La storia di Paolo, l’Amore messo in pratica

 

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di Emanuele Fant

Per essere uno che è stato tre mesi immobile a letto, bisogna dire che Paolo è piuttosto vitale. Mi chiedevo perché tardasse tanto a incontrarmi, temevo fosse il rifiuto di rivangare una brutta storia. Invece la sua faticosa avventura è per lui una entusiasmante fonte di bene. Era solo questione di agenda. Paolo ha 34 anni e un mestiere di responsabilità: è un ingegnere gestionale della regione Lombardia. È un amico di un mio amico, per questo ho conosciuto la sua storia che non è raccontata in nessun libro, ma è straordinaria. È un giovane uomo che sembra un manager qualunque visto mentre arriva all’appuntamento, tra i grattacieli, in motorino. Di recente si è trovato di fronte a una montagna di quelle che nessuno si augura di dover mai scalare. Non si è abbruttito, è diventato migliore, e io credo sia interessante capire perché. Un perchè che ha a che fare con l’Amore messo in pratica.

Nel tempo di una pausa pranzo dobbiamo entrare in relazione tanto intimamente da parlare di quello che gli è accaduto un anno e mezzo fa, quando, di punto in bianco, ha perso le forze mentre sistemava i giochi delle sue bambine ed ha scoperto di essere affetto da una grave malattia che lascia il corpo come morto, e la mente lucida: la sindrome neurologica di Guilliam Barrè. Ora ne è uscito completamente, dopo molto ospedale e moltissima riabilitazione. E, come mi spiega sghignazzando, ci ha “messo un attimo a ritornare lo stronzo di prima”.

È proprio grazie al suo modo diretto di comunicare e alla sua invidiabile capacità di rielaborazione, che Paolo può espormi tutto immediatamente, senza pudori. Durante la sua pausa pranzo, mentre addento una omelette col prosciutto, sarò testimone di una storia di vita eccezionale. Anzi, di una storia di risurrezione.

 

Sai Paolo, anche io, come te, ho due bambini. E la prima cosa che penso, di fronte alla tua storia, è che avrei avuto paura a farmi vedere da loro così impotente. Quale è stata la reazione delle tue figlie, quando ti sono venute a trovare in ospedale per la prima volta?

Temevo di incontrarle. Ero davvero messo male. Avevo una mezza paresi facciale, le dita delle mani storte. Eppure, sembra incredibile, ma le bambine mi hanno riconosciuto subito, non hanno avuto dubbi: io per loro ero il papà, nonostante l’aspetto diverso per la malattia. Credo che sia questo che vuole Dio quando ci chiede di essere come bambini: avere in Lui una sicurezza tale da accettarlo come padre pure nei momenti in cui non è come ce lo immaginiamo.

 

Vi hanno insegnato altro, le bambine?

Teresa, mia moglie, mi ha detto che ha imparato da loro a pregare. La sera, quando tornavano dall’ospedale, si inginocchiavano insieme davanti all’icona di Maria, chiedendo un miracolo per me. Le bambine lo facevano senza dubbi, come quando i figli insistono per avere un gioco nuovo, convinti che prima o poi i genitori dovranno cedere. Avevano quella certezza che noi adulti, col tempo, perdiamo.

 

Il grado più alto di amore è il servizio, e questo in teoria lo sappiamo molto bene. Ma poi, nella pratica, mi chiedo come possa resistere un matrimonio ad una prova tanto grande. Cosa resta, se uno dei due perde una parte così importante per la relazione come l’uso del proprio corpo?

