Stordiamoci di baci, o sennò sparisci: salta dalla finestra!

di Cyrano

Ve lo ricordate anche voi, immagino,

quando quel fatuo di Cristiano si presentò da Rossana senza prima aver cura di truccarsi le labbra del rossetto delle mie parole. «Non ne ho bisogno – disse –: ella mi ama, ormai, ed è mia, i vostri artifizi non possono farla mia più di così».

Oh, giovane Icaro, hai imparato a tue spese la differenza tra le mie ali, fatte di penne conficcate a sangue nella carne, e le tue, che rabberciavi incollandoti con la cera alle braccia le penne che l’uso logorava nelle mie!

Era notte, quando hai presunto di spiccare il volo verso Rossana senza di me, il tuo orrido gobbo sotto al balcone – dimenticavi che il sole è il sole anche di notte?

«Io… vi amo!»: esordì l’allocco. «Sì, parlate d’amore…»: riassunse per lui la fenice. «Io t’amo»: ripeté allora il primo, come se pensasse che quella non avesse capito, o per timore che un tappo di cerume le avesse occluso le vie uditive. «Ne parliamo – lo istruì la bella –: l’amore è la trama. Ora ricamate». «Io ti amo – ancora quello, più convinto! –: tanto!» – «Senz’altro, e poi?»

E poi l’ingenuo non sapeva più raccapezzarsi: perché diamine non funzionava più? «E poi… poi ci terrei tanto che voi mi amaste. Dimmi, Rossana, che tu mi ami!» E lei, giustamente: «Mi aspettavo pellicce e voi mi offrite pellami…» – «No, ascoltate…»: fece quello, con un colpo di reni – straordinaria volée dell’avversaria: «Sì, ho capito: mi amate. Addio».

Hai un bel dire che la storia è maestra di vita: la lezione di Icaro non la impara nessuno, per quante parafrasi ne siano state prodotte nei secoli. Per Cristiano, quella notte, feci anche quello che Dedalo non poté fare per il figlio, ma l’architetto è scusato: non aveva conosciuto Batman e Superman, lui. Lo raccolsi mentre precipitava, lo rimisi sul sostegno delle mie parole vibranti e lo risospinsi lungo le edere rampicanti verso le labbra di Rossana… Perché lo feci? Senz’altro per quell’inconsunto orgoglio degli eroi, che si negano ogni gloria nella speranza che siano gli altri, e i posteri, a riconoscergliela, possibilmente in eterno (anche l’Uomo Ragno fa così, che credete? Me l’ha detto una sera al Marvel’s).

C’è però forse un altro motivo per cui consegnavo, quella notte, le labbra di Rossana all’ottusa bocca di Cristiano: io lo sapevo, l’ho sempre saputo, che non solo erano le mie parole che lei baciava sulle sue labbra, ma pure che le nostre parole erano già da sempre baci. Di questi e di quelle si può non trovarsi mai sazi, ma di entrambi si può pure aver presto la nausea: una donna che non vuole ascoltare le parole di un uomo non ne sopporta neppure i baci, ma un uomo le cui parole penetrano il cuore di una donna non vede la differenza tra le une e gli altri, e di questi e di quelle insieme vuole perdere il conto.

Posso accettare che si prometta a una donna la miseria di ventiquattromila baci, ma solo per scandire bene il ritmo di un verso! Dei baci veri, come delle parole, gli amanti devono perdere il conto, se davvero sono amanti, e – di più! – devono volerne confondere il numero al loro stesso ricordo.

Tutto questo non lo capirà mai, Cristiano, che stava lì a mendicare un bacio come se ascoltandolo Rossana non lo stesse già baciando, e come se il tocco delle labbra contenesse in sé una magia indipendente dal miracolo delle parole! Un po’ come lui – ma molto più charmant, bisogna ammetterlo – era Portos, quando catechizzava un altro grande spadaccino di Guascogna: «Puoi anche parlare un po’, prima: le chiedi il suo nome, le dici il tuo, fai un paio di complimenti… però dammi retta, D’Artagnan: qualunque parola è tempo sprecato quando arrivi al dunque!»

