L’importante è vincere

di Raffaella Frullone

Non so voi, ma io in genere voglio vincere. Non importa il prezzo da pagare, il mio obiettivo è arrivare sul podio, prendere il premio e possibilmente anche gli applausi. Non importa nemmeno il tipo di competizione, la materia, lo sport, se gioco voglio vincere. Altrimenti non gioco.

Ciò non significa che io non possa perdere, anzi, dopo un certo numero di sconfitte so farlo anche con un certo stile, ma l’obiettivo resta la vittoria e l’esito della competizione condiziona la mia giornata. Per maggiori informazioni su questo tema potete chiedere ad Antonio, mio collega e compagno di squadra al biliardino, o Calcio Balilla che dir si voglia, svago che ci concediamo qualche volta dopo pranzo. Lo so che voi starete pensando che io nell’attività di cui sopra sia una schiappa, e in effetti lo pensavo anche io, fino ad un anno fa, anche perché fino ad allora non ci avevo mai giocato e l’ultima volta che avevo visto un biliardino era in oratorio, funzionava a 50 lire e io non ci giocavo perché era da maschi. Ma noi siamo cattolici, e ci lasciamo interpellare dalla realtà, ecco perché quando mi hanno chiesto di giocare ho accolto la sfida, con un discreto successo devo riconoscere. Insomma dicevo, Antonio monitorizza le mie reazioni del post partita: ovviamente quado vinco (quasi sempre) faccio una specie di conferenza stampa, convoco tutte le agenzie e lo annuncio a gran voce, sì vantandomi anche un po’, mentre quando perdo (sempre perché qualcuno bara e fa “i ganci”) sprofondo in un buco nero,che poi più che nero è silenzioso ed ecco perché i miei colleghi, dopo due minuti in cui non mi sentono parlare/commentare/borbottare/polemizzare, si preoccupano. Il peggio viene quando pareggiamo, perché i maschi abbandonano il campo con un mezzo sorriso, ricominciando a parlare di politica come se niente fosse, della serie “dai, l’importante è partecipare”. L’importante è partecipare?? Non per me, signori.

E se è così quando parliamo di Calcio Balilla immaginiamoci che reazione può provocare in me la campagna delle “Pari o Dispare”, il comitato che si propone “l’effettivo raggiungimento della parità fra uomini e donne italiani attraverso il lavoro, semplicemente facendo leva sulla  meritocrazia” e che ha costruito la sua campagna sullo slogan “L’importante è pareggiare”.

Per avere un’idea di che cosa si tratta basta dare un’occhiata ai video della campagna, I numeri della differenza, Donne non stereotipi che si concludono con il messaggio del Presidente onorario del comitato Emma Bonino che ribadisce: “l’importante è pareggiare”.

Sul sito si sottolinea, sempre nella sezione obiettivi, che: “nell’occupazione bisogna far emergere, riconoscere e valorizzare il merito, che è presumibilmente identicamente distribuito fra maschi e femmine, per ragioni sia di efficienza, sia di equità del nostro sistema-Paese”.

Riconoscere, far emergere, e valorizzare il merito. Il merito. Ma perché “merito” e la “meritocrazia” ultimamente vanno di moda al punto da esser considerati la panacea di tutti i mali? Merito viene dal latino “merere”, e significa in sostanza avere diritto alla giusta ricompensa acquisito in virtù delle proprie capacità, impegno, opere, prestazioni, qualità, valore. Si tratta insomma di una sorta di diritto alla stima, alla riconoscenza. Gira e rigira la Bonino infatti arriva sempre lì, ai diritti, a qualcosa che le è dovuto. Ma in base a cosa? Al genere? Possiamo davvero dire che qualcosa ci è dovuto perché siamo donne? Siccome in quanto donne siamo certamente più meritevoli, ci è dovuta la parità di cariche, stipendi, trattamento?

Anche senza metterla al femminile, la questione del merito mi lascia un filo perplessa, il merito in cosa si misura? In titoli di studio? Conoscenze, competenze? Esperienze pregresse? Stipendio percepito? Siamo certi che basti? E soprattutto, siamo proprio sicuri che sia tutto farina del nostro sacco?

Per esempio, com’è che io riesco addirittura a sostenere una partita di calcetto e addirittura a volte, a infilare la pallina nella porta avversaria? Merito delle mie competenze acquisite sul campo? Merito mio?

Me lo chiedo spesso, e ovviamente non tanto per il calcetto. Per esempio ogni volta che devo scrivere un articolo o un post per il blog vorrei trovare una cosa davvero bella e interessante, utile per chi legge e magari scriverla in modo così brillante da vincere il pulitzer. Non mi succede mai, sono mediamente scontenta di quello che scrivo perché so che avrei potuto scriverlo, in anticipo, documentarmi di più, prepararmi meglio. Tuttavi spesso accade che qualcuno mi scriva ringraziandomi, o manifestando stima. Eppure io so di non avere alcun merito. Quindi come fare a costruire una società su un valore così difficilmente misurabile? Come si fa a stabilire cosa è merito mio?

Lo chiedo al Catechismo, che mi ricorda che “Il merito dell’uomo presso Dio nella vita cristiana deriva dal fatto che Dio ha liberamente disposto di associare l’uomo all’opera della sua grazia. L’azione paterna di Dio precede con la sua ispirazione, mentre il libero agire dell’uomo viene dopo nella sua collaborazione, così che i meriti delle opere buone devono essere attribuiti innanzitutto alla grazia di Dio, poi al fedele. Il merito dell’uomo torna, peraltro, anch’esso a Dio, dal momento che le sue buone azioni hanno la loro origine, in Cristo, dalle ispirazioni e dagli aiuti dello Spirito Santo”. E anche che: “La carità di Cristo è in noi la sorgente di tutti i nostri meriti davanti a Dio. La grazia, unendoci a Cristo con un amore attivo, assicura il carattere soprannaturale dei nostri atti e, di conseguenza, il loro merito davanti a Dio e davanti agli uomini. I santi hanno sempre avuto una viva consapevolezza che i loro meriti erano pura grazia”.

