di Emanuele Fant
Quando, dalla casa editrice Monti, mi hanno chiesto di scrivere un libro su fratel Ettore mi è preso un colpo. Sapevo che un bravo giornalista, e addirittura suor Teresa (l’erede del frate) stavano già facendo lo stesso. Il primo si spostava per l’Italia nei luoghi-chiave della biografia, si immergeva per ore nell’archivio della comunità di Seveso, intervistava i testimoni con lo zelo dell’investigatore. La seconda aveva vissuto dieci anni a fianco del famoso camilliano dei poveri.
“E io chi sono?”
Inizialmente ho programmato di seguire con gli occhiali e i baffi finti il giornalista famoso, citofonare di nuovo ai suoi testimoni, elemosinando ancora qualche briciola di ricordi di seconda mano. Poi mi è parso meno rischioso dare a intendere che io, in alcuni sabati di volontariato, ero stato in grado di raggiungere un’intima comunione con il religioso, che mi aveva praticamente eletto vice-erede designato, in caso di malore della suora.
Infine mi sono rassegnato alla realtà: fratel Ettore non è mai riuscito, nemmeno, ad imparare il mio nome.
Se di omaggio si doveva trattare, dovevo provare a non tradire la regola più importante che il mio eroe mi aveva mostrato: spogliarsi fino essere veri, non rende vulnerabili, ma il contrario. Allora ho dato fondo al mio forziere di ricordi, di aspirazioni, di delusioni, di passi fatti avanti o indietro. Ho mescolato, ed ho ottenuto un racconto che, bello o meno, ha un pregio di sicuro: è quello che solo io potevo raccontare.
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un anteprima de LA MIA PRIMA FINE DEL MONDO (editrice MONTI – 2014)
Quando il primo giapponese, con la prima cinepresa, ebbe accesso al Duomo di Milano appena inaugurato, non provò un quarto della mia emozione entrando in quel tempio.
Il Rifugio di fratel Ettore era la vetta sensibile della sua creatività illuminata, negava la teoria di quel pensatore che dava all’architettura l’ultimo posto tra le arti. Chi era il pensatore? Nessuno, di fronte a un tale spettacolo.
L’atmosfera altra dal mondo che avevo assaggiato nella macchina, ora prendeva più spazio e mi mostrava la sua casa, facendo le capriole tra le grandi volte a botte. Sopra al tetto, a intervalli, si sentivano passare i treni. Nei vagoni immaginavo passeggeri storditi dal caldo e infastiditi dal contatto con il gomito del vicino. Io gelavo e mi calpestavano. Ma soprattutto, a differenza di loro, ero arrivato.
Il re degli straccioni ci mise a sedere sui letti sparsi ovunque, che divennero panche. Qualcuno, riscaldato dai nostri sederi, dormiva di già. Salì sull’altare, in fondo all’hangar. Baciò il bambino Gesù, poi strinse la mano di gesso della Madonna, e salutò san Giuseppe, come dicendo: “Tu sì che mi puoi capire”. Si avvicinò al microfono e già eravamo sicuri di come sarebbe finita: “Chi dice la prima Avemaria?”
Se gli operai della torre di Babele avessero avuto la stessa fissazione del nostro frate, nel loro cantiere si sarebbe sentito un rosario con meno idiomi di questo. Alla faccia del dialogo tra le religioni, qui c’era un incontro di sumo. Scoprimmo come si invoca la Madonna in ucraino, in albanese, in polacco, in arabo, in dialetto calabrese. E, in quanto unici portavoce, fummo costretti a fare la decina in italiano.
Non credevo che sarei arrivato a trovarmi in testa i pensieri di un animatore dell’oratorio estivo, ma, dopo aver pregato insieme, notai che sembravamo una famiglia a cena dopo una vita di lavoro, nella gioia e nella luce.
“Voi tre, con me!” gridò il capo quando avevamo appena trovato il coraggio di addentare un coniglio ancora col codino.