Un metodo rude per rudi risultati: quello che Portos e Cristiano proprio non vogliono capire è che le parole sbagliate sono quelle che ripetono sempre le stesse cose, mentre le giuste sono quelle che ripetono sempre la stessa cosa. Non ci vuole certo un Heidegger, per capire la differenza che c’è tra dire sempre le stesse cose (das Gleiche) e dire sempre la stessa cosa (das Selbe), perché in realtà i poeti, gli amanti, i filosofi e i teologi (almeno quelli degni di questi nomi, per i quali nessuno è degno) sono degli estenuanti ripetitori della stessa cosa.

Un bacio non è diverso da un altro, ma questo non motiva affatto un amante ad astenersi dagli altri dopo il primo o dopo i primi due (sapete, almeno due sono comunque necessari per attestare l’identità!), e quale poeta si vergognerebbe di scrivere un secondo o un terzo sonetto d’amore, dopo averne già scritti uno o due?

Ha comunque pudore, il poeta, come ha pudore l’amante, perché ciò che dice e che fa gira intorno ad eventi più grandi di lui, eventi pregni di mistero onnipotente. I filosofi e i teologi parlano e scrivono, e riscrivono e trascrivono sempre della stessa cosa – come perfino qui cerchiamo di fare – ma mai delle stesse cose. Anche Giovanni, il Teologo (lui sì che se lo poteva permettere, quel titolo!), scriveva: «Carissimi, non vi scrivo un comandamento nuovo, ma un comandamento antico, che avete fin dal principio: il comandamento antico è la parola che voi avete ascoltato. Eppure è un comandamento nuovo che vi scrivo, il che è vero in quella e in voi, perché le tenebre si dileguano e la luce – quella vera – già risplende» (1Gv 2,7-8).

Non ci stanchiamo di baciare, non ci stanchiamo di parlare, di scrivere, di ripetere e di ricapitolare: mille baci e ancora cento, poi di nuovo mille, finché non ne resti confuso il numero a noi stessi, figure d’ombra persistenti davanti al Sole che sorge dall’alto.

Abbiamo imparato che il pan bagnato non è lo stesso che la zuppa, e che se non ci va bene questa l’unica alternativa è la finestra.

66 pensieri su “Stordiamoci di baci, o sennò sparisci: salta dalla finestra!

    1. v’è più dignità nell’essere parole senza sangue che nell’essere sangue senza parole: la prima è quella degli angeli, la seconda quella dei bruti.
      Oggi stocco, madama! 🙂

  1. E’ l’alba e non sono “ancora” lucidissima. Però una cosa volevo dirla: è davvero geniale la modalità di scrittura. Mi piace moltissimo, mi ha fatto sorridere. Sembra una storia divertente, invece è, anche, una cosa seria. Vediamo….la stessa cosa che si ripete all’infinito…..una specie di loop. Direi che ne è piena la nostra giornata e quindi la nostra vita, di esempi. per alcune cose, banalmente, è forse il bisogno di rassicurazione, almeno nel sentircelo dire. Ma c’è dell’altro. Quella stessa cosa che ribadiamo a ciclo continuo e che ascoltiamo senza stancarci, forse fa parte di quelle cose che riteniamo fondamentali. Come l’amore o la parola di Dio. E’ un pò come avere paura che possano scomparire se non ne parliamo e il bisogno di parlarne perchè sono punti fermi fondamentali nella nostra vita. E’ per questo che non è parola sprecata perchè già detta, non è bacio sprecato neppure il milionesimo dato. Dovremmo invece ricordarcelo un pò più spesso di dirlo e ripeterlo quel “ti voglio bene” alle persone che ci stanno a cuore. Perchè a non ripeterla, la stessa cosa, finisce che le persone che per noi sono speciali, finisconno davvero per scappare dalla finestra.
    Buona giornata d’inizio settimana

    PuntoG

  2. 61Angeloextralarge

    Ma alla zuppa e/o al pan bagnato, l’alternativa non era la minestra? Cyrano? E’ un refuso? 😉
    Altra domanda. un post sui baci è un po’ colpa mia? 😀 Smack!
    A parte le battute più o meno felice (oggi è lunedì), bel post! Di quelli che vanno ri-letti.

