L’ottimismo è di rigore

 

Un ringraziamento a Roberto che qualche giorno fa ci ha segnalato questo brano nei commenti.

di Giacomo Biffi

“Vidi salire dal mare una bestia” (Ap 13,1)

L’ottimismo è di rigore.

Una delle mode culturali più curiose invalse nella cristianità in questi decenni interdice a chi si accinge a stilare un documento o proporre una riflessione sulla odierna condizione umana e sui tempi presenti di iniziare dai rilievi “negativi”: è d’obbligo partire da una rassegna dei dati improntata a un robusto ottimismo; bisogna sempre collocare in capo a tutto un esame della realtà che non tralasci di mettere in giusta luce i valori, la sostanziale santità, la “positività prevalente”.
Qualche volta mi sorprendo a immaginare, per mio personale divertimento, come sarebbe stata la lettera ai Romani se, invece che da quell’uomo difficile e sdegnoso che era l’apostolo Paolo, fosse stata stesa da qualche commissione ecclesiale o da qualche gruppo di lavoro dei nostri giorni.
L’epistola avrebbe cominciato a notare nel primo capitolo col dovuto risalto tutte le ricchezze spirituali e culturali espresse dal mondo pagano: le altezze sublimi raggiunte dalla filosofia greca; la sete del trascendente e il naturale senso religioso rivelati dalla molteplicità dei culti mediterranei; gli esempi di onestà morale, di correttezza civica, di abnegazione disinteressata, offerte dalle vicende edificanti della storia romana che una volta si insegnavano al ginnasio. Senza dubbio se la litanìa immisericorde dei vizi e delle aberrazioni mondane contenuta nell’attuale pagina ispirata, fosse suggerita oggi come contributo al testo da qualche incauto collaboratore, susciterebbe una concorde indignazione. E in realtà il giudizio di Paolo suona alle nostre orecchie insopportabilmente sgradevole: per lui gli uomini senza Cristo sono “colmi di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia” (Rm 1,29-31).
Messi in bella evidenza i pregi del paganesimo, la nuova lettera ai Romani passerebbe poi a esaltare le prerogative dell’ebraismo e la funzione già incoattivamente salvifica della Legge mosaica, della circoncisione, delle prescrizioni rituali.
Infine, arrivata al capitolo quinto, chiarirebbe che l’opera di Adamo non è stata poi così nefasta come una volta si diceva, dal momento che la creazione resta in se stessa buona; anzi in quanto è uscita dalle mani di Dio non può non essere già santa e sacra, senza che siano necessarie altre sopravvenienti consacrazioni.
Certo, a questo punto il discorso su Gesù Cristo, la sua redenzione, il suo intervento indispensabile per il riscatto dell’umanità dall’ingiustizia, dal peccato, dalla morte, dalla catastrofe, diventerebbe meno incisivo e convincente di quanto non sia nella prosa scabra e drammatica di Paolo; ma non si può avere tutto.
Non è che i ragionamenti qui giocosamente ipotizzati siano del tutto erronei in se stessi. Al contrario, contengono molta verità e vanno doverosamente compiuti, ma non come primo approccio alla realtà delle cose. Da essi non si può partire; ad essi si può solo approdare al termine di un lungo pellegrinaggio ideale: soltanto dopo che la visione della spaventosa miseria dell’uomo ci avrà aperto la mente e il cuore a desiderare e a capire la sospirata salvezza di Cristo, ci sarà consentito di apprezzare tutto quanto di bello, di giusto, di vero, riluce già nella notte del mondo, come riverbero del Redentore, che è la verità, la giustizia, la bellezza rese persona e divenute percepibili in un volto d’uomo.
Ogni autore cristiano ha sempre avviato il suo canto da un’ode tragica sull’umano destino per arrivare all’inno di vittoria e di gratitudine al Figlio di Dio crocifisso e risorto, unica nostra speranza, che solo ci ha ottenuto la salvezza.
L’uomo, che voglia celebrare veramente la propria grandezza, non può che principiare da un “epicèdio”, cioè da una lamentazione sullo stato di morte che enigmaticamente dall’inizio ha colpito l’universo e lo serra ancora in una morsa ineludibile.
Il fondamento dell’ottimismo cristiano non può essere la volontà di tener chiusi gli occhi. Bisogna per prima cosa guardare in faccia alla “Bestia” e renderci conto di quanto siano aguzzi i suoi denti e terrificanti i suoi artigli, se si vuole onorare e amare il “Cavaliere”, e si desidera capire davvero quale dono sia la nostra liberazione e la felicità che ci è stata assegnata in sorte.

Giacomo Biffi  “La Bella, la Bestia e il Cavaliere. Saggio di teologia inattuale.”   JACA BOOK 1984