 In sostanza il nostro merito può essere quello di aprirci alla grazia di cooperare con essa. Possiamo mettere il nostro libero arbitrio nelle mani del Signore, e meno male, direi io, che se fosse tutto in mano nostra, sai che disastri.

Insomma, care Pare e Dispare , più che affermare che il merito è stato distribuito equamente tra uomini e donne, bisognerebbe riconoscere che ad essere distribuita è una grazia che non viene da noi e che è la sola che ci mette in grado, se accolta, di costruire ed essere feconda.

E oltre maschi e femmine, siamo anche alti e bassi, loquaci e timidi, forti e fragili, orgogliosi e umili, italiani e stranieri e si potrebbe andare avanti ore per dire che siamo tutti profondamente diversi e unica è la nostra risposta alla grazia. Tutto si può fare dunque, tranne pareggiare. Mettere il nostro nulla nelle mani del Signore è l’unica strategia che garantisce il risultato finale, la vittoria.

 

123 pensieri su “L’importante è vincere

            1. se potrebbe essere difficile affermare che trrattasi di esprit de finess, sicuramente si converrà che non si può negare che trattasi di esprit de geometrie, accenti a parte.
              Semel in anno licet insanire, sotto la protezione di sanRemo

  1. Adriano

    ” Insomma, care Pare e Dispare , più che affermare che il merito è stato distribuito equamente tra uomini e donne,”

    Non mi pare che quelli di pari e dispare siano così netti… anzi, inseriscono un sano dubbio attraverso un avverbio che non può non saltare all’occhio. Dal regolamento dell’associazione “incriminata”

    “Nell’occupazione bisogna far emergere, riconoscere e valorizzare il merito, che è presumibilmente identicamente distribuito fra maschi e femmine, per ragioni sia di efficienza, sia di equità del nostro sistema-Paese.”

    Quel “presumibilmente” secondo me è la chiave che apre una porta anche a chi non la pensa allo stesso modo (e che non rende l’associazione “pari e dispare” così estremista come l’autrice del post la descrive).

    Nello stesso regolamento si richiama anche l’applicazione della ” Direttiva europea 54 – riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione “.
    Si parla quindi di “opportunità” e “occupazione”, per cui non mi pare vogliano far partorire agli uomini o simili (tanto per anticipare una delle repliche trite e ritrite che potrebbero arrivarmi). Né si parla di parità forzate (tipo: ti faccio causa solo perché avresti dovuto assumere abbastanza scaricatrici di porto, anche se non le trovi), ma del principio ” “comply or explain” (rispetti la Direttiva 54 o spieghi perché non ti adegui)”.

    Ah, ma come si misura il merito? Secondo me si possono usare i voti, o le qualifiche…Oppure dare l’opportunità (appunto, e non l’obbligo) a una persona (uomo o donna che sia) di dimostrarlo sul campo.

    Che ne dite?

  2. Io non amo affatto vincere, non amo gareggiare. Preferisco fare le cose nel modo migliore possibile per me ma non mi piace il confronto, la sfida. E sono grata al Signore e alle possibilità che mi ha dato, alle capacità che ha voluto donarmi.
    Cerco di usarle al meglio. Qualche volta ci riesco altre tragicamente no.

  3. Secondo me il problema “Pari e dispare” è posto su un piano sbagliato. La meritocrazia boniniana non mi pare particolarmente saggia. I nostri talenti, doni di Dio a conti fatti, sono splendidi perchè sono diversi. Non solo tra uomo e donna, ma tra donna e donna. Perchè appiattirci così? Perchè ridurre a una sfida la vita che è un’altra Grazia?

      1. 61Angeloextralarge

        Caaaalmaaaa! Sapete quanta gente frullaaaaa giocando “amichevolmente”a biliardino!!! Figurati nella vita. 😉

        1. 61Angeloextralarge

          No, per carità. Nessuna allusione. Se qualcuno ce la vede mi dispiace. Smack! 😉

  4. Ele86

    Sarà che vengo da anni e anni di allenamenti quotidiani, gioco agonistico, competizione, sudore e fatica;ma vincere è il mio unico obbiettivo. Chi se ne frega di partecipare, vincere è più divertente. Personalmente preferisco vincere non barando, anche perché significa non vincere in realtà… Non è vero che l’importante è partecipare, l’importante è imparare a vincere, a vincere con onestà. Dio non ha mandato Gesù sulla terra per partecipare ma per vincere e vincere alla grande, usando la miglior tattica,l’amore estremo, quello vero che non è certo quello che dichiara “ti lascio vincere, l’importante è partecipare”. C’è un padre della chiesa che dice:” Gesù cristo è stato l’esca. Il diavolo non ci credeva che Dio padre avesse fatto questa mossa per lui così fessa assurda, farsi mangiare il Figlio. Quando il diavolo ha visto che la vittima sacrificale era il Figlio di Dio, preda troppo ghiotta per resistere,non ci ha pensato due volte e lo ha mangiato. Non sapeva però che il Figlio di Dio , il Figlio della vita non può essere trattenuto e imprigionato dalla morte. Infatti la vita è esplosa proprio dall’interno della morte. Perché la morte non può trattenere la vita. Io non ci so giocare ma mio marito dice che è una tecnica degli scacchi….sarà sta di fatto che Dio è un vincitore attraverso una logica che a noi pare assurda, ma vincitore e addirittura, vincitore per sempre!!! E ha reso vincitori anche Noi con la chiesa…”Le porte degli inferni su di Lei mai prevarranno”….siamo dei raccomandati schifosi…quindi magari barare un pò non è poi così malvagio…Cmq aggiungo questo video per dare onore al mio mentore di gioventù….http://www.youtube.com/watch?v=vk5Jg-mAeVY

  5. Tutti, comunque, in ogni caso, da sempre, siamo nelle (cisiddette) mani di Dio o che altro e per tutti credo,
    o mani o non mani che siano, importante sapere che lo siamo facenti parte del cosmo (comunque lo si intenda, o stoicamente, epicureicamente o cristianamente come una persona con la barba eccetra)e lasciarsi scivolare tranquillamente lì dentro, affidarcisi, calmi, cé tanto così è che stanno le cose e nient’altro.
    Per quanto riguarda arrivare primi 1) o nella metafora è sottinteso che si arriverà tutti primi (che fuor di metafora è impossibile) (o forse impossibile nella metafora e possibile fuor di metafora?) 2) o ne arriva uno solo (primo) l’importante però essendo di arrivare in fondo con la coscienza di aver dato (come si dice ) il massimo.
    La cosa più terribile, nello sport e nella vita è poi a un certo punto accorgersi di non avercela messa tutta, di essere stati,o di essere, delle canne vote!!!

