di Andreas Hofer
Si narra che a Leonia, una della Città invisibili di Italo Calvino, abbia preso piede una curiosa devozione popolare: il culto dello spazzaturaio angelicato.
Pare effettivamente che gli spazzaturai si aggirino per le strade di Leonia avvolti da un’aura di sacralità, tanto da venire «accolti come angeli». Si capisce in fretta come i leoniani vedano negli spazzini ben altro che semplici “operatori ecologici” e li considerino, piuttosto, alla stregua di liberatori. Perciò la loro attività, un compito «circondato da un rispettoso silenzio», sembra avere qualcosa di religioso.
Questa bizzarra devozione nasce con ogni evidenza dalla principale passione dei residenti, che consiste nel «godere delle cose nuove e diverse». È così che ogni mattina, spinti dall’ansia di novità, gli abitanti della città attendono con trepidazione il carro dello spazzaturaio per disfarsi dei resti della Leonia di ieri.
C’è chi, come Zygmunt Bauman, ha concentrato la propria attenzione sulla cura con cui i cittadini leoniani cercano di evitare che le relazioni umane si addensino e coagulino. Leonia, col suo mito dello spazzaturaio, sarebbe così una metafora letteraria della società liquida. [1]
Vivere in stato di liquidazione permanente non è però una passeggiata senza rischi, avverte Bauman.
Smantellare ogni corpo sociale “solido” genera instabilità, angoscia e senso di insicurezza. Horror vacui, terrore del vuoto: riproduzione a livello esistenziale della tensione metafisica tra la materia che anela a prendere forma ma che, tuttavia, alla forma oppone resistenza.
Ecco perché ad agitare inconfessatamente i cuori leoniani non sembra davvero essere la sola alleanza tra la nevrosi consumista e la liquidità relazionale. Perciò viene naturale chiedersi – Calvino del resto lo lascia intendere – se la vera passione degli abitanti di Leonia non sia invece un’altra: «l’espellere, l’allontanare da sé, il mondarsi d’una ricorrente impurità».
Stato di pulizia etica
Forse quindi non è una forzatura eccessiva intravedere in Leonia una sottile allusione a una delle ricorrenti tentazioni dello spirito: l’ossessione, mai doma, per la “pulizia etica”.
Abbiamo qui un pericolo per la stessa psiche umana. Può essere nocivo focalizzarsi con maniacale attenzione sullo stato della propria “nettezza”. L’uomo sano, ha osservato Karl Jaspers, sperimenta il proprio corpo, ma non si cura eccessivamente della propria sanità. Eccedere in autosservazione, viceversa, può portare al complesso del “malato immaginario”: il delirio dell’ipocondriaco dove il timore di essere malato si confonde col desiderio morboso. [2]
Più che mai, in tempi di genderizzazione galoppante, può risorgere nell’intimo di ciascuno di noi un sortilegio che il vangelo ha inchiodato per sempre: la seduzione farisaica di una purezza che dà la morte, anziché donare la vita.
Si potrebbe pensare che una fede militante possa schermare da una simile minaccia. Mi permetto di dubitarne. Credo anzi che dopo il crollo dei valori bioetici nel «mercoledì nero» della famiglia e della vita la tentazione di asserragliarsi in una cittadella per soli “puri” si sia fatta ancor più impetuosa.
Il principiante che si fa Principio
Non si può, in tema di “pulizia etica”, scansare pertanto l’accenno a un nucleo oscuro. Occorre soffermarsi su ciò che costituisce l’essenza del farisaismo (inteso non come corrente religiosa ma come “tipo spirituale”, come tentazione costante dell’animo umano).
Al fondo del farisaismo si trova la convinzione, implicita o esplicita, pratica o teorica, che la fede in fin dei conti sia semplicemente una periferia antropologica, una funzione della buona volontà umana. [3] Una religiosità avvinghiata alla forza del numero, ma ignara delle regole del gioco divino. Prende così stanza nell’intimo una fede ridotta a variabile dipendente, a quantità modulabile, da cui trapela sopra tutto la preoccupazione di accentuare ciò che per sua natura – come l’impegno umano – è subordinato all’agire di quell’Uno che è Dio.
È l’atteggiamento del principiante che si fa Principio. Per parafrasare Claudel, è la pietra che vuol fissare da sé il proprio posto, negandosi alla scelta del Maestro dell’Opera. Ciò spiega forse perché il “tipo spirituale” del fariseo finisca per assumere quei classici tratti di cavillosità e minuziosità. È, la sua, una fides quantificatrice che si riveste delle tipiche pose di chi si illude di poter mercanteggiare perfino con Dio, piuttosto che darGli credito.
Resistenza o resa?
Il farisaismo è la religione dell’autarchia, dell’irriducibilità, della resistenza a Dio. Essenziale della fede cristiana, scrive Thomas Merton, è invece la resa. Resa non certo al mondo, ma a Dio.
Occorre rinunciare alla propria illusoria autonomia allo scopo di ricevere da Cristo la vera libertà. L’accesso all’essenza più pura della nostra esistenza esige la messa tra parentesi dell’orgogliosa autosufficienza individuale. Denudarsi delle logore, ingombranti vesti dell’ego per rivestirsi della tunica della carità.
Perciò il peccatore trova giustificazione nella misericordia divina nella misura in cui la radice della colpa viene sradicata nella propria resa a Cristo. Fare credito e arrendersi, quando si parla del Dio cristiano, sono sinonimi.
La Chiesa è il luogo visibile della rinuncia, lo spazio dove questa resa a Cristo si fa reale. Perciò, per ricevere in sé la misericordia offerta a tutti gli uomini, la Chiesa non si specchia nella propria “nettezza” né si gonfia dei propri meriti. All’opposto, essa confessa incessantemente come suoi non solo i peccati del proprio “personale”, ma quelli di tutti gli uomini. [4]
Manie di nettezza (ecclesiale)
Il “puro” che alberga in ognuno di noi ha invece a cuore, più di ogni altro, proprio la nettezza ecclesiale. Sogna una Chiesa-Leonia dove i perfetti consumino gelosamente le proprie delizie interiori. Vagheggia una chiesa di innamorati delle proprie certezze, di invaghiti delle proprie chiarezze pronti ad accusare di insider trading i dilapidatori degli inconfessabili segreti della grazia divina.
La sua preoccupazione non è certo, al contrario del teo-prog, che la Chiesa attuale sia troppo “chiusa” al mondo. È che lo sia troppo poco. La vede fin troppo meretrix, altro che casta! In fondo è perfino ovvio: da una visuale così ristretta, come scriveva Cyrano in tempi non sospetti, «alla Chiesa si rimprovera che non si faccia scrupolo ad andare con chiunque, come una prostituta».
Non è forse per questo che vorremmo anche un Papa modello Leonia? Uno “spazzaturaio dottrinale” che continuamente ci rassicuri sullo stato della nostra pulizia interiore? Un netturbino dello spirito pronto ad accogliere le nostre richieste di “nettezza” e ripeterci ossessivamente che per “noi”, quelli che stanno “dentro”, i conti sono già a posto? E quanto non godremmo, ah! nel sentirci dire da questa specie di salmodiatore del posto fisso (e al sole) in paradiso che quelli là “fuori” sono “out”: massa dannata capace solo di crogiolarsi nella sporcizia, luridume umano nemmeno degno della raccolta differenziata.
Il moto perpetuo del vizio
Esiste una reale inclinazione dell’animo umano, ben nota in psicologia, all’autoassoluzione. [5]
Se tale tendenza fosse semplicemente assecondata la Chiesa si ridurrebbe ad essere una “massa artificiale” come tante altre, poggiata sulla demarcazione visibile tra un “noi” e un “loro”.
Cosa accadrebbe infatti se la Chiesa si assumesse la funzione di dichiarare tutti gli altri colpevoli e di indicare i peccati dei propri membri come atti di virtù? Si muterebbe, fa notare col solito acume Merton, in un gigantesco meccanismo sociale di autogiustificazione.
La Chiesa non sarebbe più lo spazio dove attingere alla misericordia divina bensì la compagine dell’autoassoluzione: un dispositivo sociale per l’oblio delle coscienze. Sprofonderebbe in quella sorta di “santo machiavellismo” dove la sublimità della causa conduce a giustificare la malvagità dei mezzi.
Più che un’assemblea di mendicanti della divina misericordia avremmo così un circolo vizioso nel vero senso della parola: un lavacro infetto che finisce per perpetuare all’infinito il male nei propri membri anziché sanarli. Non più organismo vivente, ma irosa macchina da guerra. Troverebbe così inaspettata conferma la velenosa insinuazione che vede la religione cristiana accusata di essere, in realtà, null’altro che una forma spicciola di narcotico, ad uso della povera gente, e taccia i cristiani d’aver radunato un’arcigna conventicola di risentiti.
Una volta convertita in fabbrica di «moralina» a basso costo, come l’avrebbe chiamata Nietzsche, «la «chiesa» diventa semplicemente un luogo dove altri uomini si radunano per decretare che gli altri sono colpevoli e loro innocenti. Se poi gli altri, a loro volta, li accusano di ipocrisia e di flagrante infedeltà alla verità, non fa che confermarli nella loro intima convinzione di essere nel giusto. La «chiesa» in tal caso diventa una macchina per acquietare una coscienza inquieta; una macchina perfettamente efficiente per fabbricare l’autocompiacimento e la pace interiore! È caratteristica del pseudocristianesimo che, mentre pretende di essere giustificato da Dio, dalla fede, o dalle opere di fede e di carità, fa semplicemente funzionare una macchina per scusare il peccato invece di confessarlo e perdonarlo, una macchina per produrre la sensazione di essere nel giusto e che tutti gli altri sono peccatori». [6]
Lo scaricatore di torto
Gigi De Palo, il consigliere romano già noto ai lettori di questo blog, ha lamentato giustamente le ricadute “ambientali” di questa discarica abusiva delle coscienze. Difficile non dargli ragione quando scrive, su facebook, che i cattolici sono sovente i «più grandi divulgatori di notizie non cattoliche e antropologicamente lontane dalla nostra visione che io conosca», «più impegnati a “combattere” il male che a generare il bene».
C’è un reale rischio, nel lasciarsi andare alla disperazione oracolare, di dar corpo a un sentenzioso moralizzatore collettivo, di suscitare una versione cattolica del «qualunquista arrabbiato». [7] È forte la tentazione di dar vita all’ennesimo “partito di puri”, di farsi ghermire dalla smania di istituire un tribunale immaginario dove citare in giudizio la corruzione dei costumi.
Il moralismo, questo distillato di frodo della morale, produce effetti venefici. Trasforma in antagonisti inaciditi, genera predicatori scalmanati. Come il catto-qualunquista arrabbiato: apostolo del catastrofismo morale, prototipo dello “scaricatore di torto”. La sua parola d’ordine, il suo motto è: la colpa è sempre degli altri.
Confessiamolo: chi di noi non è tentato di trasformarsi in spammer etico? Chi non ha ceduto almeno una volta a questa lusinga? Nell’intimo di ciascuno cova in agguato un indignado cattolico, alligna un catto-girotondino. La sua principale attività consiste nello scaricare abusivamente – principalmente sul web – un’ininterrotta sequela di lamentazioni e anatemi. E talora, per dare più spessore alla propria invettiva, non manca di accompagnarle un flusso continuo di immagini truculente, di riproduzioni granguignolesche del male pubblicate quasi senza sosta.
Indicibile immondizia
Si giunge così al paradosso rilevato da De Palo. Aprire una discarica abusiva di torti ha un costo non indifferente per la collettività. Il motivo è semplice: ogni “scarico” rappresenta un enorme, gratuito spot a favore dell’iniquità. Aumenta a dismisura la visibilità pubblica del male. Espone la coscienza del prossimo a radiazioni maligne, porta l’inquinamento morale in casa propria.
Lo sguardo pietrificatore della Gorgone, la voce ammaliante delle sirene, il nettare inebriante di Circe: abbondano, in letteratura, i miti che parlano della forza di attrazione del male, della potenza che perverte il corpo e lo spirito se-ducendo gli uomini in un abbraccio mortifero.
Tanto è pericolosa la vertigine del male. È vitale perciò schermarsi dalle esalazioni nocive dell’inmunditia. San Paolo, nel rivolgersi ai cristiani di Efeso, li esorta a non nominarla neppure. Nec nominetur in vobis. Nemmeno se ne parli tra voi, dice.
Certo: si può ricavare, dando sfogo al rancore, l’appagante sensazione di avere una coscienza nettissima. Ma al prezzo, assai più alto, di un’intossicazione generalizzata.
È il brand della fabbrica dell’autoassoluzione questa coscienza scandalizzata, litigiosa, in stato permanente d’indignazione. In questa maniera – quanto mai egoistica – lo “scaricatore di torto” rende testimonianza, o così almeno crede, di non essere preda del male.
Ogni “partito di puri”, è noto, adotta pratiche di “epurazione”. Questa ideologia dell’incontaminazione, col suo anelito a una falsa limpidezza, si rivela una volta di più l’antitesi dello spirito di comunione. Contraddistingue infatti una società di esistenze isolate, separate. Ciò che si reputa puro vive un’esistenza da soggetto assoluto (cioè isolato, ab-solutus), in stato di segregazione. Il “puro”, ennesimo paradosso, si trasforma in “epuratore” perché spinto dall’urgenza di separare da sé anche la minima traccia di male.
I mondati e i montati
La tentazione della pseudo purezza si presenta sotto le spoglie di una decenza fin troppo vistosa: agghindata di “virtù”, ingioiellata di “buone ragioni”.
Eppure irreprensibilità e rispettabilità non bastano a redimere né rendono immuni dall’autoesaltazione.
Un «io» al contempo mondato e montato non può che dirsi spiritualmente mondano. È caduto, forse inavvertitamente ma non meno inesorabilmente, nel sottile tranello della mondanità spirituale. [8]
«Si dovrebbe stare con i piedi per terra e la testa nel Cielo», mi ricorda il carissimo amico Giuseppe Valente. Val meglio perciò, più che essere radicali con gravità, essere radicati con lievità. Stare nel mondo sì, ma come lievito.
La sola grandezza dell’uomo sta nel riconoscersi eterno supplice dell’infinita misericordia divina. Non c’è resistenza al mondo senza resa a Dio: non si sfugge alla volontà di potenza se la brama di assoluta purezza ha fatto lega con l’autarchia individuale.
Prima di pensarsi come manipolo di irriducibili resistenti, pertanto, occorre vedersi come inermi mendicanti. Peccatores, te rogamus, audi nos.
——————————————————–
[1] Cfr. Zygmunt Bauman, Amore liquido, tr. it. Laterza, Roma-Bari 2006, IX-XII.
[2] Karl Jaspers, Psicopatologia generale, tr. it. Il pensiero scientifico, Roma 1964, p. 480.
