Attimo dopo attimo, punto dopo punto

di Paolo Pugni

La vita  è difficile. Lo sappiamo. E molto ostacoli ce li creiamo noi, con le nostre idee sbagliate. Anche questo lo sappiamo. Magari non riusciamo ad ammetterlo, ma lo sappiamo bene. Perché certe volte c’è questa bestia dentro, che rugge, che graffia, che si difende. Che la chiamiamo orgoglio o vanità poco importa, è un nemico che custodiamo in seno senza nemmeno saperlo riconoscere, che il più delle volte è camuffato.

Ma la vita è anche bella, dolcissima, rapisce per la sua lievità, per quella capacità di strapparti un sorriso nei momenti più stravaganti, per commuoverti. A me capita spesso e quelle lacrime che non so più far scendere si slanciano in avanti, cerchiano gli occhi, eruttano singhiozzi contenuti, e scaricano quella valanga di emozioni che hanno raccolto e coltivato e che un piccolo minuscolo segno, spesso per me un brano che leggo, un tramonto o un’alba, una parola sentita, lasciano percolare, dapprima silenziosi e intimiditi, poi violenti, di quella violenza pura, bella, che dirompe e lacera il sublime.

La vita è bella per tutti, per tanti motivi. E questo pensiero mi è venuto in mente tempo fa quando leggendo un commento credo di Erika, ma non lo trovo più e la mia memoria sfarfalla spesso, che diceva: va bene la critica, va bene la segnalazione del male, va bene l’accusa: ma qualche cosa di positivo ci sarà anche o no? Specie in questa vostra fede che sbandierate tanto.

Eccià ragione, cià. Certo.

Che subito la memoria, vedi che bestia strana che è, mi ha ricondotto a due film e a due scene che di questo parlano:

la prima è profonda nella storia del cinema –ma anche in quella della sociologia- ed è la sbeffeggiata ma pur sempre saggia Pollyanna che in questo spezzone chiarisce al pastore del paese che a cercare il male lo si trova sempre, e che lo migliore sarebbe cercare il bene.

la seconda è un po’ meno ingenua e più recente ed è la famosa (se non lo fosse non me la ricorderei) perorazione che un giovane Kevin Bacon fa della danza in Footlose.

E siccome dobbiamo sempre essere pronti a redde rationem, a rendere conto della nostra fede, ecco che mi sento obbligato a dire perché la vita è ancora più bella se la guardi con questi occhi dati in prestito a Cristo per vedere ciò che vede Lui.

Non quindi per convincere o convertire, per minacciare o accusare. Per rendere conto. Per giustificare. Per spiegare ho scritto queste righe, che vogliono solo stendere al sole ciò che dentro il cuore tiene tutto in movimento.

Perché in questo mondo, come zizzania e grano buono, il bene e il male sono impastati insieme, e per ogni cosa felice che capita, subito ti arrivano due o tre sberloni sul collo che ti fanno non rimpiangere, ma pentire del bene ricevuto.

E se non avessi questo sguardo alla Holden, il giovane, che va oltre la realtà e in trasparenza ci legge una trama, un nesso, se non potessimo conneting the dots, come dice Steve Jobs in quel famoso discorso in cui invita a essere sempre affamati, tutto sarebbe veramente una misera.

Ora i puntini, i segni, il senso lo puoi ricercare a ritroso ed è già una consolazione, ma amara, oppure vederlo avanti. E solo la fiducia di chi ti sorregge e ti chiede solo questo: “Tu non temere, continua solo ad avere fede” (Marco, quinto capitolo) ecco solo questo aiuta a guardare avanti e sperare. Sempre. Perché tutto concorre al bene.

E qui devo chiarire, perché quella frase sembra un’ascia che separa e discrimina, dato che finisce con una condanna “tutto concorre al bene per coloro che amano Dio”. E gli altri? Mi son sempre chiesto che fine fanno. Allora per loro solo male?

No. Quello che penso è lì ci sia nascosto il senso della vita, e più banalmente di questo post: tutto concorre al bene per coloro che si fidano di Dio non perché per gli altri non sia così, ma chi ama Dio e Gli crede, beh si fida e questo bene riesce a scorgerlo in traslucido, nella filigrana della vita.

E questo credetemi è un regalo impagabile, questo è il bello che cercava Erika, se poi era lei.

Perché tutto mi sorride, sempre, non in modo ebete, da animale sano diceva il mio santo, no. Ma radicato nella speranza.

E per quanto tutto sia buio, il rigagnolo di luce ti trova sempre se sei pronto a vederlo.

Ecco il sole, che come dicevano già i Pooh c’è sempre dato che il cielo è blu dietro alle nuvole.

Ecco perché questa vita merita sempre di essere vissuta, intensamente, attimo dopo attimo.

E se volete fidarvi di uno più tosto, non solo di me, ma anche di Steve Jobs, anche se non ha fatto i suoi miliardi, fidatevi di Randy Pausch, altra vittima del tumore al pancreas, che in questi filmati vi spiega realmente perché e come la vita meriti fiducia. Se c’è chi spiega il manuale delle istruzioni.

Versione originale senza sottotitoli

101 pensieri su “Attimo dopo attimo, punto dopo punto

  1. Come semplice riflessione sulla speranza, mi permetto di riscrivere quello che ho scritto già ieri nei commenti:
    C’è due specie di persone (non zoologiche):
    1) le persone che credono in Dio nell’aldilà (e nell’aldiqua)e che in questo trovano la forza di vivere e di affrontare la morte.
    2)le persone che non credono e che devono trovare da sole la forza di vivere e di affrontare la morte.
    Tutte queste persone vivono in maniera più o meno turpe a seconda di come vivono.
    [aggiungo che tutte queste persone possono essere più o meno felici a seconda che siano (che si sentano) più o meno felici]

    1. Credo che tu abbia ragione quando parli della forza per affrontare la vita e la morte, ognuno attinge dalla fonte che meglio conosce e dalla quale vive. Però anche un credente deve trovare la forza in se stesso, ma quel “se stesso” viene nutrito da Dio, certo. La sua vita non è meno impegnativa di quella di un non credente. Allora che vantaggio abbiamo?
      L’uomo è di più della forza, vi è anche l’anima, e quindi cerca il senso in tutto quello che deve affrontare con e per forza.
      Caro filosofiazzero, credo che la differenza sta proprio li, di affrontare le difficoltà della vita con senso e non solo con la forza.

