di Andreas Hofer
Il dilemma, uno dei capolavori assoluti del duo Gaber-Luporini, non è solo la narrazione d’un amore morente. È una storia di fedeltà estrema, di «resistenza» avrebbe detto lo stesso Gaber, che va dritta al cuore dell’amore di ogni epoca. La scena è nota: una «spiaggia poco serena», una «casa a picco sul mare».
I due protagonisti: un uomo e una donna, semplicemente, e un legame che si trascina ormai stanco e consunto. La loro relazione si staglia sulla «vasta ombra del dilemma»; il quesito in fondo è «quello di sempre / un dilemma elementare / se aveva o non aveva senso il loro amore». E l’insidiosa «smania di dare ascolto ai brividini del cuore» lì, pronta a esercitare le sue seduzioni. Niente di cui stupirsi quindi se «un giorno di primavera / quando lei non lo guardava / lui rincorse lo sguardo di una fanciulla nuova».
Dunque una situazione di partenza non certo estrema, forse perfino banale: lui, lei, un’altra, il tradimento di lui, che «ancora oggi non si sa / se era innocente come un animale / o se era come instupidito dalla vanità». Fatti e accadimenti amari, ma vecchi quanto il mondo.
Non ci si inganni: il Signor G non canta qui solo l’epilogo di un’ordinaria storia giunta a “naturale conclusione”, l’ennesimo rapporto sfibrato dal logorio della vita moderna dove ciascuno, mestamente raccolti gli sparsi cocci, se ne va dove lo porta il cuore. Fin qui non ci sarebbe niente di nuovo sotto il sole, nulla che non sia già stato visto e raccontato mille e più volte: una delle tante vicende andate in scena sotto il plumbeo cielo di questo nostro tempo che a tutto, siano uova di giornata o intime relazioni coniugali, sembra voler/dover imprimere la data di scadenza.
Ma Gaber, anima assetata di verità profonde ed estranea a ogni conformismo, non è un Fabio Volo qualunque, un superficiale compilatore di banalità indifferenziate o uomo da accontentarsi del luogocomunismo imperante.
Non gli sfugge come nel «mistero di un uomo e di una donna» sia racchiusa una realtà di altro ordine, più ampia della sommatoria di due individualità, una verità superiore alla mera giustapposizione di due corpi. Un mistero organico e vivente da contemplare, anzitutto, non un problema di chimica dei sentimenti da risolvere. In quella «voglia di non lasciarsi» così «difficile da giudicare», tanto da non sapere «se è una cosa vecchia o se fa piacere», il Signor G vede agitarsi, sfavillante come brace celata ma non sopita dalla coltre di cenere, il cuore pulsante di un amore diverso, il respiro di un amore altro e oltre.
Gaber dispiega questa intuizione a modo suo, con realismo e senza retorica. Sa bene, per averlo cantato altrove, come parlando d’amore occorra non scordarsi della quotidianità forse disturbante e poco romantica – ma quanto più viva! – fatta anche di «cessi e sciacquoni». Dino Buzzati del resto non scriveva, nel suo brevissimo Acqua chiusa, che anche nel «silenzio profondo» delle latrine Dio «a tradimento ci parla con accento umile e amico, bonariamente ricordandoci le miserie dell’uomo e le speranze perdute»? «Diffidate dei vitrages smerigliati con lo stemma in trasparenza per cui si accede alle latrine. Dio, pazientissimo, giorno e notte ci insegue, dove meno si pensa ci attende all’agguato, non ha bisogno di croce o di altari, anche nei vestiboli di marmo sterilizzato che non si possono nominare egli viene a tentarci proponendoci la salvezza dell’anima».
Con questo il disincantato Gaber non intende rinunciare alla ricerca di un senso più profondo delle cose. Come dice nel bellissimo monologo Il Grigio, «è che l’amore è una parola strana. Vola troppo. Andrebbe sostituita. Non sarebbe meglio chiamarlo “la cosa”? Potrebbe diventare più concreto. […] “La cosa” è trasformazione, percorso, crescita insieme. È un patto di sangue stipulato tra due persone e forse, prima ancora, dal destino. “La cosa” è l’amore. No, è un’altra qualità dell’amore. Una qualità che non rimpiange gli attimi perché diventa la vita».
Che fare però di fronte a un tradimento? Lasciarsi, cancellare tutto quel che si è costruito insieme e “rifarsi una vita”? Oppure andare avanti e “resistere”? È l’interrogativo che si pone anche la donna al centro del Dilemma, che «si chiese / se non fosse un’altra volta il caso / di amare e di restar fedele al proprio sposo».
Per noi, “privilegiati” fruitori di un regime di «libertà obbligatoria» (che sia questa la «nostra nuova sorte» cui allude Il dilemma?), la risposta è perfino scontata. I tecnici delle relazioni interpersonali, i cantori della Realpolitik coniugale d’ogni risma – i quadri insomma delle burocrazie protocollatrici che oggi fungono da tutori e garanti della nostra “autonomia” e “libertà di scelta” – avrebbero certo pochi dubbi sul consiglio da impartire alla “coppia scoppiata”…
I due protagonisti del Dilemma, che «ai momenti di abbandono alternavano le fatiche / con la gran tenacia che è propria delle cose antiche», hanno accumulato però ben altre riserve interiori nei lunghi inverni trascorsi insieme; hanno imparato a «piangere e soffrire / ma senza dar la colpa / all’epoca o alla Storia». Temprati dalle «coraggiose battaglie che avevano vinto e perso», possiedono «anche nel fallire / il senso del rigore, il culto del coraggio». Ed ecco allora lo scatto con cui «rifiutarono decisamente / le nostre idee di libertà in amore / a questa scelta non si seppero adattare / Non so se dire a questa nostra scelta / o a questa nostra nuova sorte / so soltanto che loro si diedero la morte».
Resta da capire in che senso «quel gesto disperato / potrebbe anche rivelare / come il segno di qualcosa che stiamo per capire». Forse in quel gesto si cela un segno dell’importanza di «un’altra qualità dell’amore»? E cos’è l’«altra qualità dell’amore» se non il calco di un voto cavalleresco, di un giuramento medievale? Non è forse un patto talmente coinvolgente, presente e immediato come può esserlo solo una “cosa”, da impegnare coloro che in piena libertà l’hanno siglato ben al di là della semplice pattuizione tra due “contraenti”?
«Il loro amore moriva / come quello di tutti / non per una cosa astratta come la famiglia / Loro scelsero la morte / per una cosa vera come la famiglia». Come rami del medesimo albero che insieme periscono quando si è esaurita la linfa vitale del tronco che li ha nutriti entrambi i due decidono di non sopravvivere al fallimento del loro amore, e si danno la morte.