La Tere in quel periodo ha fatto cose davvero spiacevoli, come lavarmi i denti, cambiarmi il pannolone. È un modo di stare vicino che non ti immagini nemmeno quando in chiesa ti dicono “nella salute e nella malattia”. Ricordo perfettamente che un giorno l’ho guardata e le ho chiesto: “Noi dove lo portiamo questo matrimonio?”. Sembrerà strano, ma io in quel momento sentivo una esplosione di gioia, perché comprendevo delle cose incredibili, ad esempio la possibilità di vivere un rapporto di coppia in totale verginità, sperimentando il possesso dentro a un distacco. Dall’ospedale non sono uscito migliore di prima, è vero. Ma adesso la nostra unione si porta dietro come un regalo, una consapevolezza nuova. Quando siamo in difficoltà basta uno sguardo per capirci, perché noi, tutti e due, ora sappiamo a cosa dobbiamo puntare.

 

Hai vissuto a lungo come vicino di letto di malati terminali. Che notizie ci porti da quei reparti? L’unica gioia è stata uscire, o hai visto qualcosa che supera la disperazione?

Quando mi hanno tolto la fastidiosissima cannula della tracheotomia, i malati con le mani ancora funzionanti si sono messi ad applaudire. Quello che ho scoperto lì dentro è che Dio è veramente l’Amore, quindi è capace di passare anche dove le persone non si accorgono. Ne ho avuto conferma da un malato di Sla in grado di muovere ormai solo gli occhi, che si illuminava quando entrava la moglie in stanza. In quello sguardo c’era certamente Gesù, anche se probabilmente lui non lo sapeva. E poi da Roberta, che mi parlava con un comunicatore: con lei abbiamo passato serate intere a dire sciocchezze rese ancora più divertenti dalla sua voce robotica. E poi dai parenti dei malati, non necessariamente persone di fede, con il loro servizio continuo, una provocazione gigantesca.

 

Tu hai ricevuto il dono di una “chiave di lettura” del dolore che non tutti i tuoi compagni di Calvario possedevano. Hai sentito il bisogno di parlare agli altri pazienti di quello in cui credi?

Ho preferito pregare molto, e per ognuno di loro ho offerto la mia fatica. Ho avuto la sensazione concreta che quello che stavo affrontando non fosse solo una fregatura. Soffrire è come avere per le mani un oggetto che non sai precisamente a cosa serve. Senti immediatamente di doverlo passare a qualcuno che lo conosce bene, e quel qualcuno è Gesù. Io gli dicevo: “Prendilo perché io non lo capisco, ma so che tu lo puoi trasformare in oro”. La malattia non è certo una condizione da desiderare, però vissuta con la fede è uno stato di grazia. Un modo per imparare senza muovere un dito, soltanto accettando l’amore.

fonte: Credere

43 pensieri su “La storia di Paolo, l’Amore messo in pratica

  1. Sono vite che sono provate dalla Croce. Penso ognuno ha la sua, ed io ho la mia e non so se piu’ pesante o leggera del caso citato…e non ho nulla da aggiungere o che aiuto da dare. Con assoluta certezza posso dire che se non avevo sufficiente Fede nel mio credere non so come avrei avuto le risorse spirituali e psicoreali capaci per superare cio che e’ ancor oggi, nel mistero di Dio e il suo Volere, decide di “somministrarmi da Padre amoroso per la salvezza dell’anima mia. Per me, in ultima analisi, ripeto a me stesso: Signore in remissione dei miei peccati e li sconti tutti da questa parte del libro della mia vita eterna. Cordiali saluti, Paul.

  2. lele

    IL vero banco di prova delle religioni e’ la felicita’ (chiamabile in molti modi: assenza di paura, vita eterna, salute perpetua…)
    Dateci, la felicita’ e vediamo quante religioni sopravvivono.