    1. no, non è un refuso, AngeloXL! 🙂
      La “colpa” (o felix culpa!) di questo post viene da Alvise (quando mai!), ma i baci no… quelli saltano dalle mie labbra, e quando non posso baciare parlo, e quando non posso parlare scrivo: «Per ascoltare in silenzio il suono della tua voce, / o parlare, parlare, parlare, parlarmi addosso…» 🙂
      Sì, lo so, stavolta sono stato esoterico, e Giuliana mi dirà: «Stavolta?»… ma che dobbiamo fare? 😉

  3. Miriam

    Cyrano,
    mai nick fu più azzeccato!
    Hai creato un’atmosfera particolare e l’hai squarciata di lampi improvvisi.
    Ho letto con attenzione e ho ‘gustato’ tutto, anche l’ironia, sottile ed efficace.
    Quoto tutto; ma mi sovviene questo. ” Non ci vuole certo un Heidegger, per capire la differenza che c’è tra dire sempre le stesse cose (das Gleiche) e dire sempre la stessa cosa (das Selbe), perché in realtà i poeti, gli amanti, i filosofi e i teologi (almeno quelli degni di questi nomi, per i quali nessuno è degno) sono degli estenuanti ripetitori della stessa cosa.”

    1. sai che difatti mi ci trovo sempre più a mio agio, in questo nick? 🙂
      Speriamo non siano prodromi della sindrome di Stendhal… sarebbe decisamente triste esserne presi a causa della propria maschera!

      1. 61Angeloextralarge

        Cyrano: hai provato con Zorro? E’ un bel tipo anche quello, no? Meno romantico ma mi piace! 😉

  4. Erika

    Quant’è vero, Cyrano!
    Da che mondo è mondo, i filosofi, i teologi e gli amanti degni del loro nome, ripetono la stessa identica cosa…
    E ogni volta che ci imbattiamo in quella cosa, che essa prenda la forma di antico manoscritto, di edizione tascabile, di bacio o di enciclica papale, ne vogliamo ancora e ancora…
    Che sia perché non possiamo, noi miseri umani, com-prenderla fino in fondo? Non riusciamo a contenerla tutta?
    Ma, soprattutto, credi che esista qualcuno che l’abbia incontrata, letta, o baciata, in ogni sua forma?

    1. Erika, con la tua domanda si potrebbe spiegare perché un libro come il Cantico dei Cantici – libro di poesia erotica senza alcuna menzione al divino, a parte un velato rimando a una “fiamma del Signore” – è stato inserito nel canone cristiano e in quello ebraico. L’amante è tale perché si dà e al contempo si ritrae, è presente e sempre ulteriore. Nella storia della teologia, però, il pensiero che questo si possa dire di Dio non ha affatto avuto vita semplice, e non s’è imposto decisamente che a partire dalla seconda metà del IV secolo (prima si trova qualcosa del genere solo in un autore). Dico questo per evidenziare come non sia affatto scontato che il Cantico sia nella Bibbia: ogni vera epifania è al contempo un darsi e un ritrarsi, e questo dipende in parte dal peccato (già Platone osserva che le anime rozze non possono avvicinarsi alla verità), in parte dalla stessa “differenza ontologica”, ovvero dall’infinita distanza destinata a permanere tra il temporale e l’eterno, il finito e l’infinito, la creatura e il Creatore.

      1. Miriam

        Bello e Vero! smack 🙂
        Non voglio fare concorrenza a 61Angeloextralarge, ma me lo hai proprio estorto!

        Qui non sei solo esoterico sei anche metafisico.
        E mi piace esprimere anche la conclusione che quella “differenza ontologica” è stata colmata in Cristo Signore e in chiunque chiede osculetur me osculis oris sui (lo dico con grande rispetto e gratitudine e solo pensando a voi che leggete queste righe, altrimenti non lo avrei mai espresso)

        1. 61Angeloextralarge

          Miriam: soncorrenza? Quando mai? La Perugina è una fabbrica di Baci ma i dipendenti sono tanti! Tutti all’opera! smack! 😀

  5. Alessandro

    Mai abbastanza. Dell’essenziale non ci si abbevera mai abbastanza, numquam satis.

