di Raffaella Frullone
La nuova frontiera dell’emancipazione arriva dalla Francia ma, come tutte le trovate geniali, si sta diffondendo anche nel nostro paese: convivere a casa di mammà.
Come funziona? Ce lo spiega un articolo de Il Giornale di ieri «Hanno fra 17 e 24 anni. Vanno a scuola, seguono i corsi all’università, in qualche caso lavorano. Come qualunque altro ragazzo della loro età. Eppure, in fatto di vita affettiva, ne sanno molto più dei loro coetanei. Perché, malgrado la giovane età, già convivono. Ma sotto il tetto di mamma e papà, che provvedono a riempire il frigo, stirare le camicie e pagare le bollette. In Francia le chiamano bebe couples, in Italia baby conviventi».
Secondo me si potrebbero chiamare anche in altri modi, di certo non mi spingerei a dire: «In fatto di vita affettiva, ne sanno molto più dei loro coetanei. Perché, malgrado la giovane età, già convivono». Comunque nella statistica rientra anche una delle due figlie di Anna, la barista del caffè che ho frequentato per anni e che ho rivisto tempo fa, trafelatissima, nel parcheggio di Ikea: «Sto facendo dei lavori a casa – mi racconta soddisfatta – ho lasciato la mia stanza a Katia e al suo ragazzo, e io ho adattato un divano letto in anticamera, che tanto e grande, e ho lasciato l’altra stanza tutta per Sara, così anche lei può avere un po’ di privacy coi ragazzi. Certo a questo punto la privacy non ce l’ho più io, ma va bene così. Non voglio che Katia lasci la scuola, e il suo ragazzo ha perso il lavoro, a casa da me sono al sicuro e non devono spendere soldi».
Anna sembra essere perfettamente in linea con i suoi colleghi genitori d’oltralpe che, come evidenzia la ricerca condotta in Francia, sono rassicurati dal sapere che i figli siano sotto il loro stesso tetto: «Soprattutto per i rapporti intimi, è meglio che si incontrino in casa piuttosto che in macchina o in altri luoghi a rischio» scrive il quotidiano. Anna è una ragazza madre, ha cresciuto le due figlie da sola con molti sacrifici e il suo unico obiettivo è che le ragazze non smettano di studiare ed evitino in ogni modo gravidanze indesiderate «Voglio per loro una vita migliore della mia». Anche questo la mette perfettamente in linea con la statistica che indica nei genitori single o separati i più accomodanti verso l’ipotesi della baby convivenza.
Mentre cerco qualcosa di sensato da dire dopo questo racconto, cercando contemporaneamente di mascherare lo sconcerto che si disegna sul mio viso, ci viene incontro, appunto, da Katia. Acne, all stars e sguardo vispo, alla teenager non sfugge il mio sopracciglio aggrottato e passa al contrattacco: «Non è una decisione che abbiamo preso alla leggera anzi, io ci tengo agli studi per questo mi sono confrontata con la psicologa della scuola che mi ha rassicurato dicendo che la convivenza è un segno di maturità, basta stabilire le regole giuste».
Mentre caricava in macchina la libreria billy e una lampada Alang da mettere accanto al lettone di mamma appena ereditato, l’adolescente matura ha elencato le regole che la stessa psicologa le ha suggerito.
1. Mantenete e rispettate i vostri spazi. Se hai bisogno di passare una serata leggendo un libro o facendo zapping, fallo, se vuoi invitare le amiche sentiti, libera. Chiedi anche a tua madre di rispettarli, perché l’invadenza non è mai produttiva. (Forse anche il divano letto è eccessivo, bisognerebbe dire ad Anna di spostarsi in garage…)
2. Divisione equa di compiti e responsabilità. (Ma se a lavare-stirare-cucinare ci pensa mammà, quali compiti restano da dividersi? Io mi faccio una doccia, tu decidi che film guardiamo stasera?)
3. Rispettate la divisione dei ruoli. Se vostra madre giustamente accetta tutto di voi, sappiate che il partner non è tenuto a farlo, quindi è essenziale venirsi incontro. E nella routine tenete conto anche dell’opinione della mamma. (Grazie, a quanto pare Anna può anche esprimersi)
Secondo l’articolo de Il Giornale il fenomeno sarebbe «più radicato all’interno delle famiglie separate o monoparentali. Sono infatti, i figli dei genitori divorziati a vivere la propria vita sentimentale in modo più esclusivo e precoce. Spinti dal bisogno di trovare nel partner la sicurezza e i punti di riferimento che spesso il nucleo di origine non riesce a fornire».
Forse non è un caso. Fatto sta che diventa normale per un adulto avere più di una famiglia, per un giovane rimanere o tornare nella famiglia di origine, per un bambino relazionarsi con due madri o due padri o con fratelli nati da genitori diversi, normali convivenze precarie, a tempo determinato, all’insegna della santa libertà individuale.
Certo, un conto è leggere un quotidiano, un altro è incontrare una donna che da sola ha cresciuto due figlie facendo tre lavori, senza avere un uomo a fianco, senza un padre che guidasse la famiglia. E allora bisogna fare molta attenzione a non scivolare nel giudizio, ma con ferma delicatezza siamo chiamati a esortare i genitori, soprattutto quelli che vengono da un passato difficile, a parlare ai figli della bellezza e della grandezza del matrimonio cristiano, che risponde ai bisogni più intimi del cuore e trasforma l’amore dei coniugi perché lo eleva.
«Il matrimonio è strumento di salvezza non solo per gli sposi ma per la società» ha detto il Papa lo scorso anno. «Solo l’amore di Dio può soddisfare pienamente i nostri bisogni più profondi, e tuttavia, attraverso l’amore tra marito e moglie, l’amore tra genitori e figli, l’amore tra fratelli, ci viene offerto un assaggio dell’amore sconfinato che ci attende nella vita che verrà. Come ogni obiettivo che vale davvero la pena perseguire , esso comporta esigenze, ci sfida, ci chiede di essere pronti a sacrificare i nostri interessi per il bene dell’altro. Ci chiede di esercitare la tolleranza e di offrire il perdono. Ci invita a nutrire e a proteggere il dono della vita nuova. Coloro tra noi che sono abbastanza fortunati di nascere in una famiglia stabile scoprono in essa la prima e più importante scuola per una vita virtuosa e le qualità per essere buoni cittadini».
Ovviamente non sono riuscita a dire una di queste parole, sono rimasta lì, col sopracciglio aggrottato. In silenzio. A pensare a quanto può essere grande e insieme ferito l’amore di una mamma.
Non ho detto nulla. Ma forse, almeno alla psicologa, due parole sono ancora in tempo a dirle.
Se la bellezza salverà il mondo,
la psicologia la dissotterrà nell’inconscio talmente bene, ma talmente bene, che nel 2011 le persone pagheranno ancora oro per essere ascoltate in psicoanalisi, e altrettanto oro per imparare quanto sia costoso farsi ascoltare contemporaneamente al più assordante silenzio dell’interlocutore – non risolvendo minimamente nulla.
– Ma non lo dico perchè sono una psicologa.
La progressiva diffusione della convivenza “invertebrata” da “mammoni” è sintomatica di due gravi patologie, a parer mio.
La prima è la cosiddetta “falsa prudenza nel male” ovvero l’”arte di peccare senza rischi”. Insomma, anche il peccato è diventato un paffuto borghese con prenotazione assicurata, garantita e obbligatoria (sempre in business class, il va de soi), foraggiato, vezzeggiato, nutrito e coccolato a fasi alterne dalla mamma e dallo Stato-mamma. La parola d’ordine è: deresponsabilizzare. Gli sciocchi laudatori di questa ultima, grande “conquista” dell’emancipazione dei costumi ovviamente non si avvedono di quanto veleno essa comporti. Solo la progressiva perdita della libertà umana, sciocchezzuole.