81 pensieri su “L’ottimismo è di rigore

  1. E’ sempre un piacere leggere il card. Biffi: è intelligente, ironico, tagliente il giusto e mai banale, però… però stavolta devo dire che non mi è piaciuto. Non so se dipende da come è stato tagliato il brano (non ho letto il libro da cui è tratto), ma mi sembra incorrere, forse per un eccesso di vis polemica, in un marchiano errore.
    Partiamo dalla lettera ai Romani. In nessun punto può essere t come una critica alla cultura romana né tantomeno a quella giudaica. Ciò che Paolo rimprovera ai suoi contemporanei infatti è semmai di non seguire fino in fondo le premesse delle loro culture: se i pagani fossero razionali fino in fondo giungerebbero a conoscere il creatore, se i Giudei fossero davvero fedeli alla legge si accorgerebbero che essa conduce a Cristo. La sua critica non è quindi contro il paganesimo e neppure contro il Giudaismo che anzi sono implicitamente lodati in quanto via preparatoria verso Cristo, ma semmai contro i pagani e i Giudei.
    Sistemate le premesse veniamo al cuore dell’articolo. E’ vero, l’ottimismo cristiano è cosa totalmente diversa da una ingenua credulità di tipo tolstojano, da un falso irenismo per cui va tutto bene, non è basato sulla positività del reale, ma sulla forza della Grazia, perché ben sappiamo che “tutti siamo sotto il dominio del peccato” (Rom. 3,9). Eppure non si deve mai dimenticare che in quel tutti siamo compresi anche noi (come Paolo stesso ci ricorda e nello stesso versetto: “Che dunque? Siamo forse noi superiori? No!”) e se quindi da una parte è un dovere demistificare gli inganni del mondo, dall’altra parte non si deve mai per nessun motivo indulgere al sentirsi superiori, più intelligenti, più colti, più lucidi.
    Nessun ottimismo quindi, ci mancherebbe, ma, per dirla con Paolo VI, un’immensa simpatia. Nell’omelia di chiusura del Concilio Vaticano II il Papa leggeva il rapporto tra la Chiesa e il mondo alla luce della parabola del buon samaritano, ponendo i fondamenti di quella che molto dopo sarà chiamata la Carità intellettuale, cioè la capacità di donare la verità dell’Amore nell’amore e con amore. Certo, l’arroganza della “religione dell’uomo che si fa dio” (parole di Paolo VI) lascia sul campo morti e feriti ed è su di loro che la Chiesa deve chinarsi con una simpatia immensa e il suo chinarsi dovrà innanzitutto essere un fasciare ferite un versare un balsamo.
    A che servirebbe dire a quell’uomo buttato sulla strada: “è colpa tua che hai creduto ai cattivi maestri.” e tirare diritto? Non sarebbe lo stesso atteggiamento dle fariseo che per non contaminarsi passa dall’altra parte dela strada?

  2. Filippo Maria

    “Il fondamento dell’ottimismo cristiano non può essere la volontà di tener chiusi gli occhi. Bisogna per prima cosa guardare in faccia alla “Bestia” e renderci conto di quanto siano aguzzi i suoi denti e terrificanti i suoi artigli, se si vuole onorare e amare il “Cavaliere”, e si desidera capire davvero quale dono sia la nostra liberazione e la felicità che ci è stata assegnata in sorte”.

    Mi sorprende l’estrema attualità di questo testo di Biffi a distanza di quasi vent’anni! In effetti tutta l’opera di Cristo viene sminuita se si sminuisce il peccato originale (e direi anche personale) dell’uomo! Mi sembra che la tendenza purtroppo sia questa da parte di molti teologi (o sedicenti tali) odierni. Una società di peccatori perdonati è la Chiesa… e il positivo lo si può vedere soltanto nella misericordia che il buon Dio distribuisce “in dosi da cavallo” all’umanità, e non “grazie” ma “nonostante” l’uomo.

    E a proposito di cristiano ottimismo vi auguro di fare oggi l’incontro che il libro dei Proverbi, nelle Lodi di questa mattina, ha augurato alla Chiesa in preghiera:
    “UNO SGUARDO LUMINOSO ALLIETA IL CUORE; UNA NOTIZIA LIETA RIANIMA LE OSSA” Proverbi 15,30.
    Buona giornata!

      1. Tempo fa feci una robusta litigata con la mamma di un bambino del catechismo perché i miei catechisti avevano osato, che orrore, insegnare ai bambini l’atto di dolore e chiedere che lo sapessero a memoria.
        Motivo del dissentire di questa mamma? Secondo lei era assurdo insegnare ai bambini che noi meritiamo il castigo e che Dio è offeso dai nostri peccati…
        Ma è normale, non è questo che mi scandalizza, anzi, è già in conto che noi si debba lottare per affermare la verità, quello che mi disturba è che la sig.ra in quesione va ogni mese ad un week-end di spiritualità di uno dei più noti biblisti italiani.
        Delle due l’una: o la signora capisce quello che vuol capire (ipotesi sempre possibile) o il biblista straparla.
        Però in generale c’è in giro una allergia generalizzata al dogma del peccato originale, ma la colpa, dobbiamo riconoscerlo, è anche nostra (dei preti intendo) che spesso abbiamo insegnato la caricatura di questa dottrina, fino a renderla di fatto inaccettabile per una persona ragionevole.

        1. Roberto

          Parlando di biblisti allora ne approfitto, se posso, don Fabio: lungi dall’essere sorpreso che i biblisti siano allergici al peccato originale, ne ho avuto l’altro ier sera l’ennesima conferma, andando ad ascoltare per la seconda (e ultima) volta un noto biblista-conferenziere della diocesi di Tortona.
          Nella lezione che aveva fatto a novembre aveva di fatto ridotto il peccato originale a una “metafora” atta a indicare la condizione dell’uomo come peccatore (e in quanto tale, perciò, creato così da Dio… il che ci porta diritti diritti nella gnosi, ma tant’è). Così, nella parte finale riservata alle domande per il pubblico l’ho invitato a precisare la questione, in particolare dato che la volta prima aveva esplicitamente negato la realtà dei doni preternaturali assegnati da Dio ad Adamo (precisamente l’immortalità). Mi ha infatti risposto dietro preciso invito che non si tratta di Verità di Fede, ma di una mera interpretazione medievale. Mentre noi sappiamo che è “di Fede” dal Concilio di Trento.
          Faccio anche notare che mentre la volta precedente il Vescovo non era presente per esercizi spirituali natalizi, stavolta è stato di fianco al biblista per tutto il tempo e non ha avuto alcun commento da fare.
          Ce n’è abbastanza per portare il caso davanti alla Congregazione per la Dottrina della Fede? Cosa che stavo seriamente ponderando, dato il male alle anime che insegnamenti del tutto contrari alla dottrina ma così “prestigiosi” possono fare?

