Cari amici, cara Silvana(*) e Annamaria(*), cari Alessio(*) e Rufina(*), oggi vorrei fare qualcosa di insolito, qualcosa, forse, di sconveniente. Vedete, si parla tanto di questi tempi di morale, di filosofia, di giurisprudenza, di ideologie, insomma di massimi sistemi; si fanno tanti giri di parole, ci si confronta ma si cerca sempre di rimanere al di qua di quella linea sottile che separa il generale dal particolare, il sociale dal personale.
Questa volta, invece, io voglio varcare quella linea. Mi sono stancato di teorie e discorsi in astratto; oggi voglio andare al sodo, parlare a voi, domandare a voi, scendere nell’intimo, il vostro, ma anche per capire il mio.Lo so, si usa poco oggi; molti lo considerano non elegante e persino offensivo ma, vedete, io ho capito che c’è un comandamento vero nella mia vita: “ama il prossimo tuo, come io ho amato voi”. Conoscete fin troppo bene chi lo ha pronunciato per la prima volta e forse avete pure idea di cosa significhino queste parole. Beh, io lo vedo così: devo amarvi fino a sporcarmi le mani, devo amarvi fino a far uscire il sangue, il mio e, se serve, anche il vostro. Insomma io sento di dover fare qualcosa di più che tentare di convincervi delle mie idee con la ragione e rimanendo sul piano generale o teorico. In passato mi sono sempre limitato a questo…e non ci siamo spostati di un millimetro dalle nostre posizioni. E allora che fare? Scaviamo, andiamo sotto la superficie, cerchiamo il nocciolo della questione. Non perché voglio ancora convincervi di qualcosa ma solo perché il mio desiderio profondo è il vostro bene, per amarvi come Lui ha amato noi.
Non vi conosco a fondo, siete passati nella mia vita come tante altre persone e probabilmente quello che sto per fare potrebbe sembrare riduttivo e azzardato, ma so per certo che voi avete qualcosa in comune con me e questo mi basta: sia io che voi, nella vita, ad un certo punto, abbiamo incontrato un muro e c’abbiamo sbattuto contro. Capita a tutti, per carità, non siamo più speciali di altri ma il “nostro” muro, concedetemelo, è di quelli tosti che con un’espressione enfatica si direbbe ci abbia portato ad affrontare questioni “di vita o di morte”.
Provo a mettermi nei vostri panni, cercando di immaginare come vi sono andate le cose quando avete incontrato quel muro, come potete aver sofferto. E poi voglio metterlo accanto a quello che è capitato a me. Non è una gara, non ci sarà un vincitore o, se ci sarà, allora lo saremo tutti. Dite che sono pazzo? Può darsi, ma l’alternativa mi sembra solo continuare a fare finta di niente.
Silvana, Annamaria il muro contro il quale avete battuto è una “grande muraglia”. Anche a me è capitato di cozzarci contro ma poi il Cielo mi ha consentito di scavalcarlo. Voi avete desiderato un figlio con tutte voi stesse, sono certo che sentivate dentro di voi l’aspirazione più grande che una mamma possa avere: dare alla luce un bimbo. Ma questo bimbo non arrivava. Sarà stato frustrante all’inverosimile, posso solo immaginarlo. Donare la vita è forse l’unica cosa che abbia senso nella nostra esistenza e sapere che proprio questo ci è precluso non può che essere durissimo da accettare. Poiché i metodi “naturali” non funzionavano, entrambe siete ricorse agli “espedienti tecnici” oggi disponibili; a te Silvana è andata bene, ora ha un figlio. Tu, Annamaria, stai ancora provando con quegli stessi espedienti e non accenni ad arrenderti.
Alessio e Rufina, anche il muro contro cui avete battuto voi non è stato da meno: entrambe, ad un certo punto, avete capito di essere attratti da persone del vostro stesso sesso. Anche in questo caso provo a immaginare la sofferenza che la cosa possa aver portato nella vostra vita: il sentirsi “sbagliati”, all’inizio, i genitori che vi rifiutano quando decidete di raccontargli come stanno le cose o che, dopo anni, ancora fanno finta che voi siete “normali”, i compagni di scuola che vi hanno deriso; poi avete trovato un compagno o una compagna con cui instaurare una relazione stabile e ma andate in giro mano nella mano e la gente vi guarda storto; la tua compagna, Rufina, ha anche un figlio e vivi con molta apprensione il fatto che a scuola possa essere messo da parte dalle maestre e dai suoi amici.