La santa inquietudine di fratel Ettore si manifestava così. Appena si tirava il fiato, appena le cose andavano un po’ bene, lui doveva ritrovare il contatto con il dolore e la fatica. Non conosceva sedie senza sopra le puntine, e non dormiva di notte, mangiava in piedi, regalava le scarpe nuove. Da decine di anni, uno sproporzionato post-it gli ricordava di continuo che lui, proprio in quel momento, era atteso altrove. E di solito, l’altrove, puzzava di escrementi e di cancrena.
Ci gettammo di corsa nel buio di via Sammartini, costeggiando i binari rialzati. Il suo grosso telefono portatile non era nemmeno squillato, ma lui aveva sentito coi superpoteri che una nuova emergenza aspettava. Arrivammo all’ingresso della Stazione Centrale, dove transessuali venuti così cosi e spacciatori nervosi salutarono il religioso, offrendogli un sigaro. Fratel Ettore guardò le finte donne con compassione, commosso, come si osserva uno sfregio gratuito alle idee del proprio Creatore. Poi diede rosari a tutti, benedicendo e chiedendo preghiere.
E via, verso i binari.
Grande figura! Siamo “fortunati” quando incontriamo sulla nostra strada uomini e donne di questa portata. Ringrazio il Signore per ognuno di loro e prego perché non si stanchi di chiamarli al suo servizio.
OT: Chiedo preghiere per una giovane mamma, sposata da pochi anni, alla seconda gravidanza: la bimba potrebbe nascere con seri problemi fisici. Ovviamente i medici le hanno chiesto di deciderla o abortire. Adesso è
confusa e indecisa anche perché è molto cattolica e non vorrebbe abortire.
Si proprio grande Fratel Ettore! Mi attivo subito Angela! Ho appena ricevuto due sms positivi riguardo a preghiere andate a buon fine! Preghiamo!
Mi unisco volentieri alle prehiere per la giovane mamma!
@Angela, una battuta ma certo non per scherzare su una seria situazione…
Se è “molto” cattolica, pur con grandi timori non dovrebbe meditare più di tanto…
Se è “poco” cattolica, avrebbe forse meno remore…
Ma sostanzialmente basterebbe l’esser cattolica (senza “quantitativi”).
La bimba “potrebbe” avere “seri problemi” anche due ore dopo la nascita, o non averne alcuno…
Ne conosco di figli sanissimi che secondo i medici ne dovevano avere d’ogni sorta… 😐
Io ho aspettato e partorito un bambino malato. Non è che siccome può davvero nascere malato allora l’aborto diventa più lecito. Sennò siamo uguali uguali a tutti. Anzi lo siamo ed è giusto così. Bisogna solo non avere fretta di capire tutto, sapere che il dolore, le malattie, le fragilità ci sono e non siamo felici solo finché le schiviamo. Presto o tardi – e allora forse per molti sarà davvero tardissimo – tutti avremo la grazia di accorgerci che siamo feriti, malati. Meglio il corpo che l’anima. In tutto ciò chiedo urlando graffiando a volte cascando per terra al Signore di tutto, anche del suo corpicino, di guarirlo.
Paola, pregherò per il tuo bambino ogni giorno.
Anch’io
Preghiere assicurate anche da parte mia!
Paola collego solo adesso: ho visto su facebook sulla pagina di Costanza. Io già prego per Ludovico da quando Costanza lanciò l’appello: scateniamo il Paradiso! E’ nel mio elenco di bambini ammalati insieme a Camilo, Mattia, Edoardo, Alessandro etc…..Prego tutti i giorni per lui e faccio anche dire messe per i “miei bambini”. Ho visto le foto: è stupendo!
Grazie per le preghiere. Non volevo andare fuori tema più di tanto. Comunque, anche se si è molto cattolici… quando tutti intorno di chiedono altro, si è soli, la sofferenza c’è, la preoccupazione pure. Ammiro Paola ma non me la sento di pensare che questa donna non sia cattolica o lo sia poco perché è nel dubbio. Non voglio sminuire l’entità dell’aborto, anzi! Ma anche altre cose non dovremmo fare se molto cattolici, eppure…
n.b.: le preghiere per te, Paola, per tuo figlio e la tua famiglia, non mancheranno.
Cara Paola, anche io pregherò per il tuo bambino. E per te e per tutti coloro che lo amano.