  2. lidia

    Il (anzi i, visto che ne ho scritti molti così) commento era mio 🙂 Bel post, mi ha aiutata molto oggi.

      1. Miriam

        Caro Filosofiazero,
        mi pare sottile la tua distinzione tra essere e sentirsi felici.
        A volte il nostro sentimento ci può trarre in inganno: anche il frutto di una scelta sbagliata (contraria alla volontà di Dio, intendo) può darci un’illusione di felicità perché è l’appagamento di qualcosa che ci premeva molto.
        La vera felicità, che ha come segno una profonda pace che è anche senso di ‘pienezza’ e di “bene essere”, si avverte anche dopo una rinuncia cocente, nella certezza che si è nella volontà di Dio. E, per cercare questa volontà, che è sempre volontà di bene per noi e per tutti, abbiamo degli indicatori, che la fede illumina di luce piena: i comandamenti, ma più ancora le parole di nostro Signore, comprese e accolte dal connubio inscindibile di Ragione e Volontà. Il sentimento è solo una conseguenza, perché non puoi amare ciò che non conosci e a cui non hai detto sì.

        1. lidia

          secondo me è importante capire perché ci sentiamo felici anche se pecchiamo (infatti, la volontà di Dio nessuno la può conoscere, l’unica cosa che sappiamo con sicurezza è che non vuole che pecchiamo, nel campo delle azioni buone io credo che non si possa mai dire “questa è la volontà di Dio o questo non lo è”).
          Per esempio, se una ragazza va a letto col suo ragazzo ed è felice, è importante capire perché. Il suo – il loro – desiderio, infatti, di per sé era buono: l’amore chiama alla completezza. Però una cosa, anche buona, se compiuta senza le giuste premesse (in questo caso, l’impegno davanti a Dio ad unirsi non solo temporaneamente ma per sempre) può diventare cattiva
          Tante volte è vero che sapere di essere nel giusto dà felicità, ma tante altre volte no. A questo punto è come dici tu, è importante capire perché ci sentiamo felici o non ci sentiamo felici per scoprire il buono che c’è in ogni cosa e i che modo quel buono noi, in caso, lo stiamo pervertendo in qualcosa di cattivo, o, al contrario, lo ignoriamo (nel rinunciare ad andare a letto col ragazzo, per es. ci perdiamo il bello di questa scelta pensando solo alla rinuncia).

          1. 61Angeloextralarge

            Lidia: mi collego all’esempio che hai fatto. Parlo soprattutto per esperienza personale. Se qualcuno è “felice” anche non facendo la volontà di Dio non mi domando solo “COME FA?”, ma anche “CHE TIPO DI FELICITA’ E’ QUELLA CHE PROVA?” e “QUANTO DURERA’ QUESTA FELICITA’?”.
            1. Come fa? Può essere che la felicità sia data dal fatto di non sentirsi in errore? Secondo me sì, perché come potrebbe essere felice sapendo di fare una cosa che la sua coscienza condanna?
            2. Che tipo di felicità è quella che prova? Il termine “felicità” è spesso usato male, come il termine AMORE. Può esserci la felicità data dalla soddisfazione di avere “qualcosa” o “qualcuno” che mi piace, mi gratifica, mi interessa, etc., etc., etc..Ma è esatto definre felicità questo? Mi sembra una felicità un po’ ridotta. A parte che, anche se ho gli occhiali rosa, credo che la felicità non sia molto frequente: basta guardare le facce che abbiamo attorno quotidianamente e pensare alle tante persone depresse (malattia in aumento) soprattutto nei paesi dove il “benessere” ha stravolto lo stile di vita! Credo anche che la felicità sia un dono dello Spirito Santo e quindi “quando arriva arriva”, magari proprio quando sei inchiodato sulla croce!
            3. Quanto durerò questa felicità? La felicita (se vogliamo continuare ad usare questo termine) non è eterna, come tutte le cose e subisce gli sbalzi del nostro umore e il valore dei nostri ormoni.Quello che oggi mi soddisfa può non soddisfarmi già questa sera. Andando sul concreto: a me piace tantissimo ballare! Di tutto e di più! Attaccami la musica e almeno un piede mi si muove in automatico. Ho ballato tantissimo! Discoteche, balere e altro! Ero “felice”! Ma all’improvviso, un giorno come un altro, ho sentito forte dentro di me una voce: “Ma che sto facendo? Non è così che voglio vivere!” Ed ho rivisto le tante sere che tornando a casa dal locale da ballo, soddisfatta e apparentemente felice, sentivo un vuoto dentro di me. Facevo una cosa che mi piace tantissimo ma ero arida dentro! Non voglio demonizzare i locali da ballo e nemmeno entrare in un discorso che potrebbe non finire più: tutto è positivo se fatto con la testa sulle spallle! Ma la mia “felicità” non era quella. Se mi vedessi mentre spolvero ascoltando qualche canto “ballereccio” del Rinnovamento o quelli ricreativi francescani (ovviamente quando sono sola in casa) penso che chiameresti qualcuno per mettermi la camicia di forza! Sono felice? Sì, anche se tribolata! “Chi ci separerà dall’amore di Dio? La tribolazione….” Perché mi permetto di dire che sono felice? Perché dentro di me c’è una base di serenità, di allegria e spesso di gioia che non è roba mia! Di mio ci sarebbero solo lacrime! Grazie Gesù!

  3. “tutto concorre al bene per coloro che si fidano di Dio non perché per gli altri non sia così”
    non solo, ma anche gli altri possono vedere ( filigrana o non filigrana) il bello (e il terribile)della vita e gioirne (e patirne)
    Ve lo volete ficcare bene nella testa questo, o no? Che siamo UGUALI !!!
    Le due categorie (sopraddette) sono una (in pratica)una categoria unica di persone, che siamo tutti noi esistenti su questo pianetucolo.