E poi ecco il muro che ho incontrato io: ad appena 2 anni, un giorno mio figlio si ammala di cancro. Un capolavoro di bambino, in una notte, sembra che la leucemia voglia portarselo via. Poi, per 6 anni dopo quel giorno, io e mia moglie abbiamo lottato insieme a lui contro questa bestia, sconvolgendo la nostra vita e quella degli altri due figli che nel frattempo sono arrivati. Quando cominciavamo a sperare sul serio di avercela fatta, lui, Filippo è “nato al cielo” e le sofferenze di quei 6 anni sono sembrate “robbetta” in confronto alle ultime settimane trascorse con lui e a quelle dopo la sua morte.
Ripeto, qui non stiamo facendo una gara: ogni dolore è diverso, ogni sofferenza è diversa, ognuno “porta la sua croce”, ne sono consapevole. Quello che mi interessa è come si affronta quel muro, come lo avete affrontato voi. Ebbene, tutta questa tiritera fin qui solo per dire che io so che voi, contro quel muro continuate a sbatterci, e siete arrabbiati. E in questi giorni lo siete ancora di più perché avete visto tanta gente che è scesa nelle piazze per affermare qualcosa che voi non capite, qualcosa che ha a che fare con le vostre scelte e le vostre vite. Siete arrabbiati con loro perché pensate che non capiscano il vostro dolore, siete arrabbiati perché pensate che loro vi giudichino male per quello che avete fatto o per quello che siete. Siete arrabbiati perché pensate che quelle persone vogliano togliervi qualcosa.
Silvana, Annamaria, mi metto nei vostri panni: capisco perché voi chiedete a gran voce che quelle tecniche per generare bambini che voi avete impiegato siano ampiamente accettate e diffuse, liberalizzate e facilmente accessibili a tutte le coppie che non possono avere figli. Capisco perché voi chiedete che la società non esprima giudizi sull’utilizzo di tali tecniche, che non ne condanni l’impiego. Posso capire che voi siate convinte che se tutto ciò accadesse, potreste essere finalmente felici.
Alessio, Rufina, provo a mettermi anche nei vostri panni: capisco perché chiedete a gran voce che le unioni tra persone dello stesso sesso siano equiparate a quelle tra persone di sesso diverso, forse sapete che voi e i vostri compagni già godete di un buon numero di diritti ma volete comunque che la società vi consideri allo stesso modo di tutte le altre coppie, e posso anche capire che ad un certo punto vogliate pure dei figli. Posso capire che anche voi siate convinti che se tutto ciò accadesse, le vostre sofferenze si placherebbero, l’arrabbiatura svanirebbe.
Però, a questo punto vi chiedo: mettetevi voi nei miei panni. Sono certo che potete capire quanto fossi arrabbiato quando Filippo si è ammalato e quanto lo ero quando se ne è andato al Cielo. Avete conosciuto bene la vostra sofferenza e il vostro dolore, potete forse immaginare i miei. Cosa avrei potuto chiedere al mondo per trovare pace? Se voi fosse stati me, cosa avreste preteso dalla società? Ve lo dico io, perché a me è successo di farlo: quando Filippo era malato ho voluto che il mondo e la società mi restituissero un figlio sano, ho voluto con tutte le mie forze che i medici trovassero la cura certa e definitiva per il cancro di mio figlio. Avrei preteso tutto ciò, ed ero arrabbiato perché invece il mondo sembrava non volesse aiutarmi. E allo stesso modo, dopo che Filippo se ne fu andato, cosa potevo chiedere al mondo affinché mi aiutasse a ritrovare la serenità? Che Filippo tornasse in vita, che io non fossi più considerato come un “padre di figlio morto” ma fossi visto da tutti semplicemente come un padre qualsiasi. Potete bene capire che io mi sarei facilmente convinto che se tutto ciò fosse accaduto, il mio dolore sarebbe stato alleviato.
