di Costanza Miriano
A Staggia Senese c’è un’epidemia di felicità. Non si riesce ad arginarla. E aumenta, pure. Perché continuano a nascere bambini da genitori infetti, è difficile pensare che possano guarire.
A Staggia Senese, poi, c’è anche un prete che fa il prete. Davvero. Come diciamo tra amici, un prete che ci crede, uno cattolico.
Ecco, io non so quanto mettere in connessione queste due informazioni. Penso parecchio, sinceramente. Perché ho sperimentato che quando c’è qualcuno che comincia a dare la sua vita seriamente, il bene si irraggia. È diffusivo. Il Signore parte da un sì detto seriamente, con tutto il cuore – magari un cuore sgangherato, fragile, incostante, pieno di domande, ma che ha detto sì con tutto se stesso – e non si lascia certo battere in generosità. Parte da un sì totale, e fa nascere opere miracolose, gigantesche, ciclopiche. Pensiamo ai sì di Benedetto da Norcia, a quello di Teresa d’Avila, Caterina da Siena. Gente che ha cambiato il corso della storia.
Non so cosa farà il Signore del sì di don Stefano. Per ora quello che ho visto è che tante altre persone dietro a lui, prima alcune poi molte altre, hanno cominciato a scommettere tutto su Gesù. Ma proprio tutto.
La giornata del Timone alla quale sono stata invitata (e premiata) ha mostrato chiaramente come chi ha fede fa le cose in modo meraviglioso: la crisi della nostra civiltà e la crisi economica sono infatti innanzitutto crisi di fede (io dico sempre che il gesto più ecologico che possiamo fare è pregare: dalla preghiera discende tutto).
L’organizzazione e l’efficienza della parrocchia sono state davvero impressionanti. Ognuno dei collaboratori aveva un compito pianificato e specificato nei particolari (lo schemino nella tasca di Don Stefano era un po’ allarmante nella sua teutonica precisione: c’era persino scritto chi doveva spostare cosa in caso di pioggia), e tutto è stato fatto a regola d’arte, a cominciare da un pranzo degno di un ristorante a non so quante stelle, caldo al punto giusto, non scotto non freddo non salato non sciapo (come si fa che io vado in crisi quando un figlio torna prima, uno dopo?). La scuola parentale che ho potuto visitare mi ha fatto venir voglia di chiedere il trasferimento e traslocare in Toscana, solo per poter permettere ai nostri figli di avere il meglio del meglio a scuola.
Ma vorrei soffermarmi su un altro fatto, e cioè che ci sono molte, davvero molte donne, che hanno deciso di lasciare il lavoro e mettersi a fare le mogli e le mamme a tempo pieno. Non voglio dire con questo che segue il Signore solo una donna che non lavora (tanto lo so che qualcuno la leggerà così), perché io sarei la prima a non rientrare nel canone.
Voglio dire che segue il Signore chi non decide come se la sua vita fosse sua, e quindi la consegna, perché neppure il tempo è nostro. Queste donne, incoraggiate da don Stefano, che ha una moltitudine di figli spirituali (ho visto la sua agenda con gli appuntamenti per i colloqui e mi chiedo come sopravviva), hanno deciso che il tempo per le relazioni, prima di tutto la famiglia, era più importante di tutto il resto. E si sono buttate. C’è quella che ha quattro figli piccoli, e quella che non ne ha, quella che ne ha uno malato particolarmente bisognoso di cure, quella che li ha grandi. In comune, la decisione ferma di non dare via il proprio tempo solo in cambio di denaro, perché di denaro forse ne serve meno di quanto pensiamo.
La prima obiezione che a tutte noi verrebbe, anzi, viene, è: la nostra famiglia non se lo può permettere. Io ho provato a fare questo esercizio, con don Stefano, a cena. Eravamo ospiti di una meravigliosa coppia che i figli non li ha avuti, ma lei ha lo stesso deciso di lasciare il lavoro per avere più tempo per la famiglia (una coppia aperta alla vita E’ una famiglia), per gli amici, le persone bisognose, la casa, la parrocchia. Raccontava che è rinata da quando ha fatto questo salto nel vuoto, perché di salto si tratta. Rinunci a uno stipendio fisso e sicuro. Devi fare delle scelte diverse. Devi fidarti. Devi rinunciare a tenere tutto sotto controllo.
Parlando con loro e analizzando tutte le voci di spesa, mi era sempre più chiaro che io considero necessario e imprescindibile ciò che forse non lo è. Se i soldi si dimezzano si adotta tutto un altro stile di vita: forse, che so, non si va più al bar, la merenda si prepara solo a casa, i vestiti sono un po’ di meno, magari l’abbonamento a Sky non appare più indispensabile, le vacanze sono molto più sobrie. Però si acquista una libertà incredibile: la libertà di esserci quando c’è bisogno di noi. Viviamo immersi in uno stile di vita che ci induce a consumare sicuramente molto oltre il necessario, oltre il minimo indispensabile sicuramente.
Chissà, forse ci possiamo fare qualche domanda in più. A cosa ci stiamo dedicando? Là dove è il tuo tesoro, lì sarà il tuo cuore. Vale la pena correre come matte dalla mattina alla sera, chiedendo a qualcun altro di custodire i nostri tesori più cari?
Io guardando i visi di quelle spose e madri contente, allegre, non continuamente in lotta con l’orologio, col tempo che non basta, coi sensi di colpa, ho visto dei visi allegri e senza rimpianti.
Credo che la questione sia molto complessa, e credo che le variabili siano moltissime: quali sono le spese fisse (un mutuo?), quale lo stipendio dell’uomo, quale l’orario di assenza da casa e anche che tipo di contributo ci permette di dare al regno dei cieli in terra il nostro lavoro, quale l’età dei figli. Ma ho visto un don Stefano convintissimo nell’incoraggiare la scelta di rimanere a casa (a ogni figlio la parrocchia regala 2000 euro alla nascita!), e ho visto felici quelle che si sono fidate di lui. Gli uomini, dice il don, all’inizio hanno paura, preoccupati come sono dell’aspetto economico, ma se la donna è capace di far capire loro che per lei è importante, che ne ha bisogno, che sarà una scelta per il bene di tutta la famiglia, dell’unione, lui si butta.