    1. Alessandro

      Noi uomini si è uguali in ciò in cui si è uguali e diversi in ciò in cui si è diversi. Tutti gioiscono e soffrono: quindi tutti sono uguali nel poter gioire e soffrire. Uno crede in Dio e uno no: quindi nel credere in Dio (ad esempio) gli uomini possono essere diversi, non-uguali.

    2. No, non siamo uguali. Per fortuna. Abbiamo pari dignità, stessi diritti, medesima origine. ma non siamo uguali nel senso di congruenti o sovrapponibili.
      Le nostre scelte ci trasformano e ci rendono diversi, negli atti, nei pensieri, nelle storie.
      Che si sia uguali è una grande menzogna. Furba, ma menzogna.
      E’ proprio questa differenza, nata dalla strada percorsa, che ci rende grandi anche nell’abisso.
      Io mi sento pari creatura con ogni altra persona umana vissuta che vive e che vivrà, ma non uguale a loro.
      In questo sta la diversità: io vedo ciò che voglio.
      La pari dignità, l’essere creatura, è ontologico e nessuno la potrà cancellare,
      quello che succede dopo è mia responsabilità, e la differenza è il risultato delle mie decisioni.

      1. Te puoi credere quello che vuoi e puoi crederti come vuoi puoi seguire la strada che vuoi, ciò non toglie, mi dispiace per te, che sei UGUALE a me, non ontologicamente, ma nella realtà pratica di tutti i giorni, e cioè un ometto (come me) che ti trovi anche te sul pianetucolo a lavorare, a chiacchierare, a “argomentare” , come me, come tutti. Potrai affermare di essere catollico e che questo fa la differenza:
        1) ma come fo io a sapere che cosa vuole significare essere cattolico e vivere da cattolico? Quello che vedo è che te vai alla messa fai la comunione, dici di evere un senso nella tua vita, ma come fo io a riconoscere queste cose nel significato che hanno per te?
        2) il senso della vita può consistere anche solo nel fatto di voler vivere dignitosamente, sinceramente, generosamente(senza un perché trascendente, ma per il solo rispetto per se stessi e per gli altri)
        3) e come fate anche tra voi (cosiddetti)cattolici a sapere che state vivendo tutti la stessa religione che definite cattolica, come fate a sapere che seguite tutti lo stesso filo? Lo potete dichiarare ciascuno, non parlare per tutti.

        1. Carissimo, se fosse vero che non esiste una verità, allora sì io posso credere quello che voglio.
          Per capire che cosa intendi
          0) definisci uguaglianza, in quello che scrivi vedo ontologia e potenzialità, che ho detto essere comuni a tutti; ciò che ci rende diversi è la vita ed il modo di interpretarla: e su questo saremo giudicati innanzitutto da noi stessi
          quello che scrivi infatti ai punti 1) 2 ) e 3)
          è testimonianza di differenze sostanziali nella vita e nella comprensione: ergo non siamo tutti uguali, tutti abbiamo modi diversi e personali di pensare e vivere.
          Come fai a sapere che cosa significano per me? Magari provando ad ascoltare con sincerità e senza pregiudizi quello che dico (e parlo ad un singolare generico che risponde al tuo tu generico)
          Come faccio io a sapere che credo? Con l’intelletto: e confrontandomi con una verità e con la Chiesa. Poi la vita è tutt’altra sfida, ma quella non è la parte della fede, semmai quella della carità. E’ fede vissuta non creduta.
          Come facciamo a sapere che seguiamo tutti la stessa fede? perché abbiamo Santa Madre Chiesa che ci fa da confronto e da specchio, come il metro ufficiale depositato è misura di tutte le misure.
          Certamente hai piena ragione nel dire che possiamo parlare per noi e non per gli altri: non vedo però che cosa questo c’entri con discorso. Se mi aiuti a capire te ne sono grato.

          1. Giudicare (con l’intelelletto)ognuno per, sé vuoi dire, poi ognuno si confronta col metro campione, ecclesiastico, capisce di essere uguale, un altro capisce anche lui di essere uguale , e quindi per la proprietà transistiva delle eguaglianze…è così?

            1. Vedo che insisti con questa storia dell’eguaglianza senza definirla.
              Ribadisco: NO.
              Mi confronto con la verità per vedere se sono in linea con essa, stop.
              Non esiste proprietà transitiva dell’uguaglianza quando ci si confronto con l’infinito.
              Perdona, di cuore: ma perché questo assillo dell’uguaglianza, di noi e di voi, di siamo uguali siamo diversi?
              Da dove nasce?

  4. lidia

    In particolare il video di Pausch è spettacolare, io – a dispetto dei commenti – passerei metà della giornata a lamentarmi di quanto sono stupida e faccio male le cose, invece di impegnarmi per farle andare meglio. La parte più bella è quando dice che non ha mai incontrato una persona del tutto cattiva, e sulla gratitudine. Davvero, quando ripenso alle tante persone buone che ho incontrato nella mia vita, sono così tante…

  5. Alessandro

    “E per quanto tutto sia buio, il rigagnolo di luce ti trova sempre se sei pronto a vederlo.”

    Il Papa ieri l’altro ha detto, a braccio, al card. Laurent Monsengwo Pasinya (che ha dettato le meditazioni per gli esercizi spirituali della Curia romana):

    “Io sono rimasto particolarmente colpito da quella storia in cui Lei parlava di un amico che, essendo in coma, aveva l’impressione di stare in un tunnel oscuro, ma alla fine vedeva un po’ di luce e soprattutto sentiva una bella musica.

    Mi sembra che questa possa essere una parabola della nostra vita: spesso ci troviamo in un tunnel oscuro in piena notte, ma, per la fede, alla fine vediamo luce e sentiamo una bella musica, percepiamo la bellezza di Dio, del cielo e della terra, di Dio creatore e della creatura; e così, è vero, spe sumus salvati (cfr Rm 8,24).”