In secondo luogo così facendo scade anche la “qualità” del peccato, che dipende dalla “qualità” della virtù come l’aceto dipende dalla bontà del vino. Dove la trasgressione diventa norma anche gli amori illegittimi, abbandonata la tragica grandezza di un Tristano e una Isotta, si rivestono ora di una patina di grigio piattume. Gli “amori liberi” di una volta si fortificavano dovendo lottare con energia contro la palizzata eretta dalla vigorosa morale tradizionale, imperniata sulla preminenza dell’istituzione matrimoniale. Così le grandi passioni illegittime avevano dalla loro almeno la grandezza dell’anticonformismo. Che coraggio occorre invece per sfondare una porta aperta?
Non riesco a dormire causa zanzara bastarda… cmq assurdo!
da Danicor riceviamo
La prima lettera ai costanzini
ma che bella! complimenti Danicor… (e poi la forma epistolare è sempre una meraviglia!)
Grazie, ma per la forma ringrazia San Paolo (e Terzo che ha scritto la lettera!)
Io tengo pronto il mio calcio nel culo. Fora dae bae. Scusate il francese.
mi piace 😀
Perché mi vengono in mente i miei genitori (1958 mio padre, 1960 mia madre) che dall’1981 (anno del loro matrimonio) al 1983 hanno vissuto sotto il tetto dei miei nonni paterni e dal 1984 (anno della mia nascita, quindi c’ero anch’io nella combriccola) hanno vissuto sotto il tetto dei miei nonni materni (anche perché in attesa che la nostra attuale casa fosse completata)?
Ne “I promessi sposi” , mi sembra, Renzo e Lucia non si aspettavano di andare a stare
nel loro nuovo quartierino a Gallarate, ma Lucia avrebbe convissuto con la socera.
E questo è avvenuto fino a non pochi anni fa in Italia e ancora avviene in tante parti del mondo dove non c’è la possibilità di scelta. Anche io mi ricordo bambino nelle campagne toscane che le spose andavano a stare nella casa del marito e vivevano tutti insieme più o meno felicemente, perchè le situazioni e quello che uno trova le persone che trova eccetra non sono sempre uguali. Quella riportata da Raffaella Frullone è un nuovo tipo di realtà diciamo cosi a mezzo tra l’antico e il moderno con dentro tutti i luoghi comuni diventati “pensiero” del nostro tempo e le nude mura da fruire come lo erano fruite nei nei vecchi tempi. Così, credo ancora si vive tutti insieme nei popoli più miserabili, così si cerca di arrangiarsi ovunque ci sia da arrangiarsi. Mi viene in mente ora quanti film degli
anni cinquanta dove si vede il figliolo o la figliola convivere sotto il tetto o di Edoardo De Fillippo, Peppino, Fabrizi, eccetra, e i giovani cercare la loro intimità dietro dei lenzuoli stesi a fare da riparo e dove tutta la comicità consisteva in questo affollamneto bociante ma umano…Oggi , invece, sembra, non va bene più nulla!!!
Era Renzo (orfano) che avrebbe vissuto con la suocera.
Mi sembra però che la cosa sia un po’ diversa, non si trattava di ragazzini che non devono neanche fare la fatica di “morosare” di nascosto; si trattava di uomini e donne (magari anagraficamente più giovani degli eterni adolescenti di oggi) che entravano in una famiglia aiutando e spesso facendosene carico (la zia di mia moglie ha cresciuto i 6 fratelli, orfani, del marito)
Sì, hai ragione, lui con la suocera!!!
Ogni tempo è il tempo che è e in ogni tempo si sono fatte critiche ai costumi di quel tempo o rispetto a un tempo precedente o a un tempo ideale. L’età dell’oro!!!
La cosa triste è che, illudendosi di essere già adulti solo perché dormono nello stesso letto, questi ragazzi non cresceranno mai…
Quando, a 22 anni, sono andata a vivere col mio attuale marito mio padre si è opposto con tutte le sue forze: disapprovava la convivenza prima del matrimonio e disapprovava che avessi scelto un uomo di 15 anni più vecchio di me.
La sua opposizione mi ha costretto a chiedermi se valeva la pena abbandonare la mia vita ovattata di studentessa fuori sede,incrinare i rapporti con mio padre, trovarmi un lavoro, occuparmi di una casa e dell’uomo che amavo.
Mi sono risposta di sì.
Oggi sono felice e molto innamorata. Mio padre e mio marito hanno scoperto di avere molte cose in comune, c’è molto affetto e rispetto reciproco.
Ma se la mia famiglia mi avesse spianato la strada all’inizio io non avrei riflettuto così a fondo prima di prendere una decisione tanto importante, l’avrei fatto avventatamente nella certezza che tanto i miei genitori si sarebbero occupati dei miei errori.
E forse oggi sarei più infelice.
C’è molto buonsenso in quello che dice Alvise e non va sottovalutato.
Nessuno, io penso, è contento di vivere sotto il tetto della propria suocera (si chiama così anche in caso di convivenza?) e se ci sono coppie che si risolvono a questo credo che sia più per necessità che per comodo.
La questione di fondo è che la percezione del matrimonio negli ultimi anni è completamente cambiata. Sempre più viene percepito come punto di arrivo più che come punto di partenza. Ci si sposa cioè non per iniziare un’avventura insieme, ma per mettere un sigillo su qualcosa che si è già costruito. Questa è una mutazione antropologica e sociologica profondissima, che forse chiederebbe anche alla Chiesa un ripensamento della pastorale (non certo della teologia del sacramento).
Insomma, se c’è gente che preferisce convivere prima di sposarsi che differenza fa dove vanno a vivere? La domanda da farsi è invece: “perché il solo motivo per preferire il matrimonio alla convivenza dovrebbe essere la paura del peccato?”
Non è così ovviamente, ma a guardare tanti commenti (e anche tanti interventi ecclesiastici) sembrerebbe invece proprio di sì…
Non tutti trovano un uomo con già la casa pronta per accogliere la sua sposina.
Si arrabattano, prima che possano avere un posto dove stare, in automobile, in casa di amici, in casa dei genitori part-time,… Ma è forse questo in realtà che vi rode, che questi giovani facciano all’amore prima di essere già sposati. O non è così?
Io, essendo lontano parente, lontanissimo, di Costanza, mi ricordo, bambino, che una delle sue zie accoglieva in casa del babbo il suo fidanzato e dopo pranzo si ritiravano in camera lasciando però socchiusa la porta, con una seggiola tra l’uscio e il lo stipite per far vedere che stava aperta, e nello stesso tempo come segnale “do not disturb.”.Me lo ricordo bene perchè io cercavo sempre di riuscire a vdere cosa stava succdendo lì dentro( magari non succedeva nulla) e regolarmente venivo scapaccionato dalla mia mamma e trascinato via, questa la morale piccolo borghese di un tempo !!!
Quella cui fa riferimento Alvise è la cosiddetta famiglia “a ceppo”, dove la coppia di genitori vive con quella formata dal figlio. Ma c’è una differenza fondamentale: nessuno metteva in forse la legittimità stessa del matrimonio né – salvo casi eccezionali – proseguiva in casa dei genitori la sua vita da “mammone” assieme alla fidanzata, mantenuto, vezzeggiato e viziato da mammeta.
