontrano tra “fratelli”(un donatore può arrivare ad aver generato anche 150 volte), tentano di dare un volto e un nome ad un padre del quale conoscono soltanto il codice identificativo, l’area in cui il seme è stato “distribuito”, il lasso di tempo in cui l’attività di donazione è proseguita.

I 60 minuti del film ospitano il contributo di Elizabeth Marquardt, direttore del Center for Marriage and Families at the Institute for American Values, curatrice del rapporto FamilyScholars.org e coautrice, insieme a Norval D. Guenn e Karen Clark, dello studio My Daddy’s Name is Donor, ovvero “Mio papà si chiama donatore”, condotto su un campione di 485 adulti di età compresa tra 18 e 45 anni con lo scopo di effettuare un primo monitoraggio su una generazione di persone concepite in risposta ad un irrefrenabile desiderio di maternità e poi abbandonate al loro destino.

«Il 67% degli intervistati ha affermato di sentirsi perso dal momento in cui ha appreso di essere figlio di donatore – afferma la Marquardt – e di voler conoscere il proprio padre biologico. Il 70% ha ammesso di trascorrere molto tempo fantasticando sulla vita e le abitudini del donatore e di non riuscire a darsi pace. Tra i dati registriamo poi una stretta correlazione tra il ricorso al padre donatore e il fallimento delle unioni matrimoniali».

«Quello a cui siamo abituati a pensare quando si parla di donazione di sperma, o anche di ovuli, è come aiutare le persone ad avere un bambino, – spiega Jennifer Lahl, che da anni studia gli effetti delle tecniche di procreazione assistita – mai riflettiamo sulle prospettive di determinate scelte, dei diritti, dei desideri delle aspettative del nascituro. Cosa succede ad un ragazzo quando scopre che il papà che l’ha cresciuto non è il suo padre biologico? Cosa succede ad una donna quando l’anziana madre scoperchia il baule del passato e scombina le carte che sono sempre state in tavola? Come si rapporta ad un bambino un “padre acquisito”? Quale è “l’impatto etico” dei donatori di sperma sui loro figli? ».

Per rispondere a domande come queste il documentario ha scelto di raccontare la storia di Alana Stewart, che gestisce il sito anonymousus.org attraverso il quale raccoglie e riporta le storie di chi, come lei, ad un certo punto, ha scoperto di non avere più radici.

«Avevo 5 anni, era un giorno come un altro, mi stavo preparando per andare a scuola, quando mia mamma mi ha detto che ero figlia di un donatore. Così, semplicemente. Ero confusa, ma sicuramente ho subito dato un nome a quello strano senso di estraneità che da sempre percepivo nei confronti di papà. Ho una sorella di 2 anni più grande e mia madre quel giorno mi ha spiegato che lei invece era stata adottata. Qualche anno dopo i miei genitori si sono separati e mia madre ha concepito naturalmente il suo terzo figlio con un nuovo compagno. Ho visto mia madre crescere tre “tipologie biologiche di figli” e le differenze, certamente involontarie, nel suo rapporto con noi. Ho visto l’unico padre che conoscevo chiedere, dopo il divorzio, la paternità della mia sorella maggiore e non la mia. Sentiva più sua la figlia adottata, rispetto a me».

Nonostante gli occhi, a tratti velati di lacrime, Alana racconta la sua storia con distacco, come se quello che dice le appartenesse fino ad un certo punto, come se per mettersi al riparo da uno smarrimento ancora maggiore si fosse rifugiata nelle sue poche certezze. Il senso di estraneità e smarrimento  accomuna la sua vicenda a quella di tanti altri, tra i quali  Barry Stevens che nel documentario racconta di aver saputo soltanto alla morte del padre, la verità “biologica” sul suo concepimento. «Suona strano ma è come se io avessi sempre sentito una forma di distacco nei suoi confronti e mia sorella provava la stessa identica cosa. Come se in famiglia ci fosse sempre stato un segreto e noi due ne fossimo tenuti all’oscuro. Era alienante, mi sentivo perennemente incerto».