[3] Cfr. Giovanni Marcotullio, Quei simpaticoni di farisei, LaPorzione.it, 01 settembre 2013.
[4] Cfr. Thomas Merton, Diario di un testimone colpevole, tr. it. Garzanti, Milano 1968, p. 114.
[5] È la tendenza, che va sotto il nome di self-serving bias, ad «attribuire i successi a cause interne e gli insuccessi a cause esterne». (Luciano Arcuri, Manuale di psicologia sociale, il Mulino, Bologna 1995, p. 114)
[6] T. Merton, Op. cit., p. 115.
[7] Quella del «qualunquista arrabbiato» è la figura, dai tratti caricaturali ma spesso reali, che più di ogni altra raccoglie in sé i luoghi comuni sull’elettorato di destra. Vedi Angelo Mellone, Dì qualcosa di destra, Marsilio, Venezia 2006, pp. 58-61.
[8] «Per mondanità dello spirito» scrive dom Anscar Vonier in The Spirit and the Bride «intendiamo l’abbandono pratico dell’ultramondanità, così che i criteri morali e perfino spirituali non siano più basati sulla gloria di Dio ma su ciò che è vantaggioso per l’uomo. Una prospettiva integralmente antropocentrica è ciò che intendiamo per mondanità. Anche se fosse colmata di ogni perfezione spirituale ma se queste perfezioni non fossero riferite a Dio (supponiamo come possibile questa ipotesi) sarebbe una mondanità senza redenzione».
Magistrale Andreas !!
“Occorre rinunciare alla propria illusoria autonomia allo scopo di ricevere da Cristo la vera libertà.”
Mi permetterei di parafrasare: Occorre rinunciare alla propria illusoria autonomia allo scopo di ricevere in sé la libertà di Cristo…
“…ogni “scarico” [di torti] rappresenta un enorme, gratuito spot a favore dell’iniquità. Aumenta a dismisura la visibilità pubblica del male. Espone la coscienza del prossimo a radiazioni maligne, porta l’inquinamento morale in casa propria.”
Vale la pena di soffermarsi attentamente su questo concetto… quanta “comunicazione cattolica” (o pseudo tale), strutturata o spicciola, strutturale o personale, ripropone continuamente oggi, complice la ridondante trasmissione globalizzata, questo perverso meccanismo.
In fondo si tratta sempre di una mancanza di autentica carità. Come si legge nella Lumen fidei, “senza amore, la verità diventa fredda, impersonale, oppressiva per la vita concreta della persona”.
Non ci si rende conto di quanto possa essere asfissiante un simile “cattolicesimo”, di cosa comporti diventare una macchina per produrre ansie, angosce, sensi di colpa insussistenti, rimorsi. Una simile deformazione idolatrica, in una coscienza sana, è giustamente rigettata. Non può essere altrimenti. Ecco perché è importantissimo, vitale direi, sapersi con-tenere, pensarci non una ma mille volte prima di cedere alla fretta di “scaricare torti” sul prossimo. È la via più semplice per placare le proprie ansie, ma la fretta è uno di quei compagni che conducono alla rovina.
In un dei suoi primi discorsi ai giovani, nel 1978, Giovanni Paolo II diceva così: «È vano lamentarsi della malvagità dei tempi. Come già scriveva San Paolo, bisogna vincere il male facendo il bene (Rm 12,21). Il mondo stima e rispetta il coraggio delle idee e la forza delle virtù. Non abbiate paura a rifiutare parole, gesti, atteggiamenti non conformi agli ideali cristiani. Siate coraggiosi nel respingere ciò che distrugge la vostra innocenza o incrina la freschezza del vostro amore a Cristo. Cercare, amare, testimoniare Gesù! Ecco il vostro impegno; ecco la consegna che vi lascio! Così facendo, non soltanto conserverete nella vostra vita la vera gioia, ma beneficherete anche la società intera che ha bisogno soprattutto di coerenza al messaggio evangelico».
L’ha ribloggato su Luca Zacchi, energia in relazionee ha commentato:
Gli autoassolutori di Calvino, una lettura adattissima ai nostri tempi
Trovo sempre difficile trovare un equilibrio,ma tutta la creazione è un equilibrio perfetto.
Lasciare Dio in cielo ed occupare la terra crea un disequilibrio che porta all’ instabilità tra creatura e creato,lontana al creatore.
Se non si compie in noi la creatura che Dio ha creato,non troverà il riposo,la pace,la gioia ella creazione,e continuerà a vagare nelle tenebre,pensando di essere viva,come un neonato nella pancia della mamma che è vivo,ma non del tutto formato alla vita.
Passiamo allo Spirito al corpo e dal corpo allo spirito,senza riuscire a fondere in noi le nostre due essenze,perchè non tendiamo ad unificarle,ma a viverle in maniera divisa.
Grazie Andreas!
Bellissima riflessione.
Mah… non lo so. Certamente la chiesa è il luogo dove attingere alla misericordia di Dio; anzi, vorrei sottolineare che è il solo luogo dove attingere con certezza alla misericordia di Dio. Tra l’altro, la nostra chiesa si chiama cattolica, aperta al mondo, e così deve restare: luogo dove tutti gli uomini sono chiamati a conoscere la misericordia di Dio. Ora è fuori dubbio che, soprattutto quando l’attacco del male si fa più virulento, può esserci la tentazione di rinchiudersi nella cittadella per soli puri. Ed è giusto vigilare contro questa chiusura che sarebbe antitetica al mandato di Cristo. Io però, forse mi sbaglio, ma di questi tempi vedo ben più presente un altro rischio: quello di tanti cattolici che, sentendosi aggrediti dal male, cedono alla tentazione di uscire fuori dalla chiesa (fuggire?) e di prendere a secchiate di misericordia chiunque incontrino per la strada. Un po’ quello che ha fatto il cardinale Kasper, tanto per intenderci.
Caro Giancarlo,
Credo che si confonda spesso il buonismo e la misericordia. Tempo addetro – non molto, in verità – da avido lettore di Romano Amerio concordavo pienamente con questo tuo giudizio.
Ora, con più esperienza di vita sul groppone e una riflessione più approfondita, vedo che gli errori e i vizi vanno sempre in coppia: dove c’è la carità senza verità (buonismo) c’è anche il suo calco rovesciato: la verità senza carità (crudeltà). E non c’è nulla di più sbagliato che rispondere a un errore con un altro errore. È la guerra degli idoli, che pur odiandosi a vicenda finiscono per far lega contro l’unico vero Dio, in cui carità e verità coincidono.
Io per primo ho transitato attraverso queste due “sponde”, questo è fuori discussione. Ci ho messo anni e anni per comprendere quanto sia stato nefasto per me certo cattolicesimo “sangue e arena”. Almeno quanto la sua controparte “progressista”.
Qundi non pretendo certo di forzare qualcuno ad arrivare alla mie stesse conclusioni. Non mi interessa nemmeno. Per me scrivere è una forma di catarsi: prendere coscienza, “ruminare”, meditare, riflettere mi aiuta a fare i conti con un avversario interiore.
Parlo di insidie che conosco bene: lo “scaricatore di torto” sono io. Così come ero io, ma in versione “perdente”, l’uomo del dilemma. Sono tentazioni che ho vissuto sulla mia pelle e che spesso, proprio perché invece di arrendermi alla grazia di Dio le ho opposto resistenza, mi hanno sovrastato (e mi sovrastano ancora).
Se qualcuno poi trova in questo mio percorso interiore delle sollecitazioni che possono, a sua volta, aiutarlo nel “bonum certamen” a me fa certamente piacere. Ma finisce lì.
E cos’è la nostra preghiera, che innalza le mani al Cielo, se non il segno di resa che qualunque Uomo sotto qualunque Cielo conosce?
Vero: infatti l’etimo stesso della parola ci ricorda quanto siamo “precari”…
😉 preghièra s. f. [dal provenz. preguiera (lat. pop. *precaria, sostantivazione femm. dell’agg. precarius «ottenuto con preci; precario»:
http://www.treccani.it/vocabolario/precaria/
Se poi penso che nella neolingua contemporanea “precario” e “flessibilità” sono diventate due parolacce… mi si spalancano infiniti spazi di riflessione…
Fatte le debite proporzioni (io sono solo un ignorante), anche a me piace “scrivere”, cioè postare i miei commenti per il tuo stesso motivo: prendere coscienza, “ruminare”, meditare, riflettere. Non di rado poi mi succede, quando capita di trovare un fratello maggiore (in sapienza), anche di cambiare idea.
Caro Giancarlo, ignoranti in fin dei conti lo siamo tutti, non trovi? Per quanto ci si possa sforzare, saranno sempre più le cose che non sappiamo di quante ne abbiamo apprese. Forse l’unica saggezza sta nel maturare questa paradossale consapevolezza, una verità non priva di ironia. L’unica cosa che possiamo fare è, come dici tu, edificarci vicendevolmente alla scuola dell’unico Maestro e dei suoi vicari quaggiù sulla terra.
Beh Giancarlo, ci si troverebbe in buona compagnia… dov’erano i Discepoli quando il loro (e nostro) Maestro pendeva da quella Croce?!
E nei giorni sucessivi?
E di fronte alla supposta debolezza di alcuni – perché all’attacco, alla persecuzione, al martirio, non tutti resistono e se presumessimo di resistere noi, novelli granitici difensori di di Dio e della Sua Chiesa saremmo nell’inganno – non dovremmo avere lo stesso amore di Cristo Risorto, che agli (indegni secondo quanto prima detto) suoi Discepoli, si presenta con il saluto: “Pace a voi!”?
Fare clic su “mi piace” è poco: ci vuole almeno un mazzo di fiori e un *GRAZIE!* 😀
http://blistar.net/images/photos/4338e063f7f97cf89fb865d35be64811.jpg
E io ti ringrazio dei fiori, sempre ben graditi! 🙂
Andreas ti ringrazio per quello che hai scritto, ultimamente leggo su questo blog troppe lamentele, troppi giudizi granitici e a volte impietosi, su tutto e su tutti. Leggere le tue riflessioni mi conforta nel pensare che ci sono altre vie da percorrere
Grazie davvero!
La tentazione di sentirsi casti e puri è al pari di quella di sentirsi sempre inadeguati, c’è chi crede di aver capito tutto e vede il marcio solo negli altri e c’è chi chiede in continuazione perdono per le presute nefandezze della Chiesa. Sono due tipi di orgoglio: il primo l’orgoglio del fariseo, il secondo l’orgoglio del falso umile, che crede che la storia della Chiesa dipenda da lui e dunque chiede scusa per sentirsi buono e nello stesso tempo si autoparalizza e si obbliga a non prendere per le orecchie chi segue una falsa religione, perchè crede che il farlo significhi esprimere un proprio parere, dimenticandosi invece che esegue solo un ordine del buon Dio. Come sempre la virtù sta nel mezzo: credersi immensamente inadeguati, peccatori, fallaci, ma nello stesso tempo sapere che non siamo soli e che lo Spirito Santo ci ha riempiti dei suoi doni:sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timor di Dio. Sapere con certezza che se facciamo del bene non è per merito nostro, ma per merito di chi agisce in noi che ci da la grazia di fare il bene. Credere di essere dei mezzi scalcagnati con i quali il Buon Dio può fare grandi cose, anche convertire chi è lontano dalla verità. Dunque si a non montarci la testa a non vedere la pagliuzza nrell’occhio altrui, ma nemmeno paralizzarci, perchè sepur miseri siamo almeno tenuti ad essere apostoli e a praticare le virtù: Fede, speranza, carità, prudenza, giustizia fortezza, temperanza. Siamo o non siamo il tempio dello Spirito Santo e il tabernacolo di Gesù? Dunque l’umiltà ci obbliga a riconoscere che dipendiamo da Dio, che siamo solo dei servi inutili, ma nello stesso tempo forte deve essere la speranza in chi può tutto, persino far diventare principe o principessa un pugno di fango ed una costola.
L’umiltà non ci esime da fare il nostro dovere, perciò di consigliare i dubbiosi, di riprendere chi erra, perchè questa è la carità ed il timor di Dio, che ci fa volere per gli altri ciò che desideriamo per noi. Bandite le pacche sulla schiena a chi è nell’errore e rischia l’anima.
Questo nessuno lo ha negato – non cadiamo nel solito equivoco dello “straw man”. Purché si tenga ben presente che la correzione fraterna è una elemosina spirituale. Ha di mira il bene altrui, non si prefigge certo di sovrastarlo, mortificarlo, o di mostrare la propria superiorità morale, intellettuale, culturale, ecc. È un’arte delicatissima, la Chiesa lo ha sempre insegnato. Occorre anche grande prudenza, non bastano le buone intenzioni. San Tommaso, che ha dedicato un’intera quaestio della Summa (II-II, q. 33) al tema della correzione fraterna, sostiene che essa può anche essere omessa per attendere un momento più opportuno per esercitarla (non va fatta in qualsiasi luogo e qualsiasi tempo) oppure per timore che il peccatore si indurisca nella sua condotta e, dunque, perfino peggiori. Va anche detto che secondo l’Aquinate la correzione fraterna da parte di un peccatore è molto rischiosa, un vero “percorso a ostacoli”, perché c’è il rischio che questi si insuperbisca e che “correggendo” i vizi altrui finisca per minimizzare i propri. Perciò “quando siamo costretti a riprendere qualcuno, pensiamo se si tratta di un vizio che noi non abbiamo mai avuto: e allora riflettiamo che siamo uomini, e avremmo potuto averlo. E se si tratta di un vizio che abbiamo avuto nel passato e non abbiamo più, allora ricordiamoci della comune fragilità, affinché quella correzione non sia preceduta dall’odio, ma dalla misericordia. Se poi ci accorgiamo di essere nel medesimo difetto, non rimproveriamo, ma piangiamo insieme e invitiamo gli altri a pentirsene con noi” (II-II, q. 33, a. 5; invito alle lettura di tutta la quaestio perché è davvero illuminante). Il santo, invece, “siccome è perfettamente libero dalla carne e dal peccato, si abbassa con maggior compassione di tutti su quella carne e su quel peccato di cui altre volte ha portato le catene. Bisogna esser liberi per visitare i prigionieri”. (Gustave Thibon, Crisi moderna dell’amore, Marietti, Torino 1957, p. 104).
Precisato questo, quelle che hai elencato sono le due forme in cui si manifesta il moralismo. Il moralismo consiste, oltre a dare il primato alla morale anziché all’essere, nell’attribuire un carattere falsamente vincolante a precetti umani. Quindi anche autoaccusarsi di colpe che non sono tali è una forma di moralismo. Su questo peraltro sfondi una porta aperta. Anni fa creai un sito intitolato “Contro la leggenda nera”, dedicato proprio a sfrondare i falsi sensi di colpa sulla storia della Chiesa.