Quando ho affrontato l’argomento tutti, ma proprio tutti, i miei coetanei “renitenti al matrimonio” hanno sempre addotto la medesima motivazione: “Cosa c’entra l’amore con un contratto?”. Ecco, questo è il punto. Come ha scritto Chesterton, l’amore cristiano è il calco di un giuramento cavalleresco, di un voto infrangibile. Nel momento in cui qualcuno ha cominciato a pensarlo come un “contratto”, come una semplice compravendita di beni e servizi, è stata inflitta al matrimonio una micidiale ferita. La conseguenza logica è che si rifiuti il matrimonio-contratto perché semplicemente indegno di essere considerato tale, aprendo la via però alla “liquidità” delle relazioni tra i sessi. Una mutazione “antropologica” che però rappresenta Il classico rimedio capace di aggravare il male. Chiaramente a latere ci sarebbero mille considerazioni da fare, mille distinguo, mille altri elementi da considerare. Ma credo sia difficile negare che il matrimonio come nudo contratto nel lungo periodo inneschi, per sua stessa logica interna, reazioni di rigetto.
Ne parlavo con un amico qualche settimana fa che mi raccontava come prima di sposarsi non avesse nulla: lavoro inesistente (nemmeno precario), casa nemmeno a parlarne. Ma il matrimonio ha conferito sia a lui che a sua moglie uno slancio formidabile: ha trovato lavoro, sia lui che sua moglie si sono laureati e ora hanno due figli. E non sono gli unici. Questo per dire che quando le fondamenta sono solide e non invertebrate il matrimonio non si riduce, come notava giustamente Fabio Bertoli, alla notificazione di quel che già s’è edificato (che magari è inesistente, costituendo poi questo un ottimo alibi per non fare nulla per colpa del “mercato del lavoro”) ma come il cominciamento di una nuova avventura, una nuova sfida da affrontare in due.
@Andreas,nel nostro ordinamento,comunque,il matrimonio non può essere definito contratto,la definizione esatta è “negozio giuridico”.
Scriteriato e Azzurra dove siete?
Sì, ma se usassi “negozio giuridico” non mi capirebbe nessuno all’infuori degli “addetti ai lavori”… 😉 Invece così la differenza è molto chiara anche per un profano (la terminologia l’ho mutuata da Chesterton).
Ritengo significativo il fatto che spesso si tratta di figli di genitori separati e questo mi fa pensare che ci sia una solitudine di fondo in queste persone i quali dopo aver perso il compagno/a temono di perdere anche l’affetto domestico che potrebbe causare il distacco dai figli. Probabilmente è un’altra ferita provocata dalle separazioni.
Ogni caso un caso a sé, Luigi, come ogni vino la sua, come dite voi esperti, “struttura”?
Ogni caso va valutato a se, allora non esistono le leggi, i reati, le attenuanti generiche. Le civiltà hanno bisogno di un denominatore comune. Senza giudizi, ma valutazioni sì. Ciò non toglie che io possa aver detto una cagata e a tal proposito ti dico Alvise che se tuti i magna segadura nesun caga oro.
paulbratter: ora smetto di “imperversare” sul blog, a più tardi!!!
Ti aspetto!!!
Voglio essere pratica: finchè i miei figli vivono sotto il mio tetto fanno come dico io! ma quale letto matrimoniale ceduto ai “fidanzatini”? i loro porci comodi se li faranno in casa loro quando potranno permettersela, una casa!
nell’articolo Raffaella mica parla di coppie giovani che si sposano e sono in difficoltà. Qui si parla di giovinastri che puzzano ancora di latte che vogliono fare come gli comanda l’ormone e lo vogliono fare col consenso beota di mammà, che gli lascia pure il talamo nuziale. No dico? ma scherziamo???? come ha detto Luigi, un bel calcio in culo, e và a lavorare!
Io da adolescente non mi sarei mai sognata di far salire il moroso a casa. Mio padre non c’è più da quando avevo 4 anni, ma mia mamma è sempre stata tostissima con me e mia sorella sotto questo punto di vista. La casa di famiglia è sacra. E non è un moralismo di facciata. E’ che i figli vanno cresciuti con delle regole, che poi serviranno per tutta la vita: fare i propri comodi in casa dei genitori non ti educa alla vita lì fuori; se i calci nel sedere in casa non te li danno mai, non è che il mondo te li risparmia, anzi! li sentirai ancora di più e faranno anche parecchio male.
Per finire racconto brevemente di un mio ex collega: da adolescente i genitori gli avevano lasciato le chiavi di casa e se lui tornava con una ragazza loro toglievano il disturbo, uscivano e lasciavano loro la “privacy”…. Lui a 22 anni si è sposato con una ragazza straniera che aveva già un figlio, ha divorziato dopo 2 anni (si facevano reciprocamente le corna, perchè il loro era un “rapporto aperto”), si è messo con molte altre più o meno durature, periodicamente assume sostanze stupefacenti che lo tirano un po’ su dallo stress del lavoro….. Fate un po’ voi se questa è educazione.
Mi piace, mi piace, mi piace! Standing ovation per Giuliana!
L’importante è che i figli abbiano la salute, il rispetto, la sincerità, l’affetto per la famiglia, un po’ di intelligenza che è anche troppo,
e voglia di fare. Per il resto andrà come andrà. Qualcuno li avrà fatti copulare in casa Qualcun’altro no. Andrà come andrà lo stesso. Speriamo bene.OVVIAMENTE!!!!!
l’importante è che abbiano un’educazione, delle regole e, per me, soprattutto la Fede
Questa della fede è una cosa che non si può INFONDERE
nemmeno da parte di una famiglia credente, sì può provare a farlo, il risultato non sarà mai garantito, almeno non nella forma
fondamentalisca qui professata (diciamo le cose col loro nome)
La fede la può venire solo da Dio, vedi anche conversione di San Paolo e le conversioni del vangelo che sono presentate sempre come “istantanee”.
Pura verità!
La fede la può infondere solo Dio. Dacché dicesi “teologale”.
La fede può però testimoniarsi e per la sua infusione si può pregare. Quindi si deve.
Personalmente non mi sento un fondamentalista, e confido di non essere il solo. Se non altri (ma ce n’è moltissimi), ci sei anche tu, che non sei un fondamentalista! Talvolta sospetto che tu vada a messa tutti i giorni, e che poi venga qui a “imperversare” per assicurarti che abbiamo i piombi a posto.
Per questo, grazie. 😉
scusate l’OT
ma 500.000 casi cominciano ad essere una cosa seria.
http://donne.virgilio.it/attualita/chirurgia-estetica-per-animali-in-aumento-allarme.html
Signore….come fai a trattenere un altro diluvio?
Scusate, una piccola precisazione.
Non entro nel merito della questione sulla crisi del matrimonio e sul perche’ molti preferiscano convivere prima di sposarsi.
L’unica cosa che andrebbe detta, anche per rendere giustizia alle persone che decidono di ospitare in casa i figli ed i loro partner, e’ che a volte proprio non c’e’ scelta. Come anni fa era abbastanza normale per una giovane coppia sposata convivere coi genitori/suoceri in attesa di avere abbastanza soldi per comprare casa (lo hanno fatto anche i miei) al momento vedo sempre piu’ ventenni e trentenni, single o in coppia, che faticano moltissimo ad avere i mezzi per rendersi indipendenti e, causa precarieta’ del lavoro e stagflazione economica globale, non hanno un’entrata mensile fissa che possa consentire loro di pagare un affitto e men che meno di comprare casa. E se posso essere d’accordo sul fatto che, in alcuni casi, manchi la volonta’ e ci si abbandoni ad un senso di ineluttabilita’ del destino quasi da “Malavoglia”, io lo “stato-Mamma” proprio non lo vedo.