La crisi di identità e il senso di confusione percepiti dai figli di donatori rientra in quello che viene chiamato genealogical bewilderment, ovvero “smarrimento geneologico”. Spiega la regista: «Il bambino sente insieme curiosità e confusione rispetto a chi appartiene, alla sua identità, alle sue radici, al suo posto nella famiglia. Lo si vede nei bambini adottati, che chiedono di sapere dei loro genitori biologici, e ancor più succede nei bimbi nati da donatore, per i quali la ricerca del padre è resa ancor più difficile dalla protezione della privacy di chi dona, da parte delle cliniche».

«Mi sembra assurdo che gli ospedali trattengano così tante informazioni sui donatori e non si preoccupino dei diritti di chi nasce – osserva Barry Stevens. – Ci vogliono convincere che un padre donatore non sia altro che una persona disposta ad aiutare chi non riesce ad avere figli, una prassi ordinaria. Non considerano che abbiamo tutti una grande domanda di senso nel cuore che ci porta a domandare: chi sono? Da dove vengo? Ci ripetono è una cosa normale, che non c’è nulla di male. Eppure qualcosa non torna…».

fonte: La Bussola Quotidiana

53 pensieri su “Mio padre si chiama donatore

    1. Denise Cecilia S.

      Perdonami, come si fa a rebloggare un post sul proprio blog?
      Vorrei farlo con questo, ma non vedo traccia dell’apposito bottone…

  1. Giuseppe

    Menomale che è stato messo anche qui, così ho un modo ti farti i complimenti! Brava!
    «Mi sembra assurdo che gli ospedali trattengano così tante informazioni sui donatori e non si preoccupino dei diritti di chi nasce” Beh è ovvio: ci son di mezzo i soldi!
    E soprattutto i “diritti” dei donatori, in pratica, non aver rotture di scatole, dai figli. Ricordati che appena in Inghilterra si permise ai figli di aver notizie dei genitori biologici le donazioni son semplicemente crollate! Il rimedio? Aumentare il “rimborso” ai donatori.

    1. paulbratter

      mmm….tutto quello che succede nel mondo….e ‘ste bischerate…..forse le due cose non sono affatto separate

    2. Alessandro

      Alvise, non sono fenomeni di nicchia, marginali a paragone degli sconquassi naturali e finanziari planetari.
      Questa perversione del senso stesso del generare e del succedersi delle generazioni s’accompagna ad analoghi abusi promossi dalla mentalità che chiama diritto ciò che non lo è. E’ una ideologia perniciosa, che corrode la corretta stima di sé non meno dei legami sociali, e quindi è causa di sempre più diffusi dissesti e disordini sia a livello individuale sia a livello sociale.

  2. Alessandro

    scusate, il filmato è un po’ trivialotto ma mette alla berlina efficacemente le storture della “donazione” di sperma (il “donatore” in questo caso è l’alcoolizzato Barney, noto per le sue frequenti eruttazioni, che si scopre essere ereditate dai suoi numerosi figli biologici)

  3. Daniela Yeshua

    Fuoriosamente inquietante.
    Specie se mi soffermassi a pensare al COME mio “padre” ha dovuto fantasticare – e con quale materiale audiovisivo – per riuscire ad eiaculare.
    – Sarei una figlia della poesia.

    1. Giuseppe

      4 righe? solo 4 righe? Non credo ai miei occhi…ma a Natale alcuni diventano più buoni e te meno grafomane?

  4. Adriano

    Mmmm…. Mi pare in questo post ci siano contraddizioni e notizie smentite da altre fonti documentate.

    “Il 70% ha ammesso di trascorrere molto tempo fantasticando sulla vita e le abitudini del donatore e di non riuscire a darsi pace.”
    Ma altri studi dicono che solo un terzo dei figli in provetta vuole veramente sapere chi è il proprio padre biologico. Di questi solo il 60% (il che significa il 20% del totale) ha pensato poi di contattalo veramente. (Fonte: Ricerca presentata dall’ American Society for Reproductive Medicine e condotta dal dott. Joanna Sheib dell’University of California Davis http://www.telegraph.co.uk/health/healthnews/3439954/Sperm-donors-should-get-cut-price-IVF-to-tackle-shortage.html). Chi avrà ragione?