  6. D’accordo lo ammetto mi piaceva essere la prima della classe, la prima ballerina, l’animatrice più simpatica, vincere concorsi di poesia e stare sempre sul palco o sotto un riflettore. Essere la prima, essere perfetta. Il mio professore, un bravissimo psicologo la chiamava la mania del controllo.
    Tutto come dicevo io, doveva essere tutto perfetto e chiedevo sempre di più a me stessa ( ok lo ammetto una volta ho ceduto alla tentazione di un concorso di bellezza )………..poi ho esagerato e sono finita all’ospedale con un’ago infilato in un braccio e un mio amico accanto che mi chiedeva a cosa era servito essere sempre la prima.

  7. Erika

    Scusate, ma mi pare che questo discorso sia stato travisato: Perché parlare di appiattimento?
    Il discorso delle “boniniane” è molto più semplice e banale e mi pare del tutto ideologico fingere di non capirlo.
    Raffaella dice che il merito è difficilmente quantificabile? Allora dovremmo fare in modo che non esistano differenze, né di ruolo né di retribuzione, tra dirigenti e operai, ad esempio.
    Non è questione di vincere, è questione di far funzionare meglio le cose.
    E poi, bando alle ipocrisie, lo ammetto: se dimostro di essere più capace, più efficace di un mio collega nello svolgimento del mio lavoro (e, mi spiace Raffaella, questo E’ dimostrabile), voglio un ruolo di maggiore responsabilità, voglio essere pagata di più.
    Cosa c’è di male in questo? Io faccio guadagnare di più l’azienda, quindi voglio essere pagata di più. Oppure le leggi del libero mercato si applicano agli uomini e quelle del socialismo alle donne?
    E’ ovvio che il mio valore come persona resta identico a quello del mio sottoposto, ma, chiedo, anche i nostri stipendi devono essere uguali?

    N.B. Mi spiace anche che quando una donna combatte questo genere di battaglie venga tacciata di avidità. Io non credo che la Bonino rivendichi diritti per se stessa. Mi pare che abbia già avuto splendidi riconoscimenti, Io stessa mi sento giustamente apprezzata e valorizzata nel mio lavoro, quindi se rivendico diritti non lo faccio per me stessa. Lo faccio perché penso sia giusto per la società, nel suo insieme.
    Infine, Raffaella, credo che tu sia un’ottima giornalista.
    Anche se il tuo talento ti è stato donato da Dio, è giusto che tu sia pagata in conseguenza del tuo valore COME GIORNALISTA.
    Ché se dovessimo essere pagati per i nostri meriti come esseri umani, dovremmo essere (quasi) tutti alla fame.:-)

    1. JoeTurner

      ma ad esempio le quote rosa vanno nella direzione opposta al merito. 2 posti da dirigente disponibili da assegnare con la logica delle quote rosa, 7 candidati uomini e 3 donne. Poniamo il caso che almeno 5 uomini siano più meritevoli delle 3 donne con le quote rose il risultato è che 4 elementi più meritevoli vengono penalizzati in base al sesso.

  8. Magari sul lavoro le cose andassero a merito.Anch’io in questo non concordo con Raffaella. Non è giusto trovare nelle aziende gente che prende stipendi spropositati per passare tutto il tempo a fare chiamate private con il telefono aziendale o gente che parte per le marche giusto in tempo ( ma va? ) per rimanere bloccata su una settimana mentre i ” comuni mortali ” devono lavorare fino a tarda sera con il rischio di restare bloccati in sede.
    Tra l’altro i 2 esempi sono la stessa persona.

    1. JoeTurner

      siamo TUTTI per la meritocrazia perché TUTTI pensiamo che in base a questa logica TUTTI noi possiamo essere giustamente valorizzati.

      mmm…ci sono troppi TUTTI in questo ragionamento, non è che magari NESSUNO è giudice imparziale di se stesso?

  9. Al Pacino è straordinario, il manierismo delle immagini dei volti della bellezza maschia degli atleti la scontatezza delle parole che abbiamo visto in centinaia di altri film americani che spingono gli uomini a battersi a non cedre a vincere
    a non perdre l’ultima occasione, ormai hanno fatto la storia del cinema e sono entrate nei nostri cervelli colonizzandoli, Sì, tutto è perfetto, magnifico, esaltante, trascinante, quello che uno vuole, ma è tutto falso, NON E’ COSI’, o vogliamo prendere l’allenatore del real madrid come direttore spirituale?
    Il fimato cinematograficamente sublime, e ce ne sono statiu tanti che riguardavano altri campi, il biliardo, la boxe, lo studio, la letteratura,(devi farcela ragazzo!!!) il poker, la sfida all’OK Corral, è una contraffazione della vita, della sostanza vera della vita, pensateci!!!
    (ovviamente scriteriato lo ha messo ironicamente, canzonatoriamente, come a lui gli piace fare ma per dire che?)