Al contrario, secondo quel che si legge sui giornali (http://www.corriere.it/economia/10_agosto_28/spesa-famiglia-maternita_0f1737d6-b2a1-11df-8a2a-00144f02aabe.shtml), l’Italia e’ uno dei paesi europei che investe meno negli aiuti alle famiglie e, considerando tutta la retorica familista della nostra classe dirigente, trovo la cosa abbastanza scandalosa. Questo commento non vuole togliere nulla al ragionamento di Andreas Hofer sullo sgretolamento dell’istituzione famigliare e sulla frequente mancanza di iniziativa della nostra generazione, rispetto a quella dei nostri genitori (con tutte le dovute eccezioni, ovviamente). Semplicemente, vorrei che non venissero sottovalutate le ragioni materiali per le quali molte persone in Italia, pur desiderando l’indipendenza e la creazione di un nucleo famigliare autonomo, a volte proprio non ce la fanno.
@Barbara: sono d’accordo, ma, come mi sembra abbia precisato anche Andreas, c’è una differenza sostanziale tra una giovane coppia che vive nella stessa casa dei genitori per motivi materiali, ma contribuisce come può all’andamento della casa stessa, con il lavoro, anche se saltuario, fuori casa, e con l’aiuto nella gestione domestica e una coppia di tardo adolescenti che vivono nella stessa casa, ma ancora nella logica dell’accudimento, che magari vanno a scuola (ma che necessità c’è di convivere se vai ancora a scuola?) e passano i pomeriggi a giocare con la Playstation.
Il commento di Andreas parlava di “convivenza “invertebrata” da “mammoni””, senza specificare la fascia di eta’ (se ho capito male, scusami Andreas).
Sono assolutamente d’accordo sul fatto che convivere da adolescenti non abbia molto senso, ma secondo me se si sta parlando di ventenni la situazione e’ un po’ diversa – nel senso che un desiderio di convivenza e di un rapporto serio puo’ anche esserci ma, per come e’ strutturata la societa’ oggi, molto spesso mancano i mezzi materiali per realizzare questo desiderio. Era lo “stato Mamma” che trovavo fuori luogo mentre penso che il ragionamento nel suo complesso abbia molto senso e, per alcuni versi, lo condivido anche io che nel matrimonio cattolico non credo.
@ Barbara
Scrivo di fretta, spero di non risultare troppo sconclusionato. Mi riferivo al post di Raffaella, non ho specificato perché pensavo fosse chiaro. Non lo era, in effetti, e me ne scuso. Il mio discorso però voleva anche andare più in profondità dei discorsi sociologici: il caso degli adolescenti mammoni e conviventi è solo una porzione dei danni cagionati da una più generale mentalità da “8 settembre”, da “tutti a casa”. Sono d’accordo anche io che ci sia una tara strutturale nella nostra società. Per questo accennavo allo Stato-mamma, allo Stato ipertrofico, che fa di tutto per favorire l’accesso a servizi improntati al principio della “falsa prudenza” (cioè al rifiuto delle conseguenze dei nostri atti, di cui si fa carico un servizio pubblico) ed è un formidabile moltiplicatore-fomentatore di irresponsabilità che poi finisce per “contagiare” anche le famiglie, a mio modesto avviso. Ma non si tratta nemmeno solo di una questione di pura struttura socio-economica-politico-istituzionale-ecc. La mancanza di una tensione ideale – che porta a non contentarsi di “ciò che siamo” e nutre l’aspirazione ad essere uomini e donne migliori – ha per conseguenza questa deleteria deresponsabilizzazione. Occorre invece rilanciare con forza la responsabilità personale, educare all’idea che le nostre azioni hanno conseguenze di cui dobbiamo render conto. E che non ci sarà una pillolina magica o il ferro da stiro di mammà a sollevarcene.
Grazie per la risposta.
In realta’ anche Raffaella parla di una fascia di eta’ abbastanza ampia, 17-24 anni. Secondo me, il livello di responsabilita’ di un ragazzo del liceo e’ diverso da quello di una persona di 20-24 anni – in passato non era inconsueto che ci si sposasse prima della laurea (ne ho un esempio in famiglia), che si lavorasse e studiasse al contempo magari con qualche aiuto economico dai propri genitori.
Capisco bene il discorso sulla mancanza di una “tensione ideale” e sul fatto che sia necessario, ma difficile, educare i ragazzi a prendersi la responsabilita’ delle proprie azioni e a valutare l’impatto sugli altri di cio’ che fanno. Continuo a capire poco pero’ il perche’ lo Stato sarebbe “ipertrofico, che fa di tutto per favorire l’accesso a servizi improntati al principio della “falsa prudenza” (cioè al rifiuto delle conseguenze dei nostri atti, di cui si fa carico un servizio pubblico) ed è un formidabile moltiplicatore-fomentatore di irresponsabilità che poi finisce per “contagiare” anche le famiglie, a mio modesto avviso”. A me, per le ragioni che ho spiegato, sembra piu’ uno Stato “padre assente” che di quel che accade nel paese se ne infischia bellamente. Se avrai tempo, mi piacerebbe mi dessi qualche esempio pratico che chiarisca perche’ ritieni lo Stato italiano cosi’ negativamente invasivo. Grazie ancora
@ Barbara
Infatti sarebbe riduttivo limitare il discorso sull’irresponsabilità alla fascia adolescenziale. Penso sia un trend più generale che coinvolge pressoché qualsiasi fascia d’età, a partire da coloro che fecero il ’68 (dunque i cinquanta-sessantenni).
Che lo Stato-mamma sia poco presente nel campo del sostegno alle famiglie può essere del tutto coerente con la sua logica ispiratrice. Anche qui il mio discorso non è vincolato strettamente all’attualità, perché il disinteresse nei confronti della famiglia costituisce un trend di lunga durata, ben al di là degli attuali governi. Se ne era parlato già altre volte nel blog, se non ricordo male.
In estrema sintesi, e nei limiti che può avere un commento in un blog, il discorso è questo: un certo modello di “Stato del benessere” (o “Stato assistenziale”, “Stato-Provvidenza”, “Stato-Mamma”, ecc.) – soprattutto quelli che, come il nostro, sono fortemente centralizzati e improntati al calco franco-giacobino – più che mirare al benessere generale, un concetto già di per sé piuttosto ambiguo, finisce per a rendere dipendenti (dunque deresponsabilizzati) da sé i propri cittadini strangolando surrettiziamente le libertà personali e imponendo un socialismo larvato. Chiaro che in quest’ottica l’ideale è una società livellata, atomizzata, dove singoli individui si trovano a fronteggiare, da soli, il potere smisurato di una collettività anonima (lo Stato, in questo caso). Ora, la famiglia cos’è invece? È un corpo sociale non statale che fa “spessore”, un “nucleo di resistenza” che limita il potere delle grandi collettività anonime. Per questo va tendenzialmente “livellata” e “liquidata”. Dunque una delle possibili vie per conseguire il depotenziamento della famiglia sta nel promuovere a) forme di relazioni tra i sessi caratterizzate dalla “liquidità”, ovvero legami il più possibile “fluidi” e “aperti” (e soprattutto infecondi) nonché b) “libertà trasgressive” dissolutrici dell’unità familiare, la “libertà obbligatoria per tutti” additata da un Giorgio Gaber. Si promuoveranno relazioni sessuali che non diano luogo – o diano luogo il meno possibile – a nuclei familiari (la logica soggiacente è illustrata molto bene qui: http://209.236.72.127/wordpress/?page_id=1032). Ovviamente la contropartita è il totale assenteismo pubblico in materia di politiche di sostegno alla famiglia. Alcuni hanno definito questo progetto “caosmos” (caos nel privato e cosmos nel pubblico). Ma qui penso faremo fatica a “incontrarci”, perché è chiaro a che alludo parlando di “libertà trasgressive”, che lungi dall’ampliare la sfera di libertà personale, responsabilizzando i cittadini, in realtà finiscono per restringerla col deresponsabilizzarli.