    1. Thelonious

      “Dateci, la felicita’ e vediamo quante religioni sopravvivono” beh non è un esperimento semplice quello che proponi…

      1. Francesca

        Lele ripropone uno dei soliti cliché: la religiosità o la conversione come risposta al dolore-paura-infelicità. In realtà dimentica i ‘convertiti’ o ‘riconvertiti’ che si trovavano in un periodo di vita di grande felicità e benessere. Ce n’è, ce n’è 😉

        Ragionando invece più globalmente, sul piano di Thelonious, chiederei anch’io a Lele di fornirci un’esempio di vita umana sulla terra esente da “problemi”.
        Prendiamo, ad esempio, quelli, danarosi e felici, che si fanno surgelare da vivi (ibernazione) con la certezza di venir risvegliati un domani in un mondo che avrà sconfitto la morte fisica….però mi domando: è sufficiente sconfiggere morte e malattia per rendere felice l’uomo?
        È sufficiente riempigli la pancia? È sufficiente il sesso a go-go?
        A quanto pare no. L’essere umano chiede di più, chiede Amore….ma l’amore non è un diritto, non è “qualcosa” che si può imporre a qualcuno di fornirti. E neppure puoi obbligare qualcuno ad accettare il tuo amore, qualora lo volessi offrire.
        (non mi riferisco solo alle coppie e all’amore ‘romantico’ ma proprio in generale a tutti i rapporti umani)
        Alla fine questa è una condizione immutabile con la quale l’uomo avrà sempre a che fare. Come pure avrà sempre a che fare col problema della creatività, del bisogno di esprimerla, al di là del lato meccanico-routinario della vita.
        Se l’uomo fosse un semplice animale l’esperimento di Lele potrebbe magari essere un’ipotesi da considerare….. e invece è la solita illusione.
        Ma almeno si riconoscesse che si sta proponendo un’illusione a fronte della nostra illusione religiosa 😉 Macché: Lele è l’illuminato e noi i creduloni 😀

        Comunque, a onor del vero, bisogna ammettere che nella società attuale l’illusione di Lele è la religione più richiesta e più seguita.

        1. Francesca:

          “E neppure puoi obbligare qualcuno ad accettare il tuo amore, qualora lo volessi offrire”

          Questo discorso bisognerebbe farglielo anche a Gesù!

          1. Francesca

            Alvise. È proprio Gesù che ce lo insegna 🙂
            Se era il “dio che ti aspettavi” si sarebbe imposto con tuoni e fulmini. E difatti tanti non ci credono per quello: perché non è “evidente”, perché non s’impone con la prova che t’inchioda. Al contrario, si fa inchiodare. Non direi che ha imposto a qualcuno di accettare il suo amore….
            Perché a te sembra diversamente?

            Se poi…uno, accettandolo, si sente meglio…ti domanderei perché dovrebbe continuare a rifiutarlo ? per stare male…? per il gusto di dire no? (Beh, sì , può essere… è il libero arbitrio infatti).

            1. .Francesca:

              ..intanto, prima cosa, non ho mai inchiodato nessuno né ho mai gioito di nessuna inchiodatura di qualcun altro
              secondo di poi, non glielo avesse mica ordinato il dottore a Gesù (Dio) di farsi inchiodare onde noi si fosse salvati a tutti i costi (è proprio il caso di dirlo)!
              Prima cosa nessuno glielo aveva chiesto di a Lui di crearci e poi scacciarci per avere trasgredito a un suo ordine (come nella favola di Barbablù) e poi se voleva ci potesse salvare in maniera meno drammatica (tuoni e fulmin e chiodi)!

              Ma voi qualsiasi cosa vi accada, per esempio un ricovero ospedaliero, siete subito pronti, dopo, a “testimoniare” di avere sentito la presenza di Gesù tra i malati, (per esempio) o quello era ciò che sentivate voi?
              Come si fa a distinguere tra la reale presenza (o indiscutibile manifestazione) e quello che sentivate voi, dentro di voi?