” […]la correzione fraterna, sostiene che essa può anche essere omessa per attendere un momento più opportuno per esercitarla (non va fatta in qualsiasi luogo e qualsiasi tempo) oppure per timore che il peccatore si indurisca nella sua condotta e, dunque, perfino peggiori.”
Facile dire “parole sante” vista l’origine, ma fuor di battuta (battuta poi mica tanto…) anche qui bisognerebbe tornare all’atteggiamento di – costante – preghiera (e se non “contante”, preventiva in certi casi) che dona il discernimento.
Discernimento sul come e quando agire e parlare e SE agire e/o parlare… per stare sempre nella realtà del “servo inutile”, per avere il discernimento sul “se” il Signore vuole servirsi di me e come, per compiere quest’opera di carità verso il fratello nell’errore… Perché non è detto, non è “matematico”.
Certo non si arriverà a sostenere che il male è bene o il peccato virtù, che questa è altra cosa.
Il tutto sia poi fatto con la misericodia che Cristo sempre ha avuto e ha nei nostri confronti e in cio che da Lui impariamo scorrendo i Vangeli.
La preghiera (colloquio sincero del cuore) ci mette poi nella nostra realtà di parlare sempre “da peccatore a peccatore”, che se c’è diversità di gravità di peccato (se c’è…), è solo per Grazia ricevuta e se questa stessa grazia fosse stata rversata al nostro interlocutore, forse ci avrebbe già di gran lunga sopravanzato nel cammino di santità a cui siamo chiamati…
È assolutamente fondamentale: la preghiera, come ha mostrato nel dettaglio senm, ha in sé una “resa a Dio”. Infatti la correzione fraterna non è tanto una “scienza” o un’algebra morale ma una vera e propria “arte” che si applica alla situazione concreta.
Paradossalmente (ho in preparazione un post sul tema) oggi le continue insistenze sulla “nettezza” indicano uno scarso amore per i princìpi. Si vorrebbe invece una Chiesa che dia “ricette”, ci dica nel dettaglio “cosa fare”. Il principio invece è una verità invariabile, ma lascia spazio anche alla libertà umana. Un po’ come il cuoco che in cucina sa modulare la ricetta secondo le circostanze.
Personalmente non mi sento nè casta e pura, nè chiedo perdono per le continue nefandezze della chiesa, Chiedo perdono per le continue nefandezze mie. Giancarlo qualche giorno fa chiedeva a Bariom ogni quanto si confessa. Io mi confesso ogni tre per due perchè non mi sento mai a posto. Ho bisogno di guide! Da sola non ce la faccio. Per questo sento l’esigenza di sacerdoti santi, di un Papa granitico , di vescovi adamantini. Soffro perchè vacillo.
È comprensibile. Purché non si finisca per proiettare sul Papa, i vescovi e i sacerdoti i nostri bisogni di sicurezza, accusandoli di infedeltà quando invece sono solo “colpevoli” di non essere come noi pensiamo che dovrebbero essere o “rei” di non fare quello che noi crediamo dovrebbero fare. Credere non è capire tutto. È prima di tutto “fare credito”.
Mi cito:
… sono altrettanto convinto che i “santi pastori” non nascano “sotto i cavoli”… 😉
Nascono da sante famiglie, crescono in sante comunità e possono divenire santi o mantenersi in santità quando sono pastori, grazie alla sante preghiere, alle sante offerte, intercessioni e anche testimonianze del proprio gregge, perché la Santità viene certamente dall’alto, da Dio, ma si propaga in modo “circolare” e potremmo dire anche “orizzontale”.
E’ un vaso comunicante!
Quindi nessuno si chiami fuori aspettanto che un altro – sia chi sia – diventi santo per aiutarlo.
Siate santi, perché io sonio Santo! Dice il Signore… nessuno escluso 😉
Siamo noi che ci accontentiamo di essere “mezze figure”, magari incolpando mezzo mondo e tutta la Chiesa di non meterci nelle condizioni di…
…………………
Anche l’eccesso di scrupolo di “non sentirsi mai apposto” può essere un pericolo, una tentazione che viene dal Maligno che fa il suo lavoro… l’accusatore!
…………………
Altrettanto certa e necessaria la necessità di una “guida”, un padre spirituale, un cammino, un’esperienza comunitaria forte… ma anche questa se la sentiamo così fondamentale, chiediamola a Dio. Certamente non mancherà di mostrarci la strada.
Annarita, 10 e lode!
io che invece sono sempre poco clemente e vittima del mio vittimismo e che concepisco gli altri come quelli sicuramente brutti e cattivi e peccatorissimi, io che sono una paladina della moralina, quando leggo ste cose, c’ho quel barlume di speranza e di voglia di diventare mendicante pure io. Grazie Andreas
“…ciò quel barlume…” 😀
Grazie anche a voi, Giovanni, Rosanna, Paola, Anjeza. È una tentazione cui tutti siamo soggetti, in misura e in forme variabili naturalmente. Perché in fondo quella dello “scaricatore di torto” è la via più facile, più comoda. Si fa prima a sentirsi buoni che a esserlo veramente, si fa prima a proclamare le proprie virtù anziché praticarle. È sempre la fretta che vuole imporsi sulla pazienza, che ha i tempi lenti della crescita.
In effetti la miglior correzione fraterna che si può fare è di migliorare, con la grazia di Dio, se stessi e pertanto dare il buon esempio. Questo lo so, spesso non valgono le parole, anzi si potrebbe creare resistenza, vale di più la coerenza di vita e la preghiera. L’ho vissuto sulla pelle, quanti amici per anni mi hanno parlato, spiegato che ero nell’errore, ma poi la grazia è arrivata inaspettata, nel momento che la loro preghiera probabilmente ha sfondato ogni resistenza. Non volevo certo presumere chissà che nella risposta sopra, solo dire che bisogna solo fare quel che si deve e si può, per il resto fa tutto Dio.
Benissimo, ma nel post volevo proprio evidenziare che Dio non è un “resto” che viene “dopo” il nostro impegno. Dio si trova al principio del nostro impegno. E principio vuol dire che “sta davanti”, viene prima. Altrimenti corriamo il rischio di cadere nel farisaismo (invito a leggere il bellissimo articolo di Giovanni Marcotullio che ho citato tra le note) accentuando troppo la componente umana: il nostro impegno, gli sforzi, ecc. Per non parlare del rischio di ricorrere a criteri mondani, come valutare in termini efficientistici l’azione della Chiesa, e così via. Ecco perché sottolineavo che prima di resistere al “mondo” occorre arrendersi a Dio.
Gli sforzi servono a poco, forse a nulla, ci vuole solo la volontà di aderire al progetto di Dio, dire si, ma poi il resto credo lo faccia tutto Lui. Quando mi sono sforzata di fare qualcosa non sono riuscita a fare nulla, quando ho detto al buon Dio di fare Lui, perchè io non riuscivo, alla fine ce l’ho fatta.
Annarita, sento di essere in piena sintonia con te.
Oho! Qui tra il post e alcuni commenti… c’è da stare a leggere bene e con calma.
Grazie, intanto, Andreas. Che anche a commenti non ti sei “svalutato”. Smack! 😀
A stasera… dopo aver letto tutto con più “grazia”.
Grande Andreas! Ci hai offerto spunti di riflessione importantissimi. E delle citazioni da tenere a memoria! Grazie.
andreas:
… C’è chi ci ha delle colpe e chi no. Chi più e chi meno. C’è chi è liquido ed è meno sudicio di chi è solido. Bisogna distinguere tra colpa e senso di colpa.
admin:
OH MERDOSO!!!
Signore e signori ecco a voi Alvise!
…sì, io!
Oh Alvise! Metti alla prova il misericordioso esercizio della correzione fraterna qui citata o se fuori di “melone” ?!
Cmq io esercito e ti dico misericordiosamente: SEI PROPRIO UN GRAN CAFONE!
Però anche quella di Hofer è un’autosservazione un po’ eccessiva, per non dire tortuosa. Tanti poveri cristiani, che sanno di essere peccatori senza stare a ripeterlo a sé e agli altri, si riposano, con fiducia e magari pigramente, sul seno della madre Chiesa e non sanno far di più. Parlo per me.
Difatti non credo proprio la “tortuosa autosservazione” di Andreas sia a loro rivolta… 😉
Tanti poveri cristiani,…..ESATTAMENTE
http://www.thedailybeast.com/articles/2014/04/30/islamic-extremists-now-crucifying-people-in-syria-and-tweeting-out-the-pictures.html
http://www.thedailybeast.com/articles/2014/04/30/islamic-extremists-now-crucifying-people-in-syria-and-tweeting-out-the-pictures.html
Mi sono preso il tempo per leggere tutto con calma, perciò.
– togliamoci il cappello, intanto 🙂
Poi, dato che questo mi risparmia di confezionare risposte alla discussione dell’altro giorno, visto che qua c’è ben di meglio di quanto avrei mai saputo scrivere, mi limito a riportare una considerazione di Monsignor Livi che mi colpì quando andai ad ascoltarlo a Pavia qualche mese fa.
Monsignor Livi, parlando della differenza tra progressisti e tradizionalisti, aveva detto (a spanne, eh) una cosa del genere: il progressista tradisce la Verità nel suo sforzo di adulterarla. Il tradizionalista non fa questo, anzi ama la Verità ma non la serve. Se ne serve. Si potrebbe anche dire che non è “ancella della Verità” ma vuole la Verità come sua ancella. Ma per che cosa se ne serve? Mi veniva da chiedermi ogni tanto, senza trovare una risposta del tutto soddisfacente. Adesso forse ci sono: se ne serve per la propria volontà di autosufficienza.
Va detto comunque: se non si fa abbastanza per difendere la Verità da chi vuole adulterarla, coloro che infine se ne rendono conto e per questo ne vengono feriti o sconfortati, facilmente si rivolgeranno a coloro che più danno l’impressione di proporsi a baluardo di una certa deriva, finendo per assorbire, più o meno avvertitamente, anche l’eventuale (perché si spera che non ci sia sempre) atteggiamento spirituale da purezza catara – che nel lungo periodo in particolare non fa altro che alimentare uno sconforto di segno uguale e contrario al primo.
Si dovrebbe di certo riconoscere che la ferita stessa è pegno del proprio peccato, ma la mancanza di guide può non rendere affatto facile, al neofita in particolare ma non solo, comprendere appieno il senso di questo punto.
Ottimo commento Roberto.
In questo caso dobbiamo prendere i concetti di “progressisti e tradizionalisti” in senso molto ampio e accontentarci della approssimazione, includendo anche alcune “categorie dello spirito”, che sono quelle a cui principalmente credo Andreas si riferisca.
Personalmente poi credo che il “neofita” incappi meno nelle negative dinamiche descritte, proprio in quanto neofita e, in generale, vivendo tutto con maggior “meraviglia”, lasciandosi guidare con maggior docilità, vivendo la cosiddetta “ebrezza dello spirito”… essendo, usando una metafora, molto più simile ad un fanciullo e sebbene sempre “fanciulli” non si possa rimanere, questo dovrebbe far meditare anche chi (me compreso) crescendo e, divenendo adulto, cade nel rischio dell’autosufficienza.
Intanto un grazie anche a te, Roberto.
A differenza di qualche anno fa non mi convince più la tesi che gli eccessi del tradizionalismo siano imputabili a una “giusta reazione” nei confronti del progressismo. Ha poco senso interrogarsi sull’origine storica di questa dialettica, perché non è affatto detto che l’origine e la causa coincidano (in storiografia si parla infatti di “idolo delle origini”).
Credo, come dicevo sopra, che si tratti piuttosto di due idoli che si nutrono e si divorano a vicenda, ma pronti a coalizzarsi contro l’unico vero Dio. Si odiano ma al contempo hanno bisogno l’uno dell’altro, in una sorta di oscura solidarietà. Come dice Bariom, non si tratta di nulla di nuovo: in fondo siamo sempre all’eterna lotta tra sadducei e farisei – uniti però, guarda caso, nell’avversare Cristo.
Sono d’accordo nella sostanza col pensiero di monsignor Livi, per come lo hai riportato, ma mi permetto di aggiungere qualcosa. Diciamo che il progressista vuole la carità senza la verità (buonismo). Anzi, forse sarebbe meglio dire che difende solo verità con la “v” minuscola affermando che i principi sono infinfluenti perché a fondare il valore sono le esperienze individuali.
Il tradizionalista, viceversa, vuole la Verità con la “V” maiuscola ma si dimentica di accompagnarla alla carità, finendo per cadere in un intransigentismo astratto e dottrinario. Così a sua volta cade nell’errore. Non basta amare la Verità con la “V” maiuscola se poi si dimostra ben poca considerazione per le verità con la “v” minuscola. Si cade nel “santo machiavellismo” cui accennavo nell’articolo. C’è chi è dispostissimo, in nome della presunta “bontà” della “causa”, a dire vere e proprie falsità (come ingiuriare persone che non si conoscono attribuendo loro pensieri mai espressi o comportamenti mai messi in pratica, oppure manipolare documenti, scritti, ecc.) mostrando un’assoluta indifferenza ad appurare come stiano realmente le cose. Questo scarto tra fedeltà “teorica” alla verità e infedeltà “pratica” si palesa con particolare evidenza quando si ha modo di “toccare con mano” certe realtà. Provare per credere.
Non basta amare a parole la verità. Occorre praticare la verità. Ed è il motivo per cui c’è un legame profondo tra verità e carità. È una cosa su cui medito da tempo: la fragilità, l’estrema debolezza della verità. La verità è semplice ed è una, ma sono tortuosi e infiniti i modi (la famosa “legione” demoniaca) per dire il falso, cioè la non-verità. Perciò la verità va, in qualche modo, protetta, amata. Ecco perché c’è una relazione quasi costitutiva tra verità e carità. Chi non ama la verità – o la ama solo a parole – troverà presto o tardi modalità variamente graduate per accomodarla con altre esigenze, con altri interessi (fosse anche solo la voglia narcisistica di primeggiare).
Insistiamo troppo, credo, sulla “forza” della verità. Dovremmo, invece, ricordare quanto essa sia “debole” (che non vuol dire cadere nel “pensiero debole”) e bisognosa della nostra attenzione. Come sempre di fronte alla debolezza abbiamo due vie: o la via della responsabilità e della misericordia che se ne prende cura, o la via dell’irresponsabilità e della durezza che cerca di servirsene e schiacciarla.
Quello che voglio dire è che a una verità mutilata (carità senza verità) non va contrapposta un’altra verità mutilata (verità senza carità). Bisogna tornare all’unità: caritas et veritas (et-et). Come scrive Thibon «si usa vedere negli eccessi umani (e particolarmente nelle aberrazioni dottrinali e sociali) semplici reazioni contro eccessi anteriori e opposti. Tale modo di vedere non è erroneo, solamente è un po’ corto. In fondo, due eccessi nemici che si succedono non sono che i due episodi di un’unica guerra contro I’Unità: in breve contro Dio. Gli idoli si odiano, indubbiamente, ma il loro odio reciproco non è che il riflesso del loro odio comune (per esempio, ciò che fa più orrore alla “virtù” borghese non è ciò che essa chiama il vizio, ma la vera virtù, la virtù dell’amore, e il padre che divinizza una legge morta e il figlio che la calpesta sono traditori allo stesso modo di fronte a quell’amore e a quella unità). Gli idoli non lottano tra di loro che in apparenza: nell’intimo loro, sono tutti alleati contro Dio.