La tragica conclusione, degna del teatro classico, stabilisce un’intima parentela tra amore e sacrificio. D’altro canto le immagini capaci di evocare un legame indissolubile, una connessione analoga a quella che unisce corpo e anima, non parlano tutte di un vincolo che solo la morte può spezzare? Il conquistatore che prima della battaglia fa bruciare i propri vascelli per precludersi ogni ritirata in caso d’insuccesso, il capitano che affonda con la sua nave, il soldato cui la fedeltà al proprio signore conduce alla morte…
In Albero e foglia Tolkien rievoca l’altrettanto tragica vicenda di Beorhtnoth, il duca di Essex «rinomato per possanza, coraggio e valore» morto per eccesso d’onore cavalleresco accettando in battaglia una sfida suicida. L’orgoglio e la brama di gloria di Beorhtnoth, all’apparenza così nobili, sono in realtà l’emblema della fuga dalle proprie responsabilità: la sua caduta conduce infatti alla rovina del proprio popolo, sottomesso e saccheggiato dagli invasori vichinghi. La presunzione del duca è riscattata però dalla fedeltà dei suoi cavalieri, gli ufficiali più stretti e leali. Consapevoli dell’insano gesto del loro signore ma a lui legati da un patto di lealtà scelgono di condividerne la sorte e di bere assieme l’amaro calice della disfatta. Pur sapendo di andare incontro a morte quasi certa lo seguono nello scontro. Gli si stringono intorno fino alla fine e tutti cadono, uno dopo l’altro, a fianco del loro vecchio sovrano. Ancora una volta la parola chiave è resistenza. I guerrieri al seguito del duca di Essex sapevano bene come il loro compito fosse, scrive Tolkien, quello «di resistere e morire, non di porre domande», giacché chi ama non giudica. Ma non per cieca obbedienza, bensì per lealtà ed amore perirono i cavalieri di Beorhtnoth. In questo seppero essergli superiori, perché «è l’eroismo dell’obbedienza e dell’amore, non quello dell’orgoglio e dell’ostinazione a essere il più alto e il più commovente».
È nell’ora del declino, nel momento della prova che la risposta all’appello di un amore senza data di scadenza assume già, per un istante, i colori dell’eternità. In fondo «il sunto di questa storia / per altro senza importanza / che si potrebbe chiamare appunto resistenza» è questo: l’amore è una “cosa” avvolta nel mistero di una fedeltà creatrice, una realtà da apprendere giorno per giorno tra le mille difficoltà del vivere quotidiano. Lungo l’«immenso labirinto di quel dilemma» si snoda l’apprendistato di una vita a due il cui approdo finale è stato consegnato dal Signor G ai versi di un altro dei suoi capolavori: «Quando sarò capace di amare / potrò guardare dentro al suo cuore / e avvicinarmi al suo mistero / non come quando io ragiono / ma come quando respiro».
Una riflessione molto profonda, riassunta nella bellissima ultima frase. Devo ammettere che se analizzo la mia esperienza matrimoniale dovrei dire che sto navigando su una nave rimanendo sul ponte senza essermi mai preoccupato di guardare la sala motori e tutte le altre meraviglie che si celano all’interno di questa nave. Che io mi fidi del comandante, e se si chiamasse Schettino?
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
La fine di tutto (sulla terra) finalmente, anche di Alberoni, o suoi simili.
Ma in quei giorni , dopo questa tribolazione, il solo si oscurerà, la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo e le forze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora si vedrà il Figlio
dell’uomo venire sulle nubi , con grande potenza e gloria. E allora manderà i suoi araldi e radunerà
i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità del cielo. Dal fico imparate il paragone. Quando i suoi rami si fanno teneri e sono spuntate le foglie , voi sapete che l’estate è vicina; così anche voi, quando vedrete accadere queste cose,
sappiate che è vicino, è alle porte. in verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto ciò avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.”
Mc 13, 24-31
Molto bello il post.
Però sul tradimento tendo a pensarla diversamente: io ho giurato fedeltà nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia.
Ma nel momento in cui tradisco non sciolgo “automaticamente” l’altro dal giuramento?
Erika: penso che se vogliamo imitare Gesù che tradito non rinnegò la sua fedeltà, anzi Pietro che lo ha rinnegato è diventato la pietra… mi spiego?
Poi, “nel dolore” non può essere inteso solo come dolore fisico o altro: secondo me dentro “dolore” ci stanno tutte quelle difficoltà, quelle prove, quei tradimenti, etc. che purtroppo sono d’inciampo alla relazione di coppia, all’interno del matrimonio.
@ Erika
Io penso che il tradimento, così come la morte dei due, siano emblematici in questa canzone. Se ci pensiamo bene ciascuno di noi, nel poco e nel molto, è infedele sia all’altro che a se stesso. Senza contare che l’immagine che abbiamo dell’altra persona – e che lei ha di noi – contiene un ampio margine di illusione che con l’andare del tempo si dissolve: la quotidianità presto o tardi fa emergere i lati meno piacevoli di ognuno di noi. Anche questo, in fondo, non è un tradimento? «Non sei come pensavo!», «Sei cambiato/a!», «Prima eri diverso/a!», ecc. Ma nessun legame allora potrebbe instaurarsi tra esseri umani, perché la fedeltà assoluta non è di questo mondo. Ecco perché esiste anche una fedeltà di adattamento. Ed è creatrice perché essere fedeli rimanendo sempre uguali è una finzione: le esperienze della vita irrimediabilmente ci segnano. Un artista che si limitasse a riprodurre esteriormente i propri lavori precedenti non fare più dell’arte. Farebbe dell’artigianato, abdicherebbe alla propria facoltà creatrice. Il vero artista è fedele a se stesso quando sa infondere il medesimo spirito in stili diversi. Certo, esiste anche un limite al cambiamento, ma non può essere stabilito in astratto.
Poi, chiaro, ci siamo noi e le nostre piccole vite, con le nostre meschinità. Come esseri umani siamo votati strutturalmente alla delusione: noi deludiamo gli altri e gli altri sono delusi da noi, deludiamo perfino noi stessi. In fondo, come dice Guardini, relazionarmi con un altro essere umano è come lanciare un ponte verso l’ignoto. Perché in ogni essere c’è un mistero inattingibile, perfino per quello stesso individuo. Chi può dire di vedere lucidamente e chiaramente la propria interiorità? Per questo i nostri amori terreni sono sempre e solo figura di un amore più grande, più alto, al quale ognuno di noi, nel profondo di sé, aspira. Gaber com’è noto non era credente. Era un uomo dotato di profonda umanità, intellettualmente onesto e “tentato da Dio”, come Buzzati del resto. Ma questa sua nostalgia del mistero, questa sua sete di infinito emergono in maniera così prepotente e commovente da infonderci un anelito inesprimibile. E allora anche i nostri tradimenti quotidiani, le nostre infedeltà giornaliere si rivelano per quello che sono: miserie su cui occorre chinarsi con pietà e misericordia.