Comprenderete, spero, che il vostro desiderio di pace e serenità non è diverso dal mio; per conto mio non vedo differenza alcuna. Però vi invito a riflettere su questo: Silvana, Annamaria il chiedere o pretendere il ricorso alle tecniche di PMA di fronte alla infertilità delle vostre coppie non è stato come il chiedere o pretendere che i medici avessero fornito la cura definitiva per il cancro di mio figlio? E’ vero, le tecniche di PMA sono una realtà consolidata, ormai, mentre le cure per il cancro sono ancora lontane dall’essere completamente risolutive. Ma se in passato la scienza medica avesse trovato una cura per la leucemia – cosa che in futuro è probabile accada – che però avesse previsto la soppressione di un altro essere umano, avrei io potuto pretenderla per mio figlio?
Analogamente, Alessio e Rufina, chiedere o pretendere che le vostre coppie omosessuali siano equiparate in tutto e per tutto a quelle eterosessuali non è come chiedere o pretendere che io venga considerato come un padre qualsiasi, come se Filippo non fosse mai esistito?
In tutti questi casi, il nostro muro è sempre stato là. Abbiamo cercato di aggirarlo, di scavalcarlo, talvolta abbiamo fatto finta che non esiste proprio. Ma il nostro muro, è sempre rimasto là. Indistruttibile.
A cosa serve allora, continuare a sbatterci contro? Perché invece non ci domandiamo: non sarà forse che da quel muro si può imparare qualcosa? Non sarà forse che quel muro non è lì per farci soffrire ma per dirci qualcosa? Non sarà forse che quel muro non vuole sbarrarci la strada ma vuole indicarcene una diversa? Perché non ci lasciamo plasmare dal confronto con quel muro? Chissà, forse è proprio da tale confronto che potrà nascere quella pace che tanto desideriamo.
(*) Il nome è di fantasia
Quanto e’ prezioso questo Muro, quanto vale questo Muro: e’ l’ultimo Muro che trattiene l’Umanita’ dal baratro del caos delle menti: ora sempre piu’ fuori strada e piene di follie senza fine. Se lo si vuole abbattere dall’altra parte si vedra’ e vivremmo nel vuoto delle Tenebre del Male, del Falso, dell’ Odio e delle Guerre e della nostra stessa disturzione morale, etica ed economica. Sara’ troppo tardi per tutti poter ritrovare la Luce della Verita’ per sostenere l’Ordine sociale del Mondo. Nel Tempo, pero’,al comando di Ordini Universali la Verita’ risorgera’ con il suo Eterno Splendore di Pace e Prosperita’ senza fine. Paul
Grazie, parole indimentimenticabili
L’ha ribloggato su Luca Zacchi, energia in relazionee ha commentato:
Una lettera aperta da far leggere a quante più persone possibili.
Parole bellissime, piene di così tanta Verità che liberano uno spiraglio di luce nel buio dell’animo.
Hai varcato la linea del personale e hai consentito l’incontro, volto a volto, cuore a cuore. GRAZIE!
Veramente niente altro da aggiungere. Grazie.
Grazie Stefano! Ognuno di noi ha un muro contro cui battere, ed è inutile fare a gara per decidere quale muro è peggio e quale meglio. Ognuno ha il suo! E ognuno deve imparare ad accettare il suo….
Anche se non sempre è facile crederlo, accettare quel muro può essere la nostra salvezza….
CONOSCO PERSONE CHE NON POSSONO AVERE FIGLI E CHE INVECE DI ACCANIRSI E TENTARE CON TECNICHE PIUTTOSTO INVASIVE, HANNO ACCETTATO QUESTO COME IL DISEGNO DI QUALCUNO CHE STA UN PO’ PIU’ IN ALTO DI NOI E CHE HA IL POTERE DI DARE O DI TOGLIERE LA VITA. QUESTI AMICI, SEPPUR CON SOFFERENZA HANNO DATO UN SENSO A QUESTI FATTI E HANNO FATTO PACE CON LA LORO STORIA.