    “Tanti sono infatti i bimbi che vengono al mondo grazie alla donazione di sperma da parte di padri rigidamente protetti dal più totale anonimato.”
    Ma se appena prima si dice il contrario, e cioè che una persona ha scoperto chi era il proprio genitore biologico? Da quanto ho letto, l’anonimato non è garantito per legge negli USA, né lo è in Australia, Nuova Zelanda, Norvegia, Svizzera e Regno Unito. In altri stati, come la Svezia, il donatore è anonimo, ma il figlio può conoscerne l’identità al diciottesimo anno.
    Altra contraddizione. Quale la verità?

    “Ci vogliono convincere che un padre donatore non sia altro che una persona disposta ad aiutare chi non riesce ad avere figli, una prassi ordinaria.”
    Questo è proprio il risultato di una ricerca svedese. (“Swedish Sperm Donors Are Driven by Altruism, but Shortage of Sperm Donors Leads to Reproductive Travelling” di Erling Ekerhovd, Anders Faurskov, Charlotte Werner, pubblicato su Upsala J Med Sci 113 (3): 305–314, 2008 doi:10.3109/2000-1967-241 ).

    Buona giornata!

    1. Alessandro

      “Il 70% ha ammesso di trascorrere molto tempo fantasticando sulla vita e le abitudini del donatore e di non riuscire a darsi pace.”
      Ma altri studi dicono che solo un terzo dei figli in provetta vuole veramente sapere chi è il proprio padre biologico”.

      Nessuna contraddizione. Anzi. Struggersi perché s’ignora l’identità del “donatore” non conduce necessariamente (e perché mai dovrebbe farlo?) ad adoperarsi per conoscere il “padre” biologico. Anzi, non è difficile immaginare che il drammatico vissuto connesso al sapersi figli di “donatore” possa costituire una inibizione potente alla ricerca dell’identità del “padre” biologico.

      D’altronde, lo studio citato da Raffaella evidenzia giustificate remore che scoraggiano la ricerca del “padre” biologico:

      Il 53% degli esaminati teme che se cercasse di ottenere maggiori informazioni sul “donatore” o di entrare in contatto con lui la madre e/o il padre che l’hanno cresciuto si adirerebbero. Considerato inoltre che il 69% fantastica sulla eventuale volontà del “donatore” di conoscerlo, è facilmente immaginabile che molti temano l’ostilità del “donatore” all’eventualità di conoscere il “figlio” biologico, e che ciò non sproni certo ad appurare l’identità del “genitore” biologico.

      Quanto all’anonimato del donatore, occorre senza dubbio tener presente che vigono normative diverse da Paese a Paese.

      Quanto all’affermazione “Ci vogliono convincere che un padre donatore non sia altro che una persona disposta ad aiutare chi non riesce ad avere figli, una prassi ordinaria”, essa si scontra contro obiezioni bioetiche ingenti, che sono state ampiamente esposte anche su questo blog e che non ho ora il tempo di ribadire.

      1. Alessandro

        Quanto al presunto altruismo del “donatore”, che ne farebbe una sorta di generoso benefattore che aiuta ad avere figli chi non potrebbe altrimenti averne, occorre evidenziare le gravi aberrazioni etiche connesse alla pratica della c.d. “donazione” di seme. Scrive il filosfo morale Giacomo Samek Lodovici:

        “[La fecondazione eterologa], in aggiunta [all’omologa], comporta i
        seguenti gravissimi aspetti immorali.
        1) Essa sceglie deliberatamente di rendere un essere umano orfano dalla nascita di suo padre e/o di sua madre. Non è vero che l’adozione fa lo stesso: con l’adozione, l’orfananza (o l’abbandono) non è prodotta da chi affida/riceve un bambino in adozione, bensì è stata provocata da altre cause. E, solo dopo che si è prodotta, l’adozione viene realizzata per migliorare le condizioni di un bambino; invece con l’eterologa essa è scientemente prodotta.
        2) L’eterologa con “donatori” (spesso per modo di dire, visto che si fanno lautamente pagare) sconosciuti di gameti lede il fondamentale
        diritto di ciascuno di sapere quali sono le sue origini, il diritto di sapere chi sono i suoi veri genitori (di cui porterà per tutta la vita l’aspetto
        fisico, talvolta anche il temperamento), lede con ciò anche il diritto di sapere eventuali e decisive informazioni per la propria salute.
        D’altra parte, quando si vietasse l’anonimato dei genitori biologici, l’eterologa scomparirebbe o quasi, perché sono ben pochi
        i “donatori”, soprattutto quelli maschi, che vogliono rischiare di avere a che fare con vari figli, magari persino decine, fabbricati, negli anni, coi loro gameti.”