“L’evoluzione creatrice” nel matrimonio, o nella coppia, potrebbe anche succedere, come anche no.
Certo che se uno si mette dal punto di vista che la coppia deve essere a vita per forza allora l’evoluzione creatrice mi sembra il minimo praticabile.
Certo Alvise, perché il matrimonio è solo l’inizio di un percorso. Diciamo che la mancanza di “data di scadenza” è la condizione per cui, ordinariamente, questa fedeltà creatrice possa dispiegarsi. Questo non vuol dire che non siano possibili anche amori profondi al di fuori del matrimonio. Ma queste grandi “passioni illegittime” non sarebbero certo possibili se non dovessero “andare controcorrente”, sifdare la moralità comune. Come dice un mio amico francese, “la qualità del peccato dipende dalla qualità della virtù: solo il buon vino dà un buon aceto”. Comprendo che questo discorso sia molto ostico, perfino indigeribile: noi viviamo in una “civiltà ipotetica” dove tutto è funzionalizzato, ipotetico, sperimentale, interscambiabile. Ma è davvero quello che vogliamo? Tutto qui.
…Eppoi cos’è il tradimento? E’ solo qyello dei sensi? Una mia amica è stata mollata dal marito quando si è ammalata di tumore (poi è guarita) perchè lui,poverino,era trroppo sensibile e non poteva starle vicino.Io penso che un tradimento del genere mi sarebbe più difficile da perdonare di un momentaneo impazzimento per qualche scoquettica di passaggio.
…Però questo non ditelo a mio marito,OK.
Velenia: Smack!
Una mia amica è stata lasciata dal marito quando è nata la loro seconda figlia ed era down. La dolcissima bambina ora ha 20 anni e non ha mai visto il padre. Solo la sorella lo ha incontrato ma di rado. Il padre ha praticamente fatto strike: niente problemi, niente coinvolgimenti e nemmeno soldi per mantenere la famiglia. 😦 Gli si stringeva troppo il cuore a vedere la figlia down! Queste cose mi deludono tantissimo perhé dimostrano solo egoismo, tra l’altro fatto passare per “delicatezza del cuore e sensibilità”. Se era delicato di cuore e sensibile così, don Oreste Benzi non avrebbe potuto fare quello che a fatto. per non parlare di Madre Teresa e tantissimi altri che hanno fatto ed ancora stanno facendo.
E se un marito perdesse la testa per un’altra donna eccezionale come sua moglie, ma, magari, con il motore nuovo?
(dove per motore nuovo intendo non solo il lato fisico, ma tutto più brillante vivace scattante meno lemme-lemme arugginito dagli anni e dalla noia, almeno nella percezione del marito (o della moglie nel caso che perdesse la testa la moglie)scusate maetafora un po’ idiota, ma credo efficace)
E se succedesse? Mica c’è solo scoquettiche….o sì?
Come si fa ad impazzire per una scoquettica? Ma le sicule non erano gelose?
Ma almeno sapete cos’è una scoquettica? Comunque Alvise il caso da te esposto si risolve con una bella coltellata al marito,mica per ammazzarlo…,solo per togliergli la voglia di riprovarci.Cosa c’è, non puoi essereserio (mizzica ma un nick più corto no?),non ti pare abbastanza siculo?
Velenia: la coltellata ha lo stesso significato del “ti taglio la faccia” pugliese, già derivante da alcune tradizioni africane? Più o meno: “Non mia, né di nessun’altro”…
Scoquettica: traduzione precisa? Mi sono immaginata una donnicciuola dai costumi leggeri, come si direbbe dalle mie parti “na strasginata”.
@Andreas
Bellissima la tua riflessione in commento ad Erika, triste e malinconica allo stesso tempo. E’ tutto vero quello che scrivi ma è meglio un bel Gewurtztraminer per tirarsi su e farsi due risate su se stessi, sulla propria moglie e sulla propria miseria.
@Velenia, spiegami la scoquettica, puoi chiamarmi gigi se vuoi.
Se mio tradimento sarà, la mia colpa sarà da suddividere con l’alcool
@ nonpuoiessereserio
Chinarsi sorridienti su un buon bicchiere di vino – sperando di non collassare – è il modo migliore per esercitare quella pietà misercordiosa… 😉
Del resto si sa che “dovunque il sole cattolico splenda davvero, c’è amore e riso e vino rosso sincero” (H. Belloc).
E se un marito prdesse la testa per Raffaella Frullone, o per Laura Gotti Tedeschi del Vascello, o per, nienteppopòdimenoche per (udite, udite)Costanza Miriano, o addirittura per Fefral, o per Angela, Angelina, Velenia etc.?
Non occorre mica essere ricambiati per perdere il capo.
E se qualcheduna perdesse il capo per il l’affabulante fascinoso scriteriato, o per il raffinato troglodita nonpuoiessere serio, o per Cyrano, o Joe Turner, quella simpatica canaglia di Joe Turner?
O addirittura non fosse già acciambellata, (qualcheduna sposata) o per acciambellarsi tra le braccia nerborute di Andreas Hofer, sul Monte Civetta?
Alvise: se perdesse la testa per me (nel senso che dici tu) vorrebbe dire che l’ha persa già nel senso dell’intelletto, e che ha perso anche la vista! 😀
Alvise, certo nel blog ci sono molti uomini affascinanti. Ma ti assicuro che il mio uomo ideale, cioè quello che ho sposato, sembra una versione appena un po’ pacificata di te.
Quindi non togliere te stesso dalla lista delle tentazioni…
Per non parlare del caso (affatto inusitato, o inusitabile financo) di una che perda la testa (e tutto il resto, in fila per sei col resto di due) per l’agrodolce nichilista del blog: dove lo trovi uno pronto a fare pire cuoriformi per le sue belle?
O beata mulier illa nimis, cor cui Aloysii devotum est! 😉
Niente più pire cuoriformi da alvise! Tutto passa 😦
Alvì perdere la testa non vuol dir niente, può succedere. L’importante quando la si è persa è cercare di ritrovarla e nel frattempo starsene buoni buoni senza far cazzate
Bella Fefral! Io mi innamoro dieci volte l’anno in verità e forse è proprio questa la salvezza (nel senso che so benissimo che non possono essere cose serie, quindi mi siedo e dopo un po’ mi passa…)
Fefral, smack! 😀
Allora non è “perdre la testa”
Se uno/a la perde la perde, non scherziamo!!!!
Alvise, non ho capito, ma per me manco fai balenare fugace la menzione di una minuscola possibilità (tale – sia pure – che solo una spericolata sbrigliatissima fantasia sappia figurarsela) che qualche donzella possa perdere qualcosa per il sottoscritto (che so: le staffe). Ma che so’ io: la morchia dei maschi der blogghe? 🙂
Giusto! Alvise, rimedia!