  6. […] il bene riesce a scorgerlo in traslucido, nella filigrana della vita.[…] Credo sia davvero questo il nocciolo di tutto, il segreto di tutto. Prendere l’abitudine a vederlo questo bene che c’è nella vita. Perchè il “male”, quello non bisogna fare attenzione a scorgerlo, perchè (non so bene perchè, ma è, quasi sempre, molto palese ai più!). Bisogna prendere la sana abitudine di amrla questa vita, di accorglielo questo grande dono che ci è stato concesso. Ed è davvero un grande e speciale dono. qualunque cosa accada.
    C’è una poesia che amo molto. Di sicuro molti la conosco. Ma rileggerla, non può che donare un sorriso. Il delicato poeta che l’ha scritta è Mario Quintana.
    Buona domenica

    PuntoG

    “E que vale a pena”

    Vorrei poter avere sempre un sorriso sul mio viso,
    anche quando la situazione non è molto allegra…
    E che questo mio sorriso riesca a trasmettere pace a tutti quelli che mi sono accanto.
    Vorrei poter chiudere i miei occhi ed immaginare qualcuno… e poter avere l’assoluta certezza
    che anche questo qualcuno mi pensa quando chiude gli occhi,
    che gli manco quando non gli sono vicino…
    Vorrei poter avere la libertà di dire quello che sento a una persona,
    di poter dire a qualcuno quanto è speciale e importante per me.
    Senza dovermi preoccupare con una terza persona…
    Senza il rischio di ferire una o più persone con questo sentimento
    Vorrei, un giorno, dire alle persone che nulla è passato invano…
    Che l’amore esiste, che vale la pena donarsi alle amicizie, alle persone
    Che la vita è sua sì, e che la vita è bella sì
    E che ho sempre donato il meglio di me…
    E che ne vale la pena!

  7. @lidia “Tante volte è vero che sapere di essere nel giusto dà felicità, ma tante altre volte no”
    sapere di essere nel giusto non basta per essere felici. Questo è il motivo per cui chi pecca può essere più felice di chi si sa nel giusto. Il giovane ricco era nel giusto ma se ne andò via triste. Non perchè il peccato rende più felici del bene. Ma perchè non è detto che chi sta nel giusto stia davvero amando Dio.
    Quando però si supera la legge, e si ha la gioia di scoprire (almeno per un attimo) l’amore di Dio quella gioia trovata senza di Lui, sebbene reale, appare immediatamente futile, inadeguata. Come dire… non basta più

    1. Miriam

      E’ proprio qui il punto! Oltre la legge… E solo il Signore ce lo rende possibile.

    2. Fefral

      Preciso, prima che venga qualcuno a rimproverarmi di predicare un cattolicesimo comodo, che con “superare la legge” non intendo dire ignorarla.
      L’incontro con Cristo richiede molto di più che essere nel giusto, ma lo include

  8. 61Angeloextralarge

    Grazie Paolo per quello che hai scritto ed in particolare per l’aver inserito questi tre video. per motivi dio tempo li ho visionati solo ora e m i dispiace perché così non ho ricevuto tutto il messaggio che hi lanciato con questo post..
    “molti ostacoli ce li creiamo noi, con le nostre idee sbagliate”: come hai ragione! E l’ostacolo più grosso è il nostro accanirsi testardo a non volerle cambiare, a non voler interrogarci se queste idee sono valide o meno: ci sentiamo a posto! Siamo nel giusto!
    “quelle lacrime che non so più far scendere”: grazie per questa spiazzante sincerità! Già ammettere di no saper piangere è un piangere? Senza lacrime, d’accordo, ma per me è già un buon sintomo! Ti auguro di piangere! Soprattutto di gioia!
    “la vita è ancora più bella se la guardi con questi occhi dati in prestito a Cristo per vedere ciò che vede Lui”: chiediamoli queti occhi! Chiediamo occhi capaci di vedere oltre l’apparenza delle cose, oltre il nostro “sentire” umano e fragile!
    Mi viene in mente una storia (dovrebbe essere tratta dalla Valtorta), e cerco di raccontarla come meglio posso: Gesù ed i suoi discepoli camminano per la Galilea e ad un certo punto incontrano la carogna di un cane. Gli apostoli dicono: “Che brutto!”. Gesù invece dice: “Sì, ma guardate che bei denti!”. Dio vede sempre il bello! Anche se piccolo! Ma soprattutto lo vede in mezzo al resto, orribile e puzzolente che sia!
    Hai ragione: il sole c’è sempre! Magari nascosto da nubi nere e durature, ma c’é e prima o poi tornerà a risplendere. Dopo il Venerdì Santo c’è sempre e soltanto l’alba della Resurrezione! 😀

    1. Il credere non si limita al sapere, ma arriva alla conoscenza.
      Il nostro Credo non è basato su un libro o una pila di libri, ma sulla conoscenza di una persona o meglio: tre in una (natura).
      Solo dopo arrivano i libri per approfondire la conoscenza, come le lettere d’amore di una persona della quale ci siamo innamorata senza una ragione ben precisa. Forse oggi, più che lettere d’amore ci saranno le sms, e quant’altro.
      La conoscenza è il passaporto per la verità.

      1. Miriam

        “La conoscenza è il passaporto per la verità.”

        E’ proprio per questo che dicevo più su a Filosofiazero: Non puoi amare chi non consoci e a cui non hai detto sì, perché dopo la conoscenza c’è anche l’atto di volontà. Ma prim’ancora di tutto c’è la Grazia. che precede e accompagna sempre…

          1. La grazia è un dono divino che si può avverare anche attraverso una persona. Qualcosa che ti viene data gratuitamente e la si può chiedere.
            Ma non è mica detto che ti arrivi, subito. 😉

    2. Alessandro

      “…e come fate, soprattutto, a SAPERE di credere?”

      1) e come fai, tu, a sapere di non credere?

      2) il credo cattolico ha dei contenuti. Saprò ben io se aderisco e no a questi contenuti. Così come tu saprai se aderisci o no a questo contenuti.

      1. Infatti non lo so (affermo che non lo so) (affermo di non sapere cosa vuole dire credere)
        E poi, domando, come fa una persona a comunicare a un’altra un’esperienza così
        profonda e anche misteriosa o mistica come la crednza in Dio, la presenza nella mente
        di una idea così anche, se mi permetti, personale, anche se, condivisa, anche se nessuno sa se è la stessa esperienza a essere condivisa? Come si fa non dico a credere di credere, ma a parlare agli altri di cosa sia questo credere,
        dimodoché quegl’altri lo possano riconoscere se gli arrivasse anche a loro? E come potrebbero essere sicuri che questo credere che gli arrivasse sarebbe quello giusto di cui te e altri gli hanno parlato? Io leggo delle frasi, delle tradizioni,dei proclami, delle profezie, ma non posso leggere o sentire da nessuna parte la testimonianza REALE di che cosa è questa fede di cui fate continua professione,ma sontanto scritti o voci.