    “Quando ero un giovane teologo, prima del Concilio, avevo qualche riserva su certe antiche formule, come ad esempio quella famosa de Maria numquam satis, “su Maria non si dirà mai abbastanza”. Mi sembrava esagerata…

    Ora – in questo confuso periodo dove davvero ogni tipo di deviazione ereticale sembra premere alle porte della fede autentica – ora comprendo che non si trattava di esagerazioni di devoti ma di verità oggi più che mai valide.”

    (Card. J. Ratzinger, in “Rapporto sulla fede” (con Vittorio Messori), 1984, cap. 7)

    1. 61Angeloextralarge

      Ale! Ole! Trovo che sia un vero peccato che non si riesca a riprodurre la “ola” nei commenti! 😉

  6. 61Angeloextralarge

    Cyrano, più ti leggo e più mi piace come scrivi: muovi dentro di me le immagini e la fantasia, al punto che veramente entro dentro il testo. Va beh, mi capita anche con Costanza ed altri! Ma contesto, pensandoci meglio, una cosa! “Un bacio non è diverso dagli altri”: credo che un bacio sia diverso dall’altro. perché? Perché il momento non è lo stesso! Noi non siamo gli stessi del momento precedente! Nel senso che il nostro stato d’animo non può essere identico al precedente. Vuoi che dopo qualche bacio non c’è più il bello della conquista, del dubbio… Vuoi che qualcosa in me è cambiato nei riguardi dell’oggetto del mio bacio… o che ne so? Tante cose possono influenzarmi ed influenzare il soggetto del mio bacio (fidanzata, moglie, amante o altro che sia). Forse è questo che mi fa pensare che una volta “scambiato” il bacio rinnova il desiderio di “scambiarne” un altro.
    Spero di essermi fatta capire! Con tutti sti smack ormai sono esperta, no? 😉

    1. Grazie del complimento, AngeloXL, e anche della pazienza che hai esercitato prima di arrivare a gustare con me ciò che dico. Quello che scrivi è vero, perché «non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume» (Eraclito, mio caro amico): così hai perfettamente riespresso a parole tue la differenza tra “lo stesso” e “la stessa cosa”. Il tempo, di per sé, è l’ultima delle varianti interessanti: il tempo è significativo proprio perché (come hai detto tu) diventa il metro, la verifica e l’espressione del nostro cambiamento. Che in questo cambiare, tuttavia, permaniamo in qualche modo gli stessi, anche questo ci riempie di stupore, e riconoscendo che chi stiamo baciando (“il tutto rapportato al cammino di fede”… o anche non esplicitamente) è anch’egli rimasto lo stesso non possiamo che proseguire come sopra: mille baci, poi cento, poi altri mille, poi altri cento…

      1. 61Angeloextralarge

        Cyrano: Eraclito non mi era venuto nemmeno in mente (è passato qualche annetto, eh?). Invece il mio “tutto rapportato al cammino di fede” era ed è solo “mio” personale, cioé il mio vivere attuale. Ho fatto la mia parte, comunque anche al di fuori del cammino d fede. 😉

    2. Miriam

      Certo che è così, Angel. E, poi, vuoi mettere -se parli di fede-, in rapporto con l’infinita ricchezza e bellezza del tuo interlocutore, che non ti lascia mai la stessa…
      Anche nel quotidiano, è vero che ogni bacio porta con sé l’emozione e il sentimento ed il trasporto del momento e non può essere mai lo stesso: c’è la passione e c’è la tenerezza… di volta in volta, c’è tutto.

  7. Dile

    Ma anche Cirano diceva sempre le stesse cose! Perchè, alla fine, Rossana lui non ha mai potuto baciarla, ed il suo amore disincarnato è rimasto mutilato come quello di Cristiano, anche se in maniera più nobile.
    La stessa cosa si arriva a dirla solo quando baci e parole, anima e corpo, amano insieme.

    1. Si capisce, ma ciò che un testo tace non è ciò che un testo nega, o il catalogo di Leporello sarebbe una qualche prova d’amore.
      È stato detto più di ciò che è stato scritto.