          1. Alessandro

            “I nostri progenitori (il decreto dice: “Primum hominem Adam”) nel paradiso terrestre (e dunque nello stato di giustizia e perfezione originali) hanno peccato gravemente, trasgredendo il comandamento di Dio.
            A causa del loro peccato essi hanno perduto la grazia santificante, hanno dunque perduto anche la santità e la giustizia, nella quale erano “costituiti” sin dall’inizio, attirando su di sé l’ira di Dio.
            La conseguenza di questo peccato è stata la MORTE come noi la sperimentiamo. Bisogna qui ricordare le parole del Signore in Gen 2, 17): “Dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti”. Sul senso di questo divieto ci si è intrattenuti nelle catechesi precedenti. In conseguenza del peccato satana è riuscito ad estendere sull’uomo il proprio “dominio”. Il decreto tridentino parla di “schiavitù sotto il dominio di colui che ha il potere della morte” (cf. DS 1511). Così dunque l’essere sotto il dominio di satana viene descritto come “schiavitù”.

            Occorrerà tornare su questo aspetto del dramma delle origini per esaminare gli elementi di “alienazione” che il peccato ha portato con sé. Rileviamo intanto che il decreto tridentino si riferisce al “peccato di Adamo” in quanto peccato proprio e personale dei progenitori (quello che i teologi chiamano “peccatum originale originans”), ma non tralascia di descrivere le nefaste conseguenze che esso ha avuto nella storia dell’uomo (il cosiddetto “peccatum originale originatum”).

            È soprattutto nei confronti del peccato originale in questo secondo senso che la cultura moderna solleva forti riserve. Essa non riesce ad ammettere l’idea di un peccato ereditario, connesso cioè con la decisione di un “capostipite” e non con quella del soggetto interessato. Ritiene che una simile concezione contrasti con la visione personalistica dell’uomo e con le esigenze che derivano dal pieno rispetto della sua soggettività.

            E tuttavia l’insegnamento della Chiesa sul peccato originale può rivelarsi estremamente prezioso anche per l’uomo d’oggi, il quale, avendo rifiutato il dato della fede in questa materia, non riesce più a darsi ragione dei risvolti misteriosi e angoscianti del male, di cui fa quotidiana esperienza, e finisce per oscillare tra un ottimismo sbrigativo e irresponsabile e un radicale e disperato pessimismo.”

            (Giovanni Paolo II, Udienza generale, 24 settembre 1986)

            http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/1986/documents/hf_jp-ii_aud_19860924_it.html

            “Il decreto tridentino (cf. DS 1512) lo afferma esplicitamente: il peccato di Adamo ha recato danno non solo a lui, ma a tutta la sua discendenza. La santità e la giustizia originali, frutto della grazia santificante, non sono state perse da Adamo solo per sé, ma anche “per noi” (“nobis etiam”). Perciò egli ha trasmesso a tutto il genere umano non solo la morte corporale e altre pene (conseguenze del peccato), ma anche il peccato stesso come morte dell’anima (“Peccatum, quod mors est animae”).”

            (Giovanni Paolo II, Udienza generale, 1° ottobre 1986)

            http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/1986/documents/hf_jp-ii_aud_19861001_it.html

          2. Ho scritto pochi giorni fa sul peccato originale, scusa se mi autocito: http://lafontanadelvillaggio2.wordpress.com/2012/02/22/ma-io-che-centro/
            Quanto al biblista che dire… senza registrazioni o testi scritti non c’è niente per fare una denuncia circostanziata, ma privatamente io quattro chiacchiere con il vescovo le farei.
            Dopo un cinquantennio di esegsi dominata dal protestantesimo oggi stiamo assistendo ad una esegsi massicciamente influenzata dall’Ebraismo. Questo in sé non è un male gravissimo, perché penso anche io che la riscoperta della nostra matrice ebraica ci può aiutare a purificare il Cristianesimo da certi eccessi neoplatonici (tipo ad esempio il dualismo corpo/anima) a patto però di restare Cristiani! La dottrina del peccato originale è precisamente uno dei punti più qualificanti di discrimine.

          3. Alessandro

            Sempre per starcene al cardinal Biffi: non c’è bisogno di rivolgersi a qualche raffinato esegeta dei testi sacri, basta leggere Le avventura di Pinocchio per vedere all’opera la consapevolezza che il peccato originale contamina gli uomini.