        Io non aderisco per esempio all’infallibilità del Papa, ma non posso DIMOSTRARE che il Papa è infallibile.
        Te me lo puoi dimostrare che lo è? O solo dichiarazioni di altre dichiarazioni?

          1. 61Angeloextralarge

            Alvise: come già detto anche da altri in questo blog, il Papa quando parla ed agisce da Papa è INFALLIBILE e questo è uno dei dogma di fede cristani. Se ad esempio parla di cucina è fallibile come tutti noi, a meno che non sia anche un ottimo cuoco: mai dare nulla per scontato, no? Però un piatto cucinato dal Papa me lo mangerei di gusto!. 😀

        1. Alessandro

          Interessante. Quindi NON sei ATEO

          1) Poniamo che “credere” significhi “credere che ci sia Dio”.
          2) Ateo è chi afferma: “io non credo che ci sia Dio”, cioè – stante 1 – “io non credo”. L’ “io non credo” dell’ateo significa: “io so che io non credo”. Quindi ateo è chi afferma “io non credo”, ossia “io so che io non credo”. Insomma, l’ateo è convinto di non credere (infatti, afferma “io so che io non credo”)

          Tu invece affermi di non sapere di non credere (dici: “io infatti non lo so (che non credo)”). Ma, se non sai se non credi, allora NON SEI ATEO, perché l’ateo è appunto colui che è CONVINTO di non credere (“io so che io non credo”).

            1. Alessandro

              Niente si fa.
              Però, visto che da mesi ci dici che sei ateo, sapere che non lo sei mi sembra una scoperta rimarchevole.

              Quindi, tu NON sei ATEO. Sei AGNOSTICO. Pensaci, e dimmi se non è così…

              1. Sarò agnostico, va bene, non mi pesa nessuna delle due definizioni, ateo, agnostico, forse sono anche credente,
                come dicono i grandi filosofi impossibile essere scettici totali, ma solo scettici contro il dogmatismo, forse è questo che io sono, o essere contro il dogmatismo è già di per sé credere, a qualcosa, e quindi. anche io, alla fine, sarei uguale a voi, come già detto?

                1. Alessandro

                  1) non sei ateo
                  2) per me essere agnostico (in materia di fede religiosa) significa (soprattutto): ritenere di non sapere se Dio c’è o no. Se tu concedi che è vera l’affermazione “è vero che io, Alvise, non so se Dio c’è o no”, tu sei agnostico.
                  E non sei credente, perché mi pare che tu non conceda la verità del seguente enunciato: “è vero che io credo che Dio c’è”.

                  Questo (di 2) è il senso di “credente” che mi interessa. Dopodiché, è noto che tutti si crede in qualcosa. Ad es., tu credi che Pechino sia in Cina, e dico “credi” (e non: “sai”) perché a Pechino non ci sei mai stato. Ti fidi (ecco la credenza) ai libri che dicono questo, magari a un amico che ha visitato la Cina. Ma queste “credenze” non riguardano la “credenza” religiosa, quindi a me non interessano.

                  1. Non sono nulla? Benone!!!
                    (no, non si può dire nemmeno che non sei nulla, perchè dicendo di non essere nulla è come affermare di essere qualcosa (nulla) e quindi credre di essere qualcosa, che non può essere nulla, del tutto, e quindi….)
                    Pechino, pechinese, pennichella…

                    1. Alessandro

                      No, non sei declassato 🙂

                      Finalmente però ho capito che sei agnostico e non ateo. Buono a sapersi!

  9. Io credo che solo Dio ha il potere di leggere nel nostro cuore e nelle nostre vide e comprendere appieno se “crediamo” oppure no. La fede, Dio, non sono operazioni matematiche dove 1+1 fa 2. E’ molto più complessa. e non credo sia sufficiente aderire “solo” ai contenuti. Credo che avere fede sia molto di più. Innanzitutto farsi accogliere tra le braccia di Dio. E anche questo concetto, come concetto in se, vuol dire tutto e niente. Ma forse, semplicemente, l’avere fede, non è un concetto su cui sia possibile discutere. Perchè la fede è un dogma.

    1. 61Angeloextralarge

      PuntoG: La fede non è un dogma (se non erro la terminologia esatta non è “dogma” ma “dogma di fede”). la fede è uno dei doni dello Spirito Santo e lo riceviamo, ovviamente, nel Battesimo.

      1. ora non vorrei produrmi in un corso di teologia fondamentale, ma in breve: la fede è anzitutto una virtù teologale, e a questa ti stai riferendo tu, AngeloXL; con “fede” però s’intende pure “il contenuto della fede” (la cosiddetta “fides quae creditur”), e in quel senso la stava intendendo PuntoG, anche se in modo perfettibile. “Dogma” o “dogma di fede” sono, a un certo livello della discussione (quale il nostro attuale), perfettamente sinonimici, anche se con “dogma di fede” si esplicita meglio il senso peculiare in cui PuntoG stava dicendo “fede”.
        Scusate 🙂

        1. 61Angeloextralarge

          Cyrano: scusate de che? Grazzzie! 😀 Il commento delle 15,54 lo avevo ormai scritto!