              P.s. mi viene in mente, a proposito di quello che scrivevi, un vecchio articolo della Dottrina Cattolica che si imparava dalle monache, che mi sembra dicesse. Perché Iddio ci ha creati? Ci ha creati per amarlo per adorarlo e per servirlo
              in questa vita… e poi non mi ricordo più cosa diceva…

              1. Francesca

                Alvise. Faccio anch’io i “capitoli” come te.
                Prima cosa. Hai descritto una storia tra Dio e Uomo che non esiste, se non in una cattiva interpretazione (ahimè diffusa) della dottrina/teologia/catechesi cristiana. Non mi stupisco che non ci credi… Perché effettivamente da adulti bisognerebbe studiare un pò meglio la vicenda biblica, eccetera. O, in alternativa, diventare atei. Quindi, niente da eccepire da parte mia – in quanto “eccepire” significherebbe tentare una catechesi riparativa online 😀
                Lascio eventualmente la mano a Bruna che trovo molto brava a condensare spiegazioni illuminanti in non troppe parole.

                Seconda cosa. Io (come gli altri e come nel post principale su Paolo) non ti testimonio la presenza di Gesù tra i malati come ‘vago sentimento’ o ‘sensazione dentro’. Io ti testimonio la presenza di Gesù in un altro Paolo ammalato e sottoposto a frequenti ricoveri e cure devastanti, mio fratello, morto pochi mesi fa di linfoma non-hodgkin, terribile tumore del sangue/midollo. Non posso e non voglio narrarti qui la sua storia o quella della mia famiglia, ma di sicuro Gesù si è fatto sentire, anche in lui e tramite lui, un cristiano non particolarmente ‘praticante’ ma sono sicura: credente. Non ti posso nemmeno narrare varie “coincidenze” accadute….e tanto che cosa ti potrebbe convincere Alvise? Nulla. Nemmeno un miracolo davanti ai tuoi occhi, ne sono certa. Comunque no, tranquillo, non sto parlando di “indiscutibile manifestazione”. Solo fatti da interpretare. Di certo non vaghe sensazioni. Si tratta di esperienze e di fatti. A volte più di esperienze, altre volte di fatti…. dove il “sentire dentro” che dici tu è qualcosa di relativo, molto secondario, più attinente ad eventuale superstizione.

                Terzo. Se stai ancora alla formuletta delle monache imparata a memoria, ti posso solo confermare che è giusto che tu non ci creda. Nemmeno io credo alle filastrocche imparate a pappagallo, anzi nemmeno so che cosa significano…. giro giro tondo casca il mondo casca la terra tutti giù per terraaaaaa. Bieaaaaa bie ba be biei ba be bi bieu ba be bi bu bie ubu ba be bi bobu 😀 No, nemmeno io ci credo alle filastrocche 😉

                1. fra' Centanni

                  @Francesca

                  Perchè non provi a chiedere ad una monaca di pregare per te? Io un giorno l’ho fatto (più di venti anni fa) e la mia vita è cambiata.

                  Prova anche tu Alvise…

                  1. Francesca

                    Per fortuna (o per grazia) diverse persone, e anche le monache, pregano per me e per la mia famiglia. Molto sostegno anche durante la malattia di mio fratello. Grazie.

                    P.s. visto il fraintendimento del Giancarlo, colgo l’occasione per dire ad Alvise e agli altri utenti che non stavo contestando “le monache” (avendo io anche amiche monache, figuriamoci se le contesto) ma il voler fermarsi di alcuni adulti alle formulette mnemoniche dei bambini, per poi contestarle senza averle mai capite o reinterpretate con fede adulta.

                2. Francesca:

                  …mi dispiace (o dovrei dire sono contento?) per tuo fratello.

                  Per quel che riguarda il Catechismo di san PIO X questo è quello che “insegna” (o insegnava) la Chiesa Cattolica, non è colpa mia:
                  13. Per qual fine Dio ci ha creato?
                  Dio ci ha creato per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell’altra in paradiso.

                  1. Francesca

                    Cavolo quanti anni hai Alvise?
                    Perché non leggi il “nuovo” CCC che spiega tutto più estesamente?
                    Ma anche in quel caso….si tratta sempre di sintesi…di parole..
                    E quand’anche tu leggessi mille libri sull’argomento le parole umane possono spiegare solo fino ad un certo punto. ….
                    ….. Alla fine ..forse…. ti conviene andare in chiesa, sederti là come un turista… e osservare 🙂
                    Può essere che cominci a capire. Non so, è un’idea.