            “In questo libro è acutissimo il senso del male. E il male è in primo luogo scoperto dentro il nostro cuore. Non è un puro difetto di conoscenza, come nell’illuminismo socratico; non è risolto tutto nella iniquità o nella insipienza delle strutture, come nell’ideologia liberalborghese in polemica con l’Ancien Régime o nell’ideologia marxista in polemica con la società liberalborghese. «Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini escono le intenzioni cattive» (Mc 7, 21).
            Pinocchio sa che cosa è il suo bene, ma sceglie sempre l’alternativa peggiore (Vedi, c. 9: a scuola o al teatro dei burattini?; cc. 12 e 18: a casa o al campo dei miracoli col gatto e la volpe; cc. 27: a scuola o alla spiaggia a vedere il pescecane?; c. 30: dalla Fata o al Paese dei balocchi? ).
            Soggiace chiaramente alla narrazione di queste sconfitte la persuasione della «natura decaduta», della «libertà ferita», della incapacità dell’uomo a operare secondo giustizia, espresso nelle famose parole: «Non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7, 19)…
            [Sottende la narrazione la cognizione del] peccato originale e della decadenza della nostra volontà che da sola non sa resistere al male.”

            http://www.gliscritti.it/approf/fisichella/fis_pinocchio.htm

        2. Filippo Maria

          “la colpa, dobbiamo riconoscerlo, è anche nostra (dei preti intendo) che spesso abbiamo insegnato la caricatura di questa dottrina, fino a renderla di fatto inaccettabile per una persona ragionevole”.

          Parole sante, don Fabio. Parole sante!

  3. Alessandro

    Secondo me l’ironia di Biffi coglie nel segno. Se qualche “commissione ecclesiale” dovesse “riscrivere” la lettera ai Romani, certo la lettera esordirebbe col decantare quanto sia pregevole e salutare la Legge (mosaica, giudaica). Paolo no, non aveva tempo da perdere ed era un uomo troppo ardente e appassionato per non andare subito al nocciolo della questione. Ossia: ma l’uomo come può salvarsi? Tutto il resto è fuffa: appariscente, magari, ma pur sempre fuffa.

    Non che Paolo ritenga che la Legge e le opere della Legge non siano pregevoli e salutari (come potrebbe essere diversamente? vengono da Dio stesso!). Ma Paolo sa che la Legge mutilata del compimento suo, che è l’incarnazione morte e resurrezione del Signore nostro Gesù Cristo, non può in alcun modo salvare chicchessia.
    La Legge senza il suo compimento plenario lascia l’uomo irrimediabilmente invischiato nel peccato; anzi è proprio la Legge che addita all’uomo il peccato in cui è immerso, è proprio la Legge che condanna l’uomo (infatti, misurato dalla Legge l’uomo palesa tutta la propria infedeltà a Dio, cioè tutto il proprio recidivo languire e stentare nella cloaca del peccato).
    Ai fratelli giudei che non riconoscono Cristo Paolo sta dicendo: “Cari fratelli giudei, vi amo così tanto che voglio farvi sapere la verità, e cioè che se credete di essere giustificati solo perché avete la Legge e la osservate, ma rifiutate di riconoscere che l’unico insostituibile giustificatore è Cristo Gesù, non solo la Legge non vi giustificherà, ma vi condannerà, e persevererete nell’iniquità vostra, nel peccato, nell’infedeltà a Dio e alla Sua alleanza, come facevo io prima di “convertirmi”. Se invece riconoscete che Gesù Cristo è l’unico e necessario strumento di espiazione costituito da Dio per la giustificazione di ogni uomo, allora sarete giustificati, sarà possibile che il peccato non vi sopraffaccia, che siate riconciliati con Dio e così possiate essere salvi. Se – come feci un tempo anch’io – ripudiate Cristo, vi resta nient’altro in mano che una Legge amputata del suo senso onnicomprensivo ed esaustivo (Cristo Signore nostro), una Legge che non può giustificarvi, non può redimervi, non può strapparvi al peccato in cui siete sprofondati, ma può solo – se considerata spassionatamente – mostrarvi impietosamente l’infedeltà a Dio in cui vi dibattete”.

    Insomma, Paolo va al nocciolo della questione in Rm: l’Apostolo brama sapere come purificarsi dal peccato e scampare alla rovina dell’infedeltà a Dio, e per questo senza frapporre indugio proclama Cristo unico necessario indispensabile insostituibile operatore di giustificazione (cioè: unico redentore dal peccato) per tutti gli uomini, circoncisi e incirconcisi, in virtù della Sua incarnazione morte resurrezione.

    Così, la Legge non è ripudiata, ma restituita alla sua pienezza, Gesù Cristo. E ogni sapienza terrena non è esautorata, purché si arrenda alla fede nell’opera redentrice del Cristo.

  4. Personalmente preferisco il termine “speranza” ad “ottimismo”… mi infonde più serenità… è solo una mia sensazione, vorrei precisare… e già che ci sono: chi mi sa dire come mai il paradiso è scomparso dalle omelie? Non dovrebbe essere quello il culmine della nostra speranza/ottimismo? Per quanto possa essere lunga/corta/bella/brutta/monotona/divertente/varia/eventuale la nostra vita terrena dovrà finire… e quel che conta è dove saremo dopo, non tanto adesso… perché la Chiesa non ce lo ricorda un po’ più spesso, vista l’importanza della posta in palio, visto che è il nostro fine ultimo, visto? Provocazione: non è che anche la Chiesa stessa si sta chiudendo al solo orizzonte terreno?

    1. Ehm… rileggendo il mio commento mi rendo conto di essere stato un po’ troppo polemico… chiedo scusa, mi son lasciato un po’ troppo andare… è un tema che mi sta a cuore e la passione ha avuto il sopravvento sulla lucidità…

      1. Roberto

        Stefano, non solo non ti ho trovato affatto polemico, anzi! Cogli il punto. E poi i polemisti sono sempre stati una figura all’interno della Chiesa, hanno sempre avuto un ruolo, una vocazione preziosa – la loro odierna mancanza (o quasi) priva la Chiesa di una funzione importante. Lo stomaco, per fare “la sua parte” all’interno della digestione deve pur secernere i suoi acidi, no?