        Fai clic per accedere a 864fbbc568c61f46bca1f792fd2c782b.pdf

    2. Adriano, dici: “Tanti sono infatti i bimbi che vengono al mondo grazie alla donazione di sperma da parte di padri rigidamente protetti dal più totale anonimato.” Ma se appena prima si dice il contrario, e cioè che una persona ha scoperto chi era il proprio genitore biologico?

      Il fatto che qualcuno lo abbia scoperto non significa che il padre non fosse protetto da anonimato, significa che diverse persone, incrociando i dati disponibili, quelli citati nel pezzo, e facendo una ricerca, sono riusciti a conoscere l’identita’ del genitore biologico.

      Dici ancora: “Il 70% ha ammesso di trascorrere molto tempo fantasticando sulla vita e le abitudini del donatore e di non riuscire a darsi pace.” Ma altri studi dicono che solo un terzo dei figli in provetta vuole veramente sapere chi è il proprio padre biologico. Di questi solo il 60% (il che significa il 20% del totale) ha pensato poi di contattalo veramente.

      Non mi sembra che i due dati siano in contraddizione, come ha fatto notare Alessandro.

      Dici infine: “Ci vogliono convincere che un padre donatore non sia altro che una persona disposta ad aiutare chi non riesce ad avere figli, una prassi ordinaria.” Questo è proprio il risultato di una ricerca svedese.

      La ricerca che citi e’ stata condotta su 30 donatori svedesi, ai quali ‘ stato sottoposto un questionario motivazionale. Il fatto che abbiano risposto che donano il seme per altruismo be’ … mi ricorda quando io compro un paio di scarpe e dico che lo faccio per far girare l’economia.

      Trovi veramente tutto questo normale?

      1. Adriano

        Alessando,

        “Struggersi perché s’ignora l’identità del “donatore” non conduce necessariamente (e perché mai dovrebbe farlo?) ad adoperarsi per conoscere il “padre” biologico.”

        Sarà, ma mi pare che, se qualcuno vuole qualcosa in modo intenso, fa di tutto per ottenerla… Segno che, forse, non ci pensano poi così intensamente da mettersi contro anche ai propri genitori veri (cioè quelli che lo hanno cresciuto). Infatti nel riassunto dell’inchiesta (http://www.familyscholars.org/assets/Donor_summ_findings.pdf) si dice che “il 70% si trova d’accordo con l’affermazione “Mi ritrovo a chiedermi come possa essere la famiglia del mio donatore” e il 69% si trova d’accordo con la frase “Ogni tanto mi chiedo se i genitori del mio donatore di sperma vorrebbero conoscermi”. (pag. 3, punto 2) Ecco, non mi pare che si parli di “molto tempo” a struggersi, né di “non riuscire a darsi pace”. Almeno, non ne ho trovato traccia a una lettura veloce.

        Raffaella
        “Il fatto che qualcuno lo abbia scoperto non significa che il padre non fosse protetto da anonimato, significa che diverse persone, incrociando i dati disponibili, quelli citati nel pezzo, e facendo una ricerca, sono riusciti a conoscere l’identita’ del genitore biologico.”

        Oppure significa che l’anonimato non è protetto per legge. Da quanto ho letto, negli Usa non esiste un orientamento univoco.

        “La ricerca che citi e’ stata condotta su 30 donatori svedesi, ai quali ‘ stato sottoposto un questionario motivazionale. ”

        Trenta donatori in una nazione così piccola come la Svezia sono tanti? Sono pochi? La ricerca che citi nel post è stata fatta su solo 485 figli in provetta concepiti nell’arco di oltre un quarto di secolo…

        “Il fatto che abbiano risposto che donano il seme per altruismo be’ … mi ricorda quando io compro un paio di scarpe e dico che lo faccio per far girare l’economia.”

        Nella ricerca svedese si legge che l’80% dei donatori continuerebbe a essere tale anche se non ricevesse nessun compenso (una coincidenza che una bella fetta di donatori di sperma sia anche donatore di sangue?).

        “Trovi veramente tutto questo normale?”