  10. Erika

    @ Joe, infatti le quote rosa sono una forzatura della realtà. Se devo selezionare un dirigente, come dici tu, è del tutto possibile che su quattro candidati, due uomini e due donne, i più qualificati siano proprio i due uomini.
    Io sono stata allergica alle “quote rosa” per molto tempo, ma oggi mi scopro a pensare che questa forzatura sia (temporaneamente) necessaria per scardinare le “cattive abitudini”.
    Però se qualcuno indicasse un sistema migliore, sono pronta a cambiare idea…

    1. JoeTurner

      nessuna norma che introduca una ingiustizia ideologica può sanare una (presunta) ingiustizia di costume.
      presunta perché se ne parla così tanto della discriminazione di “genere” che ormai è accettato acriticamente come dato di fatto. Nel mio seppur piccolo osservatorio lavorativo non ho visto discriminazioni al femminile (anzi spesso il contrario,donne avvantaggiate dalla propria diciamo “condizione femminile”), ma ho visto molte, tante, troppe MADRI discriminate (magari da altre donne). Ma anche padri, io stesso per essere stato qualche volta un po’ meno disponibile per lavori straordinari e trasferte (per cause familiari) sono stato messo da parte per lavori importanti (per i quali mi ero sempre dimostrato più che qualificato) in maniera ingiustificata e arbitraria.

  11. 61Angeloextralarge

    Nella vita, per scelta personale, cerco di “partecipare” anche se il mio scopo non è vincere ma comunque dire la mia. Nei giochi tiro fuori il massimo della grinta e VOGLIO vincere: c’è più gusto! Ma proprio perché è un gioco. Certo che se gioco contro qualcuno che non sa perdere, dopo la prima volta metto il cartello: “Se perdi e ti arrabbi, questa è l’ultima volta che giochiamo!”. Non vinco spesso ma a volte sì: quando perdo comincio la sceneggiata: “Ah, ma tu sei fortunato! Eh, sì! Hai barato!”, ma solo per farci due risate, perché per me vincere è bello e perdere non è un dramma. Ai vecchi tempi non era così: mi arrabbiavo ogni volta che perdevo, ma questo diventava lo stimolo per una rivincita! A guera è guera! 😀

    1. 61Angeloextralarge

      N.B.: purtroppo nella vita c’è anche chi bara e gioca sporco (raccomandazioni, sgambetti, etc.) e contro quelli non si vince nemmeno con il merito! Guardiamo la realtà che ci circonda: proselistismo, bustarelle, etc. E’ triste ma finché la cosa non cambia è dura! 🙁

      1. Erika

        Appunto, AngeloXL: la “cosa” non cambierà mai di sua spontanea volontà…quindi, ci vogliamo provare a cambiarla o ce la teniamo così com’è?
        🙂

        1. 61Angeloextralarge

          Per me “partecipare” significa “provare” e “provare a vincere”. Non avrebbe senso il “partecipare tanto per”. Sarebbe tempo perso! “comunque dire la mia” indica che non sono una che subisce, anzi, però sono una che sceglie di non barare e di non usare mezzi scorretti, anche a costo di rimetterci (ed in effetti ci ho rimesso più volte). Quello che non posso fare con i fatti cerco di farlo con le parole. Samck! 😀

  12. Velenia

    Anche a me piace vincere,mizzica se mi piace,e se quando vinco canto senza problemi il “Non nobis”,quando perdo…è un’altra faccenda…
    Non mi interessa oggi entrare nel merito delle boninate,questo post ,nella seconda parte sembra scritto proprio per me.E’ uno di quei momenti in cui faccio “i bilanci della vita,quegli inventari fatti sempre senza Amore”,come dice la canzone, e mi sento una super schiappa..
    L’ esempio di Ele 86 mi ha fatto letteralmente impazzire,io non gioco a scacchi,ma sono moglie di uno scacchista e madre di altri 3 e questa tecnica l’ho vista applicare,si sacrifica un pezzo importante e l’avversario si mette sotto scacco praticamente da solo.
    Non è che la partita sia truccata è che Dio è un fuoriclasse e il Nemico un dilettante,e poi è Dio che ha i bianchi ,di sicuro ,l’apertura è sua.

  13. Io non sono mai stato assunto da nessuno e da nessun Ente, non ho MAI ottenuto un lavoro decente, non ho mai guadagnato quasi un cazzo, ma ho sempre pensato (e lo penso) che se non sono arrivato a nulla, altro che alla vecchiaia, senza pensione, la colpa è SOLO mia!!!

    1. Erika

      Alvise, tu sei una persona straordinariamente intelligente e profonda. Purtroppo le persone come te faticano spesso a ottenere risultati “tangibili” perché mancano di “intelligenza sociale”, ovvero sono pessimi promotori di se stessi.
      La colpa quindi è ripartita a metà: il mondo del lavoro non ha saputo riconoscere una mente brillante, tu forse sei stato deboluccio nel proporla…ovviamente la mia è solo un’ipotesi, non ti conosco e non so quale strada avresti scelto per te.

        1. JoeTurner

          secondo te con quali tipo di “fatti” si dimostra l’intelligenza?
          capolavori letterari? scoperte scientifiche? successo? QI?

          1. Sì, scriteriato dice bene, scrivere un libro potrebe, forse, bene, ma un libro intelligente….
            E siamo da capo.
            Ma un buonannulla lo definireste voi intelligente (p.es il mio caso)?

            1. JoeTurner

              secondo me:
              un buonannulla (mettendosi anche d’accordo su cosa è buono e cosa è nulla) può essere intelligentissimo.
              un vittimista no.

            2. no, Alvise, permetti: non ho detto scrivere un libro purchessia. Scrivere un libro come IL LIBRO, allorché qui, IL LIBRO per antonomasia è quello della Dott.ssa Miriano, Genio cosmico e Conquistatrice di Milano.

  14. “Mettere il nostro nulla nelle mani del Signore è l’unica strategia che garantisce il risultato finale, la vittoria.” Ecco, valeva la pena leggere tutto il post per arrivare a questa frase, verissima.