Sarebbe bello che noi donne per prime cominciassimo a riconsiderare il dogma del lavoro. Non è indiscutibile come un dogma. È una possibilità. Sarebbe bello, lo dico sempre, per esempio che a noi donne venisse data la possibilità di stare a casa negli anni dei figli piccoli, e poi di lavorare quando a casa se la cavano alla grande senza di noi. Magari mettendo a disposizione di altri quello che abbiamo imparato facendo le mamme (gestire guerre nucleari, guidare carrarmati stirando, paracadutarci nella giungla perché chi è sopravvissuto alle coliche notturne è pronto a qualsiasi privazione).
Insomma, il discorso aprirebbe finestre infinite. Io volevo solo dire che forse non è tutto così scontato e ovvio e inevitabile come il pensiero unico ci vuol far credere. E che quando qualcuno si fida del Signore, succedono cose grosse. Se le temete, state alla larga dalla parrocchia di Staggia.
Confermo. Fidatevi e funziona. Se c’è una scelta giusta che abbiamo fatto è quella di rinunciare ad uno stipendio.
Carissima Costanza, verissimo! Dopo 15 anni di lavoro in farmacia, sono farmacista collaboratrice, ora molto mamma e poco farmacista, al terzo figlio…ricordi? Giovanni Paolo nato con labiopalatoschisi? Ho scelto di affidarmi totalmente a Lui, ho lasciato il lavoro, magari all’inizio un po’ costretta, ma la libertà di gestire la mia “piccola impresa familiare” mi ripaga di tutto…e non è vero il luogo comune ” noi non ce lo possiamo permettere”… noi siamo monoreddito in cinque con stipendo da impiegato…se ti fidi di Lui arriva tutto..anche un sacerdote che ti aiuta un anno con la retta scolastica…le vacanze che si fanno risparmiando dalle paghette a partire da Natale e rompendo il salvadanaio a fine agosto, perche’ a settembre costa poco, i vestiti della figlia grande passati dalla nonna magra e giovanile, della mezzana passati dalla grande e il maschio da quelli dei figli delle amiche…e poi shopping on line- in siti con offerte -a gogò quando voglio proprio rinnovare ai figli il guardaroba e vedere il principe e le principesse eleganti…tutto si può..Quanti anni ho lavorato con la tristezza di vedere la recita a metà, di arrivare a feste finite, di stare in farmacia ore e lasciarli alla baby sitter..e poi il sabato ti devi fare aiutare da qualcuno x le pulizie..e allora…una volta fatti i conti “della serva” via baby sitter e filippini, e già mezzo stipendio è risparmiato, per il resto si stringe la cinghia e ci si affida alla Provvidenza. La libertà è impagabile, anzi viene ripagata con sorrisi abbracci dolcezze e figli felici..e anche dalla gioia del marito, che sì, all’inizio era titubante, ma ha capito che..La moglie felice fa la famiglia felice!!! P.S. Ho scoperto il cake design e faccio in parrocchia “apostolato con le torte”…che soddisfazione!
Silvia
A nome di tutti i miei parrocchiani, grazie per la tua terza conferenza a Staggia Senese in occasione del Giorno del Timone. Grazie anche per la sintetica e perfetta descrizione di me: un cuore sgangherato, fragile, incostante. Mai nessuno aveva saputo esprimere così chiaramente la realtà più profonda del mio cuore. Piccola precisazione: il bonus bebè da 2000 euro è dal terzo figlio in poi per chi è italiano e sposato in chiesa (e ovviamente è riservato a chi abita nella mia parrocchia). Inoltre confermo che le spose che hanno lasciato il lavoro per dedicarsi alla famiglia avevano ottimi posti fissi. Penso ad esempio una che faceva il medico (tre figli) e una impiegata di banca con quattro figli (lavorava al Monte dei Paschi, nella filiale del suo paese). Oppure una che lavorava in un asilo nido che ora ha quattro figli (e considerando che ha trent’anni, perché mettere limiti alla Divina Provvidenza?). Vorrei sottolineare che i mariti (dopo la fatica iniziale ad assecondare il desiderio delle mogli) ora sono contentissimi di tornare a casa e, come Gudbrando, trovare la moglie serena ed amorevole, mentre prima era stressata del lavoro e scaricava su marito e figli le tensioni accumulate. Sì, hai ragione: se ti fidi del Signore succedono cose grosse!
Grazie Costanza! Meraviglioso e incoraggiante. Da giugno abbiamo fatto questa scelta in famiglia…. Coordinavo una scuola materna ed un asilo nido,con soddisfazione. Ora sono ancora più felice, ho meno fretta con i miei tre figli, più tempo per mio marito(abbiamo pure iniziato un corso di ballo!) e per gli altri. Abbiamo un mutuo, mio marito non ha uno stipendio alto…ma stando attenti alle spese è possibile… E anche i figli crescono sapendo che…non tutto si può avere. Dalle valli bergamasche un forte abbraccio.