    2. La domanda da fare non è “dateci la felicità (che non abbiamo)”. E’ “apriteci gli occhi per riconoscere la felicità che abbiamo”). Lei non mi crederà e risponderà con qualche altra frase a effetto in bello stile prometeico. Però le assicuro che parlo per esperienza; altrui e mia.

    3. Bruna

      Si potrebbe dire anche il contrario. Finché va tutto bene, la famiglia è a posto, il lavoro funziona, i bambini stanno bene e anche la salute c’è, può essere facile credere in Dio e parlare bene di lui. Ma quando succede qualcosa di serio, vediamo se c’è ancora la stessa fiducia!
      Quando esiste un rapporto col Signore, dove lui non è una pura proiezione delle aspettative dell’uomo, ma è parte attiva, nel senso che dice la sua, risponde, esaudisce, ma anche spiazza, riprende, corregge, si impone, aspetta, riaccoglie…allora questo rapporto sta dentro a tutto, dolore e felicità.

      1. Francesca

        Grazie Bruna. Leggo sempre con interesse i tuoi post. Inquadri bene e in modo completissimo le questioni. Fai delle foto limpide alla realtà. Grazie 🙂

  3. Mario

    “Se tu soffri e il tuo soffrire è tale
    che t’impedisce ogni attività,
    ricordati della Messa.
    Nella Messa Gesù,
    oggi come allora,
    non lavora, non predica:
    Gesù si sacrifica per amore.
    Nella vita si possono fare tante cose,
    dire tante parole,
    ma la voce del dolore,
    magari sorda e sconosciuta agli altri,
    del dolore offerto per amore,
    è la parola più forte,
    quella che ferisce il Cielo.

    Se tu soffri,
    immergi il tuo dolore nel Suo.
    Dì la tua Messa
    e se il mondo non comprende
    non ti turbare.
    Basta ti capiscano Gesù, Maria, i santi.
    Vivi con Loro
    e lascia scorrere il tuo sangue
    a beneficio dell’umanità:
    come Lui!
    La Messa!
    Troppo grande per essere capita!
    La Sua, la nostra Messa”.
    (Chiara Lubich)

  4. “La malattia non è certo una condizione da desiderare, però vissuta con la fede è uno stato di grazia. Un modo per imparare senza muovere un dito, soltanto accettando l’amore”

    Con la fede è meglio! Questo (suppongo) pensano i cattolici della loro fede che poi è l’unica fede (credono) vera.
    Chi non crede alla fine dei conti è perchè non vuole credere, tante sono le prove e le testimonianze che chi non crede
    alla fine dei conti volontariamente rifiuta. Allora, a chi non crede, non solo gli è precluso il dono dei sacramenti, il consiglio dello Spirito Santo, il conforto della preghiera, la forza della speranza, dell’amore eccetra, ma anche uno sguardo sul mondo non deformato da altri credo fantastici o materiali o dai giornal o dai maiali-ermafroditi-pedofili e via discorrendo la scuola gender in primis!

  5. “Ne ho avuto conferma da un malato di Sla in grado di muovere ormai solo gli occhi, che si illuminava quando entrava la moglie in stanza. In quello sguardo c’era certamente Gesù, anche se probabilmente lui non lo sapeva.”

    Ma per favore!

    1. Giusi

      Ma scusa Alvise se un malato di SLA in grado di muovere solo gli occhi dovesse pensare che la nostra vita termina con la morte da dove dovrebbe venirgli quella luce? E’ evidente che essa è il riflesso di qualcosa che trascende la nostra misera condizione umana altrimenti in quegli occhi non potrebbe esserci che disperazione. Quanti di noi pensano: preferirei morire piuttosto che ritrovarmi paralitico su una sedia a rotelle? Credo tutti. da sani. E come mai poi invece in condizioni estreme vedi persone attaccate alla vita? Nel ’90 quando è mancato mio padre per un brutto male ho passato diverso tempo in ospedale e ho visto di tutto tranne qualcuno che dicesse: voglio morire.