  15. Chi sa distinguere bene insegna bene, diceva la sapienza scolastica (ho il sospetto che fosse l’Aquinate, ma dovrei verificare e non tengo la Summa in ufficio). In questo caso temo che la brillante Raffaella abbia fatto un “gancio”, per prolungare la sua metafora, legando due cose in sé incompatibili ovvero applicando senza distinzione il primato della Grazia all’ambito morale e a quello professionale.
    E’ del tutto evidente a chiunque mastichi un po’ di Bibbia che la Grazia è “gratis data”, cioè senza merito alcuno da parte nostra, perché ci previene e perché in fin dei conti anche le cose più meritevoli che possiamo fare non sono altro che un usare i doni che abbiam ricevuto senza alcun merito, ma mi ripugna immaginare un ufficio organizzato in questo modo, anche perché significaherebbe porre il capoufficio (o comunque colui che distribuisce le “grazie”) sullo stesso piano del Padreterno. Solo Lui, nella Sua sapienza e nel Suo amore, può permettersi di non ripagarci per il nostro merito effettivo e lo fa perché ci dà in realtà molto di più di ciò a cui avremmo diritto. Ma da un direttore o capoufficio umano, o da chiunque altro mi debba valutare, al contrario io pretenderei di essere valutato per ciò che faccio. Sennò quale alternativa? In base a quale criterio altrimenti valutare, visto che una valutazione va comunque fatta?
    Immaginate un esame universitario, uno si presenta e fa scena muta, poi secondo voi è logico e giusto pretendere il 30 perché comunque “ha studiato tanto”?
    Venendo alla questione delle quote rosa a me sembra, come spesso succede, una buona idea impazzita, nel senso che da un punto di vista statistico è evidente che la ripartizione dei posti non è equa e che quindi le donne risultano penalizzate, ma è difficile applicare il principio al singolo ente o alla singola azienda. Come sa bene chiunque si interessi di statistica un campione per essere significativo deve rappresentare un numero sufficientemente alto di persone. Non resta quindi che valutare caso per caso senza dogmatismi sciocchi. Un’idea: se mettessimo alla gestione del personale le donne? In fondo loro sono per natura più portate a trattare le persone e nessuno poi potrebbe accusarle di maschilismo…

  16. 61Angeloextralarge

    A me piace molto l’idea di affidare tutto al Signore: lo faccio quotidianamente, ma questo non mi fa vivere a due metri da terra in senso pratico. Mi spiego meglio: sto cercando lavoro e lo affido quotidianamente al Signore, soprattutto attraverso il mio fidatissimo Angelo Custode (uno smack specialissimo a Lui che mi sopporta da 53 anni!); ci prego e ci faccio pregare… poi, ovviamente cerco, chiedo a chi conosco se può darmi una mano, in varie occasioni ho avuto modo di poter dire: “Stavolta ci sono!”, ma poi? Tant’era e tant’è! Sono una che di capacità ne ha e lo dico senza orgoglio perché so cosa posso fare, ma la risposta è spesso quella: “Cerchiamo una più giovane!”. Ovviamente te lo dicono dopo il terzo colloquio: nel frattempo tu speri, ti illudi (anche a motivo della gentilezza con la quale vieni trattata) e alla fine prendi un’altra botta nei denti. La grazia è importantissima ma, soprattutto considerato che siamo pecore in mezzo ai lupi, non basta. E non sono una pessimista mi pare!

    1. 61Angeloextralarge

      N.B.: con le conoscenze che ho potrei forse trovare lavoro, ma la cosa non mi piace perché non è né cristiano né corretto spingere sé stessi a discapito di altri..

  17. Alberto Conti

    In primo luogo l’importante è partecipare ma vincere è più bello!! 😉

    Per quanto riguarda il fatto che in Italia poche donne fanno carriera ritengo che non sia un problema discriminatorio ma semplicemente pratico, mi spiego (e probabilmente mi ripeto): per far carriera nelle aziende italiane più che le qualità serve essere presenti, stare fino a tardi alla sera in ufficio a disposizione del capo che, non sapendo organizzare il lavoro, suo e degli altri, può dare retta al tuo lavoro solo a tarda sera e normalmente tu sei stato lì fino al quel momento solo aspettando che si degnasse di riceverti.
    Quando c’è una famiglia è impensabile che entrambi i genitori possano permettersi di arrivare a casa alle 21 tutte le sere e forzatamente uno, più facilmente la moglie per ovvie ragioni di custodia del focolare domestico, deve rinunciare alla carriera.
    In Germania, dove l’organizzazione del lavoro è maniacale, dove si lavoro 8 ore senza perdersi in chiacchiere e dove alle 18 tutti, dal capo all’usciere, vanno a casa, le donne fanno più carriera che da noi: che strano!!

    Questa è stata la mia esperienza fino a quando sono stato in un’azienda di grandi dimensioni, non sarò un campione statisticamente significativo ma mi sembra che possa essere comune a quella di molti.

  18. Erika

    Straquoto Don Fabio!!!

    @Joe: ti do ragione sul fatto che forse non è giusto introdurre per legge un’ingiustizia ideologica. E’ solo che finora è l’unico metodo che abbia dato qualche risultato. Ma vale la pena rifletterci e trovare una via migliore.
    Non sono d’accordo invece sul fatto che la discriminazione femminile sia opinabile e presunta.
    I dati in merito sono forniti dall’Istat, li ritengo abbastanza attendibili.(Naturalmente quello femminile è solo un aspetto del problema, le discriminazioni riguardano anche altri…)
    Personalmente conosco diverse segretarie più competenti dei dirigenti per cui lavorano…in questo periodo, ad esempio, sto cercando di fare qualcosa per una ragazza che lavora nel mio “staff”: svolge lo stesso compito di un suo collega maschio, di solito meglio, ma è inquadrata svariati livelli più in basso…il mio capo purtroppo finora ha rifiutato di prendere atto della questione (ma non demordo 😉 )…

    Poi, certo, c’è una spiacevole verità: oltre alle competenze, per fare carriera, occorre anche avere tempo extra da dedicare al lavoro.
    Io, che tengo molto al mio tempo libero, accetto il fatto che probabilmente non arriverò mai oltre un certo livello, ma questa non è discriminazione, è una mia scelta.