        E quando mai l’avrei detto? Sarebbe bello se non ci fosse bisogno di donazioni di sperma. Sarebbe bello se tutte le coppie che vogliono un figlio lo potessero avere in modo naturale oppure siano in grado di adottarne uno. Sarebbe fantastico… Ma non è così.

        Sarebbe anche bellissimo che i figli in provetta si trovassero bene tanto quanto gli altri, potessero vivere con altrettanta serenità. Purtroppo non è così, e sarebbe bello capirne i motivi.

        Quello che manca nel post, a mio avviso, sono anche tante altre contraddizioni contenute nella ricerca. Come, per esempio, che mentre il 42% dei figli in provetta è contrario alla cessione dello sperma o di ovuli dietro pagamento e il 47 il 61% è favorevole al concepimento da donazione (rispetto al 39% degli adottati e al 38% dei figli standard, pag. 9, punto 11 del riassunto) e il 75% afferma che tutti hanno il diritto di avere un figlio e il 64% è pure favorevole alla clonazione, se non ci sono altre possibilità. Infine il 20% dei genitori in vitro è stato a sua volta donatore (punto 12), rispetto a 0% degli adottati e 1% tra gli altri).

        Interessante, infine, vedere che il 36% dei figli in provetta è in famiglie cattoliche (22% adottati, 28% tra quelli cresciuti dai genitori biologici). I protestanti sono rispettivamente 34%, 63% e 53%. Ed è più probabile che siano cattolici anche loro, da adulti (pag 105 della ricerca completa)

        Infine, a mio avviso, manca il fatto che questi figli in provetta sono stati voluti tanto quanto e più degli altri, da persone che, nonostante la propria religione, non hanno trovato conforto nell’essere senza prole a cui dare il proprio amore. Certo, l’amore non giustifica tutto (ed è forse difficile da misurare nelle statistiche), ma dimenticarsene mi pare proprio sia come lasciare fuori un pezzo importante del puzzle… Un pezzo che, come altri che ho citato, forse non sostiene la tesi contro la fecondazione ma che, appunto per questo motivo, sarebbe corretto, a mio avviso, citare, per completezza e onestà.

        Buona notte!

        1. Alessandro

          Adriano

          “Struggersi perché s’ignora l’identità del “donatore” non conduce necessariamente (e perché mai dovrebbe farlo?) ad adoperarsi per conoscere il “padre” biologico.”

          Sarà, ma mi pare che, se qualcuno vuole qualcosa in modo intenso, fa di tutto per ottenerla… Segno che, forse, non ci pensano poi così intensamente da mettersi contro anche ai propri genitori veri (cioè quelli che lo hanno cresciuto)”

          Veramente, lo studio, considerato nel suo insieme, evidenzia che la maggior parte dei figli dei donatori fantasticano frequentemente intorno all’identità del “padre” biologico, e che questo fantasticare non è improntato a sentimenti di serenità e gioia, ma s’accompagna a paure e dubbi di varia indole (paure e dubbi sulla reazione dei genitori che t’hanno cresciuto se tu cercassi di entrare in contatto col “donatore”, paure e dubbi sulle reazioni del “donatore” stesso qualora si cercasse di allacciare un contatto con lui; nonché disagio quando si deve parlare del proprio essere figlio di “donatore”, quando ci si trova dinnanzi a “figli” non di “donatori”, ecc.).
          Non può meravigliare che, in un quadro segnato da dubbi, paure, inquietudini quanto al proprio “donatore” e al proprio essere “figli” di una “donazione” di seme, non si avverta fortemente l’anelito a conoscere l’identità del “donatore”, a cercare di stabilire un contatto con lui: è ragionevole infatti immaginare che nei “figli” di “donatore” prevalga psichicamente il timore (più o meno esplicito, verbalizzato) che una notizia così sconvolgente come quella sull’identità del “padre” biologico (per non parlare di un evento sconvolgente quale sarebbe l’incontro con lui) destabilizzerebbe, con aggravio di sofferenza, un quadro psichico già precario, complessivamente doloroso e problematico quale quello rilevato.