Presi in se stessi, i conflitti che devastano l’umanità non meritano la nostra attenzione e il nostro dolore. Non sono che la maschera – maschera che occorre trapassare – di un’altra scissione che sola è reale e sola importa: la fuga fuori di Dio e fuori dell’attrazione del suo amore».
L’inclinazione a peccare che residua in chi ha ricevuto il Battesimo si manifesta in fogge disparate ma tutte riconducibili nell’anelito a idolatrare sé stessi: Io al posto di Dio.
Gli strumenti attivati per attrarre su di sé il culto altrui possono essere i più sorprendenti: tra di essi, perfino l’esibirsi paladini della verità, affinché il culto dovuto ad Essa ridondi su di me che ne sono campione. E la tentazione è micidiale perché spesso il presunto difensore della verità è in buona fede, quasi non si avvede che sta (ab)usando della verità per secondare la propria superbia, per conciliarsi una proprio manipolo di fans. E’ una tentazione che ben conosco, ma conoscerla non mi preserva certo indefettibilmente dal cedervi.
Sono stato per anni un cattobuonista e poi, reattivamente, ho avvertito forte le sirene del cattolicesimo “sangue e arena” (per dirla con Andreas), quell’intransigentismo assertivo e stentoreo che fa mostra di avere la risposta giusta per ogni domanda, ma che non mi ha afferrato a lungo, perché per carattere sono più un dubbioso che un caterpillar, più uno scettico che un credente (e quindi devo fare parecchia forza su me stesso per arrendermi alla Fede 😉 ).
Oggi vivo quotidianamente la fatica di fuggire i comodi estremismi e praticare la strada stretta del praticare la verità-che-è-carità.
“praticare la strada stretta del praticare la verità-che-è-carità” è italiano censurabile, da matita blu, ma cmq ci siamo capiti… 😉
Verissimo: la strada del praticare la verità unita a carità è stretta, molto stretta.
Ma io distinguerei il cattolicesimo “sangue e arena” da quello tradizionalista. Il primo è senza carità, il secondo no, anche se credo possa rischiare di cadere in quella direzione. Nella mia esperienza di fede, di partecipazione ecclesiale, di frequentazione di gruppi, di guida da parte di sacerdoti, etc., non ho mai incontrato cattolici definibili “tradizionalisti” che fossero manchevoli di carità o non si preoccupassero di curare anche questa virtù (mentre invece tutti quelli progressisti che ho conosciuto cadevano inevitabilmente nel buonismo). Invece mi è capitato di avere a che fare con cattolici “sangue e arena” che effettivamente, per quanto (per me) affascinanti, rischiavano spesso di apparire arcigni, intolleranti e non caritatevoli. Ma questa è solo la mia esperienza.
Si tratta, diciamo così, di categorie tra il sociologico e il teologico che usiamo per comodità, altrimenti ci disperderemmo in mille distinguo. Teologicamente, un cattolico che ignori o disprezzi la Tradizione semplicemente non può dirsi tale. Sociologicamente esiste invece un mondo cattolico tradizionalista con sfumature e posizioni assai diversificate al proprio interno (nel quale, per quel che vale, si colloca anche la mia famiglia spirituale) che talora rischia – bisogna ammetterlo – di far passare per “Tradizione” le proprie “tradizioni” con la “t” minuscola (dovunque si presenti un “ismo” c’è questo rischio) dando vita, nei casi più gravi, a veri e propri “magisteri pararelleli”, inventandosi dottrine e devozioni su misura, e così via.
Ancora una volta, guarda caso, tanto da “sinistra” quanto da “destra” si finisce per attaccare la roccia di Pietro. Una sorta di “fronte unico dell’orgoglio”: http://filiaecclesiae.wordpress.com/2012/12/29/il-fronte-unico-dellorgoglio/
Detto questo, non si tratta di processare un mondo intero, ma di avere ben presente che esistono delle tentazioni specifiche che non si appalesano sempre in maniera chiara. È l’insidia che qualcuno ha definito “falsificazione del bene”.
Potremmo dire, sempre a spanne, che il progressista è tentato dal lato sadduceo e il tradizionalista dal lato farisaico. È anche vero, come ricorda Giovanni Marcotullio, che si tratta di due patologie spirituali di diversa entità e gravità. Peggio essere sadducei che non farisei. Gesù infatti non li “pesa” allo stesso modo.
Ecco sì, forse quello che ho visto nella mia esperienza coincide proprio anche con questa tua conclusione (e infatti, a proposito del tradizionalista, nel mio commento sopra avevo precisato: “anche se credo possa rischiare di cadere in quella direzione”). Inoltre, che “teologicamente, un cattolico che ignori o disprezzi la Tradizione semplicemente non può dirsi tale” è una mia convinzione profonda che spesso però, purtroppo, mi viene contestata dai progressiste/buonisti/sadducei di turno.
E’ inconfutabile che il deposito della Fede è contenuto nel rapporto vivo e continuo di Tradizione e Sacre Scritture e l’una non può esistere senza le altre.
Come giustamente osserva Sara non può esistere cattolico (o non può dirsi tale) che disprezzi o anche solo ignori, l’una come l’altra (nella Tradizione possiamo a pieno titolo direi, inserire il Magistero della Chiesa).
Non si può quindi parlare di chi “non osservi la Tradizione” e, pur accettando il termine che può prestarsi a equivoci, di “progressista”, se un progresso può esserci (o un evolversi), non può essere tale, se non poggia solide basi sulla Tradizione da cui proviene.
La stortura quindi sarà eventualmente, come già è stato ben sottolineato da Andreas e altri, nel cadere nel “tradizionalismo” – come per contro in un “progressismo” orfano di radici.
Che poi percentualmente, concretamente, le “patologie spirituali” si annidino e trovino terreno più fertile, nell’uno piuttosto che nell’altro “ismo”, poco importa e cercare di fare questa analisi, rischia ancora una volta di far prendere una posizione personale a favore dell’uno piuttosto che dell’altro… 😉
C’è un tradizionalismo perfettamente cattolico (niente sangue e arena, niente magisteri paralleli, niente rifiuto del Vaticano II), come ad esempio quello del servo di Dio padre Tomas Tyn OP:
http://www.studiodomenicano.com/testi/religione/TomasTyn_La_Chiesa_postconciliare_1985.pdf
che non corrisponde alla mia sensibilità, ma che non mi sognerei mai di riprovare (mentre è riprovato da molti cattolici, a volte indotti in questo deplorevole errore anche dal confondere questo tradizionalismo perfettamente cattolico con uno dei tanti esemplari della galassia tradizionalista sconfinanti nell’eterodossia).
Quanto alla Tradizione, Dei Verbum dice chiaramente (nn 9-10) dell’inscindibile legame tra sacra Tradizione, sacra Scrittura e magistero della Chiesa, sgorganti dall’unica divina sorgente:
“La sacra Tradizione dunque e la sacra Scrittura sono strettamente congiunte e comunicanti tra loro. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo un tutto e tendono allo stesso fine. Infatti la sacra Scrittura è parola di Dio in quanto consegnata per iscritto per ispirazione dello Spirito divino; quanto alla sacra Tradizione, essa trasmette integralmente la parola di Dio – affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli – ai loro successori, affinché, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano; ne risulta così che la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura e che di conseguenza l’una e l’altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e riverenza.
La sacra tradizione e la sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa; nell’adesione ad esso tutto il popolo santo, unito ai suoi Pastori, persevera assiduamente nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle orazioni (cfr. At 2,42 gr.), in modo che, nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa, si stabilisca tra pastori e fedeli una singolare unità di spirito.
L’ufficio poi d’interpretare autenticamente la parola di Dio, scritta o trasmessa, è affidato al solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. Il quale magistero però non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio.
È chiaro dunque che la sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che nessuna di queste realtà sussiste senza le altre, e tutte insieme, ciascuna a modo proprio, sotto l’azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime.”
@Alessandro 😉
Alessandro:
…te che hai studiato (credo) non sembra una pagina (in teologichese) di Proclo o di Hegel?
Grazie, Alessandro!
@ Sara 😉
Grazie ad Andres e agli altri commentatori che hanno lasciato materiale bastante per un altro post. 😉
…O per dirla in parole semplici: “Tutto si tiene”
Sì, tutto si tiene. Non ne sei convinto? Preferisci le disarmonie, i conti che non tornano mai, gli amori che finiscono, il regno di Contesa…
Andreas:
… (su Gesù e Farisei e Sadducei) Mt22:23-46 23.1-39 Mc12:18-27…
Grazie ad Andreas per le tue riflessioni sempre interessanti, che del resto hanno occasionato commenti altrettanto interessanti e hanno smantellato un po’ le barricate che anche su questo blog si erano alzate.
Penso che il problema non riguardi tanto le categorie progressisti e tradizionalisti o se gli uni o gli altri siano più o meno lontani da Dio e in che misura. Non sarei neppure pienamente convinto che i primi siano assimilabili ai sadduce che rifiutavano la verità, e che i secondi siano assimilabili in tutto ai farisei, la cui adesione alla verità non sembrava proprio di sostanza. Mi convince invece la contrapposizione fra “buonisti” e “rigoristi”.
In questa guerra degli idoli (descritta da Andreas), che diventa guerra di ideologie contrapposte con le rispettive icone, le parole d’ordine e la propaganda più o meno becera o sottile, mossa anche da buone intenzioni come dall’anelito di Carità nei “buonisti” e dal riconoscimento della primazia della Verità nei “rigoristi”, non si risparmiano colpi. E se da una parte i “rigoristi” compattano le file nella dittatura oppressiva della legge, scatenando la caccia ossessiva agli eretici; dall’altra l’insofferenza della legge porta parimenti i “buonisti” a compattarsi attorno alla dittatura subdola del relativismo, impegnati nell’additare alla gogna l’inquisitore.
E’ uno schema a tratti netti, un po’ romanzato, che probabilmente non risponde alla realtà, perché nelle terre di mezzo di questi opposti fronti esistono tante sfumature, ma in entrambi i fronti c’è la smania di sostituirsi a Dio nel giudicare, nel condannare, nel decidere ciò che è lecito e ciò che è illecito, nello sciogliere e nel legare, nel santificare e nel dannare, nel profetizzare catastrofi o nuove terre promesse.
E’ qui forse che sta il peccato?
Mi rimbombano, infatti, alla mente le domande di Paolo: <> (Corinzi I 12, 29-30).
“Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti operatori di miracoli? Tutti possiedono doni di far guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano? ” (Corinzi I 12, 29-30).
“…da sinistra a destra si continua ad ataccare la roccia di Pietro”, purtroppo Pietro stesso ha indebolito la roccia, o a volte si dimentica di essere la roccia e vuole essere semplicemente Simone. Non dimentichiamoci che persino Pietro tradì Gesù, pertanto non sempre è tutta colpa della desta o della sinistra a volte persino il centro manda messaggi non rassicuranti. Ammettiamo di essere in una bella e tosta crisi, e non sarebbe una crisi così universale se non avesse oscurato appunto Pietro, confondendo le anime nel profondo. Sappiamo però che finirà, che il Cuore Immacolato trionferà, dunque cerchiamo di tenerci saldi nella tempesta.
Fermo restando che (ahinoi) nessuno in assoluto è esente dal rischio di “tradimento”, è corretto ricordare che Pietro tradì Cristo prima di divenire “pietra” e prima della Pentecoste…
Di fatto morì martire e secondo la tradizione, per sua richiesta, crocefisso a testa in giù per non avere l’onore di morire come il suo Maestro.
Quelli di Annarita sul Papa sono i giudizi superficiali, per non dire di peggio, che circolano per l’appunto nel giro del cattolicesimo “sangue e arena”, vera fucina di scaricatori di torto.
Invito quindi a leggere questo vecchio scritto di Gustave Thibon e i commenti che ne sono seguiti: http://filiaecclesiae.wordpress.com/2013/03/17/personalismo/
E già che ci sono consiglio la lettura di quel piccolo capolavoro di discernimento degli spiriti che è “Guarire dalla corruzione” dell’allora cardinale Bergoglio. Poco più di 40 paginette ma molto dense (saltate pure ad occhi chiusi la post-fazione di Pietro Grasso che davvero c’entra poco). Purtroppo l’ho letto in questi giorni pre-marcia dopo la stesura del post, altrimenti l’avrei “saccheggiato” in lungo e in largo. In particolar modo la distinzione tra il cuore del peccatore, bisognoso di perdono, e quello del corrotto, bisognoso di guarigione, è importantissima e si applica a tutti i “partiti di puri” passati, presenti e futuri.
Certo, chi lo dimentica? Questo ci fa sperare in bene, infatti come ci fu il tradimento di Pietro e la morte di Gesù ci fu poi il pentimento e anche la Resurrezione. Ora però lasciamelo dire, siamo nel momento della passione, ma non ci abbattiamo, perchè poi ci sarà la resurrezione. La Sposa di Cristo segue le sue orme.
Veramente siamo in attesa della Pentecoste 😉
Lasciamelo dire, io non penso che i “tempi liturgici” non stiano lì solo a far riempire calendari o ad ordinar messali…
C’è un “non” di troppo… ma si è capito.
@annarita
Se si parte da posizioni preconciliari, come mi sembra faccia tu, è certamente tutto nero nella Chiesa del post Concilio.
Mi dispiace, ma forse varrebbe la pena fare qualche sforzo in più per capire e per spiegare e non solo lanciare rancorose sentenze sul Papa traditore.
Temo però che il discorso non porterà molto lontano perché parliamo di due chiese diverse.
Non m piace il sogno del ritorno nostalgico ad una chiesa calata in una fantastica età dell’oro, forse mai esistita, dove prima di ogni cosa vale l’idolatria del rito e della forma.
E’ stato detto il rito è sostanza; beh, io penso che la sostanza preceda il rito!
Se c’è una fede sentita il rito sarà più che degno per glorificare Dio e per dare forza alle opere della comunità cristiana.
La Chiesa è una, non esistono due chiese e l’unico modo corretto di interpretare il Concilio è alla luce della Tradizione. Non lo dico io ma quel grande teologo di Papa Benedetto XVI.
Non esiste una chiesa preconciliare ed una postconciliare. Esiste la chiesa cattolica, con la sua tradizione. le sue scritture, il suo magistero. Con il concilio non arriva una nuova chiesa.