Molto interessante questa riflessione e l esperienza che racconta Costanza.però aggiungo che “il tempo che non basta mai “e la lotta con l orologio sono anche per chi rimane a casa coi figli e sì,anche i sensi di colpa perché con tutte le nostre corse e tentativi di esserci ed esserci bene(sono a casa proprio per questo e non ho alibi,ci si ripete) non si riesce a coprire la metà delle esigenze effettive che ci circondano.i figli hanno bisogno di te la casa anche e il marito pure.tralasciando per un attimo parenti amici vicinato e contesto sociale. se non si vuole vivere in un letamaio non si può passare il giorno a legger storie e fare passeggiate;d altronde a cosa serve una stanza in ordine e le mutande nel cassetto se la mamma è nervosa o non risponde alla mia ennesima domanda o da retta più al fratello che a me?e certo non basta una cucina pulita e una cena pronta a far sentire accolto un uomo che torna a casa anzi in genere le due cose insieme sono incompatibili specie se si ha un neonatoda allattare giusto all ora dicena. Un ufficio dovrebbe contenere un bagno dove potersi tagliare le unghie oppure guardare il muro senza sentirsi continuamente chiamare.a proposito non è vero il detto “quando scappa scappa”,piuttosto”persino quando scappa puoi rimandare”.poi leggi che in tutto questo devi pure vestirti e truccarti ecc(anche se si puzza perché riuscire a lavarsi non è affatto scontato),sorridere leggiadra e infondere pace al nido e ai suoi abitanti e magari uscire a cena col consorte. perché”la coppia deve ritagliarsi i suoi spazi”.verissimo eh.ma ecco che se si vuole vivere in modo sobrio in nome d alti ideali tanti saluti a tate e colf e aiuti se non lo strettissimo indispensabile per sopravvivere.escluso discorso nonni disponibili vicini e attivi perché è merce troppo rara per farne un discorso generale.era solo per fare una piccola precisazione da parte di una che crede nel valore di stare a casa e ammira da morire le donne che lavorano con famiglia.
Grazie.
Ad ognuno la sua missione.
La fede fondamenta, il resto nel Signore qualsiasi cosa sia.
Buona giornata.
Bello!!!! Letto al volo ma torno con calma, come merita. Grazie Costanza, grazie Don Stefano. Smack! 😀
L’articolo è bello e vero! Conosco tante donne votate alla famiglia e sono felici e in gamba, ma non tutte siamo chiamate a questo.
Io ci ho riflettuto tanto e so di aver scelto bene rimanendo al lavoro.
Li c’è molto bisogno di testimonianza e di parlare di Gesù. C’è bisogno di difendere l’apertura alla vita delle impiegate, c’è bisogno di portare la testimonianza della fedeltà coniugale, dell’ onestà come distacco dai beni terreni, del rispetto della vita dei bambini e dei vecchi.
C’è bisogno in sostanza di avvocati medici cuochi macellai parrucchieri camerieri…cristiani, maschi e femmine!
…fermo restando che la scelta di lavorare, come di restare a casa, deve essere una scelta di coppia!
Prova del 9: dalla parrocchia son usciti seminaristi?
Con tutti i preti con cui ho parlato la risposta alla domanda chi ha influito di più è sempr stata: il mio parroco,
Non è che son scettico, ma è che son commercialista!
Considerato che Don Stefano è parroco da una decina d’anni, forse per i seminaristi bisognerà aspettare ancora qualche minuto 😀
anch’io sono molto contenta di leggere di questa realtà! è possibile, succede… (ora i nostri 5 figli sono grandi, i nipoti sono arrivati, ma confermo che è possibile, è anche bello, anche se non tanto condiviso e a volte duro, difficile). ancora grazie a te, Costanza, perché trovi sempre il modo di mettere avanti “un piatto prelibato” , in un mondo che corre in una sola direzione…
Concordo, alla nascita del primo figlio (di tre, più due già in cielo) abbiamo deciso che Emanuela sarebbe stata a casa. E così è stato. Nulla è mancato, anzi il contrario e la vita un poco sobria fa bene, a tutti.
L’ha ribloggato su paolabelletti.
Non è che don Stefano consiglierebbe anche me? Ho un bimbo piccolo e mi sto arrovellando su cosa fare da quando è nato 3 mesi fa! Scherzi a parte, congratulazioni a tutta la comunità per il coraggio e l’impegno e grazie Costanza per l’articolo. Buona giornata a tutti!
Molto bello. E desiderabile… ambosessi.
Però.
Ci sono due motivi possibili per cui si lavora entrambi: 1) per le troppe spese 2) per sopravvivere nei casi di perdita del lavoro di uno dei coniugi.
Per il problema (1) si può trovare una pezza. Il problema (2), per chi lavora come dipendente del privato, rappresenta invece un rischio troppo grande perché il cosiddetto contratto “a tempo indeterminato” di fatto non esiste più.
Alcuni miei amici (maestra e operaio specializzato, un figlio all’università), senza l’impiego di insegnante di lei, sarebbero finiti alla Caritas quando lui ha perso il lavoro.
Nei decenni passati il lavoro per tutte è stato visto come una emancipazione. Ora con provvedimenti tipo reddito di autonomia (se fosse fatto seriamente!) si dovrebbe poter tornare indietro (ossia più avanti!). Tornare indietro potrebbe anche voler dire reinventarsi degli strumenti di protezione reciproca all’interno della comunità per prevenire la situazione devastante che deriva da disoccupazione in famiglia monoreddito.
Soprattutto questa è l’ecologia integrale di cui parlano Papa Francesco e un filosofo a me molto caro, Fabrice Hadjadj! Anche Anita, mia moglie, lascerà un lavoro stabile fra qualche settimana per un lavoro di sartoria da svolgere a casa, con altri ritmi più adatti a lei e a noi e lasciando un po’ di spazio in più alla preghiera. Questo articolo ci stimola tantissimo!
“Un’ecologia integrale richiede di dedicare un po’ di tempo per recuperare la serena armonia con il creato, per riflettere sul nostro stile di vita e i nostri ideali, per contemplare il Creatore, che vive tra di noi e in ciò che ci circonda, e la cui presenza «non deve essere costruita, ma scoperta e svelata».”
Papa Francesco, “Laudato Si’”
Ma che meraviglia leggere che una sposa (giovane?) rimarrà a casa anche per avere più tempo per la preghiera!! Mi ha davvero commossa.