  10. Angeloextralarge: mi riferivo appunto al concetto. Che sia un dono dello Spirito Santo, lo davo per scontato.

    1. 61Angeloextralarge

      Lo so che lo sai1 Battuta a parte non ho ancora capito (mea culpa!) quando dici: “la fede è un dogma”. Mi dici che ti riferivi al concetto, e probabilmente oggi sono ancora un po’ svalvolata, ma faccio fatica ad entrare nella tua affermazione. 🙁
      Cioè: ho sempre saputo che i “dogmi di fede” sono quelle cose alle quali la Chiesa ci chiede di credere con fede (cioè non discutibili ma accettabili in toto) e mi si ingavinano le rotelle a pensare che la fede è un dogma, perché mi chiedo: “Se non ho fede, come faccio a credere alla fede?”. Spero di non averti confuso! 😀

  11. Cyrano…..mi hai capita più di quanto mi sono capita io 😀
    Angeloextra: Premetto che sono svalvolata anche io oggi (?) 🙂
    Allora, provo a spiegarmi anche se il mio linguaggio tecnico è “perfettibile”.
    Per me non è possibile che un umano possa valutare il livello di fede di qualcuno. Il rispettare e aderire ai contenuti, dal mio personale e umile punto di vista, non è sovrapponibile, nè coincide con l’aver fede. Quest’ultimo concetto è di entità sovrannaturale riferendosi, appunto, a Dio. E’ uno stato che solo Dio stesso può essere in grado di valutare. Solo Lui può davvero sapere quanto e come mettiamo nelle sue braccia la nostra vita, quanto e quale amore abbiamo per gli altri, quanto altruismo c’è nel nostro cuore, quanto e come portiamo la nostra croce, quanta capacità d’accoglienza abbiamo nei confronti dell’altro. Possiamo fare mille parole, discutere fino a fare l’alba, scrivere fiumi di parole. Non esistono risposte umane a “Ma io ho la fede?”. Per lo stesso motivo non è possibile neppure fare una quantizzazione, dell’aver fede. Se penso all’ultimo periodo della mia vita, mi viene da dire che l’accoglienza che ho saputo crescere nel mio cuore, la gioia e il “vale la pena di vivere” non sono altro che espressione dell’amore di Dio.
    A proposito, l’hai letta la poesia? Non è una poesia cristiano-cattolica (credo) ma a me fa vedere l’amore di dio, l’amore per Dio.

    PS: non so se mi sono capita 😀

    1. 61Angeloextralarge

      PuntoG: quello che hai detto mi piace e lo condivido. Smack! 😀
      Mi fa tornare in mente il versetto che dice (più o meno ed adesso non ho la Bibbia a portata di mano) che è Dio che scruta e conosce i nostri cuori.
      La poesia non solo l’ho letta ma l’ho anche copiata e salvata! 😀

      1. 61Angeloextralarge

        N.B.: Dio è Dio e credo che il suo amore passa anche tra le poesie non cattoliche! Se un’uomo scrive al “suo” Dio una lettera d’amore, che mi importa se perlui Dio ha un’altro nome? Mi importa se ci crede e se lo ama! Il grande poeta indiano Tagore ha scritto cose molto profonde e (che io sappia) non era cristiano. 😉 W l’amore di Dio a Dio!

  12. Mi riempie di gioia la tua condivisione. Anche per la poesia 🙂

    Però…..ho “paura” del commento di Cyrano!!!!! 😉

    1. addirittura? E che sarò mai! 😀
      Non commentavo perché non c’è nulla da ridire: la poesia di Quintana è come sono le belle poesie – che impongono il silenzio più di quanto stimolino i commenti.
      Tu (nel frattempo ho capito che sei una donna: figurati come sto messo!) hai efficacemente distinto la “fides qua creditur” (la fede in/con/per la quale si crede) dalla “fides quae creditur” (il contenuto di quella). La seconda, in quanto è condivisa dai credenti, si definisce in dogmi (più o meno fortemente impegnanti); la prima è quella che nessuno, se non il solo Dio, può conoscere e giudicare.

  13. Per rispondere su Cyrano mi affido a Guccini 🙂
    […]infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio perchè con questa spada vi uccido quando voglio […]

    Ah….Ciao Cyrano 😉

    1. 61Angeloextralarge

      Se non scrivevi: “mi hai capita” manco io avevo capito che sei una donnnnnaaaaa! Infatti ho scritto: “Spero di non averti CONFUSO”. 😀

  14. Roberto

    Ah, guarda, Cyrano in versione teologo!
    Noi avevamo una ‘questio’ in sospeso, Cyrano, e volevo quasi lasciar perdere, ma si capisce bene che non sono il tipo, e perciò, puntiglio per puntiglio, dato che mi avevi lasciato scritto questo:

    “Non per attaccarsi alle parole, prendi la cosa sul serio. Rileggi piano piano questa tua frase, soffermati su ogni singolo membro e guarda quante volte riesce a contraddirsi: «Non è giudizio prendere atto del fatto che molto probabilmente è così».
    L’unica verità è che di queste cose non sappiamo niente e che, se sono stupidi e temerari quelli che pretendono di assicurarci che l’inferno è vuoto, non sono diversi quelli che vorrebbero che venisse creduto per fede rivelata e definita un contenuto di rivelazioni private.”

    Ok, adesso dimmi ben bene e con chiarezza in quale punto avrei affermato che una rivelazione privata deve essere creduta per “fede rivelata e definita”, sulla base della mia frase che mi hai quotato.

    Ti dò un aiuto e ti rimando qua: ti invito fraternamente a leggere con attenzione in particolare il punto – 2.