Guarda, mi verrebbe da ribattere che non credo alle teorie del complotto contro la famiglia in Italia perche’ nessuno e’ sufficientemente organizzato da complottare efficaciemente – per citare Flaiano, un altro grande, “La situazione e’ grave ma non seria”.
Scherzi a parte, grazie davvero per esserti preso la briga di argomentare e rispondere in modo cosi’ chiaro. Hai ragione, sullo specifico di alcune liberta’ personali deresponsabilizzanti non credo ci incontreremmo ma l’importante e’ quantomeno capirsi. Sul fatto che invece ci sia una cultura nazionale imperante che tende a negare le responsabilita’ del singolo siamo invece d’accordo – il problema e’ che, secondo me, questa tendenza non e’ di matrice larvatamente socialista ma e’ qualcosa che affonda le sue origini nelle nebbie della nostra storia, prima del socialismo e prima del ’68 (che per certi versi ha comunque contribuito a peggiorare le cose). E’ l’ottica del Gattopardo, il fatto che “tutto cambi affinche’ nulla cambi”, l’idea secondo la quale essere “furbi” e non intelligenti o corretti paga, il contrario della coscienza sociale per come la concepisco io.
Do un’occhiata con calma al link su Chesterton, comunque. Grazie per lo spunto.
Figurati, grazie anche a te delle considerazioni molto stimolanti! 🙂 Preciso solo che nulla mi è più estraneo del complottismo (non Flaiano, che anche io amo molto). Mi sono mantenuto volutamente su un piano generale, ma in nessun modo intendo accennare a poteri occulti e onnipotenti. Certamente ci sono gruppi di potere che perseguono obbiettivi mirati (e dichiarati), ma personalmente più che ai macrocomplotti credo che invece abbia la prevalenza una sorta di “meccanica” per cui, posti certi principi del vivere sociale, le conseguenze nella società alla lunga si manifestano. E se questo non accade, o accade in misura meno devastante, è perché la natura umana (dunque anche la famiglia) ha la forza di opporre forti resistenze alla disumanizzazione. Diiamo che mi sforzo di capire la logica di questa meccanica. Non credo nemmeno che questa tendenza si possa limitare a un dato storico-culturale italiano, che certamente gioca un suo ruolo ma non la esaurisce. Ovviamente non pretendo di aver ragione a tutti i costi, questi sono temi che è sempre possibile approfondire e confrontarsi, nei limiti di questo spazio. Mi fa piacere comunque che almeno dei punti d’incontro si siano trovati. Detto questo, buona serata!
Ho anche la sensazione che ci sia una punta di egoismo da parte dei genitori.
In fin dei conti è più comodo e sicuro avere i figli sempre sotto il tuo tetto, piuttosto che sforzarti di dargli dei riferimenti per poi lasciarli andare nel mondo a vivere davvero la loro vita.
@ Erika
Ancora una volta concordo con te: rendere una persona sempre dipendente da noi, non permetterle di sviluppare una personalità autonoma, dunque responsabile e indipendente, è una forma di egoismo dunque di possesso. Non lasciamo che il figlio diventi un soggetto autonomamente agente perché vogliamo che rimanga un oggetto a nostra disposizione.
L’amore, anche quello genitoriale, è un’altra cosa: «Amore è l’atto che trasforma il suo oggetto da cosa in persona» (Nicolás Gómez Dávila)
mi piace 😀
PS: è una tentazione che hanno tutti i genitori ma nessuno ha detto sia un mestiere facile
Dall’articolo de Il Giornale di ieri
“Emerge così che il 57 per cento dei ragazzi dichiara di avere normalmente rapporti sessuali mentre i genitori sono presenti in casa, mentre il 43 per cento ammette di usare la macchina di mamma e papà.”
La vita è una playstation…..ovvio considerare tutto normale. Meglio stare in casa a giocare alla Play che uscire e andare a giocare nelle sale-giochi… chissà mai che può succedere…ah invece a casa…
(non per tirare in ballo la televisione e i suoi modelli negativi, ma “l’innocua” serie tv con bollino verde di “Un medico in famiglia” ci aveva già dato nelle sue prime serie scene di questo tipo…. e ci sono giornali di tutti gli schieramenti che plaudono a questa spazzatura educativa….)
leggete la lettera di un ventenne scritta a padre Aldo Trento su “Tempi” ed il vuoto che li attanaglia….
vale
Ciao, sono una nuova! Ti leggevo con interesse, perchè mi pareva un bel problema, soprattutto per la povera Anna. E poi ci vedo infilato nel ragionamento il matrimonio cristiano. Sono rimansta un po’ stordita, forse mi sono persa qualche passaggio. Ma che ci azzecca il matrimonio cristiano con la difficoltà a trovare un appartamento da parte delle giovani coppie? Perchè dal post sembrava che il matrimonio cristiano potesse dar di diritto anche la casa dell’Ater. ..
C’entra con la RESPONSABILITA’, c’entra col fare scelte, c’entra con l’impegno che ti prendi (di fronte all’altro, di fronte alla società e di fronte a Dio), c’entra con la rinuncia al proprio egoismo. C’entra con la responsabilità, te lo ripeto, la casa dell’ATER c’entra poco: vedi quando io mi sono sposato il soggiorno della mia orribile casa in affitto era composto da due sdraio da spiaggia, la cucina aveva il tavolo da pic-nic e in camera da letto invece dell’armadio avevo un appendiabiti. Una coppia che ho conosciuto di recente oggi molto più che benestante mi raccontava che, giovani sposi, andavano al supermercato e poi alla cassa fatti i conti posavano tutto quello che non si potevano permettere.
Sposarsi (anche e soprattutto cristianamente) vuol dire tuffarsi nell’acqua fredda, costi quel che costi, e cominciare a nuotare.
A volte trincerarsi dietro a “non c’è altra soluzione” o ai “oggi i giovani non si possono più permettere…”, è un alibi. Ma cosa non si possono permetter cosa? I miei genitori con un solo stipendio si sono permessi una famiglia, si sono comprati casa hanno fatto studiare i figli fino all’università e mia madre per anni ha avuto due (2) camicie nell’armadio e quella di tutti i giorni la smacchiava la sera per rimetterla la mattina. Cosa doveva aspettare per sposarsi? Di avere due dozzina di camicie?
Questo tipo di discorso mi fa pensare ai piccoli imprenditori del nord, ma anche di ogni dove, che di fronte alle proteste per stipendi di fame rispondono: “ma io da giovane mi sono fatto un culo cosi, altro che storie, e guadagnavo molto meno di voi guadagnavo, porca….!!!!
già ma non c’erano Aifon da comprare (a rate), automobili ecologiche eurominchia da comprare (a rate), vacanze a Ibbbizza da fare (a rate), abbonamenti tuttocompresocalciofictiondocucartoondisneysport Sky da fare (a rate).
se fosse possibile, cliccherei “mi piace”
Sì, anch’io cliccherei sul MI PIACE. Paul Bratter for president
Paul, quando sono andata a vivere da sola (non per sposarmi ma perche’ a 25 anni non ritenevo piu’ il caso di vivere coi miei e farmi mantenere da loro), condividevo uno scalcinatissimo appartamento con altre 4 persone e la mia stanza da letto con un’altra ragazza. Il salotto e la mia camera avevano mobili consunti, avevamo un unico bagnetto che io e Patricia, la mia room-mate, eravamo le sole a pulire (per disperazione!) una volta alla settimana. Col primo stipendio e senza chiedere aiuto ai miei, non potevo permettermi altro.
Poi, migliorando la mia situazione lavorativa (non posso neanche dire “facendo carriera” perche’ si trattava di passare da un lavoro di bassa responsabilita’ e basso stipendio a uno di responsabilita’ media e stipendio accettabile, in un’azienda differente), ho traslocato in case man mano sempre piu’ carine ma sempre in condivisione, salvo una volta.