NON E’ SEMPLICE, MA OGNUNO DI NOI HA UNA STORIA CHE PUO’ COMBATTERE CON RABBIA O ACCETTARLA SCOPRENDO LA PACE . E LO DICO IO CHE HO PERSO MIO PADRE ALL’ETA’ DI 6 ANNI E CHE PER MOLTI ANNI NON HO ACCETTATO LA SUA MORTE, POI GRAZIE A DIO MI SONO RICONCILIATA CON LA STORIA E HO VISTO CHE DA QUELLO CHE IO CREDEVO UN MALE E’ STATO TRATTO UN BENE MAGGIORE.
Accettare quanto Dio ha previsto per noi ,per la nostra vita non è facile ma ho sempre pregato così : se Tu Signore hai deciso che non devo essere madre mandami il tuo Spirito per fortificarmi,accettare il tuo disegno su di me.
Lui mi ha ascoltato e sono serena .
Anch’io ho provato ad aggirare il Muro, ce l’ho fatta, ma ho scoperto che anche la felicità deve rispondere agli interrogativi della ragione. Essendo residente in Gran Bretagna, e avendo mio marito difficoltà di procreazione, siamo ricorsi alla provetta (almeno i materiali erano tutti nostri, e il fatto che la piccola assomigli a tutti e due e abbia anche qualcosa dei nonni è una consolazione). Abbiamo avuto successo, ma a un certo punto sembrava proprio che tutto fosse proprio finito. Nella disperazione, mi sono rimessa al Signore, e a un certo punto ho cominciato a sentire una strana felicità, una vicinanza, qualcosa di avvolgente, tant’è vero che non Gli chiedevo più di lasciarmi il bambino, se così doveva essere, ma di starmi vicino, di continuare a sentirmi “avvolta” in quel modo. Qualche giorno dopo siamo andati a fare l’ecografia per vedere se c’erano residui da eliminare, e abbiamo visto un puntino che pulsava, un cuoricino. Quando è nata, come secondo nome l’ho chiamata Teodora, “dono di Dio”.
Non dimentico mai che lei è il frutto dell’accettazione della perdita. Però adesso che sta crescendo e sta crescendo bene, non posso fare a meno di chiedermi se avessi il diritto di metterla al mondo in quel modo, visto che sia io che mio marito non abbiamo parenti, e che un giorno si troverà sola. Soprattutto non posso fare a meno di pormi domande riguardo alla tragedia degli embrioni orrendamente definiti “sovrannumerari”. Visto che i problemi riproduttivi non li avevo io ma mio marito,il trattamento, mirato soprattutto a donne che avevano problemi e somministrato a tutte (stesso standard per problemi diversi), ha portato alla creazione di 14 embrioni top grade. I medici erano estasiati, io meno: cosa ne avremmo fatto? Mi sono sottoposta di nuovo agli impianti diverse volte per non eliminare nemmeno un embrione, purtroppo senza mai avere almeno un esito positivo.
Adoro mia figlia, ma non so se, tornando indietro col senno di poi, ripeterei l’esperienza. Se non avessi avuto l’esperienza della perdita annunciata e del ritorno del puntino che pulsava nel buio dello schermo dell’ecografista, avrei l’impressione di essermi fabbricata una figlia, senza quella dimensione della piena autonomia della vita, quasi del dono, che rende l’arrivo di un bambino una specie di miracolo.
la storia di ogni uno di noi è spesso dolore…prima o poi…e non è una magia, ma consapevolezza che sei impotente d’avanti a certe situazione, anche della morte di un figlio o figlia…ho sbattuto anch’io contro questo muro, con grido di dolore….ma i miei gridi non sono servito a nulla,…..se no ad accettare questa storia cosi com’è…..il tempo lavora per ogni uno di noi , ci fa crescere, sperare contro ogni speranza…..questo ho capito..!!!!…nulla è per caso, un giorno comprenderò tutta la mia , la vostra,………… storia di Salvezza ……ciao a tutti voi……
Se sabato, al FD, Gandolfini avesse rinunciato ai suoi “armiamoci e partite”, alle sue sfide e ai suoi avvertimenti; se avesse letto questa bellissima lettera aperta e noi presenti (non importa che fossimo molti meno dei due milioni annunciati) avessimo applaudito convintamente, il volto del FD sarebbe stato completamente diverso. Il volto di di soffre con, non di chi condanna.
si vive nel peccato perché quasi sempre si ha la coscienza velata, non si percepisce la bruttezza del peccato e si diventa come ciechi.
