L’ultima parola

di Maria Elena Rosati   trentamenouno

Ci ho messo un po’ più del solito a scrivere questo post, per una serie di motivi che vado ad elencare: 1) il tempo passa sempre più in fretta di quello che pensiamo – o almeno di quello che penso io – 2) certi temi ti folgorano all’inizio, ma vanno lasciati maturare con calma, perché magari il pensiero c’è, ma la sua formulazione in forma di post tarda ad arrivare 3) proverbiale pigrizia dell’autrice, su cui lavora benissimo il Nemico e su cui glisso con eleganza.

 Fuori da questa strampalata classifica ci metto anche che, se vuoi scrivere un post sulle parole, è perché nel corso del tempo certe parole ti hanno ferito o ti hanno fatto arrabbiare, e, in entrambi i casi ti hanno fatto riflettere. Ecco, la situazione è questa: giorni e giorni in cui ho visto rincorrersi fiumi di parole che mi hanno fatto imbufalire, hanno suscitato in me il desiderio di ribattere colpo su colpo, e mi hanno permesso di esercitare, con un certo successo, il soliloquio mentale.

Come diceva Nanni Moretti “le parole sono importanti”: lo sappiamo, i social  network ce lo dimostrano ogni giorno di più, e Fabio Fazio e Roberto Saviano hanno costruito tre prime serate proprio sulle parole, (non ho intenzione di commentarle,  molto di quello che pensavo lo ha scritto Severgnini sul Corriere): è importante capire come si usano le parole, come si articolano i discorsi, quando effettivamente si sa di cosa si sta parlando e quando invece si sta portando avanti una battaglia di cui non conosciamo nemmeno le basi, e al quel punto sarebbe anche buon gusto fare un passo indietro e tacere. Quello che stavo pensando in questi giorni è che ciascuno di noi ha tanto da dire, ma che, fra tutte, la parola che ci piace di più è sempre una sola: l’ultima.

Attenzione, non l’ultima parola famosa, quella che nasconde l’inganno, ma proprio l’ultima, la definitiva, quella che chiude ogni discorso, ogni discussione. La conquista dell’ultima parola è un traguardo che tutti vorremmo raggiungere,  per poter dire con una certo orgoglio che avevamo ragione noi,  che avevamo capito tutto, che abbiamo zittito interlocutore. Per questo nella battaglia per l’ultima parola spesso non guardiamo in faccia a nessuno,e  puntati verso l’obiettivo finale, quello di avere ragione a tutti i costi, non guardiamo nemmeno più a quello che stiamo dicendo; il corpo, in questi casi sembra aver già capito, l’ andazzo, e comincia ad agitarsi, le mani si muovono in aria in modo inconsueto, la voce si alza di tono, diviene quasi stridula, e di contro, le parole che escono dalla bocca perdono gran parte del loro significato. La lotta per l’ultima parola prosegue così, finché uno dei contendenti non decide di ritirarsi e lasciare la vittoria all’altro. Il punto è che non si saprà mai chi aveva davvero ragione.

E così, mentre seduta davanti al computer ingaggiavo  mille discussioni  immaginarie alla lettura di articoli o riflessioni che mi hanno fatto imbufalire, pensando a come avrei voluto ottenere l’ultima parola sull’interlocutore, ho pensato a tre parole chiave di questi giorni: amicizia, amore, carità. Sì, lo so non sono originali, e se volete sono anche molto simili, ma definiscono bene il senso di tante amarezze di questi giorni.

L’amicizia e l’amore sono legate fra di loro, come si è letto nel Vangelo domenica scorsa e nel corso di questa settimana: Gesù stesso  ci chiama amici, se ci ameremo come ama lui, e cioè fino alla morte, perché “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. L’amicizia e l’amore sono quindi impegnativi, e richiamano l’immagine del sacrificio, sul modello di Cristo. E poi la carità, quella descritta da San Paolo nella lettera ai Corinzi: paziente, benigna, che non si adira, non si gonfia, si compiace della verità (Chiara, grazie, ho iniziato a leggere il tuo regalo!). E’ la stessa carità che ti fa accogliere chi non vorresti, che ti fa perdonare, che ti insegna ad amare il prossimo come te stesso, e ti fa avvicinare alla sue difficoltà. E’ la carità che ti fa amare i nemici, che ti fa sentire l’urgenza di correggere un amico che sbaglia, di dire forte e chiara la verità, di difenderla, ma anche a volte, di stare zitto, di fare un passo indietro di fronte alla provocazione più sterile, alla puntura di forcone che ti fa cadere nel tranello più subdolo, che è poi l’ingaggiare la discussione per vincere l’ambita, preziosa ultima parola.