Solo adesso, a trent’anni suonati e con un’occupazione che finalmente corrisponde a quello che volevo fare nello vita, sto per la prima volta valutando l’acquisto di un appartamento. Nel mio caso, non mettere su famiglia e’ stata una scelta, assolutamente (vuoi perche’ solo da poco ho avuto la grande fortuna di incontrare una persona a cui voglio davvero bene e che sento “dalla mia parte”, vuoi che ho davvero un brutto carattere e dunque forse sono stata a lungo single per scelta d’altri :D). Ho sempre lavorato all’estero, pero’.
In Italia conosco gente che, dopo l’universita’, per fare il lavoro che voleva, ha dovuto fare master intensivi e poi stage non pagati anche per un anno o due. Conosco persone che guadagnano 800 euro al mese e, francamente, con cifre simili una moglie e dei figli a carico non sono pensabili. Per questo, dico che secondo me, anche con tutta la buona volonta’, queste persone sono messe davanti a scelte molto dolorose, molto piu’ di quelle che ho dovuto fare io e che ho compiuto con grande incoscienza e allegria. Mollare il lavoro che amano e sceglierne uno meglio pagato ma che non li soddisfa o rinunciare a metter su famiglia. Decidere di spostarsi in un paese diverso (ne ho conosciute diverse di coppie che boccheggiavano per arrivare alla fine del mese e che poi, emigrati e trovata una stabilita’ economica, hanno messo al mondo un bel po’ di bambini).
Siamo tutti d’accordo che la vita non e’ un banchetto di gala e che sono necessari sacrifici per ottenere cose importanti, no pain no gain. Pero’, cavolo, questo non vuol dire che lo Stato possa lavarsene bellamente le mani delle difficolta’ economiche delle giovani coppie che hanno la brutta idea di volere una vita normale mentre, per esempio, tutelano i grandi patrimoni dalle tasse manco fossero panda assediati dalle tigri. O almeno, a me questa cosa fa davvero tanta rabbia.
Cara Barbara
nella mia replica scherzosa a Alvise (corsianumerosei) continuo a dire “a rate” e non a caso, perchè quello che ha drogato e che ha fatto crescere a dismisura l’economia negli ultimi decenni e che ha irrimediabilmente distorto la nostra mentalità è il concetto di crescita infinita che, in assenza di risorse infinite, si alimenta con il debito pubblico (per quello che riguarda gli stati) e con il debito al consumo; il debito però va alimentato sempre di più con l’iperconsumismo e una bulimia di bisogni indotti per farci ingrassare come un’oca per il foie gras fino a spappolarci il conto in banca. Ora capisci che la mentalità corrente gioca un ruolo fondamentale per questo e infatti era proprio questo il senso del mio intervento la mancanza di sobrietà, di austerità, di riconoscere i reali bisogni materiali e spirituali. E di coraggio.
Allora ti lascio con le (ahimè) profetiche e inascoltate parole di Enrico Berlinguer in questo discorso del 1977 al teatro Eliseo di Roma
“Ancora oggi molti non si sono resi conto che adesso l’Italia si trova oramai – ma io credo, prima o poi, anche altri paesi economicamente più forti del nostro si troveranno – davanti a un dilemma drammatico: o ci si lascia vivere portati dal corso delle cose così come stanno andando, ma in tal modo si scenderà di gradino in gradino la scala della decadenza, dell’imbarbarimento della vita e quindi anche, prima o poi, di una involuzione politica reazionaria; oppure si guarda in faccia la realtà (e la si guarda a tempo) per non rassegnarsi a essa, e si cerca di trasformare una traversia così densa di pericoli e di minacce in una occasione di cambiamento, in un ‘iniziativa che possa dar luogo anche a un balzo di civiltà, che sia dunque non una sconfitta ma una vittoria dell’uomo sulla storia e sulla natura.
Ecco perché diciamo che l’austerità è, si, una necessità, ma può essere anche un’occasione per rinnovare, per trasformare l’Italia: un’occasione, certo, come ha detto qui un compagno operaio, tutta da conquistare, ma quindi da non lasciarci sfuggire.
L’austerità per definizione comporta restrizioni di certe disponibilità a cui ci si è abituati, rinunce a certi vantaggi acquisiti: ma noi siamo convinti che non è detto affatto che la sostituzione di certe abitudini attuali con altre, più rigorose e non sperperatrici, conduca a un peggioramento della qualità e della umanità della vita. Una società più austera può essere una società più giusta, meno diseguale, realmente più libera, più democratica, più umana.”
Parole bellissime e giuste, davvero. E ahime’ inascoltate 🙁
PS Lo dicevo che ti ispiravi a Naomi Klein, sotto sotto
la vita è un banchetto: e le pietanze son ottime3. Il resto mi piace.
Sono d’accordo con te quando parli di responsabilità, ma pareva davvero da come era impostato il discorso che il matrimonio cristiano (e quell’aggettivo pareva, messo così, un marchio dop) potesse risolvere qualsiasi cosa.
Forse, se si metteva l’accenno su un più generico, ma pur sempre cogente, senso di responsabilità, questo commento non l’avrei neppure scritto.
In quello che un tempo si sarebbe chiamato “sottoproletariato urbano” della città dove vivo esiste una sorta di “istituto giuridico di diritto consuetudinario” antichissimo e tuttora molto praticato che si chiama “fuitina”.Due adolescenti che stanno insieme ma le cui famiglie non possono sostenere i costi del ricevimento del matrimonio e della “rota”(il corredo della ragazza che,in alcuni quartieri,dovrebbe avere propozioni significative),vengono invitati dalle famiglie a far finta di scappare di casa.Seguono finte lacrime,finta riappacificazione e alla fine i due colombi vengono ospitati a tempo indeterminato presso una delle due famiglie d’ origine (in genere quella della ragazza).
I baby conviventi di cui qui si parla mi sembrano la versione borghese dei “fuiuti”.
Aveva ragione mia nonna a dire che ogni progresso è regresso.
Ma che differenza c’è?
Io ho solo una voglia sputata di sbattere la porta in faccia a questo secolo.
Io non ci sto bene qua dentro.
Mi si impigliano le gonne e me ne frego dello strappo.
Un duemila di idiozie.
Io non sono obbligata a viverci, qua dentro.
No, no.
Altrove. Altrove. Almeno l’anima mia – altrove.
mi sa che più d’uno vorrebbe essere in altro tempo et in altro loco vivo. ma se la provvidenza ti ha messo qui ed adesso…..
auguri(sono ancora computerizzato.sab.sicuramente no….)
vale( ke è lo sta bene latino. mi era scappato la prima volta nel blog e l’ho mantenuto. Pier Angelo)
L’anima mia attende il Signore
come le sentinelle l’aurora…
Noi siamo sentinelle in fronte alle tenebre – in servizio fino a nuovo ordine 😉
– Bingo.
(Te non lo sai COSA hai detto. Ma io si.
Robe da chiodi)
Ecchesono i chiodi?!? Un modo che hanno gli psicologi nella loro strana lingua per riferirsi a se stessi? 🙂
Acqua, eh?
@ Daniela
che ti piaccia o no questa è la realtà, cioè il presente in cui siamo chiamati a vivere e dove incontriamo il Mistero fatto Presenza…
Realismo, ragionevolezza e moralità. Queste sono le caratteristiche dell’uomo (e della donna) religioso.
E’ un cammino, fatto di tanti errori, sbandamenti, cadute… ma mai afflitti e sempre lieti, perché è un Altro che opera.