Ho letto tutto, certamente è sempre un grande bene che la mamma sia a casa, ma non è sempre possibile.dipende da situazione a situazione di quel momento. Io ora sono in pensione, …Ma devo dire che una volta negli anni dopo guerra la dona era a casa, e le famiglie erano più felice di oggi….è un dato di fatto…..Oggi è diventata tutto una corsa e non ti rende conto il valore della vita, ne anche per quanto tu fai, tutto è un stress, che impedisce di vedere perché vivi, e non solo, perdi ogni grazia secondo i doni ricevuti…non le vedi più, perché le ingiustizia di questa società di oggi, ti rende schiavo, non ditemi che non è vero !!!
Ma voglio dire un altra cosa, che ho capito con il tempo, …che la famiglia è la cosa più importante di questo mondo, nulla di più prezioso agli Occhi di Dio, ….che provvede a chi si fida di LUI,…e fa miracolo anche nella precarietà , …
Ammiro le donne che hanno fatto questa scelta ,…..
Grazie Costanza per quanto fai e spieghi secondo la Parola di Dio per questa generazione……Buona giornata a tutti voi…
“La rinunzia della madre a possibili affermazioni di carriera e di guadagno personale non deve nascere da motivi istintivi o da abitudini ataviche, bensì da una scelta consapevole. Essa deve accogliere con soddisfazione i diritti riconosciuti al suo sesso dal mondo moderno e, senza abdicare ad essi, sacrificarli coscientemente per doveri più alti. Essa deve avvertire, nel proprio spirito formato e coltivato, il richiamo a sviluppare e a far fruttificare qualità che anche a lei la natura ha fornito e tuttavia, senza seppellire questi talenti, come il servo inutile della parabola evangelica, investirli tutti nella costruzione di altre persone. Non vi è d’altronde missione di più grande responsabilità, servizio più diretto reso alla persona umana, che questo di <> degli uomini. La madre consapevole che sa che ogni notte trascorsa al capezzale dei figli, ogni pasto preparato, ogni minuto sacrificato, ogni lungo periodo d’attesa, ogni doloroso travaglio di nascita sono un servizio reso alla persona umana e, attraverso essa, a Cristo stesso: <>. Non è dunque, questo servizio, schiavitù della donna, mortificazione del suo spirito, sottrazione di una doverosa presenza sociale, e tanto meno lo è se si pensi che a questi compiti, per così dire, materiali, la madre aggiunge, unitamente al padre, quello tutto spirituale dell’educazione. educazione non è soltanto insegnamento, non è soltanto esempio, ma è insieme insegnamento, esempio e presenza: presenza vigile, presenza amorosa, presenza intelligente. Per questo diciamo che un lavoro – un vero lavoro, una vera carriera, intrapresi e svolti con coscienza e serietà, come sarebbe doveroso – sono raramente conciliabili col compito di madre: insegnamento, esempio , presenza, toccano entrambi i genitori ma la presenza spetta soprattutto alla madre. Essa non può negarla ai propri figli. se gravi motivi non ve la costringono, senza mancare alla giustizia verso di loro, ancor prima che all’amore. Sarà anche, pur se non solo, per questa presenza che essi potranno raggiungere una autentica maturità spirituale e inserirsi domani nella società come elementi positivamente, autenticamente attivi” (Gianna Agostinucci in “I giovani e la famiglia” pagg. 184 – 185, Editrice Ave, Pastorale 7, 1966). Scusate se le mie citazioni sono quasi sempre datate, credo sia un problema di età…
Grazie….
Ammiro la scelta di quelle donne che hanno preferito la famiglia al lavoro: con i tempi che corrono, umanamente si chiamerebbe avvendatezza. Con i tempi di Dio si chiama fiducia.
Piccola mia testimonianza: non sono sposata ma vivo nella fiducia in Dio quotidianamente e lo ringrazio perché supplisce alle mie mancanze e provvede alle mie necessità anche a quelle che per me sono impensabili. Questo 2016 che tutti dicono (scusate il termine) sfigato perché bisestile, per me è stato il migliore in fatto di provvidenza. Non ci avrei mai pensato né avrei mai chiesto al Signore un paio di cose “grosse” per me indispensabili: sono arrivate al momento giusto per sostituire le due cose moribonde (morte lo stesso giorno dei nuovi arrivi), donatemi da qualcuno che non avrei mai immaginato (e di fantasia ne ho tantissima), da qualcuno che sapendo, come altri tanti, che ne avevo necessità… ha pensato a me, pur non avendo molto da buttare o regalare.
E’ vero Dio sa di cosa abbiamo bisogno!
Ammiro doppiamente le donne che hanno preferito la famiglia al lavoro: dove sta scritto che son tutte rose e fiori? Anzi!
Le difficoltà non mancheranno di certo, altrimenti mancherebbe la vita stessa.
Preghiere garantite! Smack doveroso e gioioso!
Per quale diavoleria informatica le parole virgolettale vengono saltate? Le parole mancanti erano “Costruire” e “Ogni qualvolta farete ciò ad uno di questi piccoli lo avrete fatto a me”
Anchío ho lasciato il mio lavoro anni fa (docente universitaria a contratto da 6 anni, ben inserita) su proposta di mio marito. Una liberazione da tutti i punti di vista.
Sul profilo finanziario: abbiamo passato il primo anno in rosso perchè non avevamo bene in mente le ripercussioni della decisione ma poi ci siamo adattati a controllare le uscite mensilmente. Dopo sette anni di nuovo un anno in rosso che ha portato panico momentaneo solo alla sottoscritta. Mio marito: serafico. E aveva ragione lui. Ci siamo ridattati.