  8. Domanda un po’ impertinente: ma Cyrano l’avrà fatto davvero per amore verso Rossana?
    Mi è capitato di essere presente alla conferenza stampa di Alessandro Preziosi che al Teatro Verdi di Salerno interpretava proprio quel ruolo. Lui definiva Cyrano con tre parole: egocentrico, logorroico e sadico.
    Forse quello che voleva era semplicemente l’illusione che tutto dipendesse da lui, anche la felicità di Rossana.
    Seconda domanda: non staremo cadendo un po’ troppo nell’immaginario?
    Soprattutto noi donne abbiamo molto in comune con Rossana, o meglio con Madame Bovary: vorremmo passione, belle frasi, baci ardenti. E quando i nostri occhi si posano su un uomo vorremmo ch’egli ci faccia vivere una passione travolgente da “Certosa di Parma” (è solo un caso la coincidenza dello sceneggiato, io non l’ho nemmeno visto, lo cito perché è il mio romanzo preferito di Stendhal).
    Questa, però, è letteratura, non è realtà.

    1. impertinenza pertinente, direi! 🙂
      Chissà… Nessuno può negare che l’amore sia una virtù, diciamo pure senza paura la somma… ma chi può presumere della propria virtù?

  9. Per carità, stiamo entrando in un campo minato. Quello degli uomini che si sento inadeguati rispetto a noi femminucce. Lo sentivo anche oggi, alla radio tornando a casa, un sondaggio sulle paure degli uomini. Ecco, si sentono inadeguati, hanno paura essere troppo o troppo poco. Di sembrare impacciati, poco sicuri, troppo appassionati eccetera. Adesso se qualcuna di noi afferma che vorrebbe un uomo che le faccia vivere una passione (s)travolgende, ne stramazziamo al suolo qualche migliaio. Per dire una cosa molto umana e poca romanzo (?) credo che uomini e donne vogliano la stessa cosa, anche se coniugata in maniera diversa. Ossia essere e sentirsi davvero speciali e importanti per la percosa che hanno accanto. Molto semplicemente.
    E questo, invece, può essere realtà!

  10. Personalmente sono reduce dalla visione di “Carmen”, una delle mie opere liriche preferite.
    Carmen, ovvero l’egoismo del rapporto tra uomo e donna portato all’estremo.
    Devo confessare che la protagonista, con il suo “Si tu non m’ame pas/ je t’aime/ ma si je t’aime/ prend-guarde a toi!” mi è sempre stata simpatica, e mi rimane simpatica anche quando tratta il povero don José come un giocattolo che butta via quando non le va più. Mi è simpatica perché alla fine grida, anche se sa di ritrovarsi un momento dopo un coltello nel cuore: “Jamais Carmen ne cederà/ livre elle est née, et livre elle mourrà!”.
    Forse per questo era l’opera preferita di Nietzsche, l’opera che gli aveva fatto esclamare nella sua pazzia: “Finalmente l’amore, l’amore ritradotto nella natura! Non l’amore di una ‘vergine superiore’!(…) sibbene l’amore come fatum, come fatalità, cinico, innocente, crudele – e appunto in ciò natura! L’amore che nei suoi strumenti è guerra, nel suo fondo è l’odio mortale dei sessi!”
    Mi rifiuto di credere che l’amore sia questo nella sua essenza, ma temo che lo stia diventando.

  11. L’amore è un’altra cosa. Non è guerra tra i sessi. Anzi, non è proprio guerra. Sarò antica/antiquanta e chisenefrega, ma l’amore non lo posso/riesco a vedere e vivere come guerra tra i sessi. La diversità tra i sessi è una ricchezza, la possibilità di vedere il mondo sotto una diversa angolatura, di esplorare emozioni impossibili da raggiungere se non col confronto e attraverso occhi che hanno angolature diverse. Mi chiudo in una stanza difronte alla necessità che per essere “ritradotto nella natura” debba necessariamente essere crudele. Mi spiace ma non ci sto!!!!
    Scusate…..mi accaloro un pò 😉

  12. Sono totalmente d’accordo con lei; ma purtroppo sembra che oggi sia diventato proprio questo. E i fatti di cronaca ce lo confermano. Chi era quel povero diavolo di Brescia se non un don José che ha ucciso la sua ex perché non fosse di nessun altro?