    1. 61Angeloextralarge

      Stefano, concordo con te! “partecipare tanto per” è tempo perso e non interessa a nessuno! Smack! 😀

  19. Grazie del bacio… posso ricambiare:-)? Cmq Messori ha scritto cose interessanti sulla frase Decoubertiniana nel suo volume “Pensare la Storia”… ora purtroppo non ho tempo di andare a recuperare il riferimento esatto… io solo che divento ‘na bestia anche se perdo al campetto con gli amici… ma forse sono un caso patologico… sicuramente se qualcuno pensasse anche riguardo alla vita che “l’importante è partecipare” starebbe fresco…

  20. Erika

    @Alberto Conti: ecco, quella dell’organizzazione del lavoro su ritmi diversi (e più efficaci) mi sembra una strada che vale la pena percorrere.
    Le “ovvie ragioni di custodia del focolare domestico”…non so. Nella maggior parte dei casi, se ci sono bambini, è meglio che la mamma abbia più tempo possibile da dedicare loro.
    Però non posso non pensare a mia madre, che è arrivata a livelli molto importanti nel suo lavoro. Forse abbiamo perso un po’di tempo da passare insieme, ma lei è un grande esempio per me.
    Sono così fiera di lei che faccio fatica a pensare che avrebbe dovuto lasciare il suo ruolo istituzionale per stare di più con me. (Ma questa è una valutazione soggettiva, mi rendo conto).

    1. 61Angeloextralarge

      Erika, credo che ci sia un’età nella quale i figli abbiano bisogno della figura della madre e del padre. Poi, una volta cresciutelli, vanno a scuola, etc. Quindi un part-time, quella volta, sarebbe l’ideale. il problema è che il part-time non te lo concedono facilmente e ti taglia le gambe se vuoi far carriera, per non parlare della maternità e dell’aspettativa: tu sei a casa e gli altri avanzano ai piani superiori. Questo è discriminante, non trovi?

  21. Io sulla faccenda lavoro ragazzi, onestamente sono Paperaceamente avvilita, sopratutto quando sento dire che il posto fisso è noioso……..io mi annoierei volentieri a fare quello che fanno loro!
    Le quote rosa non dovrebbero esserci perché le donne dovrebbero essere libere di occupare una carica se la meritano più dei colleghi maschi. Insomma non mi piace essere trattata come ” specie protetta “.
    Mi viene da ridere quando cercano la commessa di bella presenza………….e il cervello no?

  22. nonpuoiessereserio

    Anche a me piace vincere. A calcio non sopporto chi non si impegna per farlo. Mi piace che ci sia in palio qualcosa, mi da stimoli maggiori. Ho bisogno di stimoli perché sarei pigro di natura.
    Non giocherei mai a poker se non ci fossero almeno degli spiccioli sul piatto. L’importante è riuscire ad accettare serenamente la sconfitta. Per quanto riguarda la meritocrazia mi viene in mente quando andavo alle superiori e premiavano parimenti quelli che si impegnavano pur senza raggiungere un risultato buono e quelli che ivece lo raggiungevano senza impegno. Non riuscivo a capire questa cosa. Se la discriminante per il voto è il risultato, quello dev’essere, non altro. La tendenza a erigersi a moralizzatori, a giudicare le intenzioni, a fare dietrologia non l’ho mai sopportata. Così facendo si illudevano gli sprovveduti al fatto che comunque vada sarà un successo. Ok, vogliamo premiare l’impegno? Facciamolo a parte. Discorso diverso per i più piccoli ovviamente che vanno educati anche all’impegno.
    La parità dei sessi. Ci sono donne tagliate per il lavoro e quelle più tagliate per fare le mamme. Il problema è quando si mescolano le due categorie. Se una donna volesse stare a casa a fare la mamma dovrebbe poterlo fare senza problemi. La casalinga è un lavoro importantissimo nella società, forse il più importante. Accudire ed educare i figli significa garantire un futuro alla società, accudire un marito significa salvare un matrimonio e una famiglia, quindi salvare la società.

    1. Erika

      Non sono del tutto convinta che “mescolare” il ruolo di mamma e lavoratrice sia dannoso. Per quanto riguarda l’accudimento, be’, e’ molto importante. Io cerco di accudirlo più che posso mio marito, ma non mi servono 16 ore al giorno per farlo! Se avessi dei figli, certo, sarebbe diverso. Pero’, devo essere sincera, se mi dicessero che stando a casa a pulire esprimerei lo stesso potenziale di quello che esprimo nel lavoro… Be’ mi dispiace, ma dovrei dissentire.

      1. nonpuoiessereserio

        Erika, hai ragione mi sono spiegato male, non intendevo quel mix. Intendevo che non è bello quando una donna che vorrebbe lavorare sia costretta a stare a casa e una che vuole stare a casa sia costretta a lavorare.

  23. a parte vincere il Paradiso, ma allora nella vita normale (e anche, forse, nello sport) tutti quelli che non vincono, che non primeggiano, che (come si usa dire oggi) non sfondano(!), si dovrebbero nsentire delle merde, se la grande massa di noi popolazione fa lavori da servo, da portaborse, da leccaculo, da passacarte, da geometra, da ragioniere, da commesso, da spazzino, da stradino, da votacessi, da politico, da funzionariucolo, da scrittorucolo, giornalistucolo, professorucolo, avvocaticchio, medicuzzolo, barbiere, estestista, escort (uomo e donna) eccetra, si dovrebbero tutti
    sentire, per questo dei disgaziati? Forse si? E allora trovare la spinta a vivere e a fare quello che si può fare, cioè cacare, nella grazia di Dio?

    1. Erika

      Alvise, per me se fai bene il tuo lavoro, qualsiasi esso sia, sei ipso facto una persona realizzata.
      Altra cosa: o tu sei un uomo molto intelligente (e molto scorbutico), oppure hai un ghost writer che scrive al tuo posto.

      1. Io non credo a questa cosa che uno è realizzato se fa bene il suo lavoro.
        Sotto questo punto di vista trovo interessanti le (arcaiche?)considerazioni di Marx (ma non solo di lui)sull’alienazione
        dell’uomo dalla sua natura di uomo operata dal lavoro che fa (qualunque)) e questo discorso dell’alienazione potrebbe benissimo essere anche un discorso cristiano dell’uomo che non vive appieno la sua vita ma è ingaglioffato tra scribi e pubblicani e padroni divigne e di campi di frumento. E poi, nel vangelo, contadini o bravi o fannulloni, o svegli o addormentati, o buoni o cattivi, e ogni tanto quello straordinario discorso di lasciare tutto e andare via dietro al maestro, o restare a fare i contadini, nella vigna o nei campi, del padrone (non del Signore).