Tendenzialmente diffido di una fede “sentita”. Preferisco una fede “e basta”.
Giusi e Giancarlo, sono d’accordo con voi e … con BXVI!
Da meditare.
http://www.riscossacristiana.it/lo-spettro-della-mala-educazione-di-alessandro-gnocchi/
A proposito di forma, sostanza, educazione, trovate divertente che il Papa dica a due che si devono sposare: “Andate in galera l’anno prossimo”? Io no. Qui non c’è da fare la solita pantomima: l’ha detto, non l’ha detto, è stato il giornalista, si è capito male, è un’interpretazione…. C’è il video. Buonanotte
http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/2014/notizia/papa-francesco-a-due-promessi-sposi-andate-in-galera-l-anno-prossimo-_2042430.shtml
Oh Giusi, torniamo punto daccapo…
E come sempre le cose assumono le tinte degli occhiali che porta chi osserverà.
Battuta ironica rivolta certamente alla mentalità del mondo (matrimonio la tomba dell’amore. Ti sei fatto accalappiare. Ecc. ecc.)
Esce dal tuo sense of humor? Ma li Papa non dovrebbe dire certe cose…?
Per me non sarebbero invece neppure da riportare con tono scandalizzato. Punto.
A me Giusi non è parsa scandalizzata ma delusa, e secondo me ha tutto il diritto di esserlo.
Come negare il diritto a qualcuno di “essere” (cmq egli/ella voglia essere) ? 😉
Come di esprimere un pensiero sull’ “essere” altrui…
Bariom sei commovente. Persino il simbolo con cui appari è mutato, nemmeno lui è d’accordo. Il Papa non può fare battute da bar dello sport. Punto. A parte che tutto il video……. lasciamo perdere…..
Grazie del “commovente”… ho cercato di nascondermi “sotto mentite spoglie” (ma dipende solo dal cambio di “device”),
ma con queste o con quelle, rimango della mia idea 😉 (come tu della tua mi par di capire…)
Da meditare e … da diffondere! Grazie, Giusi!
Baldo, a parte che non mi pareva di essere rancorosa, ma sai scrivere le cose è più difficile che parlare e a volte chi legge vede ciò che non ci vuole essere. Detto questo Baldo, Gesù ha istituito una sola Chiesa e le chiavi le ha date non a me, nè a qualche assemblea, nè alla Cei, le ha date a Pietro, dunque a Pietro chiederà conto più che a noi di ciò che ne è stato fatto della sua Sposa. Pietro è sempre il principale responsabile, perchè è lui l’autorità e se Pietro tace, non condanna gli errori, lascia fare, delega, dovrà risponderne, volente o dolente. Certo tutti saremo giudicati, ma per come va la Chiesa, in special modo sarà giudicato Pietro. Per questo amare Pietro significa pregare per lui perchè sia retto, dotto, santo e non voler vedere che qualcosa stride non significa amare di più Pietro. S.Paolo resistette in faccia a Pietro quando Pietro voleva far circoncidere tutti, non è mancanza di carità, nè disobbedienza.
Non credo che prima del CVII ci fosse l’età dell’oro, altrimenti già S.Pio X non si sarebbe preoccupato del modernismo che dilagava, oggi forse siamo talmente immersi in tale modernismo che tutto ci appare normale, come se non ci fosse stato nessun importante cambiamento, come se non fossimo nel pieno di una crisi devastante della fede.
In quanto al rito non sono i miei sentimenti, la mia devozione, nè la mia fede sentita a far diventare buono un rito, pure i satanisti hanno una fede profonda, ma il rito che fanno è cattivo. La liturgia è buona se la sostanza è buona, ma cosa è la sostanza se non ciò che il sacerdote vuole fare? E se il centro del rito non è più Gesù, il suo sacrificio, ma l’assemblea, rimane buono? E se Gesù in tale rito non viene più riverito, adorato come si conviene rimane buono? La messa non dipende dalle nostre disposizioni mentali, Se prima del CVII non c’era l’età dell’oro certamente dal CVII le cose sono peggiorate visibilmente, perchè cambiare una Messa con una che non onora maggiormente Dio e non fa penetrare le anime ancor di più nel mistero? Perchè svilire la liturgia, tanto da far pensare a molti che li non ci sia più il corpo ed il sangue di Cristo, ma semplice pane?Chi, Baldo,doveva vigilare? Chi doveva condannare gli errori, gli eccessi, gli sbandamenti? Non io, fortunatamente Dio le chiavi le ha date a Pietro. Dunque non è una constatazione rancorosa la mia, ma una triste constatazione,.perchè se cado io, o se io permetto degli errori al massimo faccio cadere 5 o 6 persone, perchè non ho molta autorità, ma se a tacere è il Papa, avviene il disastro, perchè le anime vengono confuse universalmente. Il Papa è l’uomo più potente e importante del mondo, è colui sulle quali spalle stiamo tutti noi. Certo fortunatamente al disopra c’è Dio che mai può errare e che non ci abbandona, ma se Dio ha preferito non intervenire direttamente, ma delegare ai suoi ministri, ciò che fanno essi non è indifferente per la nostra salvezza eterna.
Si Annarita… rimane buono!
Dovresti sapere che persino la consacrazione delle santissime specie rimane valida quand’anche il ministro si trovasse in stato di peccato grave.
E ringraziamo Dio…
Il valore dell’Eucarestia, della stessa Liturgia proprio per la “sostanza” che viene consacrata e celebrata va OLTRE tutti nostri miseri umani limiti… o staremmo freschi e Dio non sarebbe Dio.
E’ come per la bestemmia. Vero è che viene detto che è grave offesa a Dio (ed è un peccato) ma per nostro ammonimento, se realmente Dio potesse essere “offeso” (cioè leso) nella Sua infinita grandezza, se l’uomo con un suo insulto potesse diminuire la Gloria della “sostanza” di Dio, Dio non sarebbe più “Dio”.
Non fraintendetemi: la bestemmia rimane gravissimo atto e riguardo la Liturgia deve essere fatto perchè rifletta e rimandi la Magnificenza di Dio (che se poi siamo realistici, sarà sempre un “pallido” riflesso…), ma non cadiamo per eccesso di zelo nell’errore opposto.
Poi Annarita, io non so che messe frequenti… ti posso assicurare che a me capita di frequentarne in luoghi diversi e distanti, ma “Perchè svilire la liturgia, tanto da far pensare a molti che li non ci sia più il corpo ed il sangue di Cristo, ma semplice pane?” accusando poi sostanzialemnte il CVII di questo, mi sembra veramente eccessivo.
Salvo che il tuo principale pensiero sia appunto che il CVII sia stato un passaggio deleterio per la Chiesa (un Concilio iniziato e terminato sotto l’egida di due Papi Santi…).
Non ti pare si configuri un “peccatuccio” di superbia… poi sai c’è anche una forma di bestemmia verso lo Spirito Santo, magari non espressa con 3 semplici parole, ma nella sostanza…
Perché lo SS agisce nei pronunciamenti della Chiesa a cui siamo chiamati ad attenerci riconoscendone, se non altro l’autorità – e non mi si venga a parlare di “cervelli all’ammasso e altre stupidaggini del genere…
Esagero? Può darsi… (e lo so che in molti si scandalizzaranno… perché in molti la pensano come la pensi tu sul CVII, ma il problema non è mio).
Bariom se dal Concilio Vaticano II non fossero derivati dei problemi non si sarebbero scomodati i Papi a dare giudizi e a cercare di aggiustare il tiro: da Paolo VI a Benedetto XVI, non sarebbero stati scritti fiumi di inchiostro. Io ti capisco, tu cerchi sempre di vedere il buono, ritieni che amare la Chiesa significhi non criticarla mai e forse hai ragione tu lo dico sinceramente però non siamo certo io e Annarita a creare i problemi, ci sono e altri molto più autorevoli di noi ne parlano compresi tanti santi uomini di Chiesa.
Infatti per me il problema sta nel “da dove si crede di veder nascere – o essere nato – il problema”… è non è neppure (come a taluni piace sostenere) il non voler vedere i problemi…
Passo sucessivo è l’atteggiamento mentale, psicologico, spirituale, che deriva dal ritenere di aver individuato la causa e in cosa (o in chi…).
Questo è il “punto dolens”. 😐
@Giusi @Giancarlo
“La Chiesa è una, non esistono due chiese e l’unico modo corretto di interpretare il Concilio è alla luce della Tradizione”.
Fate bene a ricordare che esiste una Chiesa sola e che il CVII si è mosso nella Tradizione di una Chiesa che legge i segni dei tempi, mantenendo intatto il depositum fidei. E’ bene ricordarlo a chi pensa che dopo il CVII per la Chiesa si siano aperte le porte della perdizione ed aspira a ritorno ad una Chiesa dell’età dell’oro, mai esistita, perché la Chiesa da millenni, prendendosi sulle spalle le crisi dell’uomo, risponde senza discontinuità alle sue eterne domande con l’unica risposta possibile: Gesù Cristo, via verità e vita.
@annarita
Scusami, forse la tua condanna non è rancorosa, ma è martellante e denota un sentimento non proprio benevolo nei confronti del Papa. Ed è venata da un peccato di superbia che, del resto è condiviso da tanti che circolano sul web a caccia di eretici e apostati, usurpando autorità che nessuno gli ha conferito.
Mi ripeto. Mi rimbombano in testa le domande di Paolo: “Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti operatori di miracoli? Tutti possiedono doni di far guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?” (Corinzi I 12, 29-30).
Dici bene che il mandato è di Pietro, e già ho detto che non mi scandalizzo delle critiche finanche al Papa.
Ma quando si prendono singoli episodi più o meno acclarati, discutibili, ma sempre quelli (il budda sull’altare, il bacio del corano, i balletti ecc…) per arrivare alla conclusione, che era in verità la premessa cui si voleva arrivare, di un Papa traditore, ma anche modernista, sincretista, scandaloso e chi più ne ha più ne metta, non è più correzione fraterna, ma aperta ostilità ai Papi del dopo Concilio, avendo in mente un’altra Chiesa dove è importante non la liturgia in sé, ma come si svolge: il rito, i paramenti, l’altare, il rifiuto delle chitarre o dei tamburelli (sic!). Dove si pensa che con la riforma liturgica non ci sia più Cristo al centro della liturgia. Dove si svilisce il senso della liturgia, come oggi è celebrata a pura rappresentazione.
Tutto questo non mi piace e ti ricordo la Costituzione SACROSANCTUM CONCILIUM che recita: “Dalla liturgia, dunque, e particolarmente dall’eucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini nel Cristo e quella glorificazione di Dio, alla quale tendono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa”. Chi mette in discussione questo anche nella liturgia celebrata dopo la riforma liturgica, si immagina veramente un’altra chiesa, perché accusa la Chiesa attuale e il suo Pastore di non mettere più al centro della sua liturgia e quindi della sua vita Cristo
Poi, credo che la fede che si vive in una comunità si rifletta sulla liturgia, non tanto perché validi quella liturgia, ma perché la fede di quella comunità esprime una liturgia più o meno viva, più o meno partecipata, più o meno curata. L’approssimazione in certe celebrazioni liturgiche non penso sia dovuta alla riforma liturgica.
@Giancarlo
“Tendenzialmente diffido di una fede “sentita”. Preferisco una fede “e basta”.
Puoi dargli gli aggettivi che vuoi: sentita, adulta (vedi in altro post), profonda, superficiale, speciale, ecc…
Puoi anche togliere l’aggettivo se più ti aggrada.
@annarita
Su una cosa siamo d’accordo: è necessario pregare incessantemente per il successore di Pietro, per la Chiesa e per il popolo di Dio, confidando nell’aiuto dello Spirito Santo !
🙂
Di fatto la Liturgia è (anche non solo) espressione della fede del popolo.
E’ quanto afferma un prefazio del messale attuale:
“Tu non hai bisogno della nostra lode, ma per un dono
del tuo amore ci chiami a renderti grazie;
i nostri inni di benedizione non accrescono la tua
grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva,
per Cristo nostro Signore”
E’ quindi lecito domandarci: lo svilimento, lo “svuotamento” della Liturgia di cui a volte (*a volte*) siamo testimoni, non è forse specchio della crisi di fede che attanaglia questi tempi e/o una singola specifica comunità?
Se sì – e credo sia innegabile – dove dobbiamo cercare le cause? Ad intra o ad extra delle singole comunità, quando non ancora dei singoli soggetti che compongono una singola comunità (e ognuno guardi a sé)?
La Chiesa è una realtà in qualche modo “atomica”, è un corpo che è un insieme di tante membra e arriverei a dire, di tante cellule. Sebbene le patologie possano anche riguardare “la testa”, nella stragrande maggioranza dei casi, le infezione, la malattia, i dolori, riguardano le singole membra, se non addirittura specifiche cellule (così si propaga persino il cancro… leggessi peccato in senso spirituale).
Ma vale forse la pena ricordare S. Paolo ai Corinzi:
“Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; né la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte.”
Penso sia molto importante il modo con cui uno si accosta alla liturgia. Per quel che mi riguarda cerco sempre di seguire con devozione e partecipazione una funzione in qualsiasi posto mi trovi. Ero giovane quando il CVII ha data il via a tutto quel “rinnovamento” che ho vissuto con gioia ed in prima persona . Ricordo le messe accompagnate dal suono delle chitarre, le messe di natale all’aperto nei quartieri più degradati della mia città. Le messe dopo una gita in montagna che avevano come altare una roccia e come sfondo delle splendide vette. Ma anche quelle solenni con i canti gregoriani, con un’attenzione particolare ai gesti e ai simboli.
Ultimamente ho seguito una messa in latino con il sacerdote che dava le spalle alla comunità, l’ho seguita con attenzione anche se non ho potuto capire le letture ed il vangelo. Ma se devo essere sincera, nonostante la solennità, i gesti, il canto non tornerò a seguire questo tipo di funzione perché voglio ascoltare e capire la parola di Dio e voglio pregare nella lingua che comprendo.
Tutta questo solo per sottolineare che se si crede veramente che il fulcro della liturgia e’ Cristo tutto il resto e’ importante solo perche’ vive di luce riflessa.
http://www.ansa.it/campania/notizie/2014/05/02/religioso-non-puo-visitare-tomba-padre_d70ff2cb-747a-4d4a-b412-0bacb5df98ca.html
Non è avanzata nemmeno una misericordina.
Bariom, in qualità di più buono del reame, organizza un pullman: andiamo pure noi!
http://www.radioradicale.it/scheda/409790
http://www.riccardiandrea.it/2014/04/marco-pannella-convalescente-riceve-la.html
Ah ah ah… basta che il pulman non lo debba pagare io! 😉
Se mai fosse lo farei privatamente o saprebbe troppo di “pellegrinaggio”…
Io spero che qualcuno gli dica (al Pannella) che nelle sue condizioni, forse gli resta ben poco tempo per convertirsi…! 😉
Mi ha convinta la frase finale di Mons. Paglia: “Tutti abbiamo bisogno di te”! Non me ne ero accorta! Bisogna far presto!