        1. 61Angeloextralarge

          Roberto, carina questa immagine! Smack, anche per l’avere inserito il Card. Biffi tra i commenti “qualche giorno fa” ! 😀

        2. Grazie Roberto, mi rassereni… ho sempre il timore che la parte più collerica del mio temperamento prenda il sopravvento e di usare modi non adeguati… mi associo, bella l’immagine dello stomaco 🙂

  5. 61Angeloextralarge

    “uomo difficile e sdegnoso”: secondo me questa definizione coglie in pieno la figura di Paolo, che “mi piace” tantissimo anche se a volte faccio fatica a farlo “entrare” subito.
    “Da essi non si può partire; ad essi si può solo approdare al termine di un lungo pellegrinaggio ideale: soltanto dopo che la visione della spaventosa miseria dell’uomo ci avrà aperto la mente e il cuore a desiderare e a capire la sospirata salvezza di Cristo, ci sarà consentito di apprezzare tutto quanto di bello, di giusto, di vero, riluce già nella notte del mondo, come riverbero del Redentore, che è la verità, la giustizia, la bellezza rese persona e divenute percepibili in un volto d’uomo”: quanto mi piace questa cosa! E il “riluce già nella notte del mondo” mi parla veramente di speranza: la dice lunga sul modo di agire di Dio.

  6. vale

    perché la realtà-come fu detto alla Soubirous,se non erro- è che la felicità era promessa per l’altro,non per questo mondo.
    vuol dire,checché qualche anima bella ne possa pensare,che il mondo,fino alla “rinnovazione” è dominio del…..
    è pertanto più corretto vedere la realtà,ottenebrata dal male, e trarne comque del bene(dove abbonda il male sovrabbonda la grazia) che vedere il bene,il bello ed il buono quando sono solo le scimmie di ciò che dovrebbe essere e non è…

    1. 61Angeloextralarge

      Vale: il 18 febbraio (terza apparizione), per la prima volta, la Signora parla. Bernardette le presenta una penna e un pezzo di carta e le chiede di scrivere il suo nome. Lei le risponde: “Non è necessario”, ed aggiunge: “Non TI prometto di renderTI felice in questo mondo ma nell’altro”…
      La Madonna non rivolge al mondo quella frase ma solo a Bernardette.

      1. 61Angeloextralarge

        Però hai ragione, infatti, Gesù ha detto: “Chi vuol venire dietro di me, prenda la sua croce e mi segua”. Mi sembra che la “teologia” del paradiso in terra sia un andare contro questo versetto. Gesù dalla croce non è sceso e poteva farlo. Non ha guarito, né liberato tutti! Solo alcuni! Anche oggi continua ad operare ma, nonostante abbia la possibiltà e la capacità di farlo, sembra che taccia. Perché? Assurdo dirlo ma per il nostro bene! Il linguaggio è duro e noi vogliamo andarcene! Vogliamo andarcene dalla croce, dalla sofferenza, dalle malattie (che non ci limitiamo più a cercare di curare), etc. Gesù non ci ha insegnato questo, anche se ci ha insegnato la speranza. Ci parla di gioia nella croce: è tutta un’altra cosa, alla faccia di tanti teologi moderni.

        “La speranza cristiana è la certezza, una certezza di fede che il bene vince, la bontà vince e vince perché ha già vinto in Cristo Gesù, morto e risorto. Io dico sempre che per capire la speranza bisogna mettersi ai piedi della Croce e guardare una scena, che è un raggio di luce, un fascio che illumina tutta la storia. Gesù è sulla Croce, la Croce che abbiamo costruito tutti, e mentre è sulla Croce l’arroganza umana lo provoca: “Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla Croce e allora noi ti crederemo. Hai salvato gli altri, adesso salva te stesso”. Gesù poteva scendere se avesse voluto, cosa gli costava? Con una parola aveva detto al Mare di Galilea: “Fermati!”, e si era fermato; aveva detto al vento impetuoso: “Taci”, ed aveva taciuto; con una benedizione aveva moltiplicato il pane per sfamare migliaia di persone; con una parola aveva richiamato in vita Lazzaro. Cosa costa a Gesù, quindi, scendere dalla Croce? Perché non è sceso? Non è sceso dalla Croce per dirci che Dio non è potere e, quindi, Gesù non è sceso dalla Croce per non canonizzare la forza del potere, la forza dell’arroganza, la forza della prepotenza. È rimasto sulla Croce per dirci che Dio è amore, Dio è bontà. La forza di Dio è la forza della bontà, è la forza dell’amore e proprio perché questa è la forza di Dio, la bontà vince, l’amore vince. Questa certezza è il cuore della speranza cristiana, che ha poi avuto la sua esplosione nella Risurrezione di Gesù. La morte di Cristo non è stata l’ultima parola, ma attraverso la morte Gesù ha messo l’amore dentro la morte ed ha, quindi, vinto anche la morte: e la Resurrezione ne è conseguenza.” (Card. Angelo Comastri)

        1. lidiafederica

          AngeloXL, posso chiederti – e chiedo pure a Vale – di leggere quello che ho scritto sotto (non Ratzinger, ma il mio commento successivo)? penso possa essere interessante

      2. vale

        grazie.lo sapevo. ma il punto è che tale rivelazione privata è nella continuità di un insegnamento “pubblico” dove il mondo è sotto il tallone del “diabolos” fino alla parusia riparatrice…così come viene mostrato l’inferno pieno ad uno dei pastorelli,così come,tra le innumerevoli-ed anche non ufficialmente riconosciute-da ultimo Medjugorje- il mondo è dominio del cornutazzo,e, siccome volenti o nolenti,nel mondo ci tocca vivere-quasi fosse una prova tipo i 40gg.nel deserto,i 40 anni-sempre nel deserto dopo la fuga dall’Egitto,ecc., il vedere il positivo può aiutare. l’essere ottimisti anche( anche perché ci è stato detto: non praevalebunt).ma la realtà di ogni giorno,vederla per ciò che non è, è quanto di più lontano dal sano realismo cattolico che ci possa essere….