Mettiamo da parte soldi in caso di problemi. Se vi chiedeste da dove vengono fuori, beh, non andiamo praticamente mai in quella che io chiamo “vera vacanza” dove vieni servito pasti e la tua camera viene mantenuta da altri. Facciamo piuttosto gite da cui rientriamo a dormire a casa. Un sacrificio che alla fine è solo mentale perchè mi sorprendo molto grata alla fine dei periodi di vacanza scolastica, di come i giorni sono passati.
Una cosa che amo della nostra Fede e la Libertà che ne può derivare se vissuta appieno. Non penso la via per le donne sia unica. Le circostanze personali sono tantissime e certamente a volte sono una dura prova personale. Penso alle tantissime famiglie con redditi modesti.
Io sono moglie e mamma di sei figlie a tempo pieno. Lavorare non sarebbe stato “economico” per me in nessun senso per cui alla terza nascita abbiamo deciso di affidarci alla Provvidenza che fino ad oggi non ci ha mai tradito. Anche se questo non significa non ci siano chiesti sacrifici o che talvolta il pensiero del domani (sopratutto riguardo l’aiuto che potremo dare alle figlie ) non ci getti nella paura. Ma questa è la vita che abbiamo scelto e sicuramente è la nostra Croce da portare.
Confesso che nutro anche profonda stima per chi , come Costanza, riesce a lavorare e seguire la propria famiglia numerosa. Sono convinta però che in questo caso entri in gioco anche il tipo di lavoro che una donna svolge . Probabilmente tutte le cassiere dei supermercati rinuncerebbero al lavoro per seguire la famiglia.
Come sempre ci troviamo d’accordo! Chissà perché!!?? La scelta di stare a casa, di curare i figli l’abbiamo fatta quasi costretti da certe circostanze. Ma sono state una benedizione! Sono la donna più felice,appagata , Serena. Adesso mi godo i nipoti; i figli sono diventati dei ” sani” adulti. Certo non abbiamo il conto in banca, ma una ricchezza di umanità, disponibilità, l’uno verso l’altro che ripaga tutto. Ma la cosa più sorprendente che in tutti questi anni la PROVVIDENZA ( il Signore), non ci ha mai abbandonato! Grazie Costanza, amica della vita. Rita
Niente da dire, sono belle testimonianze che presuppongono una Fede non comune nella Divina Provvidenza, l’accettazione di una esistenza sobria , lontana dalla mondanità, la consapevolezza che i tesori più grandi si trovano nellae cose semplici, familiari. ” Dove è il tuo cuore là c’è il tuo tesoro “)
Sottoscrivo tutto…mi vien voglia di andare a conoscere don e parrocchiani…”bonum diffusivum sui…”
Mamma che bella esperienza. Raccontata così bene che sembra di esserci stata pure io. Anche io ho fatto una semi scelta di questo tipo. Sposata da due anni e mezzo, ad un passo dalla laurea in medicina. Da figlia di medico (mia madre) ho sempre avvertito un grosso limite nella mia scelta universitaria, la consapevolezza che avrei dovuto fare scelte inevitabili e inevitabili sacrifici per conciliare casa e lavoro. Ma non ero ancora capace di intendere sul serio le mie profonde inclinazioni, da giovane universitaria. Mi limitavo a rimandare ulteriori riflessioni a quando sarebbe arrivato il momento di farle, quelle scelte. Ora, da donna sposata, capisco la mia reticenza di allora nel fissare un baluardo nell’affermazione professionale. Semplicemente, non sono fatta per questo. La mia vocazione è quella di donna sposa e madre. Mio marito ha un normalissimo stipendio, abbiamo una casa nostra e un piccolo mutuo. Siamo in due perché il buon Dio per ora ha deciso così, un bimbo ce l’abbiamo in cielo. Facciamo una vacanza l’anno spostandoci con l’auto a metano per l’Italia e dormendo da amici, che di questi ne abbiamo tanti sparsi ovunque. Non abbiamo Sky, non abbiamo più mobili del necessario, non abbiamo più cose del necessario, non abbiamo l’iPhone ma semplici telefoni che vanno su internet, la pizza la faccio io in casa, questo mese riesco ad andare dal dentista, e a dicembre se riesco mi pago la visita dermatologica. Abbiamo tutto ciò che serve, mio marito trova un pasto caldo quando torna, e una moglie serena che lo ascolta e gli parla senza scaricargli troppi problemi. Ho tempo per la preghiera, per studiare, per le catechesi serali. Non è tutto facile, ma nemmeno tutto difficile. Oggi è così. Mi affido e chiedo continuamente di essere illuminata sul cammino da compiere in futuro. Se ci sarà la possibilità di tirar su una scuola parentale anche qui, mi ci butterò a capofitto.