    http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/22012

    1. 61Angeloextralarge

      Roberto: grazie per questo link! Ho da inviarlo a qualche mio conoscente… 😉

    2. Ciao Roberto! 🙂
      Chiarisco. Con la mia sottolineatura intendevo dire: 1) che prendere atto dei fatti (evidentemente offrendone un ordine logico) è un giudizio, e a quel punto distinguere tra “Giudizio” e “giudizio”; 2) che “molto probabilmente” cozza con “è così”; 3) che in definitiva “molto probabilmente” è “l’elemento estraneo” della frase, e che per questo non è chiaro se il fatto di cui si dovrebbe prendere atto sia la probabilità o la datità (che sono cose diverse).
      Grazie per l’aiuto dal pubblico, stavo per chiedere di poter chiamare a casa! 😉
      Il cuore della mia osservazione è che non solo non possiamo sapere quali anime si perdono, ma neppure quante, e tantomeno possiamo fare bilanci con le percentuali di anime salvate e perse nella storia già trascorsa. Nella terza condizione enunciata da Dhanis e riportata da Ratzinger si legge: «I fedeli sono autorizzati a dare ad esso [il messaggio della rivelazione privata] in forma prudente la loro adesione». I fuochi di questa frase sono “autorizzati” e “in forma prudente”: il primo non sta per “tenuti”, e pertanto non ha valore cogente per la fede (come invece il tuo riferimento a “prendere atto” e “fatti” indurrebbe a pensare); il secondo è il più delicato (prudentia auriga virtutum!), e significa che è temerario contraddire quegli asserti, non che è temerario non affermarli.
      Detto questo, spero che il puntiglio sia soddisfatto: non voglio affatto imbastire una disputa, avendo più volte ribadito quanto il tuo sdegno mi trovi vicino e quanto io trovi ragionevole il tuo risentimento (possiamo dire così?) verso chi non ti ha dato quanto ti spettava e ancora oggi continua a defraudarne altri (dei quali non sappiamo se volino all’inferno, ma certamente che non si stanno godendo la vita).
      Ecco, ti ricordi la favola della scommessa del sole e del vento? Io penso che ne convertirai di più, di quelle persone, col sorriso solare che ti viene dal sapere la verità, che non col vento furioso di una disputa che (in queste condizioni, ossia tra noi) non ha ragion d’essere.
      Ti abbraccio, Guascone! Buona serata!

      1. lidiafederica

        ciao nasone, da linguista non posso non dire che entrambi avete torto e ragione 😉 non mi interessano le dispute teologiche fra voi due (francamente mi sembrano un po’ infantili queste ripicche “ma io ho detto che ” “ma tu dicevi che” , come se foste al Sant’Uffizio, ma si sa, gli uomini si divertono così…per questo il mondo, che è governato da uomini, è una guerra continua, ma lasciamo perdere 🙂 ) però la lingua sì.
        allora: Non è giudizio prendere atto del fatto che molto probabilmente è così: falso che non sia un giudizio, se si afferma che un a cosa “è così”, seppur “molto probabilmente”, è già un giudizio.
        peraltro il “molto probabilmente” non cozza col “è così”, ma lo specifica (non è “certamente” così, cioè questi non si dannano “certamente” ma “molto probabilmente”.
        Visto che siete pari, un bicchiere di vino insieme per dimenticare la sconfitta dell’AS Roma, e pace a tutti.

        1. Roberto

          Grazie Lidia che mi ha chiarito la frase 😉

          Estratta dal contesto si capisce anche di meno: nella frase precedente e che non ho riportato mi riferivo al ‘Giudizio’ inteso come “la lista dei dannati”, che sappiamo bene di non potere stilare.

          Con “non è giudizio” intendevo perciò: “non rientra in questa forma di proibizione”; e la ragione è molto semplice: poiché il Magistero invita a dare “un assentimento di fede umana conforme alle regole della prudenza, che ce le presenta come probabili e piamente credibili” a tali Rivelazioni, se poi fosse sciocco e temerario dare tale assenso, cadremmo in una palese contraddizione per la quale il Magistero del XX secolo ci induce a credere piamente a qualcosa di sciocco e temerario.

          Cyrano, per chiudere: che non si possano fare statistiche, ok. Ma che da quando Cristo s’è Incarnato non ci sia mai stata, tra coloro che avevano già ricevuto la Rivelazione, una tale indifferenza nel lasciarsi morire ciecamente e senza alcun apparente preoccupazione e movimento verso l’alto, è anch’esso un dato, che unito a una mite ma decisa “spinta” del Magistero a cui alludevo sopra (Fatima, Santa Faustina Kowalska, la pubblicazione, sempre sotto Giovanni Paolo II, delle rivalazioni di Santa Brigida) nel far di tutto per ricordare del grave rischio che corrono le anime dei viventi… vorrà pur dir qualcosa, o no?
          E con ciò anche per me la ‘questio’ è chiusa (oh, ma intendo dir per prima cosa: queste considerazioni devono farci ardere del desiderio di salvare più che si possa – e noi per primi! -… e ritengo che sottostimare il pericolo in cui si trovano le anime dei nostri ‘fratelli in umanità’ sia uno dei più gravi problemi che hanno tolto forza propulsiva alla “missione di ricristianizzare”).

          Essì, ragazze, noi maschietti ci divertiamo così, embé? Lasciateci esplorare la specificità delle nostre vocazioni, no? 😉

          1. lidiafederica

            L’unica vocazione che c’è è essere “il volto di Cristo” sulla terra, come diceva oggi una preghiera dei fedeli. Possiamo decidere che Cristo in noi ha un volto simpatico, iroso, antipatico, piacevole, buono, cattivo, incattivito, sdegnato, depresso, gioviale, allegro, umile, puntiglioso, superbo…sta a noi. Però dobbiamo avere chiaro che gli altri vedranno Cristo come lo proponiamo noi.
            Allora direi che un Cristo accogliente è meglio di un Cristo da asilo d’infanzia che si impunta sul “l’ho detto io!” “no, l’hai detto tu!”, “non capisci niente!” “teologicamente è così!” “no, non è così” etc. 🙂 Ma è la mia mentalità femminile che me lo fa dire, può essere…
            Un grande santo ha detto una volta: “care donne sposate, sappiate che vostro marito è il più piccolo di tutti di tutti i vostri figli”. 😉
            Ciò detto, cari Roberto e Cyrano, buona giornata, e divertitevi come volete, va benissimo! 🙂

            1. lidiafederica

              PS: mmh…però dovrei lasciar fuori Gesù dalle mie beghe personali con l’amore maschile per la polemica.
              Dimenticate la parte sul volto di Cristo- cioè, ricordiamocela bene, perché è tremendamente vera, ma mica dico che voi due diate una rappresentazione sbagliata! Scusate per questo, però la parte sull’asilo d’infanzia la tengo 😉 se non altro per rivendicare l’accoglienza femminile contro la polemica maschile.

              1. Come vuoi, Lidia, però non ho ancora visto due uomini che s’azzuffano a suon di graffi e di tirate di capelli (o di barba), e ho sempre stimato il pettegolezzo il meno virile dei vizi. Mi riservo di lasciare i miei dubbi sulla tipicità dell’accoglienza come femminilità e della polemica come mascolinità: lo zelo per la verità non ha alcunché d’infantile, e anzi è stato espresso nella storia da persone che ne hanno fatto grande esercizio di abnegazione e mortificazione.