        1. lidiafederica

          certo. Io (come ho scritto sotto, mi farebbe piacere che leggessi, non Ratzinger, l’altro) penso che se Gesù era felice a betania con Lazzaro, Marta e Maria, se era sereno con Maria a Nazareth, se si commuoveva con i bambini e banchettava con Zaccheo, ammirava i gigli del campo e le onde del lago, penso che sia questa la sana, pulità bellezza del mondo di cui ringraziare e di cui godere profondamente, come ne ha goduto Gesù nei suoi anni qui con noi.

  7. lidia

    ” Ignazio [di Loyola] vede davanti a sé un mondo che è destinato senza speranza alla perdizione eterna dell’inferno. L’idea che tutti gli uomini prima di Cristo e e tutti coloro che, dopo di lui, sono rimasti al di fuori della fede della Chiesa vadano incontro a questo destino fu senza dubbio uno dei motivi principali che lo indussero a predicare da allora con grande zelo al servizio della predicazione del Vangelo. […] Se oggi tentassimo di ripetere la meditazione di Sant’Ignazio, riconosceremmo presto che non potremmo più assolutamente condividere l’idea sopra descritta. Tutto quello che crediamo a proposito di Dio e tutto quello che sappiamo dell’uomo ci impedisce di di ritenere che, oltre i confini della Chiesa, non ci sia più salvezza, che fino a Cristo tutti gli uomini sarebbero stati sottoposti al destino dell’eterna dannazione[…]
    Ma se siamo onesti dobbiamo ammettere che non è questo il nostro problema. Il nostro problema non è come e se gli altri possano essere salvati. Siamo convinti che può salvarli e li salva senza il nostro acume intellettuale e che non abbiamo bisogno di ai aiutarloin quest’opera con le nostre idee […] Il problema che ci assilla è piuttosto il seguente: come mai è assolutamente necessario che NOI compiamo tutto il servizio della fede cristiana? Se tante altre vie conducono al cielo e alla salvezza perché ci viene chiesto di portare tutto il peso, giorno dopo giorno, del dogma e dell’ethos ecclesiale? [….]
    Quando ci interroghiamo sul fondamento e sul senso della nostra esistenza cristiana, così come essa è prima balzata ai nostri occhi, guardiamo allo stesso tempo erroneamente e di sbieco alla vita presuntamente più facile e comoda degli altri, che vengono ‘anche’ in Cielo. Somigliamo troppo ai lavoratori della prima ora, di cui parla la parabola dei vignaioli raccontata dal Signore. Quando essi constatarono che il salario di una giornata poteva essere guadagnato in maniera più semplice non capirono più perché essi avessero dovuto faticare tutto il giorno. […]
    A quanto pare non vogliamo essere remunerati soltanto con la nostra salvezza, bensì anzitutto con la perdizione degli altri, come i lavoratori della prima ora. Ciò sarà molto umano, ma la parabola del Signore vuole appunto farci prendere con forza coscienza di quanto profondamente NON CRISTIANO sia. Chi considera la perdizione degli altri quasi come la condizione per il proprio servizio di cristiano alla fine può solo andarsene mormorando, perché QUESTO tipo di ricompensa contraddice la bontà del Signore. (pp 37ss)

    Poi il Papa continua mostrando che noi non diventiamo cristiani per guadagnarci la salvezza, guardando dall’alto in basso “gli altri”: al contrario, la fede è servizio (evangelizzazione) al servizio degli altri. Così adempiremo il precetto dell’amore, ché l’unica via per la salvezza, non i dogmi e le disquisizioni filosofiche :

    ” Secondo la parabola, Dio non domanderà quali teorie su Dio e sul mondo un uomo ha avuto. Non porrà domande a proposito della professione dogmatica di fede, ma interrogherà soltanto sull’amore. L’amore basta e slava l’uomo. Chi ama è un cristiano. ” (p. 63)

    Poi il Papa mostra come la fede sia necessaria per vivere davvero bene l’amore cristiano, che consiste nell’amare anche chi mi sta antipatico. è un compito immane per l’uomo: perciò serve Dio. Senza la fede in Cristo amare da cristiani è un compito così gravoso da schiacciarci “La misericordia di Dio è così grande da esigere che anche noi diventiamo strumenti della sua misericordia e della sua bontà. Per questo siamo cristiani” (p.59).

    In altre parole, amici: Dobbiamo amare ed evangelizzare. L’uno senza l’altro non va. La carità vera si dà solo nella verità, carità è ammonire i peccatori e consigliare i dubbiosi, ma non c’è verità se non nella carità, cioè se io per evangelizzare offendo, sono violento, dileggio, e quant’altro non sarà evangelizzazione di Cristo, ma della MIA dottrina, che può anche essere uguale a quella di Nicea e del CCC, ma certo non viene da Dio. (quest’ultimo pensiero è mio, non di Ratzinger)

    (da: J.Ratzinger, Tempo di avvento, Queriniana 2005, pp. 37ss, p. 63)

    1. Alessandro

      Certo Lidia, dobbiamo evitare di essere tra coloro che ritengono di star progredendo sulla via della sequela di Cristo solo se vanno scorgendo (non senza voluttà) qualcun altro smettere quella via o esitare e stentare nel percorrerla.