Ron cantava anni fa che “non abbiamo bisogno di parole, per spiegare quello che è nascosto in fondo al nostro cuore”: siccome non ci credo fino in fondo, dico che abbiamo bisogno di parlare, di imparare il dialogo, di capire che nel confronto pacato e consapevole (cioè portato avanti senza sparare le solite quattro banalità in croce, ma dimostrando di sapere di cosa si parla),portato avanti con una dose minima di buonsenso,  c’è il vero arricchimento dei rapporti, e l’accoglienza vera dell’altro, e alla fine si riesce davvero a trasmettere un contenuto che ha un valore, e che, chissà, magari fa pensare l’altro e lo avvicina. Senza questo desiderio di parlare, è solo una battaglia inutile per cercare di conquistare l’ultima parola.

E poi occorre talvolta tenere a mente quello che è scritto nell’Imitazione di Cristo “Giova di più distogliere lo sguardo da ciò che non approviamo, lasciando che ciscuno si tenga il suo parere, piuttosto che metterci in accanite discussioni. Se sarai in regola con Dio e terrai conto del suo giudizio, riporterai più facilmente la vittoria”, e meditarci su. L’ultima parola è meglio lasciarla ad un Altro: Lui sì, che al tempo debito, saprà dire la parola definitiva, su tutto, meglio di noi.

fonte> trentamenouno

67 pensieri su “L’ultima parola

  1. Marco De Rossi

    primo per la seconda volta di fila.
    che contributi che do eh?
    non vi ci abituate troppo! 🙂

  2. Non volevo fare commenti, poi ho letto la chiusa («E poi occorre talvolta tenere a mente quello che è scritto nell’Imitazione di Cristo “Giova di più distogliere lo sguardo da ciò che non approviamo, lasciando che ciscuno si tenga il suo parere, piuttosto che metterci in accanite discussioni. Se sarai in regola con Dio e terrai conto del suo giudizio, riporterai più facilmente la vittoria”, e meditarci su.»). Ecco, è giusto quel che NON ho fatto ieri pomeriggio in treno. Sono entrata in un’accanita discussione con qualcuno che dava del nazista al Papa. Con poco costrutto nei risultati immediatamente tangibili, anche se spero possa servire di più il rosario detto dopo per quella persona. Un’altra volta proverò con quest’altro sistema … o forse, conoscendomi, è più facile che sia ì una volta sì e una volta no ;-). Comunque grazie per lo spunto.

    1. emidiana:
      le classiche discussioni in treno! Non credevo che esistessero più. Meno male che ancora si discute.
      Probabilmente un treno Toscano? O Umbro?

      1. Marchigiano, quando passa sotto Loreto io mi segno e anche qualche altro 😉
        Essendo nata nella più bella città della più bella regione del mondo, dove una volta la gente soleva attaccar discorso con gli sconosciuti, ho il vizio di non farmi gli affari miei in treno. La penultima volta è stato in uno scompartimento di studenti d’ingegneria che facevano un cruciverba… cose turche 😉

  3. Velenia

    Mi piace questo post,io non so solo non so resistere al fascino dell’ultima parola ma ho un’autentica passione per la battuta tagliente,da cui il mio soprannome,non so non riesco proprio a correggermi,poi mi dico che l’importante è non guardare mai l’altro come un avversario e ricordarmi che comunque nel suo cuore io ho un Alleato.

    1. A proposito della carità. Sono andato a leggere la Bussola e ho trovato scritto che è un giornale che vive di carità.
      Non ha, c’è scritto, finanziamenti di nessun genere, ma si affida solo al buon cuore dei lettori. Ecco, allora, mi chiedo, in quanto anche io libero editore gratuito (nessuno mi offre mai nulla, ovviamente) come è possibile, dice, c’è scritto, che si trovino, allora, impelagati in faccende giudiziarie? Che faccende giudiziarie sono? Mi permetto di chiederlo perché qui è stato molto spesso citata la bussola e perché anche alcuni autori del blog facevano parte della Redazione.
      Lascio a qualcun’altro l’ultima parola!