  24. perfectioconversationis

    Albert Camus: “C’è un solo problema filosofico veramente serio: il suicidio. Giudicare se la vita vale o non vale la pena di essere vissuta significa rispondere alla questione fondamentale della filosofia” (e della vita stessa, aggiungo io).
    Quel che dice Alvise è serissimo. Ma dice “a parte vincere il Paradiso”. Ecco, a parte questo, di fondo, o ci troviamo ragioni deboli e provvisorie per andare avanti, o ci spariamo un colpo in testa.
    Siamo servi inutili, tutti, senza eccezioni di genere, competenza o sapienza. Ma, per il premio finale, ognuno è chiamato a servire come meglio può.

  25. vale

    …E oltre maschi e femmine, siamo anche alti e bassi, loquaci e timidi, forti e fragili, orgogliosi e umili, italiani e stranieri e si potrebbe andare avanti ore per dire che siamo tutti profondamente diversi e unica è la nostra risposta alla grazia. Tutto si può fare dunque, tranne pareggiare. Mettere il nostro nulla nelle mani del Signore è l’unica strategia che garantisce il risultato finale, la vittoria…

    ma in un prossimo futuro non in Danimarca:
    ,
    “la Danimarca sembra procedere a tappe forzate nel progetto di eliminare tutti i soggetti affetti dalla sindrome di Down. Nel 2004 il governo danese ha impresso una possente spinta a questa battaglia eugenetica offrendo la possibilità di ricorrere gratuitamente alle diagnosi prenatali per l’identificazione, e la conseguente eliminazione a mezzo aborto, dei nascituri “difettosi”.
    L’obiettivo pare sia quello di raggiungere il primato di unico Paese al mondo «Down Syndrome Free». Esiste anche una data entro cui realizzare il sogno: il 2030.
    …..

    Molti hanno avuto la fortuna di ascoltare all’ultimo Meeting di Rimini la toccante testimonianza di Clara Gaymard, la figlia di Jérôme Lejeune, scopritore della sindrome di Down, detta anche trisomia 21. Parlando dei propri ricordi personali, Clara ha raccontato che un giorno un ragazzo trisomico di dieci anni si presentò allo studio di suo padre, piangendo convulsamente. La mamma di quel ragazzo spiegò che il figlio aveva visto un dibattito in televisione, in cui si discuteva della possibilità di eliminare i nascituri affetti da sindrome di Down. Il ragazzo gettò le braccia al collo di Lejeune, supplicandolo: «Dottore, vogliono ucciderci tutti; la prego ci protegga, siamo troppo deboli, non sappiamo farlo da soli!». Fu da allora che Lejeune decise di dedicare la sua vita alla difesa di quelle fragili esistenze. Oggi Lejeune, purtroppo, non c’è più. Ma gli sterminatori di quelli che lui definiva «i miei piccoli» sono ancora in circolazione, e invocano sempre lo stesso pretesto: la realizzazione di una società perfetta.
    Quella in cui, ovviamente, oltre all’imperfezione umana dev’essere bandito Dio. ”

    Fonte: Avvenire, 05/01/2012
    Pubblicato su BASTABUGIE n.232

      1. di ilaria il 12 febbraio 2012, alle ore 16:46
        1.000/1.500 € per fare l’amniocentesi è semplicemente una follia!Io aspetto il primo figlio e, con il mio compagno pensavamo di farla anche se il tri-test fosse stato negativo,per essere più tranquilli. Ma viste le cifre penso proppio che non possiamo permetterci un esame così costoso. Che vergogna!

  26. vale

    p.s. sempre in tem a di parità……(dal sito bastabugie)
    BAMBINE DI 9 ANNI COSTRETTE A SPOSARSI IN MOSCHEA
    La Gran Bretagna abbandona il cristianesimo e quindi torna la pedofilia legalizzata
    di Gianfranco Amato
    Bambine di nove anni costrette a sposarsi in moschea. Non siamo nel profondo Yemen o in una desolata area rurale dell’Afganistan. Siamo ad Islington, uno dei quartieri centrali più caratteristici della civilissima Londra. Proprio nel cuore della political correctness. A sollevare il problema è un’organizzazione femminile, The Iranian and Kurdish Women’s Rights Organisation (IKWRO), la quale ha denunciato che nel quartiere londinese si sono svolti, durante il 2010, una trentina di matrimoni forzati, che hanno riguardato almeno tre bambine undicenni e due di nove anni.
    A confermare la tendenza di quel dato impressionante, è intervenuto il Ministero della Giustizia, comunicando che nell’anno 2011 sono stati emessi una trentina di provvedimenti giudiziari (i Forced Marriage Protection Order) a tutela dei minori costretti a contrarre matrimonio, alcuni dei quali riguardavano bambine tra i nove e gli undici anni.
    La IKWRO ha lanciato l’allarme sul fenomeno che in Gran Bretagna sta crescendo in maniera esponenziale….

    non so se la Bonino lo definirebbe un pareggio….e, se continua così,-anche in Germania sembra che nel diritto privato verrà ammesso l’uso di siffatte pratiche- dubito che nel prossimo futuro il problema della parità(?) sarà il problema principale delle donne europee….

  27. Velenia

    …E perchè non eliminare tutti quelli con gli occhiali,come nella Cambogia di Pol Pot? Perchè non diventare un paese “Miopia free”,o “over 65 free”?così si risolverebbe anche il problema pensioni.Poi si potrebbe continuare con “sovrappeso free”,perchè è notorio che siamo più a rischio di malattie cardiovascolari,diabete ecc..( l’osteoporosi no,però quella a noi diversamente magre non viene ,tiè),poi che so “fumatori free”,”depressi free” e via all’ infinito finchè ci troveremo in un deserto.

      1. 61Angeloextralarge

        Al massimo si può accettare un trattamento completo gratuito presso qualche centro serio e qualificato, sì da curare il problema!