E per i single che si fa?Anche noi siamo stressati,però il lavoro proprio non lo possiamo lasciare…
Confermo! 🙂
Signora Miriano, posso esprimerlenil mio pensiero? Io la ammiro per tante cose che scrive e lei probabilmente dirà di essere fraintesa, ma alla fine, quando tocca questo argomento, a me sembra sempre che le donne che non lavorano siano consideratepiù brave di quelle che lavorano. Perché? Ho 27 anni, sono sposata da poco più di uno, io e mio marito (che fa il ricercatore) abbiamo deciso di sposarci che io ancora non ero nemmeno laureata, fidandoci della chiamata che sentivamo ci stava facendo il Signore e sì, oggi lavoro. Figli ancora non ne abbiamo , speriamo arrivino presto. Non mi piace fare la casalinga. Adoro occuparmi di mio marito, cucino quasi sempre io perché ci tengo a farlo, quando abbiamo gente a cena, ci tengo ad essere io a fare gli onori della casa. Ma fare la casalinga non mi piace, mentre mi piace tanto il mio lavoro da impiegata. Non lavoro affatto perché abbiamo bisogno del doppio stipendio, anche se mio marito fa il ricercatore, perché conduciamo una vita sobria: pochi viaggi, cene fuori relativamente limitate, non abbiamo neanche la macchina, paghiamo da soli il nostro mutuo. Quindi non lavoro perché senza il mio stipendio saremmo sulla strada, lavoro perché il mio lavoro mi piace e mio marito è felice che io sia contenta. Perché da questi articoli, o da molti commenti, sembra sempre che le donne lavorino per portare a casa il pane, e sembra inconcepible che lo si faccia perché piace? Certo, io sono fortunata: lavoro in un’azienda abbastanza all’avanguardia in queste cose, per cui già ora godo dell’orario flessibile e posso lavorare da casa tre giorni al mese. È chiaro che una simile situazione mi sia di aiuto.Non ho chissà che aspirazioni di carriera, o meglio, non aspiro a nulla che mi costringa ad essere una moglie e, in futuro, una madre assente. Per cui non contesto affatto quella che so essere la sua idea vera di base, cioè che il lavoro deve essere anche a misura di donne. Al contrario, proprio per questo apprezzo tanto la mia realtà lavorativa, così all’avanguardia per il panorama italiano. E penso che se una donna sente che sarà più felice a casa, allora è quella lla sua vocazione. Ma la mia e quella di altre donne è un’altra e va rispettata. Invece, onestamente, io spesso percepisco, in questi articoli o nei commenti, una sorta di giudizio, come se fossimo in fondo mogli non peggiori, ma un po’ meno mogli perché non rinunciamo alla vita lavorativa. E non sarà questo lo scopo, ci credo, però questo è quello che emerge. Sperando che il mio commento sia stato compreso nel suo intento, la saluto con affetto e stima. Silvia
Silvia, non sono Costanza, non sono una donna, neppure una santa, e nemmeno sposato, ma vorrei abbozzare una risposta senza pretese.
Partirei da questo punto scritto da Costanza:
“Ma vorrei soffermarmi su un altro fatto, e cioè che ci sono molte, davvero molte donne, che hanno deciso di lasciare il lavoro e mettersi a fare le mogli e le mamme a tempo pieno. Non voglio dire con questo che segue il Signore solo una donna che non lavora (tanto lo so che qualcuno la leggerà così), perché io sarei la prima a non rientrare nel canone.”
Qua penso proprio che nessuno voglia fare una classifica tra lavoratrici e non, e neppure dare indicazioni più o meno stringenti in materia. Spiace che ogni volta a seguito di post di questo tenore, ci sia una percezione più o meno negativa delle argomentazioni svolte, anche se come ha scritto Costanza “tanto lo so che qualcuno la leggerà così”.
E’ assolutamente vero che una donna che sente tra le proprie vocazioni una particolare carriera lavorativa, e vede tale vocazione frustrata, e si ritrova “stretta” in un ruolo di casalinga, finirà per non essere certo una madre e moglie migliore, anzi. Di nuovo, non penso affatto che il punto sia questo.
Il punto è semplicemente che la nostra società, soprattutto ma non solo i media mainstream, sono orientati al contrario a far sentire le donne come “donne un po’ meno donne” se non cercano a tutti i costi anche una realizzazione lavorativa, dedicando meno tempo ed energie alle loro famiglie, persino nel caso in cui questo non è il desiderio del loro cuore, e le circostanze permetterebbero di rinunciare a un po’ di reddito con sacrifici non insostenibili.
Questo rientra in fondo in una politica malthusiana – cioè mi spiego meglio: la volontà politica che spinge le donne a spostare sempre innanzi l’età del matrimonio e dei figli spesso non è guidata dal giusto desiderio di ampliare le loro (vostre) possibilità di realizzazione personale, ma ridurre il tasso di natalità. E questa è una delle ragioni per cui non c’è una volontà politica di fare il lavoro “a misura di donna” e anzi, paradossalmente, un simile tentativo probabilmente attirerebbe accuse di… maschilismo.
Quello che voglio dire, per parafrasarti, è che è la vocazione di “casalinga” (usiamo pure questo vocabolo per semplicità), a non essere rispettata e a essere spesso giudicata, perché superficialmente liquidata come poco produttiva e poco utile. Perciò, forse quel che tu dici di percepire, quello che emerge, non è tanto una sorta di giudizio verso le “lavoratrici” (ma quanto poco mi piace, davvero, contrapporre “casalinghe” e “lavoratrici”, brrr), quanto una resistenza a un giudizio di segno opposto, una fermezza (fortezza) nel difendere una scelta che si vuole negletta.
Seguire la corrente è sempre più confortante, la corrente tira in una certa direzione, è naturale che chi sceglie diversamente desideri un incoraggiamento, piccolo o grande che sia, che non significa voler essere considerate “più brave”.
Buonasera Roberto, la ringrazio per il suo commento. Ha perfettamente ragione quando parla di politica malthusiana, che in fondo, è un po’ il cuore del problema: il lavoro assorbe esageratamente noi tutti. Poi noi donne ne soffriamo di più per l’accudimento dei figli, ma anche voi maschi venuti tenuti lontano dalla famiglia per un numero di ore esagerato nell’arco della giornata. Questo è senz’altro uno dei più importanti fattori di disgregazione delle famiglie. E noi donne ne risentiamo di più perchè, come giustamente faceva notare mio marito ieri sera, gli anni in cui, secondo una concezione malsana del lavoro, dobbiamo spingere di più in questo senso, sono anche gli anni in cui vorremmo e potremmo dedicarci alla maternità. E infatti la signora Miriano, in altre occasioni, ha giustamente parlato della necessità di pensare a ritmi del lavoro più femminili, che vengano incontro anche alle nostre esigenze, non solo a quelle di voi maschi.