L’unico rimedio per uscirne è la fede praticata e la preghiera incessante
“…Alessio e Rufina, chiedere o pretendere che le vostre coppie omosessuali siano equiparate in tutto e per tutto a quelle eterosessuali non è come chiedere o pretendere che io venga considerato come un padre qualsiasi, come se Filippo non fosse mai esistito?”.
No. A me pare proprio di no. Sono due cose che non c’entrano nulla.
@giulioMozzi
La negazione di una realtà (quel che si è) è il medesimo principio alla base delle due diverse pretese
Non mi pare che chiedere di avere gli stessi diritti presupponga la negazione della propria diversità altrimenti la stessa critica si potrebbe rivolgere a qualunque minoranza, con risultati disastrosi.
@zoe
La frase sopra riportata non è traducibile in quel che esprimi tu
È nemmeno il mio commento è applicabile
Gentile Signora Anna, con suprema delicatezza del suo caso privato e a cui non voglio sollevare nessun velo ben sapendo che non ne ho alcun diritto di farlo, vi e’ una legge Divina fatta “cosi’ ” da chi ci ha creato secondo i suoi eterni Voleri. Non e’ dato a noi alterarla, ma rispettarla e aiutarla in modo/ maniera leciti e senza eccezioni o razionalita’ alcune. Per una semplice “mela”, mangiata fuori posto, abbiamo perso lo stato di grazia: chi ci crede e chi no ai 10 comandamenti e chi si accontenta di 9 o 7, ma ne dobbiamo osservare 10. Auguri di gioia e felicita’ a lei e famiglia. Paul
Ho sempre pensato che la mia bambina sia nata dall’accettazione della perdita annunciata e dalla misericordia di Dio (allora la parola misericordia non era ancora inflazionata come lo è ora). Col senno di poi, come ho scritto, non credo che rifarei quell’esperienza, perchè mi rendo conto di quanta parte di egoismo ci fosse nel mio agire. All’epoca ne parlavo con un amico sacerdote e un’amica suora di clausura, che mi hanno sempre incoraggiato – le suore anzi hanno pregato per me, come altri amici in altri Paesi. La questione degli embrioni “sovrannumerari” soprattutto continua ad angosciarmi. Nel mio piccolo, ho dato a tutti i miei una possibilità di vita, purtroppo senza successo perchè a me, figlia unica, le famiglie numerose piacciono; ma ho sentito cose da non credere in clinica (clinica di lusso). C’era un counsellor – un sacerdote anglicano – che parlava di queste cose con una leggerezza da far paura, elogiando coloro che donavano gli embrioni sovrannumerari. In pratica: desiderati a dispetto di tutto, Natura compresa, e poi accantonati perchè non servivano più…
Grazie Paul.
“Sono i bambini che hanno dei diritti, poiché sono delle persone, non delle cose. Ci sono dei diritti del bambino. Ma non vi è il diritto al bambino. Alcuni studi? E quelli che mostrano il contrario? Capacità genitoriali? Le persone omosessuali devono avere gli stessi diritti e doveri di tutte le altre persone. Non dubito della loro capacità di dedizione. Ma la questione non riguarda gli individui, ma le coppie. Sono queste ultime che possono generare dei bambini. Possono le coppie omosessuali? Evidentemente no. Piuttosto c’è bisogno di una terza persona, padre donatore del seme o madre surrogata, uno strumento, usa e getta. Una volta nato il bambino crescerà senza madre o padre. Il mio è stato ucciso quando avevo un anno. Sono stato molto amato da mia madre, e ho stimato e ammirato mio nonno e mio zio. Tuttavia non avere avuto un padre è una ferita che resta aperta… Nel mio caso, non è stata certamente una cosa voluta. Non riconosco il diritto di imporre tale ferita volontariamente a un bambino”.
(Rémi Brague)
http://m.repubblica.it/mobile/r/sezioni/cultura/2016/01/30/news/famiglia_religione_unioni_civili_brague-132384582/
Non ho capito davvero questo pezzo… Che c’entra la tragedia di un figlio malato di cancro con il DDL Cirinnà? Boh.
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