    1. vale

      infatti continuava sul genere…ma i depressi no,almeno quelli salviamoli, sennò ci tocca abbattere Alvise…..

  28. Erika

    Scusate, mi sono spiegata male: io parlavo di realizzazione nell’ambito lavorativo. La realizzazione di se’ come esseri umani e’ faccenda assai più complessa e la lascio a chi ci capisce qualcosa più di me.
    Anche Marx, citato da Alvise (sarà arcaico, ma pare sia tornato molto di moda), sosteneva che il discrimine fondamentale nel lavoro sta nella percezione dello scopo di quel lavoro (es. Sto trasportando mattoni per costruire una casa, sto pulendo le strade per evitare che le immondizie provochino epidemie ecc.)

    1. Roberto

      Vade retro Marx XD
      Insomma, è la solita operazione, che gli veniva così bene, di rinchiudere in ambito terreno/materialista un principio spirituale/ascetico cattolico…

        1. Roberto

          Ma guarda! Lo stesso stratagemma che hanno usato per diffamare le proteste cattoliche contro lo spettacolo blasfemo di Castellucci a Milano un 2/3 settimane fa! La direttrice del teatro è ebrea e questi cattivoni fanatici cattolici in realtà stanno attaccando lei. Che fulgido esempio di onestà intellettuale, bravo! 7+

  29. “Secondo Marx, alienazione è quel processo che estranea un essere umano da ciò che fa fino al punto da estraniarsi da sé stesso.”
    Cito da Wikipedia perché sono ignorante.
    Si capisce che è un concetto su cui si potrebbe discutere all’infinito, ma interessante in questi “Tempi moderni”.
    E Joe Turner o scriteriato, sono sicuro, ce ne proporranno qualche immagine.
    Possimo anche provare a immaginare che il concetto oggi sia valido per tutti i tipi di lavoro. Burocratico, impigatizio, scolastico, medico, legale, politico, tecnico etc.etc

  30. ALESSANDRO:
    sono andato a vedre il tuo richiamo al vecchio post e ho trovato.
    «Il Giappone, naturalmente, rimane un Paese con profonde tracce di religione, che però oggi coesistono con il disincanto, la secolarizzazione e il disorientamento. La coesistenza è mostrata bene dalla diffusa convinzione che i bambini abortiti si trasformino in fantasmi vendicatori che perseguitano le loro madri. Anziché un movimento contro l’aborto, questa convinzione ha generato diffusi rituali, insieme antichissimi e modernissimi, per placare gli spiriti dei bimbi abortiti.»
    E’ proprio vero che ci vorrebbe, nel mondo, l’avvento del cattolicesimo!!!
    Sennò che scopo avrebbe vs. la lunga e continua e minuziosa elencazione di tutte le cattiverie umane, sia fuori che da noi?

        1. 61Angeloextralarge

          Un buon genitore, secondo me, il minimo che può fare è “raccomandare” i suoi figli al Signore!!!! 😛

      1. Roberto

        Mettiamo pure una pietra sopra al nostro scambio qua in alto; ma ti rendi conto che sei particolarmente sgradevole in questi giorni, sì?

        Comunque, una buona notizia a cui non verrà ovviamente data nessuna particolare risonanza massmediatica: c’è un genere di persone che, quando si accorge di stare per perdere sonoramente, si ritira alla svelta dalla partita così da non dover ammettere la sconfitta.

        http://www.iltempo.it/2012/02/14/1322378-conclusione_amara_vicenda_avuto_stessa_risonanza_inizio.shtml?refresh_ce

        E stavolta gli sciacalli che hanno attaccato il nostro Santo Padre si sono dovuti ritirare con la coda fra le gambe.

        1. Sì, me ne rendo conto, ma anche il vostro è un fuoco di fila ininteretto di contumelie contro tutto e contro tutti
          (fuori che voi). Bisogna pure che qualcuno (io?) controbilanci. Sennò addio!!!

  31. Sapete una cosa? Io mi sono veramente stufata di questa roba che una, per valere qualcosa, deve pareggiare, cioè, deve avere gli stessi riconoscimenti/ruoli degli uomini.
    BASTA!
    Mi sono stufata che ogni battaglia a favore delle donne parli solo del mondo del lavoro, non consideri neanche minimamente la possibilità che una possa volere restare a casa ad accudire i figli, a crescere bene il futuro della nazione. Che una, anche laureata, competente e colta, possa lasciare “tutto” per stare a casa perché crede che nessuno possa seguire meglio il compito più importante che una donna possa avere: quello di madre.
    Mi sono stufata che si parli solo di conquistare “i vertici”, “il potere” e non si parli mai di acquisire flessibilità di orario, part-time, ecc. senza essere mobbizzata.
    Mi sono stufata di questa cosa che per essere una brava professionista una deve avere “le palle”, deve avere ”polso”, deve superare ostacoli e vincere sfide ogni ora.
    Vorrei dei capi che decidessero, che prendessero la responsabilità delle cose, che mi difendessero, che facessero i capi davvero. A me basterebbe organizzare, curare le commesse, portare a termine i compiti diligentemente.
    Ma no, per essere qualcuno devi fare carriera professionalmente, non hai scelta. E nel mondo del lavoro è così: o fai la uoma o ti calpestano e sei uno zero a sinistra (cioè nulla).
    Il femminismo si è dimenticato di valorizzare la femmina, ha solamente esaltato il valore dei maschi quando ha detto che per essere riconosciuta/apprezzata una donna deve essere “pari” ad un maschio.
    Quando una è brava, per mettere a frutto la propria bravura ha solo l’alternativa del lavoro, se rimane a casa è considerata dalla magior parte delle persone una perdente (e dicono “che spreco di talento”). E le nuove generazioni le affidiamo a quelle che, tendenzialmente, non hanno trovato altro da fare che fare la babysitter, che non ha trovato di meglio da fare.
    Bella roba.

    1. 61Angeloextralarge

      Tombola! Che colpo che hai fatto, carissima Daniela! Hia rimesso tutti i puntini sulle “i” e credo proprio che tu abbia ragione da vendere. Smack!

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