Ci tengo a precisare di nuovo, come ho fatto nel mio primo commento, che sono conscia del fatto che la signora Miriano non voglia mettere in croce le donne che lavorano (precisazione numero 2: lo so benissimo che le casalinghe lavorano un sacco, era una distinzione di semplice comodità 😉 🙂 ). Sicuramente, quando l’intento è quello di riqualificare e dare la giusta dignità al lavoro casalingo (molto bistrattato negli ambienti femministi), in modo che donne che si sentono più portate per questa vocazione vengano incoraggiate ad abbracciarla, è solo un bene! Però, in chi condivide e commenta queste riflessioni, spesso non traspare solo questo. Perché se si dice, come si può leggere in quasi tutti i commenti qui presenti, che con un solo stipendio ce la si fa benissimo, basta rinunciare a Sky, alla colf, all’ultimo modello dell’I-phone e alle vacanze all’estero, bè, non si può negare che un giudizio soggiacente ci sia: come se il mio stipendio fosse necessariamente funzionale a determinati capricci, che se non li avessi, di sicuro lo stipendio di mio marito basterebbe per entrambi. Non le pare?
Grazie,
Silvia
Silvia (mantengo il ‘tu’ perché su internet si usa e poi sei più giovane di me); io ho recepito diversamente quei commenti che ti sono dispiaciuti.
E’ pur vero infatti che una famiglia monoreddito spesso dovrà rinunciare a diverse cose, specie se la sua apertura alla vita ha portato la gioia di più figli, e che spesso questa rinuncia non è certo dovuta solo all’aumento negli anni dei consumi superflui, ma anche della struttura welfaristica dello Stato moderno, che si oppone diametralmente al principio di sussidiarietà cattolico – cosicché abbiamo una dubbia offerta di “servizi statali” strapagati volente o nolente a suon di tasse, che impoverisce tutti per acquisire il “privilegio” di accedere a servizi che permettono di scaricare i pargoli da qualche parte e lavorare entrambi (un sottile e neanche tanto sottile spossessamento del diritto/dovere di educare i figli, a mio modo di vedere; mentre invece avere a disposizione più reddito e poter scegliere se e in che modo ‘comprare’ il tempo da dedicare a un lavoro redditizio e/o gratificante sarebbe una scelta molto più razionale… ma sto divagando, certo, laureato in economia e facendo il commercialista ho una certa sensibilità alla mostruosa pressione fiscale/previdenziale a cui siamo assoggettati).
In questo nostro clima sociale, mi pare che ci sia un diffuso timore di “non farcela” senza due redditi, timore non certo infondato, ma forse, e specialmente in certi casi, un po’ sopravvalutato. Io collocherei i commenti a cui facevi cenno in un’ottica di incoraggiamento che, ovviamente, passa attraverso un’inevitabile semplificazione della realtà.
Buonasera Roberto, chiedo scusa per il ritardo della risposta.
La ringrazio per gli spunti di riflessione che mi ha dato, forse sono io che la prendo troppo sul personale. E poi sa, io e mio marito frequentiamo gli ambienti dell’Opus dei, dove la scelta di lasciare il lavoro non è vista come una possibilità migliore o peggiore, ma una delle mille possibilità che Dio ci offre per realizzare la nostra vocazione. San Josemaria insegna che qualunque sia la tua vocazione (medico, ingegnere, insegnante, impiegata, netturbino o casalinga che sia), lì è dove il Signore ti haesso ed è lì che hai il preciso dovere di trovare la strada della santità (la santità della vita ordinaria). Ecco perché credo che se una donna sente che la scelta che ha fatto è la sua vocazione, allora la Provvidenza ti ha messo lì e lì è giusto che tu stia. Che si tratti di fare la casalinga oppure il neurochirurgo (o l’impiegata come me 🙂 ). La ringrazio pe lo scambio di idee. A presto, Silvia
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Ricordo che negli anni ’70 esisteva un gruppo femminista avversato dagli altri che si chiamava “per il salario al lavoro domestico”. Trovo che avessero ragione. Ci si dimentica che quello di moglie e di madre oltre ad essere un atto di amore è anche un lavoro peraltro senza orari. Molti problemi sarebbero risolti o almeno ridotti (denatalità, disoccupazione, crisi della famiglia) se fosse riconosciuto uno stipendio alle casalinghe.
Concordo in pieno. Il lavoro delle casalinghe è un vero e faticoso lavoro, ne so qualcosa io che, a causa di un brutto incidente alla figlia mia più piccola, sperimento in questi giorni cosa significa mancare avanti una casa. Non solo il marito ed i figli, ma anche lo stato ha tutto l’interesse a che una donna scelga di occuparsi personalmente e a tempo pieno della propria famiglia. Sono sicuro che un giorno sarà riconosciuto il valore anche economico che svolgono le casalinghe.
si, l’ho sperimentato anch’io, tardi purtroppo. Ogni bambino (viene al mondo) col suo cestino, diceva mia mamma.
Buone cose cara Costanza, che Dio ti benedica!
e aggiungo che il più grande atto di fascismo da parte del potere, è svalutare l’atto di fare figli, crimine che avviene sotto gli occhi di tutti sotto varie forme e con argomentazioni tra le più varie. E che poi diventa eugenetica light.
@tafuri
a me pareva il più grande atto di comunismo….
capisco l’obiezione, hai ragione, certo, il più grande atto di comunismo!
Grazie Costanza per le tue parole e in particolare per quella piccola ma luminosa parentesi “(una coppia aperta alla vita E’ una famiglia)”!!! Non dimentichiamolo noi coppie che agli occhi del mondo siamo semplicemente sterili… e la Chiesa non smetta di ripetercelo perché questa Verità resti sempre salda, in particolare nel dolore dell’infertilità fisica.
Ho impiegato molto tempo per comprendere che è il Sacramento la fonte della fecondità, non lo siamo noi due sposi … e che la forma che vorrà prendere nella nostra coppia è certamente la migliore per noi…più efficace di ogni nostro progetto. Da quando ci siamo consegnati al Sacramento e alla Sua fantasia, il dolore, la rabbia, il senso di colpa, il dubbio hanno perso consistenza e abbiamo avuto nuovamente fiducia in un futuro buono e fecondo. Siamo in due ma ora siamo una famiglia!