      1. lidiafederica

        beh l’amore “salva” non “slava”. Lapsus spero non freudiano…

  8. Roberto

    Oh, alla fine ieri non sono riuscito a scrivere nulla (ovvero alcuni appunti che però devo meditare).

    Attenzione, lo so lo so, quanto sopra potrebbe ferire la suscettibilità dei non credenti ma occhio: il bersaglio della salace ironia del Card. Biffi non sono i non credenti, sono i cattolici!
    Alessandro l’ha colto bene (non avevo dubbi 😉 ).

    Poco dopo il Card. Biffi scrive qualcosa del genere: “chiunque di noi si trovi tra una festante folla domenicale, sa di trovarsi in mezzo a un cumulo di condannati a morte. Alcuni portano già sul volto i chiari segni di questa fine, altri la nascondono dietro una maschera di provvisoria salute.”

    Se la morte (continuo io) ha l’ultima parola su tutto, la grande livella non è tale solo per la vita. La è per ogni scelta che l’uomo può compiere, ogni palpito, ogni sforzo, ogni volontà per il bene, è identica a quella per il male più turpe. E non solo questo, ma il giusto riceve il dolore che meriterebbe il cattivo e viceversa il cattivo il premio del giusto.
    E io dico che questa è vanità, è un inseguire il vento. Saggezza o follia, bontà o cattiveria, fare o disfare… se tutto finisce quando finisce, tutto è uguale.

    Non dico, per dirla come il Cardinale Biffi, che ci siano moltitudini di non-credenti molto più decenti e buoni dei credenti. Dico solo che, entrambi, sono di fatto sfacciatamente irrazionali.
    Qual è la vocazione dell’uomo? Ok, l’amore. Mi ricordo il prete della ragioneria che ci aveva detto una volta “Ah, Sant’Agostino, vedete, diceva: ama e fa tutto quel che vuoi!”. E gil sembrava di aver detto chissà che meraviglia, ma io a distanza di anni ancora ricordo quel che pensai: “e allora? Se non definisci cos’è l’amore, questa frase è vuota come la canna di organo scassato.” Amare è voler bene, ma se non sai, neppure sai cosa volere per volere il tuo bene e quello degli altri.
    La nostra prima vocazione è quella di riconoscere il nostro essere creature razionali (dotate di un’anima razionale).
    Chi non crede è costretto a rinunciare, in qualche punto dei propri processi mentali, o prima o poi, a qualcosa di vitale che fa parte della propria razionalità.
    O così, oppure il suicidio, oppure maledire il giorno nel quale si è nati, e odiare tutto ciò che esiste. Ma dato che difficilmente c’è chi vuol essere spinto a tali estremi (perché c’è l’istinto di sopravvivenza che rema contro) allora l’unica salvezza è rinunciare, in qualche modo e misura, alla propria vocazione di esseri razionali, che è ciò che siamo, e fingere che la morte non quello che è: non solo la nostra fine, ma la privazione del senso di ogni nostra opera, pensiero, desiderio, sforzo. In un modo o nell’altro, perciò, si viene messi all’angolo.

    E i cattolici a questo, come accidente rispondono? Gli unici che hanno le chiavi della speranza, per paura di risultare sgradevoli, si sbattono per terra davanti a qualsiasi moda, pretesa, sciocchezza, e credono che questa sia la risposta giusta che “sfuggiva” a tutte le generazioni di cattolici che li hanno preceduti.
    E davanti a questo si può solo sorridere ironici come il Cardinale… oppure cominciare a farsele girare 😀

  9. Bene, mancava la precisazione che quel testo era “ad intra”, cioè rivolto ai cattolici. Non avendo letto l’opera da cui è tratto avevo qualche dubbio in effetti.
    Anche così però Roberto mammamia quanto è difficile dire la verità senza trasformarla in ideologia, senza farne una clava anziché una spada a doppio taglio (noi oggi diremmo un bisturi). Per me il grido di Paolo “Che forse siamo noi superiori? No!” deve restare bene infisso nella coscienza e al centro di ogni discorso, onde evitare il rischio del farisaismo

  10. Roberto

    L’ultimo intervento prima di immergermi nel lavoro: il mio penunltimo commento è stato inviato quando quello di Lidia non era ancora apparso – volevo precisare!
    C’è un nodo che (certamente anche a causa di questo mezzo di comunicazione che soffre di tutti i limiti del caso e non consente uno scambio sufficientemente profondo quanto richiederebbe i temi trattati) non si riesce a sciogliere. Io capisco la preoccupazione e quasi la “necessità” di attenuare il punto. Ma questo è il punto.

    Il punto è anche che qua mi si percepisce, com’è giusto che sia, nella forma che ora mi appartiene: cioè quella di cattolico. Ma io parlo di un’altra questione, ovvero la strada che ho percorso per diventarlo.
    Io lo so che i cattolici sono ormai rocciosamente convinti che il modo migliore per giungere alla conversione dei cuori sia quasi una predicazione… mi si permetta il brutto termine: cerchiobottista. Non è questo il vocabolo giusto, ma non ho tempo di cercarne uno migliore.