(scusa, Alex: ci vuole proprio!)
ma Homer è veramente sexy 🙂
Alessandro:
per te è un discorso a parte, ci vorrebe, per te, delle donne che non vedo e non credo possibile esistere, ma solo in effetti la vile marmaglia delle: ” ci hanno rubato il lavorooooo!!!!” “ci hanno rubato il futuroooooo!!!!” “vogliamo essere
ricercatriciiiiii!!!!(di questa minchia)
insomma non ho speranze, celibe a vita 😀
Aleee! Ti voto io, va bene lo stesso? Per lo meno sono di sesso femminile, no? 😉
Ma certo che va bene! Che uomo sarei se non mi lusingasse il tuo apprezzamento? 😉
Io dico sempre a mio marito che l’unico uomo con cui potrei pensare seriamente di tradirlo è Antonio Banderas,e lui che è siciliano doc,ma non geloso,incredibilmente si ingelosisce!
Angelo XL,scoquettica è un termine che usava una mia conoscente originaria di Sciacca per indicare,appunto, una donna poco seria e di facili costumi,è un termine che credo si usi solo a Scicca e probabilmente deriva dal greco o forse dall’arabo,io preferisco usarlo al posto di termini più forti.
Dimenticavo,qualunque donna disposta a fregarti il marito è per definizione una scoquettica.
mi sa che è una versione siculo familiare-nel senso che se l’è inventata lei- di cocotte et similia. un po’ come una mia zia che i rayban li chiamava rembrandt…..
Il “digitale terrestre” chiamato “vegetale terrestre” l’hai mai sentito? 😉
Velenia, forse deriva dal normanno o dall’angioino (come gli occhi azzurri e i capelli biondi di tanti siciliani che sfidano gli stereotipi 😀 )
Il est surtout utilisé au féminin et il porte une connotation péjorative.
http://fr.wiktionary.org/wiki/coquette
A coquette is a woman who flirts girlishly with men to gain their admiration; a flirt.
http://en.wikipedia.org/wiki/Coquette
«[…] ; tu as été coquette à froid, et cette coquetterie-là, c’est l’amour de tête, le vice le plus affreux de la Française.» (Honoré de Balzac, Modeste Mignon, 1844)
«Elle résolut alors de lutter avec sa rivale, […] ; de feindre pour son mari un amour qu’elle ne pouvait plus éprouver, […], d’être coquette avec lui comme le sont ces capricieuses maîtresses qui se font un plaisir de tourmenter leurs amants.»
(Honoré de Balzac, La Femme de trente ans, 1832)
media -e- midia, mi sa che hai azzeccato,probabilmente deriva proprio dal francese,molte parole del dialetto siciliano soprattutto di quello arcaico derivan da lì.
Les cocottes étaient également, surtout en France sous le Second Empire, des prostituées de luxe connues pour ruiner leurs riches amants en dépenses somptuaires (fêtes, bijoux, maisons, etc.).
perlappunto si diceva la stessa cosa(sia con la c che con la q la radice c’est la meme(non trovo mai il circonflesso….)
ma scoquettata è ovviamente neologismo( come sgallettata et similia) o uso locale dialettale…
Autrement dites «les grandes horizontales»
http://www.amazon.com/Grandes-Horizontales-Legends-Nineteenth-Century-Courtesans/dp/1582342601
con che nonchalance si cita Balzac! CI PIACE!
Confesso: mi son fatta bella con le penne galliche di wikipedia (le citazioni vengon di lì). 😉
Wikipedia è l’oppio dei popoli.
Sulle penne galliche:
«Asterix è I Ching. Asterix è il concentrato di ogni sapienza. Asterix è la risposta a tutte le domande» (liberamente tratto da «C’è posta per te», non quello di Maria de Filippi)
Scoquettica?
@Andreas
Grazie per la tua meravigliosa riflessione.
E’ vero, ci sono mille modi per tradire l’altro, e lo facciamo continuamente, anche senza accorgersene.
E’ che io sono un po’ viscerale in questo. Nell’amore o sei con me oppure no.
Posso sopportare, ho sopportato, il cambiamento. I momenti di passione si alternano a momenti di insofferenza. Però questa cosa fortissima e fragile che cerchiamo di costruire si basa su un patto, che per quanto mi riguarda è il seguente: non lasciare mai la mia mano, qualunque cosa accada. Se la lasci e prendi quella di qualcun altro, non sono sicura di riuscire ancora a sostenerti.
MI spiego: io ho giurato fedeltà a mio marito e questa cosa la prendo sul serio. Se lui mi tradisse, non vorrei lasciarlo per “rifarmi una vita” (che brutta espressione!). E’ lui la mia vita, e questo non cambierebbe.
Ma riuscirei ancora a sorridergli appena apre gli occhi al mattino? Ad addormentarmi sulle sue ginocchia la sera davanti alla tv? Ad amare perfino i suoi calzini sporchi nel cesto della biancheria?
Davvero non lo so.
Certo qualcosa scricchiolerebbe paurosamente.
Grazie a te, Erika. Le mie sono parole ma la tua è vita. Già dire che non potresti fare a meno di tuo marito perché è la tua vita non è ordinario oggi: è quell’amore come respiro di cui parla Gaber. Tuo marito di certo è un uomo fortunato. Certo, è chiaro: l’amore in fondo è un’elezione: io eleggo te come essere unico in un posto unico. Ma è anche un scambio vivente, per cui anche l’altro deve eleggerti come essere unico in un posto unico. Un tradimento simile equivale a un vulnus devastante e il reinnesto di quel legame organico non è affatto scontato, anzi. Però è nella natura stessa dell’amore quella di esporsi a ferite potenzialmente mortali, ecco perché il ricorso a immagini “guerriere”. Presuppone il coraggio. E si ha coraggio quando si scende in battaglia sapendo di essere vulnerabili, cioè di poter essere potenzialmente esposti a ferite anche mortali. Ma possiamo farne a meno? Un altro scrittore che amo molto, C.S. Lewis, scrive che non ci sono in amore assicurazioni contro il rischio, garanzie che ci assicurino che il nostro cuore non verrà spezzato. Più di tanto non si possono fare calcoli, ci consegniamo inermi a un essere il cui mistero ultimo ci sfugge: «Non esiste investimento sicuro: amare significa, in ogni caso, essere vulnerabili. Qualunque sia la cosa che vi è cara, il vostro cuore prima o poi avrà a soffrire per causa sua, e magari anche a spezzarsi. Se volete avere la certezza che esso rimanga intatto, non donatelo a nessuno, nemmeno a un animale. Proteggetelo avvolgendolo con cura in passatempi e piccoli lussi; evitate ogni tipo di coinvolgimento; chiudetelo col lucchetto nello scrigno, o nella bara, del vostro egoismo. Ma in quello scrigno – al sicuro, nel buio, immobile, sotto vuoto – esso cambierà: non si spezzerà; diventerà infrangibile, impenetrabile, irredimibile. L’alternativa al rischio di una tragedia, è la dannazione. L’unico posto, oltre al cielo, dove potreste stare perfettamente al sicuro da tutti i pericoli e i turbamenti dell’amore è l’inferno» (C. S. Lewis, “I quattro amori. Affetto, Amicizia, Eros, Carità”, Jaca Book, Milano 1980, p. 111).