Forse voleva dire: tutti abbiamo bisogno di ^ LUI ^…
Lapsus freudiano? lapsus e basta? e basta…?
No, no abbiamo tutti bisogno di Pannella! Come ho fatto a non rendermene conto prima?
Così don Pietro Cantoni nelle conclusioni del suo “Novus Ordo Missae e Fede Cattolica” dell’84.
[…]
Abbiamo detto all’inizio che era nostra intenzione fare dell’apologetica autentica, la quale, fondata come è sulla verità e sull’obiettività, non può esimersi dal registrare anche quello che le critiche hanno di vero. Questo è importante per comprendere come le critiche sono state possibili e per aprire la strada ad una soluzione che dia soddisfazione ai malcontenti fondati.
Abbiamo così riscontrato uno sbilanciamento ecumenico eccessivo che dà luogo ad una certa confusione. L’attenuazione dei termini efficacemente propiziatori risulta poi tanto più pericolosa in quanto avviene nel contesto edonistico contemporaneo che ha perduto – è cosa evidente per tutti – il senso del peccato e ha dimenticato il valore del sacrificio. La centralità della presenza eucaristica risulta anch’essa attenuata, quando si tratta del nucleo centrale del mistero e di qualcosa di particolarmente ostico per la mentalità moderna refrattaria al «miracolo» e al «mistero» (e quindi bisognoso di più ferma professione). Anche la sottolineatura unidirezionale del sacerdozio dei fedeli ci pare molto pericolosa nel contesto ugualitaristico contemporaneo, per cui il rischio di comprendere tutto – senza distinzioni – in un’ottica «democratica» risulta tutt’altro che chimerico.
La prima redazione dell’IGMR ha poi messo in circolazione un testo (il famoso articolo 7) perlomeno gravemente ambiguo nella forma (definizione?) e nel contenuto (la Messa è un’assemblea?). Questo testo purtroppo, nonostante l’autorità lo abbia corretto e abbia dunque lasciato il testo modificato come unico valido, continua a circolare …
A queste (e ad altre che si trovano sparse nel tessuto dell’argomentazione) si può aggiungere una osservazione di carattere più generale.
Il fatto che il NOM si presenti come un rito nuovo. Nuovo sotto tanti punti di vista. Quanto al modo della sua comparsa: «molto è successo in modo troppo improvviso – osserva il card. Ratzinger – in modo tale che per molti fedeli non era più riconoscibile l’intima unità con ciò che precedeva». Quanto alla relazione con il Messale precedente: «si è data l’impressione di un nuovo libro, anziché presentare il tutto nell’unità della storia liturgica» e con il Concilio: «qui è stato travolto anche lo stesso Concilio, che per esempio aveva ancora detto che la lingua del rito latino rimaneva il latino dando alla lingua volgare uno spazio conveniente. Oggi ci si può chiedere se esiste ancora un rito latino; una coscienza di esso è a stento ancora riscontrabile». Quanto al modo con cui è stato realizzato: il nuovo Messale «è stato realizzato come se fosse un nuovo libro elaborato da professori e non una fase di una crescita continuata. Una cosa simile, in questa forma, non era mai successa, contraddice il modello del divenire liturgico e proprio questo procedimento ha soprattutto provocato l’idea assurda che Trento e Pio V avessero fatto, da parte loro, un messale quattrocento anni fa. La liturgia cattolica è stata così declassata a prodotto degli inizi dell’età moderna e, in questo modo, si è prodotto uno scivolamento di prospettiva che è inquietante». Inquietante perché rischia di compromettere qualcosa di essenziale: «la coscienza dell’ininterrotta intima unità della storia della fede, che si manifesta proprio nell’attuale unità della preghiera proveniente da questa storia»i.
Ciononostante dobbiamo affermare, come conclusione che ci pare ampiamente dimostrata dal nostro studio, che l’«intima unità» di cui parla il card. Ratzinger, sia sostanzialmente conservata nel NOM, anche se la sua manifestazione ha subito qualche attenuazione. Non si può legittimamente mettere in dubbio che si tratti di un rito cattolico, che rappresenta, rispetto alla sostanza del mistero celebrato, un cambiamento soltanto accidentale, espressione di un avvicinamento ecumenico, che può essere discutibile nella «politica» che sottintende, ma non può essere accusato di compromesso dogmatico.
Detto questo non possiamo non auspicare che una «riforma della riforma» venga a ridonare una maggiore limpidità al rito della Messa, fugando definitivamente ogni restante ombra e permettendo così a tutti, anche a coloro che un certo ecumenismo ha allontanato, di partecipare ancor meglio al mistero del Corpo e del Sangue del Signore, in attesa che, caduto il velo dei sacramenti, possiamo partecipare insieme, nella visione, alla Messa eterna.
Una certo rispettabilissima opinione, che contiene spunti interessanti di riflessione, ma che opinione resta.
Opinione legittima, perciò, che può essere sostenuta, in forme poi più o meno condivisibili certamente, senza che chi la sostiene debba per forza essere accusato di: rancore, superbia, ossessione, ecc., giusto? 😉
GIUSTISSIMO !! 😉
E così dovrebbe essere da ambo i “fronti”, ma ahinoi, sia dai primissimi tempi siamo spesso inclini al voler essere di “Paolo o di Apollo…” 😐
“A testimonianza di molte persone che l’hanno conosciuto, Padre Tomas Tyn si distingueva per il fervore e il raccoglimento con i quali celebrava il Santo Sacrificio, fosse esso il rito nuovo o fosse il rito antico. Solitamente celebrava il primo, ma settimanalmente celebrava anche il secondo nella chiesa di San Domenico in Bologna, annessa al convento nel quale abitava. E ciò avvenne alla fine degli anni ’80, a seguito di una richiesta fatta al priore della comunità da parte del card.Giacomo Biffi, l’allora Arcivescovo di Bologna. E il priore incaricò appunto Padre Tomas…
Tra le molte testimonianze di questa sua stima per la liturgia e in special modo per la Santa Messa, mi limito a citare un brano da una sua lunga lettera che egli scrisse nel 1985 all’allora Cardinale Ratzinger…
“Desidero dire qualcosa sulla sacra liturgia, soprattutto per ringraziare l’E.V. per l’opera compiuta per favorire l’indulto che permette la celebrazione del divino sacrificio secondo il rito di S.Pio V di f.m. Ho già fatto pervenire, per mezzo del Rev.Padre Priore all’Em.mo Card.Giacomo Biffi, Arcivescovo di Bologna, una relazione sulle Messe tuttora celebrate nella basilica bolognese di S.Domenico e così, dopo avere informato il mio Superiore immediato, Reverendissimo Padre in Cristo, oso esprimere la mia gioia anche a Lei.
Quanto è santa e sublime quella letizia della quale si riempie il cuore tanto del sacerdote celebrante quanto del popolo assistente, allorché quel rito, venerabile per l’antichità, viene compiuto, quel rito, cioè, che tutto e soltanto a Dio si volge, a Cui, come a Padre clementissimo, il Figlio crocifisso, nell’oblazione del suo divino sacrificio, rende somma gloria e lode, un rito tanto sublime in tutte le parole e i gesti di cui fa uso ed infine tanto bello ed elegante, tanto accetto al popolo che partecipa con viva fede (né è noto ai Cristiani un altro modo di vera partecipazione). Non ho mai potuto capire, e neanche adesso riesco a capire, perché tanta bellezza debba essere stata espulsa dalla Chiesa. Si obietta che essa costituisce un certo diletto accessibile a pochi; ma – e ciò è degno di nota – simili “obiezioni” non è solita muoverle la gente semplice e devota, ma piuttosto una certa pretesa aristocrazia (tuttavia perversa, che meriterebbe piuttosto il nome di “cacocrazia”), fastidiosa e pseudointellettuale, turbolenta per la sua presunzione, dedita al nichilismo, che sostiene e produce il brutto al posto del bello”.
Il Cardinale Ratzinger nella sua risposta diceva tra l’altro: “leggendo la sua lettera sono stato preso da una grande gioia per la piena concordanza tra noi, sentendo in tal modo la forza unificatrice della verità, la quale ci è concessa nella fede cattolica”.
Le parole severe di Padre Tomas contro coloro che rifiutavano la Messa tridentina non vanno intese come segno di minor stima per la Messa del Novus Ordo, che egli invece celebrava devotamente ed esemplarmente, come si è detto, ogni giorno, con la massima diligenza ed obbedienza alle cerimonie prescritte, senza approfittare dello spazio di creatività concesso per esibirsi in esternazioni men che consone alla dignità del rito sacro, per non parlare di certe profanazioni o sconcezze che capita oggi di vedere in alcune circostanze.
Da notare inoltre che P.Tomas si prestava volentieri alla concelebrazione, cosa che non era prevista dalla Messa tridentina ed invece, come si sa, è raccomandata dalla Messa riformata…
Stando così le cose, sono convinto che l’esempio di Padre Tyn dovrebbe oggi esser seguìto da molti sacerdoti ed è tale da darci sicura speranza che, con l’esercizio della carità da parte delle due correnti che si fronteggiano – una per la Messa di Paolo VI, l’altra per quella di S.Pio V – questa incresciosa situazione sarà superata per la pace e la concordia degli animi nel momento centrale della vita cattolica, nel quale appunto deve manifestarsi il vertice della comunione fraterna e con Dio, e sul quale deve fondarsi la ragione prima della mutua carità e del comune cammino verso il regno di Dio.”
http://blog.messainlatino.it/2010/06/la-messa-di-p-tomas-tyn-ventanni-dalla.html
Ciò che non mi riesce di comprendere e come è perché secondo taluni, il celebrare secondo l’ “antico rito”, divenga ipso facto modo per “approfittare dello spazio di creatività concesso per esibirsi in esternazioni men che consone alla dignità del rito sacro, per non parlare di certe profanazioni o sconcezze che capita oggi di vedere in alcune circostanze.”… 😐
Ho inoltre l’impressione che più che gli “osteggiatori” del rito Tridentino (io personalmente non ho nulla “contro”), siano in molti gli “osteggiatori” dell’attuale liturgia, che spingono questo loro osteggiare, sino ogni sorta di giudizio su chi con questo rito celebra… in fin dei conti loro fratelli e sorelle in Cristo.
Concordo pienamente con Bariom
Nulla contro il rito tridentino, molto da dire su chi, dall’altra parte, obbietta che Cristo non è al centro della messa celebrata secondo la riforma liturgica e cioè, in fin dei conti, che Cristo non è al centro della vita della Chiesa, con tutto quel che ne consegue.
E mi chiedo ancora: ma dove andate a messa? Dove trovate tutta questa messe di sconcezze e profanazioni? Mah! 🙁
Baldo in tante chiese Cristo non è più al centro, lo relegano in qualche sgabuzzino laterale…..
Questo Giusi – come dovresti sapere – ha precisi motivi che attengono ad un rinnovamento (non nel senso di novità) degli aspetti anche architettonici in funzione dei Segni Liturgici.
E anche qui, sterile, innalzare subito grida di “lesa maestà”, perché la razio è (tra le altre, non la sola) quella di porre – giustamente – al centro la presenza di Cristo nel Suo essere sull’altare (già l’altare stesso è segno di Cristo) nelle Memoriale del suo Sacrificio e nella presenza reale del Corpo e del Sangue.
Il Cristo presenza nel Tabernacolo è riportata ad un spazio più raccolto e ridotto in funzione dell’Adorazione e in particolare di quella feriale (che certo non vede masse di fedeli presenti).
Il voler caparbiamente restare ancora ti alle proprie visioni, per lo più legate a circostanze abituali o abitudinarie e contraddittorio. per un popolo che perennemente dovrebbe essere in cammino e in una sorta di perenne “novità”. Novità di Dio che ogni giorno fa un cosa nuova ( certo speriamo che il tabernacolo non venga spostato ogni giorno 😉 ).
Tornando alle modificazioni architettonico-liturgiche, è bene tenere presente che la disposizione del Tabernacolo in luogo diverso dall’abside centrale o principale era già presente nel corso dei secoli passati e molte sono le chiesa, anche cattedrali a testimonianza di ciò.
Altro grande “sconvolgimento” dei secoli scorsi, fu quello di abolire l’uso – che divenne poi non-realizzazione nelle chiese più recenti – della miriade di altari e altarini laterali, che avevano finito per ingenerare la celebrazione di più messe contemporaneamente anche a ristretti usi piuttosto “privati”…
Allora come oggi probabilmente vi fu più di una voce di malcontento, ma possiamo dire forse oggi che fu un male?
Poi, a dirla tutta, anche sulla situazione e sugli “abusi” dell’architettura sacra principalmente quella cattolica, si potrebbe dire molto… ma questo è un altro capitolo.
Io durante la Messa voglio avere il Signore di fronte!
C’era un detto una volta: “l’erba voglio….”
E cmq ce l’hai, se non lo riconosci, se non lo vedi, sono triste per te.
Non ti preoccupare Bariom che non sono sola e di chiese con Gesù al centro ce ne sono per foruna ancora molte.
http://www.iltimone.org/Il+sacro+nella+liturgia_+cio%C3%A8+il+Santissimo/27889,Articoli.html
Mi sa che non si vede. Lo copio incollo perchè è interessante:
…
Il sacro nella liturgia, cioè il Santissimo
di Don Nicola Bux
La secolarizzazione del sacro, tipica del post-Concilio Vaticano II, non si è fermata all’esterno delle chiese ma è entrata all’interno. Si è tentato di rendere la liturgia una imitazione del profano, con il chiasso, la materialità e la distrazione di cui esso è carico.
Ma il Magistero ha sempre parlato chiaro…
Non è infrequente incontrare cristiani che dicono: vado in chiesa per poter percepire, entrare nel mistero, nel sacro e, invece, mi trovo immerso nella caricatura del profano: dal tipo di musica e di canto, alle vesti stravaganti dei ministri, a preti che per il loro protagonismo sembrano degli showmen.
Un sintomo grave: il sacro non c’è più, forse molti non sanno che cosa sia, mentre il mondano, termine più comprensibile di profano, la fa da padrone anche in un luogo come la chiesa. Ci accorgiamo di colpo del sacro quando per entrare in una moschea o in un tempio buddista o in una sinagoga ebraica ci viene chiesto di toglierei le scarpe o di inchinarci a mani giunte o di coprirei il capo.
Un po’ spaesati lo facciamo, forse ritorniamo ad avvertire quel senso innato di timore misto a stupore che affiora di fronte a qualcosa di insolito, di arcano, di più grande di noi: il sacro. Poi, ci interroghiamo: come mai nelle chiese le suore e i preti per primi non osservano il silenzio, anzi parlano ad alta voce, esigono che non ci si debba inginocchiare e inchinare perché gesti servili indegni dell’uomo? Qualcosa non va.