      1. …anche al mio cane, quando giace malato e mi vede tornare a casa, brillano gli occhi di gioia,
        e è contento! In quanto agli ospedali, che ho avuto modo di praticare, purtroppo, tantissimo,
        ho visto soprattutto la gran nobiltà malati che vivevano coraggiosamente ognuno il suo male.
        Tutti, è vero, siamo, istintivamente, attaccati alla vita.
        Chi, davvero, volesse morire qualche modo lo troverebbe, se non fosse condannato alla vita da qualche fanatico!

          1. … al mio cane brillano gli occhi di gioia (questa è la mia testimonianza)

            La vita non è una condanna per chi non è costretto alla vita da dei fanatici.

            Non sono solo i cani che non pensano (ammesso che i cani non pensino),

            1. Giusi

              Per forza: sa che gli dai da mangiare, lo porti fuori, lo accarezzi: è istinto e riflesso condizionato. In effetti ora che mi ci fai pensare forse hai ragione: mi sa che non tutti pensano, non si spiegherebbe altrimenti che qualcuno consideri la vita una costrizione e un atto di fanatismo……

              1. …immaginati di trovarti immobilizzata a letto con ancora la coscienza che patisci, che non ti puoi muovere, che devi stare lì, giorno e notte, che invochi Dio che voglia accoglierti nel suo abbraccio amoroso (ovviamente dopo avere gli afferto il tuo dolore assicuratogli che comunque te accetti la sua volontà, anche perché non c’è verso di non accettarla, essendo te immobilizzata, con i cateteri dappertutto) ma lui ancora nel suo abbraccio non ti ci accoglie, devi ancora stare a letto, chissà per quanto, devi ancora “meritare” l’eterno riposo, ora sei con i cateteri, con le cannule, con le bende, viene la notte, nella stanza nessuno, poi il giorno, ancora nessuno, ma te sei viva, condannata a essere viva, ancora, ancora, non cambia mai nulla, ancora la notte, poi giorno,,,

                1. Francesca

                  “nella stanza nessuno”
                  “ancora nessuno”

                  È vero.
                  A parte casi eccezionali, Dio può raggiungerti solo tramite qualcuno.
                  Ma non pensare che Lui non ci sia solo perché ‘qualcuno’ ha mancato il suo essere uomo o donna in aiuto di un sofferente…

                  1. Grazie a Dio, Lui sa come farsi presente al cuore dell’Uomo anche nella solitudine…
                    Non a caso la preghiera più intensa e profonda, il colloquio più intimo, si fa chiusi nella stanza più segreta e inacessibile agli altri… il nostro cuore.

                    Ma comprendo il dire di Alvise… è “umanamente” comprensibile, anche se ironizza su un rapporto con Dio in simile situazione, che non gli riesce di comprendere e anche chi lo comprende per fede, può solo sperare e confidare gli venga concesso di vivere nella sofferenza.

                    1. Francesca

                      Bariom, sì capisco, e questo del colloquio intimo e profondo lo capiamo noi che abbiamo la Fede….Anch’io me la sono trovata così, aggratiss.
                      Però capisco anche quelli che ragionano come Alvise, quelli disperati perché contemporaneamente si trovano senza fede autentica e in più abbandonati da tutti. Personalmente avevo inteso il post di Alvise assolutamente come non ironico e anzi avevo capito che lui stesso avesse vissuto una simile situazione (oppure che fosse una situazione da lui temuta, per la lontananza affettiva di suoi amici o parenti).
                      Non so….se invece era ironico…

                    2. E di fatto anch’io ho scritto di comprendere il dire di Alvise…
                      A tratti ironico, ma perché Alvise è sempre ironico e io non do a questo termine un’accezione del tutto negativa.