      1. vale

        da quel che ho potuto capire:le questioni sono finanziarie( e diventano,quindi giudiziarie,se c’è un concordato o quant’altro). avevano finito i soldi. e non tutti i “collaboratori”scriventi o no vivono “gratia et amore dei”. hanno anche qualche bolletta da pagare….

  4. Miriam

    Dipende cosa ti muove a intervenire nelle discussioni. Se è per avere l’ultima parola ha ragione l’autrice.
    Ci sono casi in cui non possiamo né dobbiamo tacere. E. certamente è importante recuperare il senso preciso delle parole, che sembra perdersi in un discorso sempre più fluido ed affascinante ma vuoto di significati. E questo, purtroppo, avviene proprio dove non dovrebbe: in chi nella Chiesa ha scelto di dialogare invece di insegnare. Badate bene che ho detto “in chi nella” non ho detto “nella” Chiesa. Mi viene in mente la crisi dell’Autorità, che è anche la crisi dell’uomo di cui parlava giorni fa Costanza.
    Tuttavia, sono le generalizzazioni e le assolutizzazioni che fanno acquistare alle parole un senso ultimo e definitivo che solo la Parola ha… Il discorso è lungo e complesso. Ho solo lanciato un sasso… e non riguarda solo la Chiesa. Del resto, tutti gli ambiti della vita sono interconnessi…

    1. @ Miriam, non potrei essere più d’accordo sul «recuperare il senso preciso delle parole, che sembra perdersi in un discorso sempre più fluido ed affascinante ma vuoto di significati». E’ forse la lacuna più appariscente: i ragazzi di ieri sera parlavano di cose percepite di sfuggita, fraintese, incomprese ma con una sicumera sconcertante: molto Nietzsche (vabbe’ da bigino) e niente «io so di non sapere». E’ dura e colpisce tutti… e certamente non la risolviamo da soli.

    2. Roberto

      Osservazione assolutamente molto bella e molto condivisibile. Ho molta sfiducia nella parola “dialogo” così com’è intesa dal “mondo” al giorno d’oggi. E in questo ciò che ero e ciò che sono “si son sempre trovati d’accordo”. Bambino, ragazzo, adulto, agnostico feroce, perso o ritrovato, tiepido o ardente, la parola “dialogo” mi ha sempre fatto balenare in testa lampi d’allarme. Dev’essere proprio una cosa mia 🙂
      Tutto il “dialogo” di quest’epoca parolaia pare non faccia che aggravare “la maledizione di Babele”. Quando per “agevolare il dialogo” si dissolve l’identità, il paradosso è che non si è più in grado di comunicare nulla, perché se non si è nulla, nulla si può dare e nulla trasmettere.
      Ed è vero, noi siamo sempre pronti a difendere noi stessi (e dovremmo imparare in umiltà a lasciarci sconfiggere) ma quando ciò che difendiamo non siamo noi, allora la questione cambia… e lì viene il difficile! 🙂

        1. Roberto

          “Dialogo” assomiglia troppo a “diavolo” per i miei gusti 😉

          Ohi! Auguri ritardati per il milione! Ma che testa…

          1. Alessandro

            “Ma non per questo dobbiamo sfuggire a ogni contatto e a ogni discorso che non sia tra coloro che sono “illuminati”. Si può e si deve sempre cercare di dialogare con tutti, nella speranza di trovare qualche parziale concordanza di vedute e qualche frammentario riconoscimento dei valori cristiani. Se li troveremo, non potremo che rallegrarci.