                1. ehi ehi! Ragazzi fate i bravi!
                  Che la donna sia fatta per accogliere mentre l’uomo per brandire la spada mi sembra un leitmotiv di Costanza&co, e che ci sia una predisposizione femminile a ricucire ciò che l’uomo taglia un po’ lo condivido addirittura io (che proprio non sono il prototipo della donna accogliente).
                  E’ vero che cambia persona per persona e che ci sono uomini molto più accoglienti e donne decisamente battagliere.
                  Sul pettegolezzo cyrà la penso come te eppure, sarà perchè mi relaziono con uomini in rapporto di almeno 5:1 rispetto alle donne, potrei portarti un bel po’ di esempi di poco virili pettegolezzi maschili.
                  Lidia d’altra parte in quanto a polemica pure tu non sei messa male, se c’è da tirar fuori la spada lo fai senza pensarci troppo 🙂

                2. Roberto

                  Visto che un po’ di polemica suscita subito un bel fermento intellettuale? 🙂
                  Colpa nostra, Cyrano, che ci siamo dimenticati di siglare la chiusura com’era richiesto: “Ad maiorem Dei gloriam”.

                  Io distinguerei però “la vocazione” (la sequela di Cristo) con “le vocazioni”.

                  Comunque sono sostanzialmente d’accordo con la questione dell’accoglienza Mirianamente intesa e – per il maschile – userei non tanto il termine “polemica” quanto ira/irascibilità intesa come se ne parlava nel post del giorno innanzi, ovvero quella passione umana al cui dominio e utilizzo è deputata la virtù cardinale della fortezza.

                  Bhe, potrebbero venirne un sacco di spunti interessanti e pure “in tema” con il libro della nostra padrona di casa!

                  Ah! Prima di essere mangiato, aggiungo che se pur sono fermamente convinto che ci siano tra i due sessi specificità in alcune vocazioni, ritengo altresì che non si possa parlare di esclusive assolute.

            2. Alessandro

              Lidia “Però dobbiamo avere chiaro che gli altri vedranno Cristo come lo proponiamo noi.”

              Dipende dall’età e dalla maturità di questi “altri”. Se no finiamo per abbracciare quel luogo comune usurato secondo cui se l’ardore della fede si va assopendo è a motivo del nostro volto di cristiani incapaci di manifestare quello di Cristo.
              Ma una persona un po’ scaltrita si accorge eccome della differenza tra le nostre piccinerie e la grandezza di Cristo.

              1. Alessandro

                Detto questo, non nego che la controtestimonianza di chi sempre avere “cattolicamente”, per così dire, “le carte in regola” può offuscare la bellezza della fede anche agli occhi più efficienti e sperimentati.

  15. Non lo accettate di essere ometti e donnucole come tutti, eh?
    O lo accettate solo quando siete voi a prostrarvi davanti a Dio dicendo “non sum dignus”?
    E invece no, ometti e donnucole, veri, allo stato puro, e nient’altro (me incluso ovviamente!!!!)
    e in più con la televisione in casa anche, come tutti, o no?

    1. come tutti, Alvì, forse pure un tantino peggio. E guarda che io me ne sono accorta proprio quando per un po’ ho smesso di dire “non sum dignus”. Quindi per favore, tu continua a ricordarcelo, che qua mi pare che tutti si sia messi in testa di convertire te, e invece non ci si accorge che te stai convertendo noi (poi però ci vieni appresso, eh?)

      1. lidiafederica

        mah perché peggio? ci sono mascalzoni cristiani e mascalzoni atei, direi né meglio né peggio…

        1. Fefral

          Si certo, Lidia era per dire. Ma il peggio comunque non era riferito all’integrità morale. Mi pare che Gesù avesse una certa propensione a cercarsi i discepoli tra i più scalcagnati ometti e donnucole del suo tempo. Anche se è vero che non disdegnava gli intelligenti e talentuosi.

    2. lidiafederica

      io penso che i credenti siano come tutti gli altri, solo che hanno deciso di credere che un’entità chiamata Dio esiste, che questo Dio si è incarnato nella persona di Gesù Cristo, che è una Trinità, che ha parlato per mezzo dei profeti, che è morto su una Croce per salvare l’umanità dai propri peccati, etc. etc.etc.
      Sono tutte cose a cui io decido di credere perché mi fido di chi me le ha dette (mi fido della Bibbia, e mi fido degli altri credenti, gli Apostoli e poi tutti gli altri da loro in giù, fino a mia mamma e mio papà che mi hanno fatto battezzare e mi hanno educata cristianamente ).
      Potrei decidere da domani di non crederci più. Però non lo faccio perché sono convinta che queste cose siano tutte vere.
      C’è chi ha deciso di non credere a queste cose per X motivo, e mi sta bene. secondo me si sbaglia, nels enso che crede a una cosa falsa (cioè che Dio non esiste), ma è una decisione sua.
      Dal fatto che Dio esiste e ha determinate caratteristiche (è un Padree che ama, e non è un cane a tre teste la cui missione è divorare gli uomini, che ne so) e ha creato l’uomo con determinate caratteristiche derivano tutti i topoi dei blog, il sesso qua e il sesso là, filosofia qua e filosofia là, etc etc etc.
      A me pare chiarissimo che chi ha preso la decisione di credere in Dio (si spera con cognizione di causa) sia perfettamente uguale a chi ha preso la decisione contraria…altrimenti non ci sarebbe nessuna decisione da prendere,
      ciò detto. è chiaro che, a seconda della decisone presa, avremo alcuni comportamenti diversi – anche se i farabutti ci sono fra i cristiani e fra gli atei e le persone nobili ci sono fra i cristiani e fra gli atei.
      Poi visto che Dio ha crato sia chi crede in Lui che chi in Lui non ci credesiamo tutti perfettamente uguali sul piano delle reazioni umane

    1. 61Angeloextralarge

      PuntoG: ma alcune cose è un peccato perderle! Qualcosa si può salvare anche in questa tv. 😉
      E poi… vuoi mettere? Ti perdi Costanza quando l’invitata a presentare il libro? 😀

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