Si, occorre fidarsi “veramente” del Signore…
“La fede nella Provvidenza, infatti, non dispensa dalla faticosa lotta per una vita dignitosa, ma libera dall’affanno per le cose e dalla paura del domani.” (Benedetto XVI all’Angelus del 27 febbraio 2011)
Dobbiamo ammettere poi che anche il lavoro, svolto per puro piacere o solo per denaro, può “usurarci” nel corpo e nello spirito, diventando facilmente un idolo al quale sacrificare aspetti importanti della vita nostra e di quelli che ci circondano.
Questo lo ripeto spesso a me stesso.
cara costanza, buon compleanno! anche se non ci conosciamo, io sento per te un grandissimo affetto. davvero ti voglio bene!
grazie di cuore, buona giornata
marta
non me n’ero accorto…
mi associo
buon compleanno a Costanza, auguri vivissimi!
speriamo che il buon Dio getti un’occhiata sulla pontificia accademia per la vita.
stanno per accadere cose grosse,umanamente.
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/10/26/terremoto-alla-pontificia-accademia-per-la-vita-con-repulisti-dei-non-allineati/
Tanti auguri alla padrona di casa, 100 di questi giorni (e non 30 come augurò un mio amico tanti anni fa ad una ragazza che aveva appena compiuto i 18 🙂 ) !
Sono Enrico. Quale modo migliore di inaugurare il nuovo nick se non facendo gli auguri a Costanza? Turomar è la traduzione in Quenya (chi conosce Tolkien sa di cosa parlo) di Enrico.
Tantissimi auguri!
Con il permesso del Marito, agli Auguri aggiungo un piccolo omaggio floreale…
Carissima Costanza, auguri anche da me!!!
Io lo faccio dire alla “uaif” del famoso duo:
https://mienmiuaif.wordpress.com/2016/10/26/tanti-auguri-e-grazie-costanza
Ciao.
Luigi
Auguri anche da parte mia! E grazie per la tua coraggiosa testimonianza a difesa delle verità evangeliche!
Buon compleanno. Ad maiora , illuminata dalla Luce dello Spirito.
Mi unisco agli auguri!
Per l’argomento del post dico solo una piccola cosa : purtroppo non stiamo tutti a Staggia! Io lo scorso anno andai a far presente al responsabile della scuola materna parrocchiale frequentata dalla mia terza figlia che eravamo in ritardo col pagamento delle rette (mai successo in sette anni che abbiamo avuto una o due delle bimbe in quella scuola) perché mio marito era senza lavoro e facevamo fatica ad arrivare a fine mese. La risposta fu : signora, la scuola ha bisogno delle rette per funzionare. Se ha difficoltà a pagare si rivolga in comune all’assistente sociale… che tristezza!
Grazie al cielo la Provvidenza ha le sue strade, mio marito è ancora a casa ma al momento ce la caviamo stringendo la corda, e grazie al mio stipendio di impiegata statale (e siamo anche in attesa della quarta bimba)
Non conosco la sua situazione Arianna, però a volte mi sembra che un pizzico di orgoglio ci oscuri i pensieri…che male c’è a rivolgersi ad un assistente sociale?! Sembra che sia diventata un’onta rivolgersi agli assistenti sociali quando invece sono lì per questo (che poi privilegino sempre un certo “tipo” di disagiati è un altro discorso).
Pago volentieri le tasse solo e solamente quando mi ricordo che si possono aiutare perone come quelle nella sua situazione…se si ha famiglia, se si è lavorato o si cerca lavoro (post perdita lavoro) con onestà non c’è nulla di cui vergognarsi a chiedere aiuto al Comune o chi per esso.
Da giovane non capivo perché l’orgoglio fosse fra i peccati capitali, crescendo una piccola idea me la sono fatta…non c’è nulla di edificante nel non riconoscersi bisognosi d’aiuto degli altri.
La prego, non è un’accusa diretta a lei ma una riflessione che spesso ho e volevo condividere
Cara Giulia
Grazie della sua condivisione. Raccontare la mia esperienza era solo per segnalare che non tutte le realtà sono uguali; io mi sarei aspettata una risposta diversa in una scuola parrocchiale!
Per quanto riguarda l’orgoglio stia pur tranquilla che per far mangiare i figli si mette tranquillamente da parte, e si accetta volentieri dalla vicina di casa (operatrice Caritas) la borsa con generi alimentari di prima necessità scartati da altre famiglie bisognose, che non accettano quella marca di pasta o la scatola di fagioli etichettata “aiuto UE”.
Auguri Costanza!
Ecco si. Rinunciare ad uno stipendio. Quando in due non si é sicuri nemmeno di prenderne uno intero come la mettiamo? Io quei famosi sensi di colpa li ho ma ho anche tanta passione per il mio lavoro precario e altalenante. Mio marito un lavoro fisso pagato tutti i mesi non lo ha. E per noi quindi? Vale lo stesso discorso? E il nostro tesoro dove si trova? Non si tratta di vacanze o vestiti. A noi non mancano le cose perche il pAdre eterno é buono con noi…ma chi non lavora neppure mangi ……e se mio marito non ce la fa io DEVO AIUTARE LA FAMIGLIA anche nel bilancio economico. A volte non ci sono scelte……
Vi ammiro. Io sono a casa con due figli, e il tempo non basta mai comunque, e la pazienza scarseggia alla grande. Ma come fate? Mi svelate i trucchi? Io non riesco più a sentire le mille mila domande che fa mia figlia di 4 anni a raffica, non riesco ad accogliere il marito perché sono esaurita e stanca. Mi illudo che se lavorassi avrei uno spazio mio, invece che condividere ogni pipì con qualcuno ed elemosinare una doccia senza figli! Come si fa a stare a casa ed esserne felici?