@Erika
Cara Erika, dal momento in cui tradisci, l’altro non è sciolto “automaticamente”,
e nemmeno viceversa. Sarebbe troppo comodo sciogliere l’altro con questo gioco di automatiche conseguenze:
in realtà questo può risultare conveniente se non vogliamo che qualcuno ci ricordi la nostra infedeltà, la nostra
mancevolezza, ciò in cui abbiamo mancato e che invece eravamo chiamati a compiere. Una società è solida non
perchè perfetta, ma perchè c’è qualcuno al suo interno che persiste nella fedeltà a un patto (di qualsivoglia natura)
anche quolora una parte non lo faccia, perchè nella sua fermezza non solo trova la vera gloria, ma consente all’altro
di tornare indietro. Se entrambi cedono, le relazioni diventano liquide, come sono oggi.
Certo che c’è la distruzione di una comunione. Certo che ci vorrebbe tempo per ricostruire l’armonia, la fiducia
e la gioia di stirargli le camicie. Solo Dio può in un attimo perdonare. Noi siamo solo creature.
Io ti auguro vivamente di non commettere mai questo abominio e di non subire questo orrore.
Ma proprio perchè chi ama ha in sè il germe del vero seme della resistenza contro le barbarie, questi persiste nel
bene anche qualora sia oppresso dall’altro, non opprime anche se oppresso, non ruba anche se derubato, non
mente anche se calunniato. Detto in altri termini, porta la croce. Ciò è possibile per fede, cioè se per fede lasci
che la vita immortale di Cristo abiti in te, per sperimentare che quel luogo che umanamente è un luogo di morte
diventi il luogo dove Dio ti dà la vita. Allora si può smettere di fuggire da ciò che uccide, perchè non ti uccide più,
e soprattutto, si può essere fedeli al prossimo non col suo criterio, non in base alla sua fedeltà, ma come Cristo è
fedele verso di noi. Non è un attimo, e non sempre è facile, ma è la gloria della nostra umanità crisitificata.
f.
@Erika è verissimo quello che dici,e del resto,se i miei ricordi di Diritto Canonico mi sorreggono,il tradimento è uno di quei casi in cui la Chiesa ammette la separazione,il vincolo c’è sempre ma viene meno la coabitazione.
Tuttavia rialncio,e se lui lasciasse la tua mano proprio quando sei su un pendio scivoloso: una malattia,la morte di una persona cara, un figlio “imperfetto”,come ha ricordato Angelo XL?I
Io e ,sono sincera,non so se riuscirei a perdonare,ok per grazia di Dio non ho mai dovuto perdonare un tradimento dei sensi e quindi non so neanche quello,ma il tradimento dell’ intelletto a me pare più grave,eppure lo perpetriamo spesso.
Parlo per me.quante volte non ho capito mio marito,magari non l’ ho sostenuto fino in fondo,e quante volte questo capita con i figli.
La veritàè che il perdono non ci appartiene,non sappiamo mai perdonare fino in fondo,eppure lo desideriamo,non solo desideriamo il perdono desideriamo una sovrabbondanza,come i bambini che ne combinano di tutti i colori e poi vogliono essere certi che li vuoi bene come prima,anzi ancora più bene.
bel post, Andreas, e bella la canzone di Gaber
E anche il tuo commento sulla fedeltà: la fedeltà non è il sì di una volta che rimane fermo nel tempo. E’ una fedeltà dinamica, alla mia me e all’altro di oggi, giorno dopo giorno, nella quotidianeità.
Loro scelgono la morte. Ma senza bisogno di passare a un piano di fede poteva essere diversa la loro fine? Io credo di sì.
Bellissima anche l’altra canzone che hai citato di Gaber, una delle mie preferite in assoluto
@ fefral
Grazie mille, la canzone è davvero un gioiello. Diciamo per per me è un post “catartico”, nel senso che meditare su questi temi cantati dal signor G ti aiuta a fare i conti con te stesso. Anche la morte che si danno i due è emblematica, è come dire che l’amore è forte come la morte, anche nel fallimento – e cosa c’è di più disaastroso di tradimento? – c’è la possibilità che venga fuori quell’altra «qualità dell’amore» se il legame è ancora vivente.
l’alternativa è una morte diversa da quella dei protagonisti della canzone: morire a sé stesso come individuo singolo per rinnovare la scelta di fedeltà. La vera fedeltà è a sé e all’altro (così come il tradimento non è infedeltà solo all’altro ma a quella che Gaber chiama la famiglia, che è l’unione dei due, chè molto di più della somma di due individualità). Cioè non so se è chiaro quello che voglio dire ma sto incasinatissima, ma il tema della fedeltà è davvero bello!
Si capisce bene, tranquilla. Sì, è vero: è un tema inesauribile. D’altro canto parlare di fedeltà è parlare di un attributo divino, per cui potenzialmente infinito.
Pingback: Partigiani della fedeltà | One way, Jesus | Scoop.it
@ Velenia
Certo, io ho fatto l’esempio del tradimento più diffuso, quello sentimental/sessuale, ma “lasciare la mano dell’altro” in un momento di dolore, di malattia o di miseria è infinitamente peggio.
A quel punto non lo vedo più nemmeno come un tradimento della coppia, ma un tradimento dell’umanità.
Per quanto riguarda il tradimento “dei sensi” vorrei sapere cosa si intende per cedimento. L’avventura di una notte? O una relazione che dura nel tempo?
Perché nella mia, pur non lunghissima (10 anni di convivenza e pochi mesi di matrimonio) esperienza, di tentazioni ne capitano eccome. Qualche “corteggiatore” l’ho avuto.
E mi sento di poter dire che il momento di non cedere alla tentazione non è quando si è già da soli in macchina, o a casa sua.
Viene prima, quando diciamo “no grazie, non mi va un caffè”, “mi spiace, non ho tempo per l’aperitivo, devo correre a casa”. o “bellissima quella mostra, ma sai, ci vado la prossima settimana con mio marito/mia moglie, se vuoi puoi unirti a noi…”
😉
@Andreas
Bella la citazione di C.S. Lewis! Io mi spingo ancora oltre: amare è quasi una garanzia di avere il cuore spezzato, anche senza tradimenti.
Perché il pensiero che l’altro possa ammalarsi, o morire, è già insopportabile, e le probabilità che accada prima a lui, o a lei, che a noi, sono insopportabilmente alte.