            Ma sarà meglio persuadersi che non potrà essere troppo facile, né troppo frequente la convergenza sia pure parziale tra coloro che affermano e coloro che negano un disegno divino all’origine delle cose; coloro che affermano e coloro che negano una vita eterna oltre la soglia della morte; coloro che affermano e coloro che negano l’esistenza di un mondo invisibile, di là dalla scena variopinta e labile di ciò che appare; coloro che credono e coloro che non credono nel Signore Gesù, crocifisso e risorto, Figlio unico e vero del Dio vivente, Salvatore dell’universo…”

            (Card. Giacomo Biffi, http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Meditazioni/04-05/06-Dialogo_nella_Bibbia.html)

      1. lidia

        secondo me, il dialogo è imprescindibile, ed è la caratteristica propria dell’uomo. Dio stesso dialoga con Abramo, con Mosè. Nel giardino dell’Eden Dio “conversava” con l’uomo. Addirittura Abramo “tenta” Dio dicendogli “Signore mio, se in quella città si trovassero dieci giusti…etc.”, e Dio “sta al gioco”: dialoga con lui. Israele, addirittura, “lotta con Dio” (donde il nome). Nella tradizione musulmana, il fedele è “sottomesso” (islam significa sottomissione) e non c’è verso di dialogo con Dio: Allah parla e tu esegui. La tradizione cristiana è lontanissima da questa idea: i santi “Lottavano”; pregavano, dialogavano, si arrabbiavano persino con Dio (come Teresa di Gesù, che diceva a Dio: Signore, se è così che tratti gli amici, chiaro che tu ne abbia pochi!”). ovviamente, erano “proteste” filiali, determinate dall’amore, e accettavano di buon grado la decisione divina: però dialogavano.
        Gesù dialoga con la samaritana: non le dice, ehi tu, peccatrice immonda, che stai pure a questionare?! e la fulmina. Al contrario: segue i suoi ragionamenti e, rispettandola, la porta alla verità; dialoga con Zaccheo, col fariseo Simone.
        Certo, oggi la parola dialogo è arrivata a dire “nego ciò che sono”, ma questa è una corruzione di dialogo. Come Gesù che tace di fronte a Erode: non dialoga con lui perché sa che Erode non è interessato a dialogare, vuole solo vedere i miracoli (e magari farsene dare la ricetta…), perciò evita proprio di parlare.
        Ma se ben fatto il dialogo è una delle cose più belle del mondo.
        Il dialogo fra le culture, per esempio: oggi in Italia è visto o “vendolianamente” “accogliamo indistintamente i fratelli musulmani” o “leghistamente” “qua è terra nostra e a voi o vi sta bene o tornatevene a casa”. Entrambe le posizioni sono chiaramente errate. Il dialogo parte dal rispetto: rispetto la tua posizione, anche se la ritengo sbagliata. Il dialogo ebraico-cristiano, musulmano-cristiano e ecumenico, per esempio, è fonte di grandissime ricchezze per tutti, a parte che l’ecumenismo deve essere la grande passione di ogni cristiano, perché corrisponde al desiderio più intimo di Gesù: “che tutti siano uno”. Ogni offesa ai cattolici da parte dei protestanti o ortodossi e viceversa è un colpo al cuore di Cristo. In questo senso il dialogo non significa “sono meno cattolico affinché tu sia meno protestante” ma, semmai, cerco di trovare nella tua tradizione, nella tua spiritualità quegli elementi che ti possono portare alla fede cattolica. Il documento sulla giustificazione per grazia, per es., è stato un grande passo.
        Ovviamente, qualora la posizione si portasse su conseguenze pratiche (“sono per l’aborto, ergo ho diritto ad abortire”) il dialogo assume altre caratteristiche: si può dire “rispetto te (sempre), ma la tua posizione no”. Allora il dialogo sarà, piuttosto, un confronto cercando di convincere l’altro.
        Infine – e Costanza lo insegna – il dialogo fra marito e moglie è imprescindibile, altrimenti staremmo sempre a tirarci i piatti in testa 🙂

        1. Alessandro

          “Certo, oggi la parola dialogo è arrivata a dire “nego ciò che sono” “. E’ questo il punto.

          Il “dialogista” a tutti i costi si fa forte di massime e aforismi molto orecchiabili ma non meno insidiosi:

          “Bisogna guardare più a ciò che ci unisce che non a ciò che ci divide

          […] È un principio comportamentale di evidente assennatezza, che va tenuto presente quando si tratta di semplice convivenza e di decisione da prendere nella spicciola quotidianità. Ma diventa assurdo e disastroso nelle sue conseguenze, se lo si applica nei grandi temi dell’esistenza e particolarmente nelle problematiche religiose.
          È opportuno, per esempio, che si usi di questo aforisma per salvaguardare i rapporti di buon vicinato in un condominio o la rapida efficienza di un consiglio comunale.
          Ma guai se ce ne lasciassimo ispirare nella testimonianza evangelica di fronte al mondo, nel nostro impegno ecumenico, nelle discussioni coi non credenti”.

