di Emanuele Fant per Credere
Festa parrocchiale. Il sacerdote annuncia col megafono che noi cristiani siamo forniti di armature di luce, quindi il fatto che viene buio non è un motivo sufficiente per lasciare l’oratorio. E poi abbiamo i lumini, il riverbero dell’oro degli altari, eventualmente i sorrisi bianchi delle signore che stanno alla cassa delle salamelle. Si canta in coro battendo le mani, si distribuiscono volantini fluorescenti per pubblicizzare le proposte dell’anno che arriva.
Ma io oggi sono di cattivo umore. Esibisco il mio muso come l’unica nota stonata in un accordo maggiore. Sono un provocatore, posso dirmi credente pure con questa cera?
Una luce sul palco richiama la mia attenzione. Il mimo ha acceso un piccolo riflettore dietro al telo. Dà forma alla silhoutte di una colombina con le mani. Le sue dita sperimentano altri incastri, per illuderci con nuove creature: ora appare un elefante, un canguro che saltella, il primo piano del volto di un anziano.
Applaudo e ammetto che il messaggio è chiaro: in certi casi si possono ottenere esibizioni entusiasmanti pure manipolando materia oscura. Perché averne paura? Provo a sorridere e a fare un giro nel campo di pallone, ma il malumore insiste che mi vuole accompagnare.
Fermo in coda per le patatine, mi spingo avanti almeno nella riflessione. Ripenso a Peter Pan: mi ha sempre incuriosito la sua ostinazione nel volersi riallacciare l’ombra, tanto da farsela cucire sotto le suole dalla piccola Wendy. Forse vuol dire che se il buio ci pedina con feroce ostinazione, è un dovere farci i conti. Se gli sciogliamo il guinzaglio disturba i vicini, si allunga di sera, invade il quartiere, pretende di dettare le regole.
Chiedo alla mia ombra se vuole pure il ketchup, e finalmente ci sediamo. Per iniziare la ringrazio. Una mancanza circoscritta di illuminazione è la maniera più immediata che conosco per accorgersi del sole. Prometto che ascolterò tutto quello che ha da dire. E mi sembra già intenzionata a scomparire.
mi sembra un ombra glicemica. magari si riesce a tenerla facilmente a bada con una caramellina, da portare in tasca o in borsa.
Non credo che l’ombra sia “glicemica” e tantomeno si tenga “facilmente a bada” MaRi Mar! Da come l’ho inteso, ma qualcuno mi corregga se sbaglio, quest’articolo poeticamente ci racconta di un uomo che trascorre una serata, sentendo viva in lui una ferita, da cui il male e’ entrato. Potrebbe farsi sopraffare da quel male, ma decide di farci i conti, di metter il guinzaglio all’ombra affinche’ non porti del male anche agli altri. Infine addirittura “la ringrazia”, perche’ una “mancanza circoscritta di luce”, gli permette di “accorgersi del sole”. Puo’ esser un nostro difetto che vorremmo correggere e, pur tentando, cadiamo e non riusciamo nell’impresa oppure un dolore, un fatto non voluto. Arriva un giorno in cui, miracolosamente, capiamo che quel deficit di luce, ci porta a cercare Dio e, forse pure a trovarLo.
Le zone d’ombra accompagnano la vita di ognuno, poichè l’essere umano porta con sè la ferita prodotta dal peccato dei progenitori.Inutile negarle a sé stessi, inutile sforzarci di eliminarle da noi stessi. Solo la luce effusa dallo Spirito Santo può rischiararle permettendoci di guardarle con lo stesso sguardo di Dio (la sua Misericordia).
Concordo il commento di Pierangelo…..Buona serata..