Mio marito un uomo fortunato? Sarebbe interessante chiederglielo in determinati momenti, tipo quando al check in dell’aeroporto mi accorgo di non avere il passaporto, o quando ho praticamente liquefatto i tubi della cucina con l’idraulico liquido…;-)
resta sempre quella famosa salatura delle sarde a conferirti un credito quasi illimitato… 🙂
🙂
Infatti: un uomo preso per la gola in quel modo non può far certo caso a qualche tubo liquefatto in cucina. Comunque sa che è stato per una buona causa! 😉
@ Erika,non lo so,grazia a Dio ho unuomo costituzionalmente fedele accanto,ma non per questo mi sento al sicuro.Certo,ma parlando per ipotesi poi non so che farei alla prova dei fatti, un’avventura di una notte,magari dopo una bottiglia di vinassa (ma mio marito è quasi astemio,il primo bicchiere di vino che ha bevuto è stato a casa dei miei genitori) è
Per quanto riguarda me non corro pericoli,mi basta dichiarare pubblicamente e spesso che ho 4 figli,vedessi che fuggi fuggi!
Occhio vele’: donna sposata con figli attrae più di quarantenne single in cerca di sistemazione. Non fidarti 🙂
Bellissimo post, fa una riflessione profondissima. L’altro giorno mi trovavo a riflettere su questo pensiero del poeta Rilke: “il paradosso dell’amore tra uomo e donna:due infiniti trovano due limiti. Due infinitamente bisognosi di essere amati trovano due fragili e limitate capacità di amare. Solo nell’orizzonte di un Amore più grande non si divorano nella pretesa, né si rassegnano, ma camminano insieme verso la pienezza di cui l’altro è segno” …credo che l’orizzonte di un Amore più grande sia davvero la base, e il sostegno, perchè è quello che dà senso a tutto.
mitico Rilke, molto bello.
Grazie Romana, è veramente un bellissimo pensiero questo di Rilke. Certo Gaber l’avrebbe condiviso.
🙂
@ Velenia
Io terrei comunque la guardia alta…qualche amante delle esperienze estreme in giro si trova sempre…
😉
Penso sia diverso: la donna con marito e figli non cerca una relazione stabile, buona per una storia senza strascichi
@ Erika e Fefral,non mi risulta che Antonio Banderas abbia una predilezione per le quarantenni mediterranee in carne e con quattro figli e poi mi dicono che Melanie gli stia sempre alle costole,quindi ritengo di essere abbastanza al sicuro.
Andreas, grazie! Stamattina ho letto velocemente il post con l’intenzione di tornarci con calma. Mi piace e mi piacciono le risposte che hai dato fino ad ora ai commenti lasciati sopra. Mi piace la scelta del pezzo di Gaber! Smack! 😀
Mi fa piacere! 😉 Allora aspetto anche il tuo commento!
Non sono sposata e pensavo che era meglio non lasciarne, ma mi hai stimolato e quindi ecco il commento… 😛
In un rapporto di coppia la “spiaggia poco serena” e la “casa a picco sul mare” rappresentano già il fallimento in atto: uno dei due farà prima o poi le valigie. Il dilemma qual è? Perché trascinare un rapporto che non c’è più? Perché non ascoltare i brividi del cuore? Certo sarebbe più facile non ascoltarli se il rapporto fosse ancora vivo. Penso che indipendentemente dalla primavera sarebbe andato bene anche l’inverno con i suoi brividi di freddo da scaldare.
Allora che fare? Noi sappiamo che il matrimonio è indissolubile, ma se ci guardiamo attorno vediamo che altri rispondono diversamente non solo ai tradimenti ma anche alle prove.
Sai cosa mi viene da pensare? A due piccole frasi che nella mia mente collego come basilari: “ancora oggi non si sa” e “se non fosse un’altra volta il caso”. Ci vedo già e comunque l’intenzione di voler perdonare. Per me è importante capire i motivi di quello che mi succede e che succede accanto a me (la storia insegna a non rifare gli stessi errori) e quindi mi sembra più un NON VOLERLO SAPERE, come per evitare di affrontare il problema e dover prendere una decisione drastica. E “se non fosse un’altra volta…”: la storia si ripete, non è nuova, quindi ho già perdonato almeno una volta. Che mi costa farlo di nuovo? In teoria nulla, ma la sofferenza secondo me è doppia.
Allora facciamoci forza ripensando a quelle cose belle che si sono costruite insieme: da quelle troviamo l’imput per tirare avanti, per superare il tradimento anche questa volta.
Invece questo non basta e si arriva alla morte, pur di tenere fede ad un patto d’amore. Romanticamente direi: “Che cosa grande!”, ma concretamente rifiuto il gesto perché al di fuori del clima che crea la canzone, mi viene da pensare a coppie che conosco e che hanno avuto storie simili: alcuni si sono lasciati e di questi qualcuno si è amaramente pentito. Altri hanno tenuto duro e di questi qualcuno è sereno e qualcuno no. Conoscendo le singole storie avrei scelto per loro il finale delle favole: e vissero tutti felici e contenti! Ma… la costante di queste coppie è che non hanno mai fatto entrare il signore nel loro matrimono. Non so se mi spiego… 🙂
Certamente il testo lascia intuire che non fosse il primo tradimento. Io penso che i due protagonisti del dilemma si sentano vincolati da un legame vivente e organico, senza il quale nessuno dei due può sopravvivere. Come se l’amore fosse una fiamma condivisa, che arde e vivifica due petti. Come se loro fossero due organi di un corpo vivente. Ecco perché muoiono, come volessero eternare il loro rapporto (“forte come la morte è l’amore…”). Chiaramente eternità e fedeltà sono due attributi divini e vivere questo rapporto così intimo nel Signore lo rende ancor più fecondo, lo rende fecondo per l’eternità. Oggi soprattutto, dove tutto rema in direzione contraria, beh è veramente difficile mantenere in piedi un matrimonio con le sole forze naturali…
è vero che eternità e fedeltà sono attributi divini. Ciò che è di buono nell’uomo viene sempre da Dio, perchè l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio. Non per questo la fedeltà è meno naturale, anzi proprio per questo lo è. E’ molto più naturale la fedeltà che l’infedeltà. E’ vero che la nostra è una natura ferita. Ma pur ferita la nostra natura è buona. Per questo penso che si possa auspicare una fedeltà basata su valori solo, autenticamente, umani.