          Quanto alla – per così dire – stoffa etica dei donatori, e alla qualifica morale del loro gesto, ribadisco le riserve – che ho già argomentato – sull’altruismo la benevolenza la generosità di costoro.
          Mi pare che Raffaella abbia reso benissimo anche il senso delle mie – chiamiamole – perplessità:
          “La ricerca che citi e’ stata condotta su 30 donatori svedesi, ai quali è stato sottoposto un questionario motivazionale. Il fatto che abbiano risposto che donano il seme per altruismo be’ … mi ricorda quando io compro un paio di scarpe e dico che lo faccio per far girare l’economia.”
          Il che significa che un questionario motivazionale può al massimo far conoscere che ne pensano i diretti interessati sulle motivazioni che li hanno condotti a compiere un’azione. Ma MAI un questionario motivazionale (ancorché realizzato a regola d’arte, con un campione congruo di intervistati) può dire qualcosa di dirimente sul reale valore o disvalore morale dell’azione compiuta da alcuno degli intervistati.
          E’ del tutto ovvio, infatti, che tendenzialmente il “donatore” difenderà la plausibilità e la dirittura della propria scelta, ma è altrettanto ovvio che l’apologia che della propria scelta fa il “donatore” nulla dice sull’intrinseca liceità o illiceità morale dell’atto da questi esplicato.

          1. Denise Cecilia S.

            Per quel che vale, sono perfettamente d’accordo con quanto rilancia e sottolinea Alessandro, qui sopra.

            Non è certo l’unica nè necessariamente la più rilevante, ma non dimentichiamo che esiste anche la variabile guadagno: banalmente, chi dona il proprio seme viene pagato per… l’offerta.

            1. 61Angeloextralarge

              E nemmeno poco: circa 150 euro “a botta”. Questo un anno fa, forse oggi è di più. Smentitemi se ho dato l’info errata.

            2. Alessandro

              Grazie mille, Denise Cecilia!
              E concordo con te… la variabile “guadagno” non è una tra le tante, mi pare veramente grandeggiante

            3. Denise Cecilia S.

              Fossero anche solo 50 euro a volta, con tutti i limiti temporali del caso (non penso si possa donare ogni giorno, per dire, da regolamento); a me che sono un uomo improvvisamente licenziato e che si trova nei guai (fatto non raro in America) oppure un ragazzo sanissimo, ma dedito alla bella vita che non perde occasione per rimpolpare le tasche e fare la parte del figo; non possono che tornare molto comodi – e molto easy, soprattutto.
              Esistono anche altre motivazioni? Certo che sì.
              Ma il distacco dal figlio biologico che eventualmente nascerà, e che con me avrà volente o nolente un legame (pure se non dovesse mai conoscermi) è l’unico dato certo ed ineliminabile.

  5. POST MORTEM
    “Ho letto recentemente che il povero Hitchens si sta avvicinando alla fine della vita: un cancro all’esofago l’ha ridotto a vivere in una stanza d’ospedale con un sondino che lo alimenta. Da uno così ci si potrebbe aspettare come minimo una richiesta di iniezione letale, e invece il giornalista ha dichiarato di essere tutto sommato sereno, di scrivere ogni articolo come se fosse l’ultimo e di cercare di non pensare troppo alla morte. Non posso che sperare che questo stato di malattia lo induca a vedere le cose da un altro punto di vista, ad ascoltare il Papa senza pregiudizi, a sentire il bisogno di amore, non di odio.”

  6. paulbratter

    Da quando il sito di «Vanity Fair» ha annunciato, ieri mattina, che il 62enne Hitchens, malato di cancro all’esofago, aveva chiuso gli occhi per sempre, lo stesso mondo che si appresta a celebrare il Natale piange per la perdita dell’uomo che se la prese violentemente e ripetutamente – tra gli altri – con la Chiesa cattolica, quella mormone, la festa ebraica della Hannukah, quella cristiana del Natale (appunto) e Madre Teresa di Calcutta (titolando il libro, con blasfema genialità, La posizione della missionaria ), e si avventò contro lo scarso senso dell’umorismo delle donne, e poi attaccò Henry Kissinger, Bill Clinton, Fidel Castro, Cindy Sheehan (la mamma pacifista ostile alla guerra in Iraq, lui era a favore), Benedetto XVI, naturalmente gli «islamofascisti» e infine, con coerente e felice scelta di tempo, Dio.

    ora glieLo potrà dire in faccia, però vorrei vedere la sua di faccia….