Nel frattempo, nuove liturgie sono sorte che consacrano il profano come una volta; certo, non si tratta delle adunate oceaniche del periodo nazista a Berlino in cui si inneggiava al mito del sole roteante, né delle sfilate sulla piazza Rossa di Mosca per rendere culto alle personalità di turno del regime; oggi ci sono le fiaccolate, le marce e i cortei, novelle processioni secolari; non sono più le immagini sacre o il Santissimo Sacramento a essere ostentati, ma bandiere, cartelli e nuovi simboli teosofici. Un tempo le fiaccole accompagnavano le immagini sacre, oggi affiancano le nuove religioni. A questo è giunta la secolarizzazione del sacro, che non si è fermata all’esterno del tempio ma vi è entrata, tentando di rendere la liturgia una imitazione del profano, carica di tutto il chiasso, di tutta la materialità, di tutta la distrazione di cui è carico il profano. Profano dapro-fanum, davanti o fuori del tempio. Profanità vuoi dire spazio di lontananza da Dio che, invece, vive nel “sacro” e nel “santo”, che è necessario perché sia rispettata l’autonomia della creatura.
L’essere u mano deve poter vivere fuori del fanum, perché possa decidere liberamente di entrare nel tempio una volta capita la differenza e avvertita l’esigenza di incontrare colui che è all’origine di sé. Se il profano fosse anche sacro, avrebbero ragione i cultori del diavolo che invertono i segni sacri del culto cristiano per consacrare quanto è male e peccato.
Il peccato rovina la creatura, deturpa il profano e profana il sacro, ferisce la realtà creata nella sua autonomia oltre che nella sua dipendenza. Ecco perché deve intervenire il Salvatore a restaurare l’autonomia della realtà creata estirpando, guarendo il peccato. La salvezza non viene a consacrare la profanità, che è già in se stessa lo spazio dentro cui si gioca il valore sacro della libertà dell’essere umano, ma viene a restaurare e ad elevare il naturale, la realtà creata. Si dovrebbe gioire e gustare il mondo, non solamente usarlo. La guarigione dal peccato permette di gioire del mondo, di saper godere della realtà eliminando ciò che può guastarla.
La liturgia è lo spazio in cui tutto questo entra continuamente in gioco. Nella liturgia l’uomo disorientato dal peccato riceve la salvezza e uscendone redento è capace di incidere sulla realtà del mondo con l’energia che ha ricevuto. Così il profano viene orientato al sacro. Proprio perché il visibile è presupposto della liturgia, la realtà profana è davanti al sacro, la natura alla sopranatura che a sua volta tende continuamente a ridare significato e a trasformare la natura. Questo ha donato l’incarnazione del Verbo. È questa, dice Mircea Eliade, la ierofania suprema, per un cristiano (Cfr Le sacré et le profane, Paris 1965, p 5). Con l’ingresso del Verbo nella storia, la storia diventa una teofania. Ancora Eliade sottolinea la novità assoluta dell’incarnazione quando dice che: «è stata una grande rivoluzione religiosa; troppo grande perché possa essere assimilata in duemila anni di vita cristiana» (Mythes, réves et mystères, Paris 1957, p 254). Il profano desacralizzato col peccato riceve la sacralizzazione con l’esperienza salvifica. La liturgia risacralizza, risignifica, appunto consacra. Nei sacramenti si prende una realtà profana, naturale: il pane, il vino, l’olio, l’acqua, l’amore, la sofferenza e la si consacra attraverso la speciale preghiera. Si rende sacra la realtà profana, la quale già è orientata, è davanti al fanum, semplicemente si destina questa realtà – come per l’offerta o anafora della Messa – al fine per cui è stata creata.
Il rapporto tra sacro e profano, prima dialettico, diventa dialogico, ma tra loro restano distinti. Il profano è il sacro in potenza, che attende di attuarsi. La realtà del mondo è profana, attende la salvezza di Cristo.
Ai tempi del Concilio Vaticano Il c’era chi proponeva l’eliminazione del sacro sostenendo che tutto è sacro; così si è causata la polarizzazione ormai evidente: da un Iato, un eccessivo impegno nel mondo, l’attivismo e il secolarismo che hanno portato alla riduzione del sacro a profano e, all’opposto, lo spiritualismo, con la fuga dal profano nel sacro. Invece, come è diventato evidente ai nostri tempi, la distinzione tra sacro e profano è irrinunciabile. Il teologo ortodosso Pavel Evdokimov ha osservato: «Dall’unica sorgente divina: “siate santi come io sono santo”, discende tutta una graduatoria di consacrazione o di cose sacre per partecipazione. Esse operano una deprofanizzazione, una devolgarizzazione nell’essere stesso di questo mondo. Tale azione di penetrare nel mondo è propria dei sacramenti e degli atti sacramentali, i quali insegnano che, nella vita cristiana, tutto è sacramento o sacro in potenza, poiché tutto è destinato al suo compimento liturgico, alla sua partecipazione al Mistero» (L’Ortodossia, Bologna 1965, p. 291).
AI centro di questo movimento c’è l’Eucaristia. Perciò la Chiesa, in Oriente e in Occidente, ha posto sempre al centro l’altare con l’artoforio o ciborio o tabernacolo del SS. Sacramento. Chi ai nostri giorni lo ha rimosso per mettere al suo posto la sede del sacerdote, e lo ha relegato in ambiente separato dalla chiesa sino a renderlo introvabile, dovrebbe confrontarsi con quanto ha scritto il primo documento esecutivo della riforma liturgica del Vaticano II: «La SS Eucaristia si custodisca in un tabernacolo solido e inviolabile posto in mezzo all’altare maggiore o ad uno minore, ma che sia davvero nobile, oppure, secondo le legittime consuetudini e in casi particolari da approvarsi dall’Ordinario del luogo, anche in altra parte della Chiesa davvero molto nobile e debitamente ornata. È lecito celebrare la messa rivolti verso il popolo anche in un altare sul quale ci sia il tabernacolo, di piccole dimensioni, ma conveniente» (Istruzione per l’esatta applicazione della Sacra liturgia Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n 95).
Paolo VI tornava a ribadirlo nell’Enciclica Mysterium Fidei: «Durante il giorno i fedeli non omettano di far la visita al santissimo Sacramento, che deve essere custodito in luogo distintissimo, col massimo onore nelle chiese, secondo le leggi liturgiche, perché la visita è prova di gratitudine, segno d’amore e debito di riconoscenza a Cristo Signore là presente» (3 settembre 1965).
Benedetto XVI ha riaffermato la centralità del tabernacolo nell’Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis: «La sua corretta posizione, infatti, aiuta a riconoscere la presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento» (n. 69).
La sua tenda o tabernacolo custodisce il mistero del suo corpo e del suo sangue, la sua Presenza. È coscienza raggiunta dalla Chiesa che il Mistero è sempre presente perché viene prima di ogni altra cosa: sono io che devo farmi presente a lui con l’adorazione; è la sua presenza permanente a ridestare continuamente la mia fede. Cristo è venuto nel mondo per stare con noi tutti giorni. E il Sacro, anzi il Santissimo permane tra noi.
RICORDA
«La liturgia è sacra perché scende dall’alto, da Dio che è nel cieli, perciò è “Ill cielo sulla terra”».
(Nicola Bux, La riforma di Benedetto XVI. La liturgia tra innovazione e tradizione, Piemme, 2008, p 20).
I
Ma nelle chiese che frequenti, durante la messa,i c’è l’ostia consacrata?
Certo, ma Gesù lo voglio di fronte a me sin dall’inizio della Messa: non mi devo fare venire il torcicollo o andare in un’altra stanza o ritrovarmi davanti un trono senza tabernacolo per accogliere il sacerdote faraone!
sarebbe interessante cheidersi cosa vuole Gesù, a parte ciò che vogliamo noi/che ci piace a noi…
Su novus e vetus ordo ci vorrebbe un po’ di equilibrio. Tutt’e due sono pienamente validi e leciti e dovrebbe cadere ogni ostilità verso il vetus ordo. Per quanto riguarda il novus ordo bisognerebbe ritornare a quello che il CVII e la Sacrosanctum Concilium avevano realmente stabilito, senza tutte le interpretazioni fantasiose che sono poi entrate nella ordinaria celebrazione della messa, con particolare riferimento all’abbandono della lingua latina e della musica sacra e liturgica. Un capitolo a parte poi meriterebbe la spettacolarizzazione della messa operata da tanti sacerdoti: omelia trasformata in comizio o gag comica, applausi a scena aperta (soprattutto durante matrimoni o riti funebri), scambi di battute tra celebrante e popolo di Dio e tutte le vergognose libertà che si prendono certi sacerdoti in certe occasioni (introduzioni di pupazzi, cartelloni, corpi di balletto ed amenità varie), se ne sono viste davvero di tutti i colori.
Meno male che la lingua latina e’ stata abbandonata e per la messa viene usata la lingua del luogo. Altrimenti la messa finiva per essere capita e compresa solo dai pochi eletti che conoscevano il latino, il popolino rispondeva a comando e a memoria, storpiando le parole senza sapere cosa stesse dicendo. Certo la messa era più solenne ma questo le dava la patente di più vera e seguita?
La lingua latina è stata abbandonata contrariamente alle indicazioni del CVII. Uno dei tanti abusi divenuti normali.
Già. Inoltre, quel popolino che “rispondeva a comando e a memoria” quanta e quanto grande fede aveva e nutriva! (e per giunta, in chissà quanti casi, anche più dei “pochi eletti” che capivano, scommetto…)
Che poi non è neanche vero. Fino all’età di 18 anni ho vissuto in un paese del sud dove il livello culturale non era certo eccelso. La messa in latino la ricordo molto bene.La chiesa era sempre gremita, tutti conoscevano le preghiere e i canti a memoria e il senso lo capivano benissimo.
Giancarlo, concordo.
Concordo anch’io (spettacolarizzazioni ecc…).
Unico appunto, non si può a ragione inserire l’abbandono della lingua latina (che peraltro non è divenuto un “divieto”) a favore di ogni lingua nazionale, tra le “le interpretazioni fantasiose” (che ben vale per spettacolarizzazione ecc).
Molto ci sarebbe da dire su questo punto, ma temo servirebbe solo ad alzare (nuovamente) le solite “barricate”.
Grazie, Roberto!
Sara, prego! 🙂
Bairom io non ho detto messa nuova uguale messa invalida, ma ho chiesto se è buona, se nutre le anime quanto quella precedente alla rivoluzione liturgica.
AAAAHH!!! allora se dici che il CVII è buono perchè due papi a lui legati sono santi mi confermi in un dubbio, che si siano canonizzati tali papi per canonizzare una volta per tutte il CVII, che già era esaltato come super dogma ora non si potrà nemmeno più discuterci sopra visto che due papi del CVII sono santi. Bella mossa! A parte gli scherzi, l’albero buono si riconosce dai frutti ed io non vedo frutti buoni, almeno non così buoni come vogliono farci credere. Probabilmente avete ragione voi, nel senso della mia superbia, ma è inconscia, almeno non è voluta, non so è una mia peculiarità o per meglio dire un mio difetto, quello di non riuscire a dire diverso da ciò che penso, perchè vedo e ciò che vedo non mi entusiasma molto. Bairom dici, che il rito VO è ancora valido, beh! se per questo lo era anche prima che lo dicesse Benedetto XVI, nessun papa, l’ha mai abrogato, se poi si pensa all’anatema posto da S.Pio V, che vieta appunto l’abrogazione e il cambiamento di tale messa, beh! abbiamo una certezza in più, detto questo però non mi pare di vedere tanta benevolenza in giro verso tale rito, anzi vedo tanti divieti, prendi il caso dei Francesacani dell’Immacolata, ma basta anche vedere i semplici sacerdoti diocesani che cercano di dire tale messa quanti problemi hanno sempre, se non dal vescovo dai loro confratelli che li stigmatizzano come lefebvriani. Non è rosa e viole come credi, temo che di superbi oltre a me ce ne siano altri, molto più dannosi, perchè si credono di essere gli oracoli di Dio perseguitando i confratelli. Chissà, forse, perchè certi sacerdoti e certi fedeli fanno spesso rodere la coscienza a chi la coscienza vuole tenerla addormentata. Forse dico. Io grazie al cielo ho trovato sacerdoti che ancora insegnano la dottrina cattolica e dicono una messa che onora Dio ed edifica le anime, perciò forse mi lamento troppo, ma sarà per superbia o forse, perchè vorrei per tutte le anime tale fortuna. Il bello, il sacro, il vero dovrebbero essere per tutti non solo per qualche fortunato. per questo dico che chi deve vigilare risponderà a Dio del fatto che anime (magari non noi che dobbiamo solo baciarci i gomiti per ciò che abbiamo) siano mal nutrite a volte ingannate, spesso infarcite di idee new age o moderniste. la Chiesa è universale oppure no? Tanto per fare un esempio il sacerdote del mio quartiere dice che si possono usare gli anticoncezionali se uno non vuole avere ulteriori figli e così fanno tranquillamente i suoi parrocchiani. Dunque è uno zibaldone, chi ha la fortuna di avere un buon sacerdote se la cava, ma chi non ce l’ha? Il fatto è che non può essere così la cosa, nel senso che le autorità devono vigilare e i comandamenti, la dottrina e la morale devono essere uguali per tutti i cattolici, non a seconda del luogo, della temperatura, del clima e della vegetazione. Se il Papa (e ridaie) non è più la guida, non riprende per le orecchie chi dice menzogne ai fedeli, non parla chiaro (si,si,no,no) quelli sotto di lui si lascieranno andare e quelli ancora più sotto si sbragheranno e noi fedeli ci infangheremo fino alle orecchie. Dopo questo non vi stresso più, ma il mio non è disamore verso il Papa, è l’essere esterefatta di come le cose vanno, ogni giorno una sciocchezza nuova, come l’ultima telefonata alla divorziata, alla quale si dice di andare tranquillamente a fare la comunione, basta che si confessi. Ma scherziamo? Non basta che si confessi, perchè se la divorziata non cambia vita radicalmente, cioè non cambia il suo stato di pubblica peccatrice (o peccatore) non può avere l’assoluzione. Il pentimento vero è il mutar vita. Ma hanno ,preso i cattolici per scemi? Forse dopo tanti anni di mal catechismo dove non esiste più il peccato, dove l’Inferno è vuoto, perchè Dio è buono, molti cattolici (dai, per non esagerare dico qualcuno) hanno perso la bussola. Mi domando io, ma di chi è la colpa? Sempre di qualche anonimo? Sempre della società indistita o dei disobbedienti (i cui nomi non sono mai conosciuti), del tempo pazzo, o di Berlusconi? Dalla bocca del Santo Padre ogni cattolico vuole sentir uscire la voce di Cristo (di cui è il vicario) nulla di più e nulla di meno.