Certo, non è impossibile (Gaber insegna). Ma molto difficile oggi, dove il modello di relazione umana che si sta imponendo è analogo a quello della conessione/sconnessione, con legami sempre più liquidi e funzionalizzati e ruoli sempre più desostanzializzati e interscambiabili. Una comunità – e una famiglia lo è – è sana se fondata sulla differenza e l’interdipendenza dei suoi membri, solo così si sentono accomunati dalla medesima sorte. Questo è un problema di proporzioni immense, perché se è la natura umana ad essere “under attack” anche la grazia fa fatica ad innestarsi…
Andreas, smack! 😀
Mettiamoci anche Heinrich Boll
È già amaro commettere delle sciocchezze, ma le sciocchezze inutili sono quanto di più amaro ci sia.
“Vorrei sapere per esempio perché mi hai sposata.” “Per via della colazione” spiegai. “Cercavo qualcuno con cui poter fare colazione per tutta la vita, e la mia scelta – così si dice, no? – cadde su di te. Sei stata una magnifica compagna di colazioni. E con te non mi sono mai annoiato. Neanche tu con me, spero.”
Era già buio quando arrivai a Bonn. Feci uno sforzo per non dare al mio arrivo quel ritmo di automaticità che si è venuto a creare in cinque anni di continuo viaggiare: scendere le scale della stazione, risalire altre scale, deporre la borsa da viaggio, levare il biglietto dalla tasca del soprabito, consegnare il biglietto, dirigersi verso l’edicola dei giornali, comprare le edizioni della sera, uscire, far cenno a un tassì. Per cinque anni quasi ogni giorno sono partito da qualche luogo, la mattina ho disceso e salito scale di stazioni, il pomeriggio ho disceso e risalito scale di stazioni, ho chiamato un tassì, ho cercato la moneta nella tasca della giacca per pagare la corsa, ho comperato giornali della sera alle edicole e, in un angolo riposto del mio io, ho gustato la scioltezza perfettamente studiata di questo automatismo. Da quando Maria mi ha lasciato per sposare Züpfner, quel cattolico, il ritmo è diventato ancor più meccanico, senza perdere in scioltezza.
Per Alvise
La protagonista femminile dell’azione, nella prima parte, è una donna di quarantotto anni, germanica: alta m. 1,71, pesa Kg 68,8 (in abito da casa), perciò ha solo 300– 400 grammi meno del peso ideale. Ha occhi cangianti tra il blu cupo e il nero, capelli biondi molto folti e lievemente imbiancati, che le pendono giù sciolti, aderendole al capo, lisci, come un elmetto. Questa donna si chiama Leni Pfeiffer, nata Gruyten, e per trentadue anni, naturalmente con interruzioni varie, ha subito quello strano processo che si chiama processo lavorativo: per cinque anni come impiegata priva di ogni preparazione professionale nell’ufficio del padre; per ventisette come operaia, ugualmente non qualificata, nel ramo della floricultura. Poiché, in un momento inflazionistico, si è disfatta con molta leggerezza di una cospicua proprietà immobiliare, una non disprezzabile casa d’affitto nella città nuova, che oggi varrebbe non meno di centocinquantamila marchi, è piuttosto priva di mezzi, dopo aver lasciato il suo lavoro senza un serio motivo, non essendo né vecchia né malata. Poiché nel 1941 è stata moglie per tre giorni di un ufficiale di professione della Wehrmacht, oggi riscuote una pensione di vedova di guerra, cui non si è ancora aggiunta una pensione dell’assicurazione sociale. Si può dunque dire che Leni, al momento – e non solo dal punto di vista finanziario – fa una vita da cane, specie da quando il suo amato figliuolo sta in galera.
“Le segrete apparizioni, di quest’ esseri, se erano, nella stanza dell’armadio, dove entrato più nessuno, lo spiegavano col fatto di non essere normale, mai normale lui mai stato, anche fosse che dormiva con la sua moglie, come gli omini sposati, nel lettone di ferro, e poi più voluto stare, s’era chiuso nella stanza, per il tempo di crepare, e venendo spalancate porte, finestre, ogni cosa, entrasse luce, e escisse l’aria mortifera, in quell’attimo svanite, le creature che vi stavano, dietro l’uscio sigillato, provenute, si sentiva, il momento c’era entrato, solo allora, ripetevano, fattesi vive, se erano, da dentro il buio, dalla materia stessa del buio, inspiegabile”
Flvio Rontani “Sponsalia” Edizioni del Paniere, pistoia, 1956
Effettivamente la spiaggia poco serena e la casa a picco sul mare lasciano trasparire una mancanza di relazione con il mondo. Una coppia e una famiglia devono donarsi al mondo altrimenti le fiamme della passione diventeranno cenere.
Qualche domenica fa una lettera di S.Paolo diceva anche:
Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito. La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie. Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione. Questo però vi dico per concessione, non per comando. Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro.
Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere.
Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito – e il marito non ripudi la moglie.
Agli altri dico io, non il Signore: se un nostro fratello ha la moglie non credente e questa consente a rimanere con lui, non la ripudi; e una donna che abbia il marito non credente, se questi consente a rimanere con lei, non lo ripudi: perché il marito non credente viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, mentre invece sono santi. Ma se il non credente vuol separarsi, si separi; in queste circostanze il fratello o la sorella non sono soggetti a servitù; Dio vi ha chiamati alla pace! E che sai tu, donna, se salverai il marito? O che ne sai tu, uomo, se salverai la moglie?
Andreas Hofer:
Ho l’impressione, da questo tuo scritto, e dalle risposte, e dal tono in generale, che tu sia diventato più buono, meno spunzoso, più, quasi, un essere umano (per dire). E’ vero, c’è ancora Tolkien, ma è scomparso Thibon (finalmente!).
Che tu abbia trovato qualche sposa che ti sta facendo fare pratica?
@ Alvise
Nessuno sposalizio: ogni tanto capita anche a me la luna buona… Ma non abituarti troppo! 😀
È vero: non ho menzionato espressamente Thibon, però in spirito è sempre presente anche in questo post, ih ih ih…
Non intendevo sposalizio….ma SPOSA (di altri)
Ah ah, no! Il “codice hoferiano” vieta incursioni nella “no fly zone” domestica, le spose (e anche le fidanzate) altrui non corrono alcun pericolo… 😀
Memorie di un clown….
Io suggerisco “Fine di una storia” di G.Greene,conosciuto anche come”La fine dell’ avventura”,Qui c’è addirittura un marito,un amante geloso e un misterioso terzo.
sta diventando un feuilletton….
E intanto l’admin scia 🙂
Potenza degli smartphone!
Beato te! Quest’anno mi è venuta la nausea della neve… 🙂
E non solo a me… 😦
Cosa ci troverete in quei legnetti che vi mettete ai piedi? Per me niente vale una bella nuotata là dove il mare è più blu.Alvise io un principe azzurro con un castello sulle Madonie non lo avrei neanche guardato,molto meglio una casettina su un isola.