Sursum corda!
dal blog di Michela Marzano:
“Il principio cardine dell’etica contemporanea è quello di autonomia, in base al quale ognuno di noi deve poter essere libero di vivere seguendo i propri valori e le proprie credenze. Non esiste più un’Autorità unica, riconosciuta da tutti e capace di dirci quello che dovremmo o meno fare in qualunque circostanza. Ciascuno deve poter decidere e scegliere come agire e come comportarsi, senza che nessun altro interferisca o salga in cattedra per dire ciò che Bene e ciò che Male. Basta col paternalismo. Basta con le interdizioni. Basta con l’idea ormai desueta secondo la quale esisterebbe un solo modello di famiglia e di sessualità (la “famiglia naturale” e l’”eterosessualità”) o secondo cui il valore della vita sarebbe sempre sacro, indipendentemente dalla sofferenza o dal dolore che si provano.”
In confronto a questo faro del pensiero sono un ognunista da quattro soldi e mi ritiro per sempre!
michela chi……………..?????
la ex filosofa anoressica?
anzi no……..la ex anoressica filosofa residente in Francia?
il classico esempio di come si possa essere (forse) molto istruiti ma poco intelligenti.
valori , credenze esessualità tipo queste????
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=1963
e questa?
http://cinema-tv.virgilio.it/news/cinema/hysteria-film-sulla-storia-vibratore.html
Signore, come fai a non mandare un nuovo diluvio?
GIULIANA E GLI ALTRI:
L’importante è che i figli abbiano la salute, il rispetto, la sincerità, l’affetto per la famiglia, un po’ di intelligenza, che è anche troppo,e voglia di fare. Per il resto andrà come andrà. Qualcuno li avrà fatti copulare in casa Qualcun’altro no. Andrà come andrà lo stesso. Speriamo bene.OVVIAMENTE!!!!!
Laissez faire. E’ una strategia grazie alla quale uno sta bene fino a quando non viene spazzato via.
Ma quello che ho detto io che si dovrebbe cercare di coltivare nei figli non è mica poco!!!A essere spazzati via c’è sempre tempo, per noi tutti!!!
Evvabbe’, arméno consolamose, no? 😉
Tanto che ce sta pe’ ttuti, godémosela…
eppoi nel lungo periodo sareno tutti morti( e speriamo risorti dalla parte giusta…)
hai detto arméno?
lo sai Cyrano che grazie al nuovo metodo di rilevamento dei contatti di Shiny Stat (installato da pochi giorni) ho scoperto che abbiamo lettori in tutto il mondo (praticamente tutta Europa, USA, Argentina, Canada, Giappone, Messico) e due anche in Armenia!!!!
.
fantastico, Admin, ma il mio era un umile caso di rotacismo romanesco in(volontario)
Comunque t’ho arzato ‘na palla notevole ‘ppe’ ddi’ da ‘ndò ce leggono, no?
già sembra tutto concordato ma non lo è 😉
e chiosiamo, passando da Verdi a Manzoni: «L’Arabo, il Parto e ‘l Siro / in suo sermon l’udì».
ma anche dalla Svizzera????? 🙁 :-O
Risultati di oggi:
al primo posto l’Italia con 88,98 %
al secondo posto la Svizzera 3,79 %
al terzo posto USA 1,38 %
eccezionali ‘sti svizzeri non so’ permalosi per niente.
ma io l’avevo detto, qualche post fa: Genio cosmico alla conquista del mondo (svizzera compresa)
Alvise, milioni di persone al mondo ormai ci conoscono, verranno a trovarci, siamo denudati. Ci vorrebbe il miracolo dei pani e dei pesci e anche quello di Cana ovviamente.
… e io che pensavo di essere un ignoto osservatore da lontano …
Un caro saluto a tutti dall’Armenia!
P.S. – Cara Costanza, il tuo libro è arrivato anche nella Valle dell’Ararat (= diluvio, Arca, Noè). Ho finito di leggerlo pochi giorni fa. Pensa: ne discuto persino con i miei turisti (sono anche un operatore turistico, oltre che editore). Ti arrivi tutto il nostro incoraggiamento! Sia lode a Dio per i Suoi doni!
Vahe Lazaryan
Vahe, il popolo armeno mi è rimasto nel cuore dopo aver letto “I 40 giorni del Musa Dagh” di Franz Werfel. Non abbastanza nel cuore da tifarli ieri contro l’Irlanda ovviamente. Il popolo dagli occhi profondi. Ciao e benvenuto.
a quando la traduzione dei post almeno in inglese?
A nonpuoiessereserio
Grazie!
(Per il calcio fa niente, tifaci per gli scacchi)
Lode al più antico popolo cristiano presente sulla faccia della terra! Spesso si dimentica che batterono nellavvicinarsi allla Croce tutti: Costantino fu solo il secondo ( e per giunta ariano)
Giuseppe, Grazie!
Fu la nostra prima grazia gratis data!
meglio questo
hanno entrambi i loro perché.
Mozart è al di là di ogni critica, ma neanche lui riesce a farmi schifare Verdi.
STUPENDO!!!
Alberto, questa è stata la mia colonna sonora per molti tratti della giovinezza, non solo il Dies Irae.
“Quando Orion dal cielo
Procellando IMPERVERSA
E pioggia e neve e gelo
Sovra la terra ottenebrata versa….”
POPOLO DEI MIRIANIDI (e dei Costanzini), UDITE UDITE:
il Genio Cosmico ad Umbriaradio, in podcast.
UMBRIA RADIO – 1200 secondi con…
ma quante epistole ai costanzini esistono???
Come fai a scovare tutti gli interventi del Genio cosmico? Te le passa sotto banco?
In ogni caso grazie!
Più che un blog di “dialogatori” normali a volte mi sembra di stare in una colonia americana di quaccheri fustigatori di costumi non conformi a una regola (quella dei quaccheri)Ma in una società di sessantasei milioni di persone (ma qui si parla alle volte del mondo intero) ci saranno tutti i casi possibili immaginabili di perversioni e storture come fa uno a immaginarsi il contrario? L’importante è che ognuno per esempio di noi cerchi di fare meglio che pole secondo il suo giudizio e le sue convinzioni (non necessariamnte esecrabili) (a parte che tante volte a vete detto che a voi il dialogo mica è che vi garba, le cose stanno così e basta)
Velenia: allora è un negozio o un atto giuridico?
Paulbratter. mi paice anche a me il richiamo all’austerità, e non perché fatto da Berlinguer,
ma noi non possiamo fare altro che cercare di essere ciascuno di noi austero quanto gli riesce a lui. Non si può stare sempre a starnazzare contro questi che fanno questo e quest’altro e i figlioli si drogano e sono attanagliati dal vuoto o che altro. Io è tutta la vita che sono attanagliato dal vuoto (e non solo) e sto qui a discutere con voi ALLA PARI né né più né meno umano che la media di tutti. Certo non avrò la cultura di scriteriato o la zanna tagliente che hai te o la stupefacente intolleranza di Giuliana non sono un seguace di Thibon soffro LTG e Grozino, ma alla fine me ne sto anche io qui bono bono a dire la mia, che è solo la mia e nient’altro.
Barbara Favi. ma come fa uno a sapere il lavoro che VUOLE fare?
Io, nel mio piccolo (sicuramente per incapacità o per non adguata preparazione) mi sono sempre dovuto accontentare di quello che capitava (grazie al cielo). Non mi riesce di immaginare che uno abbia in testa un programma o una materia da seguire che lui vuole che siano il suo programma la sua materia eccetra. Mi sembra, questo sì da film americano, dove si vede che lui o lei si conquistano lottando il proprio spazio lavorativo che avevano sempre avuto in testa di conquistarsi.Io non mi sono mai conquistato nulla,
altro che umiliazioni e dispiaceri, ma credo che sia tutto una questione di fortuna OVVIAMENTE!!!
Alvi’, ti confermo che la botta di fortuna ha giocato un ruolo determinante.