Annarita io ti quoto perchè vedo quello che vedi tu e sempre più dilagante. E basta co ‘sta storia dei lefebvriani! Se i Francescani dell’Immacolata fossero tali che problema ci sarebbe? Proprio nessuno! E’ proprio perchè non lo sono e non lo vogliono essere che ci sono i problemi! Perchè puoi cantare Bella Ciao in chiesa, puoi essere favorevole agli anticoncezionali, all’aborto, puoi negare il peccato originale, puoi dire che non c’è bisogno di confessarsi, puoi essere favorevole alla Comunione ai divorziati risposati, puoi accogliere in chiesa gente seminuda etc. etc. e va tutto bene nessuno dice niente ma se vuoi essere un sacerdote alla maniera di Padre Pio (loro stella polare) allora apriti cielo! Sei retrogrado, ti commissariano!
Concordo anch’io, per quel (nulla) che vale.
@Annarita, ti rispondo per un senso di cortesia e perché ti sei direttamente a me rivolta, perché quando già tante cose si son dette, le posizioni credo chiarite e se sono state fraintese credo manchi di fondo la voglia di chiarirsi, o piuttosto vi sia la volontà di mantenere una posizione per partito preso… e alla fine entrare in dialettici “tunnel” che niente affatto mi appassionano.
Vedi la questione dei Santi Papi… io credo debba essere un motivo di riflessioni, tu lo vedi come se qualcuno volesse imporre un dogma. Problema del tuo vedere, del tuo far dietrologia… poi dici “a parte gli scherzi”… ecco spero tu stessi realmente scherzando.
“L’albero buono si vede dai frutti”, come non riconoscer vera una parola che è Parola di Dio, ma io proprio non capisco come chiunque di noi, comunissimo fedele, credente, praticante (molto probabilmente anche peccatore), possa pretendere di fare affermazioni su “frutti buoni o cattivi” su problematiche di tal portata e soprattutto applicando il suo giudizio e il suo dire praticamente alla Chiesa Universale!!
Tu come fai?? Hai il dono della Scienza infusa, della Profezia, Del Discernimento sui Tempi?
Se così fosse penso lo Spirito Santo altro ti avrebbe dato da fare che non interloquire (con me poi…) su questo blog…
Se tu mi dicessi che “nella parrocchia che frequenti, in questa o in quella, in 5-10-fosse anche 50” che son comunque poca cosa rispetto TUTTA la realtà Ecclesiale, hai visto questo o quello, che a tuo giudizio ecc, ecc potrei capire, diversamente no. Certo poi chi ha questa o quella idea o ipotesi, porta a sostegno questo o quel pensiero di figura di ben altro spessore che non il nostro, ma anche così ben poco si dimostrerebbe…
Se ciò che vedi non ti entusiasma, ne sono rattristato… io vedo spesso cose che mi rattristano, anche che mi urtano, ma resto sempre entusiasta dell’opera che Dio sta compiendo nella Sua Chiesa anche in questo Tempo, resto entusiasta quando incontro anche una sola persona che sapevo lontana e che scopro toccata dalla Grazia di Dio.
Che vuoi che ti dica, sarò un illuso, un inguaribile “romantico”, sarà che la conversione mia e il crescere dei miei figli nella Fede è figlia di questa Chiesa e (anche) di questa Liturgia.
Poi mi dici: “…dici, che il rito VO è ancora valido, beh! se per questo lo era anche prima che lo dicesse Benedetto XVI, nessun papa, l’ha mai abrogato…” ho mai sostenuto che fosse stato abrogato?
Poi tiri in ballo un sacco di casi specifici, il parroco Tizio, l’altro Caio, che vuoi che ti dica, forse che io ne so qualcosa? Neppure ti dico che non mi fido del fatto che me lo riporti, ma siamo sempre lì, un caso, due casi, 100 casi (conosci, hai prove di cento casi? A parte le straparlate sul web che poi più di metà risultano quanto meno “mal raccontate”)… alla fine si arriva a ragionare come quelli che perché nella Chiesa ci sono stati enne casi di pedofilia (cosa TRAGICA), la Chiesa è un covo di pedofili.
Poi mi parli dei Francescani (come Giusi…), non ne so nulla!! Quindi che vuoi che ti dica? Caso eclatante, magari, forse, ma non specchio (secondo me – tu la vedrai all’opposto) di una situazione di TUTTA la Chiesa.
Tu sei testimone di casi certi, di cui sei spettatrice? Fai come fa Giusi (forse già lo fai…) prenditi le tue responsabilità e agisci come lo Spirito ti suggerisce di agire.
Anche qui stare sempre a preoccuparci noi delle tante supposte anime candide che verranno scandalizzate… mah… io mi preoccupo di non essere io a dare scandalo. Poi se un’ “anima” scandalizzata mia avvicina, se ho un po’ di discernimento, come tu pensi di avere su tante cose, cercherò di dare un parola buona, un aiuto. Un aiuto che porti a stare nella verità, ma che possibilmente non porti al giudizio su alcuno, o meglio sul fatto, ma non sulla persona… non è che dico delle novità.
“…chi ha la fortuna di avere un buon sacerdote se la cava, ma chi non ce l’ha?”
Appunto chi non ce l’ha, in cosa non se la cava? Non penserai certo non se la cavi con la Vita eterna perché è incappato in un cattivo sacerdote… stiamo scherzando?
Insomma io sinceramente, non capisco dove dovrebbe portare tutto questo discorso della perfezione terrena della Chiesa e dei suoi Ministri, perfezione peraltro che si riparametra sul NOSTRO giudizio di perfezione (che è tutto dire…) e dal quale poi dipenderebbe la sorte dell’anima nostra e delle altre povere pecore smarrite.
La Chiesa e Santa e Peccatrice e non c’è NESSUNO esente da peccato o si fa di Cristo un bugiardo (non è parola mia…).
Allora va bene tutto? No! Facciamo tutto quanto Dio ci concede di fare perché la Chiesa brilli dalla Santità di Dio… ma per favore: COMINCIAMO da NOI STESSI (che già ne avremo da fare per il resto dei nostri giorni).
Cara Annarita, ti abbraccio, ti saluto caramente e considero concluso l’argomento.
Cristo è Risorto! E’ veramente Risorto. Alleluia, Alleluia!
Bene… 3 concordi contro uno. Sono in minoranza… Amen 😉
Bariom, concordo pienamente con quello che dici, davvero Cristo e’ Risorto, Alleluia!!!!
Perdona Bariom, scrivi “la Chiesa è Santa e Peccatrice”.
Per evitare equivoci, che so non intendi alimentare, è corretto affermare (come so tu professi e credi) che la Chiesa è santa, immacolata, incontaminata (come s’addice alla illibata Sposa di Cristo, il senza peccato, l’innocentissimo) ma accoglie nel suo seno i peccatori, per purificarli e condurli alla santità. La Chiesa dunque è santa e santificante, non peccatrice.
CCC 823 « Noi crediamo che la Chiesa […] è indefettibilmente santa. Infatti Cristo, Figlio di Dio, il quale col Padre e lo Spirito è proclamato “il solo Santo”, ha amato la Chiesa come sua Sposa e ha dato se stesso per essa, al fine di santificarla, e l’ha unita a sé come suo corpo e l’ha riempita col dono dello Spirito Santo, per la gloria di Dio »…
824 Tutte le attività della Chiesa convergono, come a loro fine, « verso la santificazione degli uomini e la glorificazione di Dio in Cristo »… È in essa che « per mezzo della grazia di Dio acquistiamo la santità».
“La Chiesa è santa, pur comprendendo nel suo seno dei peccatori, giacché essa non possiede altra vita se non quella della Grazia: appunto vivendo della sua vita, i suoi membri si santificano, come, sottraendosi alla sua vita, cadono nei peccati e nei disordini, che impediscono l’irradiazione della sua santità.” (Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 1968)
Quindi l’espressione più aderente alla verità è: la Chiesa è tutta santa e si compone di peccatori, comprende nel suo seno dei peccatori.
Al più, si può dire che la Chiesa è sempre da purificare non in sé stessa, ma nei peccatori purificandi che accoglie nel proprio grembo (“è questo il senso di Lumen Gentium 8: ” mentre Cristo, « santo, innocente, immacolato » (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr. 2 Cor 5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr. Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento”).
Perdona la pignoleria 😉 🙂
Preziosa pignoleria Alessandro, che viene in soccorso alla mia affermazione in questo caso mooolto imprecisa e perciò discutibile (e ci sta) o “fraintendibile” (e questo mi spiacerebbe).
Il senso è esattamente quello che riporti e di fatto rientra senza forzatura alcuna (credo) nel restante concetto da me espresso.
Grazie 😉
grazie a te 😉
@annarita e @Giusi
Se posso intrufolarmi ancora nel discorso, senza voler essere inopportuno, direi che non è corretto rappresentare la Chiesa per singole immagini grottesche, per dire che tutta la Chiesa attuale è grottesca.
Ritengo che la Chiesa non sia una comunità di perfetti. Non lo è stata, vigente la liturgia vetus ordo, non lo è con la liturgia novus ordo. Gli eretici, i disobbedienti, i simoniaci, i fornicatori, i sacrileghi, ma anche i farisei, i superficiali e gli opportunisti, ecc…. non sono mai mancati nella storia della Chiesa. la quale, anche se cammina su gambe umane, può confidare, per fortuna, nell’assistenza dello Spirito Santo che la guida. Questa consapevolezza non ci esime come singoli e come popolo di Dio a cercare la sua misericordia per un autentica conversione e per testimoniare al mondo il suo Vangelo.
La pretesa di trovare in un modo di celebrare il rito la propria unica strada o anche la strada privilegiata per la redenzione, sinceramente, mi pare idolatria.
Del resto continuo a pensare che nella Chiesa, ognuno è libero di sentire vedere, dire ciò che vuole, ma credo che ci sia un limite, come suggerisce il beato John Henry Newman: «la tradizione della Chiesa, affidata per modum unius a tutta la Chiesa nelle sue varie componenti e funzioni, si manifesta diversamente a seconda dei tempi: talvolta per bocca dell’episcopato, altre attraverso i dottori, altre ancora attraverso il popolo, le liturgie, i riti, le cerimonie, le dispute e tutti quegli eventi che vanno sotto il nome di “storia”. Ne segue che nessuno dei canali di quella tradizione può essere trascurato, pur ammettendo senza riserve che il dono di discernere, di discriminare, di definire e di promulgare una parte della tradizione risiede soltanto nella Ecclesia docens» ( articolo apparso sulla rivista The Rambler nel luglio 1859).
Questo limite credo che valga indistintamente per la contestazione al divieto dell’uso degli anticoncezionali, alla preclusione dell’eucarestia ai separati/divorziati conviventi more uxorio, alla istituzione della Liturgia NO, alle aperture ecumeniche del CVII, alla libertà religiosa, come riconosciuta nel CVII, ala canonizzazione di nuovi Santi (poi ognuno avrà le simpatie per i suoi santi!) e per altri vari insegnamenti della Chiesa
Beh, sì sulla Liturgia ci siamo detti tutto (o quasi)! 🙂
https://scontent-a-mxp.xx.fbcdn.net/hphotos-prn2/t1.0-9/1385393_1431658797085799_8500515786885038088_n.jpg
Concordo! 🙂
Viva BXVI, il Grandissimo, e vivano le radici!
Bariom, non voglio certo polemizzare con te, e non voglio nemmeno incaponirmi su idee mie, io non ho la scienza infusa ho solo fatto il catechismo e pertanto per notare certe cose storte non ci vuole una grande scienza, ci vuole solo il buon senso e aver almeno chiare le cose essenziali del catechismo cattolico. Se ci volesse la scienza infusa per sapere cose elementari riguardanti la nostra fede, saremo fritti,insomma il catechismo l’avremo studiato per qualcosa, spero. La Chiesa è santa, sempre, al massimo sono gli uomini di Chiesa e tutti noi ad essere peccxatori, ma peccatori che hanno l’obbligo di farsi santi. Non è che uno si danna per forza ad avere un cattivo sacerdote, perchè per dannarsi bisogna essere in grado di intendere e volere e ci si danna per volontà, ma mi permetti di credere che se un sacerdote insegna delle porcherie può mettere le anime in condizione di peccare? L’ignoranza non è giustificata, nel senso che tutti siamo tenuti a conoscere le verità di fede, i principi della nostra religione, i 10 comandamenti.
La Chiesa non è da purificare, la Chiesa è perfetta, altrimenti non sarebbe maestra, ma alunna, la Chiesa è li come faro per darci la rotta, purtroppo molti uomini di Chiesa sono allo sbando e dicono cose che non sono ciò che insegna la Chiesa, spacciandole per insegnamenti della Chiesa, mentre sono solo opinioni personali. Ecco Bariom a noi sta il discernere quando certe cose che escono dalla bocca dei ministri di Dio siano solo idee personali, a volte anche criticabili, e quando invece i ministri di Dio parlano come suoi vicari, non è che un cattolico è obbligato ad obbedire ad ogni sbadiglio, la legge suprema della Chiesa è la salvezza delle anime, tutto ciò che può comprometterla non obbliga all’obbedienza, anzi siamo obbligati alla resistenza. Nessun superiore ci può obbligare a fare il male, a peccare e a non fare il bene, Dio ce lo vieta. Se dunque il cardinal Kasper dice ai doivorziati, che non vivono in castità, che possono far la comunione, dice un’eresia, perchè la comunione si fa se si è in grazia di Dio e nessuna consuetudine e nessuna legge umana può trasformare un peccato mortale in non peccato, la verità non muta con le mode, pertanto al massimo si può insegnare la stessa verità con parole comprensibili agli uomini del 21 secolo, ma non si può stravolgere la verità.
Hai ragione da vendere quando dici che bisogna partire da noi stessi, cioè lavorare su noi per diventare migliori, sono d’accordissimo, per questo non mi è indifferente ciò che mi circonda, essendo io debole e peccatrice, ho bisogno di chi mi guidi, mi insegni la verità, mi dia i buoni sacramenti, elevi la mia anima nella S.Messa e mi nutra del Corpo e sangue di Cristo, per questo prego e chiedo santi e dotti sacerdoti, tante buone vocazioni. Anch’io caro Bariom ti saluto e le chiacchiere tra noi non volevano essere delle scornate, in fin dei conti Gesù è risorto e siamo certi che anche la Chiesa risorgerà più bella di prima.
PS Speriamo però nel frattempo di non esssere ingannati dal solito sinistro personaggio che odia Dio e pertanto la sua Sposa e l’uomo e cerca di portarsi con se più anime possibili. Noi ci attacchiamo al cuore Immacolato di Maria e ci aiuti lei a stare sempre dalla parte di suo Figlio.
Ciao e grazie per non avermi mandato a quel Paese.
Grazie a te Annarita 🙂