Mii ho scordato l’apostrofo: un’isola,se lo sapesse mia madre mi depennerebbe dall’albero genealogico,dell’apostrofo non dell’isola
Amo visceralmente Gaber, che è stato (ah se lo sapesse, bhe adesso a dire il vero lo sa) uno degli strumenti della mia conversione. Da lui ho imparato a non fermarmi all’apparenza, ad interrogarmi su tutto, a ribaltare sempre il piano….
Ed amo moltissimo questa canzone, così vera, così poco retorica…
Però francamente ho sempre avuto un dubbio. Perché secondo voi i due alla fine della canzone si uccidono? Perché non si amano più e non possono sopportarlo e quindi piuttosto che separarsi si uccidono? Perché non sopportano il peso del fallimento? Perché hanno irrimediabilmente perso qualcosa e sono sopraffati dalla nostalgia? E non è alla fin fine anche l’uccidersi un tradimento di qualche sorta?
si, infatti…anche l’uccidersi è un tradimento, forse proprio verso la stessa natura umana oltre che verso Dio, e comunque è indice del fatto che ha trionfato la rabbia e non c’è stato perdono. Se i due della canzone arrivano ad uccidersi è perchè hanno concentrato tutto esclusivamente su loro stessi, sulle loro forze, senza una prospettiva superiore…e quindi sono andati incontro al loro limite che sfocia anche in un sentimento di appartenenza morboso. Può essere?
Don Fabio! L’ultima che hai detto… Non mi piace che alla fine si uccidono. Fa molto Titanic ma non mi piace. Correggo: adesso non mi piace ma quando Gaber ha tirato fuori questa canzone mi piaceva molto perché mi veniva da pensare che avendo tradito l’amore, volessero immolarsi in suo nome e recuperare.
ALTRO CHE DISCORSI!!!
Vabbe’ scusate ma se mi buttate giù l’armeno io rispondo col belga (anche se parla di amanti e non di coniugati)
Come mai oggi noi si vive t’amore come una colpa?
La colpa, questa trappola che sembra essere diventata un INFERNO!!!!
Alvise, a me sembra che oggi l’amore non lo si viva come una colpa, anzi! Tutto è lecito. L’importante è che sto bene io. Basta guardare la situazione del matrimonio, degli eterni fidanzamenti, delle convivenze, etc. Finché dura fa verdura… e poi cambiamo orto. 😀
Vorrei consigliare un libro, forse, di un certo Dodds, “i Greci e l’rrazionale” che (esamina) anche il cambiamento
della mentalità fino alla età ellenistica e oltre, fino poi anche, naturalemnte al cristianesimo, in altri libri, un capitolo importante di questo libro si intitola: “Dalla civiltà di vegogna alla civiltà di colpa”. Provatelo, e un altro, mi sembra, intitolato “Pagani e Cristiani in un’epoca di paura”. era un Irlandese…
correggo,, mi sembra, in un’epoca di angoscia, forse anche meglio….
http://www.corriere.it/esteri/12_febbraio_16/mamme-italiane-wall-street-journal_dfb0c204-58a4-11e1-9269-1668ca0418d4.shtml
«Sono le migliori»: sul Wall Street Journal l’elogio (semiserio) della madri italiane
«Sono affettuose e preparano ottimi “manicotti”»
MILANO – «Perché le mamme italiane sono le migliori». L’ultima presa di posizione nel dibattito su quali popoli sfornino le migliori madri arriva ancora una volta sul Wall Street Journal, che già l’anno scorso fece scalpore pubblicando il saggio «Perché le madri cinesi sono superiori» di Amy Chua, una professoressa di Legge alla Law School dell’Università di Yale. Questa volta la firma è maschile – Joe Queenan – nella pagina dedicata alle opinioni.
I MODELLI – In generale, la prima parte dell’intervento passa in rassegna l’ampia serie di saggi usciti (o che usciranno) sul tema di etnia&maternità. Proclamando di volta in volta come «la migliore» una mamma di un Paese diverso:
– la cinese: madre-tigre, secondo la tesi Chua. Parole d’ordine: disciplina, rigore, inflessibilità
– la francese: esaltata nel saggio I bambini francesi non buttano via il cibo, di Pamela Druckeman. Valori aggiunti: non permette ai figli di mangiare fuori dai pasti, soprattutto cibi spazzatura, e non li ossessiona con ansie e timori. Al parco giochi, ad esempio, li lascia giocare da soli, senza interagire con loro
– la boliviana: promossa da Atahualpa Vargas nel saggio Incredibili Incas: perché le mamme migliori del mondo vengono da La Paz. Caratteristiche: devozione e stoica determinazione con i loro bambini
– la gallese: le sue virtù sono raccontate nel libro Come i gallesi hanno inventato la moderna maternità di Addfwyn Griffith,professore dell’università di Glamorgan-Aberystwthy. La dote migliore: tiene la bocca chiusa e non ricorda di continuo ai figli quanto sono speciali
– la fijiana: protagonista del volume Super mamme dalle Fiji, più che altro avvantaggiata dal clima che le consente di far giocare i figli tutti i giorni all’aperto, senza ridursi a uno straccio per intrattenerli
– la mongola: favorita, secondo il libro Matriarche dello Yurt, dal fatto che il marito è sempre in giro e quindi può crescere i figli tranquillamente senza doversi preoccupare di un uomo che torna a casa di cattivo umore ogni sera
L’ITALIANA – Certo non manca l’ironia. Per arrivare alla tesi finale che non ha molto senso classificare le mamme in base alle etnie. E in questo contesto arriva l’elogio dell’italiana, anzi dell’italo-americana. Che è il modello con cui spesso ci identificano negli Usa. «Parlando dalla mia personale esperienza, le madri migliori sono le italo-americane, in parte perché sono calde e affettuose, ma soprattutto per i manicotti (i nostri cannelloni, ndr)». E ancora: «Le mamme italo-americane amano i loro figli, si occupano di loro, li difendono, e per questo i loro bambini crescono come pilastri della società». Di quella statunitense, forse. Per i giovani figli di italiane, in terra natia i tempi sembrano un po’ più duri.
Uh yeah! Italia-resto del mondo 1-0! 😀
Qui ci starebbe a pennello una citazione da «Ortodossia»di Chesterton, sennonché è al piano di sopra e io ormai sono piazzata in poltrona per il disco 2 delle «Due torri» (big trouble al Fosso di Helm)…
@Andreas
ringrazio per la riflessione e per il resto dei commenti che hai postato: da persona che ama.
saluti.
yunan
Grazie Yunan, quanto tempo è passato, e quanta vita… Un caro saluto.
interessante punto di vista
@Andreas quanto tempo perso a bisticciare 🙂
Grazie ancora. Una benedizione tra le tue parole.
“Una benedizione le tue parole”
Già… Non ho perso del tutto il “vizio” anche cerco di moderarmi – con esiti non sempre felici… 😀
Grazie a te, è un piacere rileggerti dopo tutti questi anni.