          “Bisogna distinguere tra l’errore e l’errante”

          “Il principio è giustissimo e attinge la sua forza dallo stesso insegnamento evangelico: l’errore non può che essere deprecato, combattuto dai discepoli di colui che è Verità; mentre l’errante […] è sempre un’immagine viva […] del Figlio di Dio incarnato e pertanto va rispettato, amato, aiutato per quel che è possibile. [Ma] il popolo cristiano va messo in guardia e difeso da colui che di fatto semina l’errore, senza che per questo si cessi di cercare il suo vero bene e pur senza giudicare la responsabilità soggettiva di nessuno che è nota solo a Dio.
          Gesù a questo proposito ha dato ai capi della Chiesa una direttiva precisa: colui che scandalizza col suo comportamento e con la sua dottrina, e non si lascia persuadere né dalle ammonizioni personali, né dalla più solenne riprovazione della ecclesìa, “sia per te come un pagano e un pubblicano”; prevedendo e prescrivendo così l’istituto della scomunica”

          (G. Biffi, Memorie e digressioni di un italiano cardinale, pp. 178-79)

          1. Alessandro

            Fino a 50 anni fa il “dialogo” era estraneo ai documenti della Chiesa. Vi è entrato con l’Ecclesiam suam di Paolo VI, nn, 60ss.

            A un certo punto il Papa afferma: “Potrà sembrare che così parlando Noi ci lasciamo trasportare dall’ebbrezza della nostra missione e che trascuriamo di considerare le posizioni concrete, in cui l’umanità si trova rispetto alla Chiesa cattolica. Ma non è così, perché Noi vediamo benissimo quali siano tali posizioni concrete; per darne un’idea sommaria ci pare di poterle classificare a guisa di cerchi concentrici intorno al centro, in cui la mano di Dio Ci ha posti.” (n. 100)

            E si volge a esaminare le “categorie” con cui la Chiesa si trova a dialogare: gli atei, i credenti di religioni non cristiane, i “Cristiani Fratelli separati”.

        2. vale
          1. lidia

            certo, che dialogo ci può essere con i fondamentalisti? Nessuno, proprio perché negano l’essenza stessa del dialogo. E anche coloro che mettono la negazione dell’identità come premessa al dialogo non possono dialogare, perché il dialogo presuppone uno scambio di opinioni fra due identità definite.
            Allo stesso modo, è evidente che dialogando con i musulmani, ad esempio, cercare ciò che ci unisce è bello (ci sono molti musulmani che si sono convertiti al cristianesimo partendo da un attento esame del Corano stesso), come l’adorazione di un unico Dio, la venerazione per Gesù (anche se loro non ne riconoscono la divinità), la concezione lineare e non ciclica della storia…ma non si può dire “beh allora diciamo che siamo uguali”.

              1. lidia

                è che replicare così è facile “eh la parola dialogo oggi viene spesso usata male, allora…non dialoghiamo”; “eh in molti paesi islamici i convertiti vengono uccisi, allora…non dialoghiamo”.
                Questo approccio secondo me non porta da nessuna parte. L’unica cosa da fare è accettare che spesso il dialogo viene frainteso, e condannare ovviamente il fondamentalismo islamico, ma continuare a cercare interlocutori. Mia mamma (l’ho già detto) ha fondato una fondazione intitolata a Karol Wojtyla che ha come fine quello di uno sforzo comune alle tre religioni monoteiste di creare una cultura della terapia del dolore (sembra astruso, ma non lo è). Ora, sia dal nome sia dal fatto che mia mamma non nasconde certo il fatto di essere cattolica praticante si evince che lei certo non “dialoga” dicendo “beh è tutto uguale”, anzi. Però – e proprio grazie alla sue coerenza – ha trovato, nella comunità ebraica italiana e in quella islamica italiana, molti interlocutori pronti al dialogo, e stanno facendo un ottimo lavoro.
                IL problema dell’Islam è che, spesso, lo sappiamo, la società è totalmente teocratica: perciò il convertito è visto come un colpevole anche davanti alla legge. L’Islam, se vogliamo, porta all’estremo la condizione “questa è la verità e tu DEVI accettarla”, pena la morte, cosa che il cristianesimo non fa (nonostante, temo, a molti piacerebbe…), perché la libertà è un dono di Dio e va rispettata. Ciononostante, ci sono anche musulmani pronti al dialogo (penso a Ziauddin Sardar, un autore inglese di origini pakistane), che non significa pronti a dire che si convertono, ma che puntano ad una conoscenza reciproca sempre maggiore
                Il caso del musulmano convertito dal Corano è il caso di una studentessa libanese di teologia islamica, che si è convertita proprio studiando a livello accademico il Corano. In Libano la situazione è più tranquilla, e lei vive lì tuttora, mi pare, il caso è citato da Socci nel suo libro Indagine su Gesù.