  7. “Così morì miseramente,, per andare a riferire, io credo, in quegli altri mondi che aveva supposto, come i romani sono soliti trattare i blasfemi e gli empi”
    (dopo la morte di Giordano Bruno, un prelato)

      1. Alessandro

        a ma sembra che a Hitchens non abbia torto un capello alcun prelato monaco suora laico ecc.

        Ma bisogna suffragare le anime anche degli atei più conclamati e sulfurei (nella speranza che una estrema, forse muta richiesta di perdono le abbia scampate dalle fiamme eterne).

  8. 1) per quanto riguarda il suicidio, che uno se volesse e fosse in grado che si
    avesse a suicidarsi da solo come si vede che fanno tra le genti comuni.
    2) fosse il caso che uno si trovasse nelle grinfie degli altri testamento biologo o senza, familiari consenzienti o contrari, legge o non legge, medici o non medici, eccetra, si troverebbe in ogni caso sempre nelle grinfie degli altri, comunque. Solo, fatto auspicabile, è di essere allora senza alcuna conoscenza, come uguale a un cadavere, e chiuso.

  9. Volevo anche osservare che di questi discorsi del ritrovarsi a faccia a faccia, o meno, con
    Dio non ne potremo mai avere conferma in questa vita e (secondo me) nemmeno nell’altra (perché non c’é) né io né voi, salvo restando il vostro diritto di credere in un faccia a faccia futuro, ma non lo potrete mai sapere fino al futuro, come del resto nemmeno io,ma io non lo saprò lo stesso (credo io) voi invece lo saprete (credete voi).
    Chi non vivrà vedrà- o non vedrà!!! E allora non ci si potrà incontrare (credo io)per dire avevi ragione avevo torto, nemmeno questa soddisfazione, chiamiamola….

    1. Alessandro

      “Volevo anche osservare che di questi discorsi del ritrovarsi a faccia a faccia, o meno, con Dio non ne potremo mai avere conferma in questa vita e (secondo me) nemmeno nell’altra”

      eh, ma quel “secondo me” debilita il discorso tuo, Alvise. Prove, Prove ci vogliono, non “secondo me”…

      1. Non ho nressuna prova, lo ammetto, è così…
        Forse, mi dispiace, non ci potremo vedere nemmeno “dopo” perché io sarò dannato, Dio non c’è e se ci fosse non mi vorrei mai trovare faccia a faccia con una persona, LUI, di cui non ho nessuna stima e considerazione, da conme si è sempre comportato con NOI, come burattini!!!

        1. Fk

          Sai benissimo di aver scritto un mucchio di stronzate! Perché delle due l’una: o non c’è (e allora siamo tutti fregati!) oppure c’è (e allora vedremo). Ma non è possibile che tu dica che non c’è e allo stesso tempo lo accusi di essere il grande burattinaio… insomma dovrai pur deciderti… 😉

          1. Naturalmente, non credo,, ma anche se volessi non potrei mai credere in un Dio per burattini, i burattini di Dio, non ci credo e non ci potrei mai credere in un DIo che fa i balocchi con le persone, mi vergognerei per lui!!!
            Fregati, comunque, lo siamo con o senza Dio, dalla nascita!!!

            1. Fk

              Non fregati… ma amati! Da Dio, OVVIAMENTE!

              Siamo fatti per Te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te!
              Agostino

  10. E poi vorrei sapere, già che ci siaamo, chi di noi è sicuro di essere figlio dello sperma
    del suo babbo, chi di noi ha fatto le analisi? E se venisse fuori che non lo siamo (come statisticamente è molto probabile ) che succederebbe di così tragico?
    Forse si incazzerebbero i nostri babbi (quelli più stupidi) ecco tutto!!!

    1. Alessandro

      Che io sia figlio di quello che dice di essere mio padre lo verifico ogni giorno guardandomi allo specchio

        1. 61Angeloextralarge

          Alviseeee! Impostato così il discorso sembra che le mamme chissà cosa combinano! Abbi fiducia e pazienza1 Non tutto è secondo le nostre paure…

  11. PEPPE

    Questa è la dimostrazione che la maternità e la paternità non sono nè un diritto nè un dovere, ma un dono, come la vita, fatto da COLUI che fa il dono stesso.