  13. Erika

    Non può essere amore che non sia passione travolgente. Qualunque forma prenda, l’amore per la verità, l’amore per il bello, l’amore per una persona, l’amore per Dio, se non ti appassiona, se non ti travolge, allora non esiste. Ma nella parola “passione” troviamo in radice anche “sofferenza”, anche “sopportazione”. Non e’ forse questa la ‘passione’ di Cristo? Sofferenza per amore, amore nella sofferenza, per poter dare la gioia?

    1. Alessandro

      “Mentre avanzavamo con Gesù, sino a giungere al vertice del suo consegnarsi sul Calvario, ci venivano alla mente le parole di san Paolo: «Cristo mi ha amato e ha dato la sua vita per me» (Gal 2,20). Davanti ad un amore così disinteressato, colmi di stupore e gratitudine, ci chiediamo ora: Che faremo noi per Lui? Quale risposta gli daremo?

      San Giovanni lo dice chiaramente: «Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3,16). La passione di Cristo ci sospinge a caricare sulle nostre spalle la sofferenza del mondo, con la certezza che Dio non è qualcuno di distante o lontano dall’uomo e dalle sue vicissitudini. Al contrario, egli si fece uno di noi «per poter com-patire con l’uomo, in modo molto reale, in carne e sangue… Da lì in ogni sofferenza umana è entrato uno che condivide la sofferenza e la sopportazione; da lì si diffonde in ogni sofferenza la con-solatio, la consolazione dell’amore partecipe di Dio e così sorge la stella della speranza» (Spe salvi, 39).”

      (Benedetto XVI, Discorso alla Via crucis della GMG, Madrid, 19 agosto 2011)

  14. Mercuriade…..sono antica, non vecchia ;);)
    Credo che a furia di dire che le cose vanno in un certo modo, finiamo per convincerci che è l’unico possibile. Smettiamo di raccontare il lato brutto del mondo, quello che non ci piace. Non per fare gli struzzi. Non dico di fare finta che non esista. Ma occupiamo più tempo, più parole, più pagine, per raccontare il bel mondo che vogliamo, che sentiamo dentro, che siamo capaci di vivere. Altrimenti finisce, che anche noi, ce ne dimentichiamo. Del “bello”, dei bei sentimenti, intendo.
    L’uomo di Brescia, una tragedia immane. Ecco, anche con le parole, non permettiamo che quello sia il nostro modollo, il nostro unico argoemento, il nostro “e così sia” con le braccia al cielo e la rassegnazione che è l’unico (quasi) modo possibile di amare, di vivere le relazioni e gli abbandoni.

    1. Erika

      Punto G: certo, il mio commento si e’ intrecciato al tuo, ma non parlavo della sofferenza inflitta all’ altro!

  15. “La passione di Cristo ci sospinge a caricare sulle nostre spalle la sofferenza del mondo”
    (patire, patire,espiare, per sè e per gli altri, questo è: cristianesimo)

    1. Alessandro

      La sofferenza arriva, piaccia o no. Soffrire congiunti a Cristo

      1) allevia la sofferenza, mescola dolcezza a sofferenza, perché chi è congiunto a Cristo è unito al Vivente che non muore (diceva quello: “i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore”)

      2) è viatico per la beatitudine eterna: e quindi questa sofferenza non cede alla disperazione.

      Certo ogni sofferenza è espiazione (per i peccati propri e/o altrui), ma questa è la condizione terrena dell’uomo: la passione morte e resurrezione di Cristo ha reso possibile che la sofferenza nostra espii, purifichi: faccia noi e i nostri fratelli un po’ più puliti, ci deterga dalle macchie del peccato, rendendoci meno indegni di accedere alla beatitudine celeste, approssimandoci ad essa.

      1. Mi chiedo quanti di noi davvero si carichino addosso la sofferenza degli altri (se non a parole)
        Quanto al fatto di accettare di patire, in quanto condizione umana, credo che tutti siamo
        sottoposti allo stesso destino (di sofferenza). In quale modo qualcuno si potrebbe rifiutare di patire?
        Col suicidio? E’ questo che vuole dire il Papa, non suicidatevi?