  5. Qualsiasi giustificazione rivolta ad una certa affermazione dovrebbe anche giustificare sé stessa, e facendolo dovrebbe giustificare la nuova giustificazione. Quindi non può esserci alcuna fine. Siamo di fronte ad una situazione senza speranza di ‘regressione infinita’.
    Si potrebbe provare una giustificazione con argomenti circolari, ma questo ne sacrificherebbe la validità.
    Si potrebbe pensare di fermarsi ad un fatto auto-evidente, o ad un principio accettato dal senso comune o ritenuto vero per il principio di autorità, ma in questo modo verrebbe meno l’intento di fornire una giustificazione.

        1. Io mi contento di quella grammaticale. Jack London non mi piace, Conrad e Stevenson nemmeno. Preferisco roba nazionalpopolare come Kipling, Roberts e Curwood (o il compianto Hugo Pratt).

          1. …più nazional popolare di London non esiste. Kipling è un grande autore. A me mi piace anche Salgari e Mark Twain e Dickens e “I Misteri di Parigi”…

    1. Alessandro

      “Si potrebbe pensare di fermarsi ad un fatto auto-evidente”; ecco, mi pare una buona idea.
      “ma in questo modo verrebbe meno l’intento di fornire una giustificazione”: quella di fornire una giustificazione è una necessità, quando non lo è. Quando la giustificazione non è necessaria (come accade davanti ad alcunché di autoevidente), l’intento di giustificare è fuori luogo, va eliso: cosicché non ne scaturisce alcuna giustificazione, e non si innesca un regresso infinito

        1. Alessandro

          No, lascia perdere il vegano, il divieto assoluto di mangiar carne è estraneo al cattolicesimo

      1. Angelina:
        “Nella relazione (di coppia, ma anche le altre…?) non c’è vittoria dialettica”
        Hai perfettamente ragione. Sarebbe anche imbarazzante avere la vittoria (se esistesse).
        Non darebbe gioia.

      2. Come si fa a dimostrare che una superficie è (p.es.) il doppio di un’altra?
        Si misura, col metro, e si moltiplica, La giustificazione che è il doppio è questo calcolo.
        Per altre cose la dimostrazione non esiste.

  6. Velenia

    O farsi un giretto in un posto abitato da esseri umani e non solo da cani,capre,cipressetti e pietre?

  7. Velenia

    Come fai a ricordare ancora le cose studiate a scuola? Capisco che avendo studiato prima del ’68 ti viene più facile però….
    Ecco l’ho rifatto,Alvise sei un bersaglio facile,che posso farci?

  8. vale

    l’unico appunto è su severgnini: in genere i giornalisti spiegano benissimo quello che non sanno(longanesi,se non erro…). e sono pure pagati.l’apoteosi della portinaia.

  9. L’imitazione di Cristo:
    “Oh, Signore, a chi crederò; a chi, se non a te? Tu sei la verità che non inganna e non può essere ingannata; mentre “l’uomo è sempre bugiardo” (Sal 115,11), debole, insicuro e mutevole, specie nelle parole, tanto che a stento ci si può fidare subito di quello che, in apparenza, pur ci sembra buono. Con quanta sapienza tu già ci avevi ammonito che ci dobbiamo guardare dagli uomini; che “nemici dell’uomo sono i suoi più vicini” (Mt 10,36)”

    (e dagli ignoranti, cosiddetti, in Toscana)

  10. angelina

    la parola che ci piace di più è sempre una sola: l’ultima.