Allora, io fino alla fine dell’universita’ volevo fare la prof di liceo poi il Ministero della Pubblica Istruzione ha deciso di rendere obbligatoria quella tangente chiamata “Scuola Superiore per l’Insegnamento Secondario” e io non avevo ne’ i soldi, ne’ il tempo, ne’ la voglia per farla (detto papale papale). Ho fatto disparati lavori diversi per disparate aziende diverse, fino a che non mi sono ritrovata per caso a fare cio’ che faccio ora – ovvero formazione aziendale. Non era ESATTAMENTE quel che progettavo al liceo/universita’ ma poi ho scoperto che l’insegnamento agli adulti ha un suo perche’ e che, nonostante i miei studi non c’entrino granche’, smanettare coi software non e’ cosi’ temibile come credevo,anzi puo’ pure essere divertente (e dopotutto, dice il saggio, chi sa fa, chi non sa insegna). Avuta l’illuminazione, mi sono fatta un po’ di corsi di perfezionamento e ho pian pianino virato per l’area di formazione aziendale che piu’ mi piaceva.
“Mi sembra, questo sì da film americano, dove si vede che lui o lei si conquistano lottando il proprio spazio lavorativo che avevano sempre avuto in testa di conquistarsi” – che ridere, e’ vero! Fa molto “pursuit of happyness” di Muccino. In realta’ non e’ un percorso cosi’ epico, e’ che sono finita a fare un lavoro che mi piace abbastanza per caso e il fattore “pianificazione del ramo in cui voglio specializzarmi” e’ subentrato dopo, tipo 3-4 anni fa.
Sdentate ne ho prese anche io, eccome. Umiliazioni e dispiaceri anche, perche’ buttarsi su cose nuove vuol dire sempre essere Fantozzi per qualche mese. Pero’ insomma, nella vita non tutto quel che capita per caso e’ sfiga (mi perdonera’ l’admin, ma “sfortuna” non rende).
Ribadisco che pero’, tutte queste chance di sperimentare, sbattere il muso, riprendersi e provare percorsi professionali diversi fra loro fino a capire cosa piace davvero, i miei coetanei rimasti nel Bel Paese non le hanno avute. E qui e’ stata la mia fortuna, il fatto di andar via (ed e’ triste dirlo).
Cervelli in fuga, e senza cervello a casa!!!
@ Admin: riguardo al post sui contatti all’estero… gli italiani in giro per il mondo sono moltissimi e seguono con vivo interesse cio’ che succede nel Belpaese, con occhi distaccati e quindi molto critici. Questo libro e questo blog sono la risposta, per alcuni, ad un bisogno profondo che da tempo si avvertiva non solo in Italia, ma anche in realta’ molto diverse e lontane, ed esprimerlo in parole semplici e alla portata di tutti non era facile. Costanza, complimenti!
che dire… grazie!
ecco perchè ribadisco così fermamente l’importanza dell’educazione per i figli:
http://tempi.it/don-massimo-camisasca-e-la-tentazione-di-mettere-su-famiglia
riporto qui uno stralcio :
«Quando parlo dell’amore come dono, non intendo una dissipazione di sé, una corsa dietro qualunque richiesta, una rincorsa dei bisogni degli altri e delle loro pretese. Chi fa così non costruisce nulla. E alla fine si trova soltanto svuotato e deluso». In questa prospettiva vengono affrontati quelli che di solito appaiono temi spinosi. Dalla fedeltà alla contraccezione, dall’aborto ai diritti delle donne, dalla scarsa tutela sociale della maternità alla sua perdita di senso. Camisasca non riassume dottrine né lancia anatemi, ma affronta ogni tema muovendo dalla convinzione che «una delle grandi mistificazioni del nostro tempo consiste nell’avere separato, addirittura contrapposto, la libertà del singolo e la sua appartenenza. Al contrario: non si è liberi se non si appartiene». Eppure appartenere fa paura. Eccolo, il fattore che rende i genitori timidi, gli sposi incerti, i figli smarriti, le persone sole. La paura. Si tratti di paura dei legami o paura di educare o paura di lanciarsi nell’avventura dell’adozione o dell’affido, è sempre paralizzante. «È avvenuta – scrive don Camisasca – una vera e propria rivoluzione antropologica che non può essere affrontata se non andando a riscoprire l’esperienza originaria che si oppone alla paura. Essa non è il coraggio, ma più esattamente la speranza. E ogni speranza nasce da una fede. Non necessariamente da una fede soprannaturale, ma almeno da una fede vera, radicata negli strati più profondi dell’io».
La tolleranza non è amore.
Come mi ha detto una mia cara amica “se tu fossi stata un tipo tollerante, a quest’ora invece di stare coi tuoi figli saresti in giro per il mondo a salvare la foca monaca!”.
“non si è liberi se non si appartiene”
Qualcuno me la spiega? Grazie.
Concetto spiegato e rispiegato. Un bambino che è sotto la sorveglianza della mamma o del papà è libero di giocare senza pensieri e preoccupazioni. Forse appartenere non è il termine migliore in effetti.
Che don Camisasca abbia pure le sue convinzioni, io non appartengo a nulla,
certo, non sono libero, nessuno è libero, nemmeno chi ha delle convinzioni, tutti disgraziati siamo, in pericolo di morte, ogni momento!!!
La tolleranza non è amore, ma almeno è tolleranza!!!
Prevengo Maxwell e Vale: se uno mi salta addosso con una scimitarra io mi difendo, ma questa non è intolleranza!!!
@lacorsianumerosei
idem
Cari G, Vahe e tutti i lettori anche silenziosi dall’estero, esprimo la mia inginocchiata commozione anche a nome dei tre coautori del blog. Che emozione pensare al viaggio lungo e misterioso che fanno le nostre e vostre parole! (La mia inettitudine tecnologica è tale che io me le immagino correre velocissime con i loro piedini lungo un cavo piazzato sotto l’Oceano Atlantico o ai pedi del monte Ararat, pensa che stanchezza!) Questa comunione di spirito e di intenti mi fa pensare con gioia alla Chiesa universale che è nostra madre e ci abbraccia tutti insieme.
Costanza ci hai accolti nell’arca come Noè e ci dai conforto durante il diluvio dei nostri tempi. Hai già inviato la colomba?
A tutti i fratelli e sorelle costanzini,
Grazie a tutti voi per le belle parole ricevute oggi!
Considero davvero i “costanzini” una comunità e, come dicevo l’altro giorno ad altri nostri fratelli, penso che la piccola community che si è creata intorno al blog sia un immenso dono. Viviamo di corsa spesso in mezzo a persone che non la pensano come noi, spesso siamo prosciugati dalla vista e dall’ascolto di un mondo che ha lasciato Dio fuori dalla porta. Pochi (o lontani) sono quelli con i quali possiamo condividere una preghiera o un momento di sconforto spirituale. Questo nostro convivio virtuale ha da tempo bucato il mezzo, diventando una comunione di preghiera, perché il buon Dio, che non lascia niente al caso, la rete l’aveva già prevista: si chiama comunione dei Santi. E come faceva dire Tolkien ad uno dei suoi personaggi ”Eppure tale è il corso degli eventi che muovono le ruote del mondo, che sono spesso le piccole mani ad agire per necessità, mentre gli occhi dei grandi sono rivolti altrove.”
Quando tutte queste piccole mani nascoste cominceranno ad uscire dalle catacombe culturali alle quali ci siamo lasciati relegare, allora sì capiremo che sono tante.
@ danicor
Dirti solo GRAZIE può sembrare poco, ma creditimi contiene tutto lo stupore e la gratitudine per le parole che un Altro ti ha suggerito.
Fanno bene al cuore!
Mario!
Leggo solo ora il tuo commento, un GRAZIE pieno di stupore anche a te!