        1. Alessandro

          il Papa fa ben di più, invita a soffrire congiunti a Cristo, nella sequela di Cristo.

  16. E poi, mi chiedo (vi chiedo) ha un valore superiore una enciclica papale rispetto all’opera di un teologo
    “qualsiasi”? E poi, come può anche solo pensare di fiatare un teologo qualsiasi dal momento che c’è il
    Papa?

    1. Alessandro

      Vedi l’Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo “Donum veritatis” (Congregazione per la Dottrina della Fede, 1990):

      http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19900524_theologian-vocation_it.html

      Di seguito solo uno stralcio:

      “Anche se la dottrina della fede non è in causa, il teologo non presenterà le sue opinioni o le sue ipotesi divergenti come se si trattasse di conclusioni indiscutibili. Questa discrezione è esigita dal rispetto della verità così come dal rispetto per il Popolo di Dio (cf. Rm 14, 1-15; 1 Cor 8; 10, 23-33). Per gli stessi motivi egli rinuncerà ad una loro espressione pubblica intempestiva.

      28. Ciò che precede ha un’applicazione particolare nel caso del teologo che trovasse serie difficoltà, per ragioni che gli paiono fondate, ad accogliere un insegnamento magisteriale non irreformabile.

      Un tale disaccordo non potrebbe essere giustificato se si fondasse solamente sul fatto che la validità dell’insegnamento dato non è evidente o sull’opinione che la posizione contraria sia più probabile. Così pure non sarebbe sufficiente il giudizio della coscienza soggettiva del teologo, perché questa non costituisce un’istanza autonoma ed esclusiva per giudicare della verità di una dottrina.

      29. In ogni caso non potrà mai venir meno un atteggiamento di fondo di disponibilità ad accogliere lealmente l’insegnamento del Magistero, come si conviene ad ogni credente nel nome dell’obbedienza della fede. Il teologo si sforzerà pertanto di comprendere questo insegnamento nel suo contenuto, nelle sue ragioni e nei suoi motivi. A ciò egli consacrerà una riflessione approfondita e paziente, pronto a rivedere le sue proprie opinioni ed a esaminare le obiezioni che gli fossero fatte dai suoi colleghi.

      30. Se, malgrado un leale sforzo, le difficoltà persistono, è dovere del teologo far conoscere alle autorità magisteriali i problemi suscitati dall’insegnamento in se stesso, nelle giustificazioni che ne sono proposte o ancora nella maniera con cui è presentato. Egli lo farà in uno spirito evangelico, con il profondo desiderio di risolvere le difficoltà. Le sue obiezioni potranno allora contribuire ad un reale progresso, stimolando il Magistero a proporre l’insegnamento della Chiesa in modo più approfondito e meglio argomentato.

      In questi casi il teologo eviterà di ricorrere ai «mass-media» invece di rivolgersi all’autorità responsabile, perché non è esercitando in tal modo una pressione sull’opinione pubblica che si può contribuire alla chiarificazione dei problemi dottrinali e servire la verità.

      31 Può anche accadere che al termine di un esame dell’insegnamento del Magistero serio e condotto con volontà di ascolto senza reticenze, la difficoltà rimanga, perché gli argomenti in senso opposto sembrano al teologo prevalere. Davanti ad un’affermazione, alla quale non sente di poter dare la sua adesione intellettuale, il suo dovere è di restare disponibile per un esame più approfondito della questione.

      Per uno spirito leale ed animato dall’amore per la Chiesa, una tale situazione può certamente rappresentare una prova difficile. Può essere un invito a soffrire nel silenzio e nella preghiera, con la certezza che se la verità è veramente in causa, essa finirà necessariamente per imporsi.”

  17. Mi piace questa differenza tra le stesse cose e la stessa cosa.
    E’ un po’ come fa Dio, che non fa “cose nuove” (neos), ma fa nuova (kainos) ogni cosa…

  18. nonpuoiessereserio

    Anche in questo blog si dicono cose diverse per dire la stessa cosa, questa cosa che Alvise non digerisce ma che si mangia tutti i giorni.

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