                      Ci sono tanti tipi di ironia, ironia tragica, triste, beffarda, arguta, divertente, destabilizzante, interrogativa… 😉

                2. Giusi

                  Alvise ho capito che non serve immaginare queste cose. Le ho viste le persone come dici tu, anche mio padre alla fine è morto così ma non ha mai chiesto di morire. La vita non è nostra e il dolore non è senza senso, Se credessi questo mi sparerei adesso. Perchè prolungare questa agonia? Perchè attendere di sopportare il lancinante dolore della perdita delle persone care? Perchè vivere in un mondo dove stuprano i bambini? Non ce la farei. Come ce la fai tu? E’ solo la certezza che il dolore dei bambini possa salvare me mentre loro sono al sicuro tra le braccia del Padre che mi fa vivere. E’ solo il pensiero che c’è chi ha in mano la vera giustizia e la vera misericordia che dà un senso alla vita. Se non siamo figli di Dio non siamo nulla e soprattutto non abbiamo speranza. Perchè allora il bene? Quel po’ tanto di bene che pure c’è? Non ha senso. Avrebbe più senso cercare il più possibile il proprio tornaconto a detrimento degli altri per placare i nostri istinti da bestie che non vanno a parare da nessuna parte. Il Bene viene da Dio anche se non lo sai, anche se non lo accetti e tu sei figlio di Dio non meno di me o di chiunque altro. Forse non te ne rendi conto ma è questa la tua unica fortuna.

                  1. Francesca

                    P.s. sempre per Bariom.
                    Anche nel senso della “storia dell’uomo/umanità” Dio si fa presente al cuore dell’uomo, ma, di nuovo, stiamo parlando su un altro ulteriore piano.
                    Ed effettivamente c’è anche quel piano di cui parla (o che io credevo parlasse) Alvise – piano di cui tutti noi cristiani siamo responsabili: noi possiamo essere strumenti di Dio…. Oppure no.

  6. Signor Filosofiazzero, leggendola vedo un ombra che appanna un po’ il suo vivere quotidinano pensando che: in questa valle di lacrime non ci sia gioia di vivere nostante la verita’ della soffernza che c’e’. Eppure da Sorgente Vera ci fu detto: la mia croce e’ leggera e il mio giogo soave…penso che lo dimostrano secolarmente tanti santi/e…ecc….il resto lo confermi lei. Gioiosi cordiali saluti che la vita e’ bella anche quando si piange, Paul

  7. Bella questa testimonianza che leggo solo ora…

    Per quel che riguarda me e la mia piccola esperienza della malattia di colei che fu mi sposa e che come alcuni di voi sanno, non è terminata con la guarigione, ma con la sua salita al Cielo, potrei confermare tutto… parola per parola.

    Ricordo rispetto la difficoltà di vedere il proprio corpo malato e anche di mostrarlo all’altro, quando le ciocche intere di capelli le rimanevano tra le mani durante la prima chiemioterapia e non voleva la guardassi…
    E io che le dicevo: “Dammi retta, affrontiamo la cosa alla radice (ci stava anche nel senso letterale…). Lascia che te li tagli tutti a zero. Vedrai starai meglio…”
    Dovetti insistere, ma alla fine mi lasciò fare e veramente fu meglio.. e si scherzava su suo sembrare Yul Brinner (per chi si ricorda chi è) 🙂

    In questo piccolo ricordo non sto dicendo che non l’avrebbe fatto chiunque amasse un’altra persona nelle stesse condizioni… è solo un ricordo suscitato dalla lettura, per il resto, amore umano o meno, so che tutta quella storia, come ciò che vivo oggi, è innestata e vivificata nell’Amore di Dio che ci sostiene e supera quando il nostro amore umano “mostra la corda” e viene meno.

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