    Quanto mi piaceva l’ultima parola! Quanto mi piacevano ‘tutte’ le parole. Riponevo in loro una sconfinata fiducia, mi sembrava assolutamente importante e necessario, a seguito di un malinteso o di una discordanza di vedute tra persone che si amano, approfondire, analizzare, con accuratezza filologica dare il giusto peso ad ogni parola per giungere ad una comune riduzione dei due punti di vista. Fideisticamente certa che il nostro discorso non poteva che essere “uno”.
    Fedele assertrice del paolino “non tramonti mai il sole sulla vostra ira”, in un paziente e meticoloso dialogo mi disponevo a chiarire il perché e percome noi due si fosse arrivati a tal punto (un punto qualsiasi, non ha importanza quale fosse il problema…). Il dialogo nella coppia, anche fino allo stremo, a notte inoltrata; finché dovetti arrendermi all’evidenza che lui, il mio sposo, l’uomo dei miei sogni, alle tre di notte, beh…..non ci crederete …mentre io diligentemente dialogavo…..lui dormiva.
    Non che non fosse disposto a parlare, ma le sue parole erano sinteticamente mirate a stabilire rapidamente “OK, cosa posso fare?” Ci siamo insieme resi conto che comunque occorreva ascoltarsi a vicenda, riconosco la sua buona volontà. E ammetto anche che la mia (riconosciuta) superiorità dialettica ci portava ad una specie di binario morto: avevo ben cura di riportare la questione in termini equilibrati e condivisi, cercavo sempre un’ultima parola conciliante, ma l’ultima parola era la mia, comunque.
    Non so se sia una vittoria la conquista dell’ultima parola. Anzi…. Quando l’altro, messo alle strette dalla cogenza di un ragionamento, si arrende e tace; quel silenzio non è più un conciliante passo indietro. Tutt’altro, diventa il passo indietro di chi si arrocca, si chiude nella difensiva. “Come l’hai messa tu, convengo anch’io, arrivo a dire di aver sbagliato, ma me lo sento dentro che non è così, anche se non riesco a dirlo, mi sembra di non sapermi esprimere, non trovo argomentazioni convincenti come le tue.” E allora quell’ultima, vincente, parola quanto sa di amaro, come vorrei non averla mai pronunciata.
    E’ “ultima” non solo nel senso di dirimente ma anche di definitiva. Parole come pietre. Dopo, il vuoto. Dopo, solo parole di formale cortesia (“…preferisci la finestra aperta?…davvero non vuoi un altro po’ di fragole?….lascia, faccio io…”). E quella che facilmente, in tanti altri settori, definiamo una vittoria, questa ineluttabile ultima parola, detta per amore di chiarezza, cercata per amore della verità, per me era diventata una specie di condanna alla solitudine. Nessuno gioca più con me a Scarabeo, tanto non c’è partita…. (Per inciso: l’accostamento tra il post e l’immagine; nel mio lessico familiare, una vera folgorazione!)
    L’ho detestata, l’ultima parola. A che mi serviva? Credo che il mio personalissimo (e indicibile) percorso di costanziana/paolina sottomissione sia passato innanzitutto da qui.
    “Se sarai in regola con Dio e terrai conto del suo giudizio, riporterai più facilmente la vittoria”: ma non la vittoria sull’interlocutore, l’unica vittoria possibile è su se stessi. Perché se c’è chi vince e chi perde, abbiamo perso entrambi. Nella relazione (di coppia, ma anche le altre…?) non c’è vittoria dialettica, c’è un dialogo probabilmente fatto anche di silenzi eloquenti. Di stare, semplicemente “esserci”, rimanere nell’amore. E di parole finalmente leggere.

    Scusatemi, sarò fuori tema?

  11. Angelina:
    “Nella relazione (di coppia, ma anche le altre…?) non c’è vittoria dialettica”
    Hai perfettamente ragione. Sarebbe anche imbarazzante avere la vittoria (se esistesse).
    Non darebbe gioia.

          1. 61Angeloextralarge

            Angelina: tranquilla! 😀 Non ho il copyright!
            E poi al momento ho così poco tempo per mettermi a lasciare smack, quindi se li lascia qualcuno mi fa strapiacere! 😉

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