  12. Pingback: Figlio di donatore (ignoto) | Seme di salute

  13. Alessandro

    PROBLEMI ETICI legati alla “DONAZIONE” di gamete. Ovvero: il DONATORE è un altruista?

    “L’inserimento all’interno della dinamica della coppia della figura del donatore non può che portare al limite il carattere di depersonalizzazione della procedura [di procreazione artificiale] al quale si è già accennato. Depersonalizzazione che si rende evidente nell’irresolubile paradosso che inerisce alla procreazione assistita eterologa. Perché infatti una coppia richiede la procreazione assistita eterologa e non, per es., l’adozione di un minore? Evidentemente perché, da parte di almeno uno dei due membri della coppia, si ritiene un valore essenziale e irrinunciabile avere un vincolo genetico col figlio che verrà così dato alla luce. Ma con altrettanta evidenza si deve pensare che per l’altro membro della coppia questo valore sia inessenziale e rinunciabile, al punto da fargli acconsentire a essere surrogato da un donatore di gameti. È chiaro che in una simile situazione emerge una profonda diversità nell’ordine dei valori e delle intenzioni all’interno della coppia che, vanificando l’indispensabile simmetria tra i partner, ne rende problematica la valenza specificamente antropologica e fa sorgere gravissime questioni etiche sulla procedura di procreazione assistita nel suo complesso.

    Un breve accenno meritano altresì i problemi che nascono quando si rifletta sulla figura del DONATORE. Sul piano strettamente etico, la scelta di donare gameti viene in genere giustificata sottolineandone la generosità e l’altruismo. Ma per operare una valutazione etica adeguata di questo gesto è pur necessario riflettere a fondo su ciò che viene donato: non una cosa, non semplice materiale biologico, ma cellule germinali, una parte essenziale, cioè, della propria identità, quella parte che verrà trasmessa al figlio chiamato alla vita tramite procreazione assistita e che attiverà inevitabilmente in lui – ne sia o no consapevole il donatore – legami psicologici col suo genitore genetico, così come non è da escludere che anche nel donatore possano attivarsi problemi psicologici in riferimento ai possibili figli nati grazie alla donazione dei suoi gameti. Simili problemi, per quanto possano apparire meno rilevanti di molti altri inerenti alla procreazione assistita, non possono essere in alcun modo banalizzati o rimossi.

    Ancora maggiori sono le perplessità che sorgono quando spostiamo la nostra attenzione alla figura del bambino chiamato alla vita tramite procreazione assistita. Vengono qui in rilievo gli interessi, in senso lato, del nascituro: di un soggetto, cioè, terzo rispetto alla coppia che chiede di essere ammessa alle pratiche di procreazione assistita e meritevole di particolare tutela, anche sul piano giuridico-sociale.
    Il primo degli specifici interessi che hanno una valenza etico-sociale (oltre a quelli inerenti alla salute, che però coincidono con quelli della coppia che vuol darlo alla luce e pertanto non possiedono una loro rigorosa specificità) è che non venga recata offesa all’identità del nascituro. In un essere umano, sotto la parola identità si cela un denso e complesso nucleo di significati; ai nostri fini può essere sufficiente rilevare come l’identità abbia una valenza specificamente familiare e si costruisca attraverso il rapporto costitutivo, positivo o negativo, che unisce ciascun essere umano ai propri genitori, siano essi noti o ignoti.
    È evidente che sotto questo profilo il ricorso alla procreazione omologa non crea particolari problemi etici, dato che l’identità personale del nascituro è assolutamente certa, sotto ogni punto di vista.
    Nel caso della procreazione ETEROLOGA invece si verifica il fenomeno, ormai ben noto perché molte volte sottolineato nei suoi esiti più paradossali e più conturbanti, della moltiplicazione delle figure genitoriali. Anche senza prendere in esame i gravissimi problemi psicologici e sociologici che conseguono a questa situazione, non si può non osservare come nella procreazione eterologa il desiderio di genitorialità di una coppia venga a trovare soddisfazione attraverso una pratica che obiettivamente indebolisce l’identità personale del figlio destinato a nascere, creandogli – almeno potenzialmente – una molteplicità di referenti esistenziali diversi, se non conflittuali tra loro.”

    del prof. FRANCESCO D’AGOSTINO:

    http://www.treccani.it/enciclopedia/procreazione-assistita_(Il-Libro-dell'Anno)/

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