    Questo mi veniva sempre proposto e io, che neppure avevo ancora maturato se la risposta cattolica era quella giusta, mi ritrovavo sempre fuori… com’è quella canzone? Bussando alle porte del paradiso?
    Dovetti infine aprirmi la strada a forza, da solo (non del tutto da solo, ma di fatto con il solo aiuto di Dio e di vecchi testi).
    Questo è un dato e per farlo dovetti forzare quegli antichi sentieri che il cattolicesimo mederno vuole tacitare a tutti i costi, ritenendoli ormai “indeguati” al mitico e indimostrabile “uomo moderno” che non è più in grado di sentire certi discorsi ecc ecc.
    Quel libro del Cardinal Biffi, io non lo lessi da cattolico…

    1. Roberto, non te lo posso permettere, il brutto termine 🙂
      No, non posso proprio, perché di tante parole hai scelto una tra quelle che sintetizzano al meglio lo spirito cattolico: il cattolicesimo È cerchiobottista!
      Il problema di cui stiamo parlando è precisamente che certe teologie “à la page” non lo sono abbastanza, o non lo sono affatto. Come diceva don Fabio: va bene l’ebraismo… MA… Va bene l’attenzione ai testi biblici… MA… Va bene la gioiosa apertura al mondo… MA… (e sempre, anche, continuamente, un instancabile VICEVERSA).
      Nessuno mi tocchi il cerchiobottismo o smetto di dare colpi al cerchio e alla botte e li do tutti a lui! 🙂

      Mi auguro sinceramente di essere riuscito a comunicare (e a comunicarti, nella fattispecie) la mia comprensione e la mia condivisione per il racconto accorato della tua esperienza – è la storia di un naufrago, e noi ti ascoltiamo come i Feaci ascoltavano Ulisse, sapendo che non sappiamo quanti siano i naufraghi che possono raccontare del naufragio. Detto questo, però, vorrei invitarti a distendere muscoli e nervi: la chiacchieratina col vescovo di quel prete falla pure (condivido la linea di don Fabio), e preparati a vederti inascoltato; dopodiché, ti prego, parla con le persone semplici, umili, quelle nelle quali in ogni epoca lo Spirito ha fatto che il cristianesimo sopravvivesse alla boria dei teologi illuminati di turno. Parla con quelle persone e vedrai che c’è sempre una grande gioia nell’essere, semplicemente, discepoli di Gesù.
      Sempre per restare in Omero, io ho fiducia che anche quando anni e anni saranno passati senza sguainare le spade, tra un naufragio, un incontro e un racconto, all’occorrenza saremo sempre capaci di piegare l’arco dal quale possiamo essere riconosciuti.
      Non è vero che «i cattolici sono ormai rocciosamente convinti…». Tu presumi di sapere, – te lo dico con l’affetto di un fratello, se me lo concedi – ma per te e per me, come già per Elia, Dio ha preparato la sorpresa che non è vero che siamo soli, e che malgrado non fossero con noi altri settemila non hanno mai piegato le ginocchia davanti a Baal.

      Possiamo certamente essere “uomini sdegnosi e difficili”, ma senza mai perdere di vista la via della semplificazione, che è la via del Regno: essere piccoli, essere umili, essere poveri. Come Gesù.

    2. lidiafederica

      Caro Roberto,

      il mio commento ha una piccolissima parte mia e molto di Ratzinger proprio perché lui, da quel meraviglioso teologo,sacerdote, pastore che è, aperto al soffio dello Spirito, dice ciò che noi paventiamo, perché siamo uomini e la Legge, sia quella che sia, ci sembra un baluardo molto più sicuro della legge dell’amore e basta: cioè che il punto dell’essere cattolici è l’amore. “L’amore basta e salva”, dice Ratzinger.
      Allora, la dottrina non serve? Altroché! Serve perché è conoscenza del bene e del male (per quanto noi possiamo conoscere); serve perché la verità ci rende sempre più vicini a Dio. Ma tutta la dottrina del mondo non ci salva, senza l’amore. Ma ci può essere amore senza conoscenza? Tua moglie, i tuoi figli…li ami perché li conosci, ma proprio perché li conosci sempre meglio li ami sempre più. Perciò, per adempiere il comandamento della nuova Alleanza, il comandamento nuovo, è bene, per noi è necessario conoscere e vivere nella verità. “Ama e fa’ ciò che vuoi” è una grandissima verità, che purtroppo dipende da quanto davvero sappiamo cosa vogliamo e cosa amiamo: se abbiamo ricevuto informazioni sbagliate, andremo ad amare cose sbagliate, questo purtroppo è un fatto.
      C’è chi si salva senza conoscere la dottrina cattolica? Sì, certo. Sono coloro che pur senza conoscere esplicitamente la verità, la praticano e amano. E chi la rifiuta esplicitamente? Qui c’è il grande abisso della misericordia di Dio, e anche della sua giustizia (se un musulmano rifiutasse il battesimo per non tradire Allah, per non commettere l’attor orrendo dell’abiura verso ciò che lui in retta coscienza crede essere il vero Dio, non credo sarebbe dannato). Cmq, come dice Ratzinger, non sta a noi giudicare come e perché Dio salva chi salva.
      Ciò detto, oggi c’è grande confusione, e l’impressione di cerchiobottismo che tu hai è vera. Si può essere cattolici e divorziare, essere cattolici e fare sesso prematrimoniale, essere cattolici e credere che la Trinità è un simbolo e che l’inferno non esiste…è un piegare la verità alle esigenze del mondo, inteso come peccato. Combattere l’errore è un bellissimo dovere di carità e giustizia.
      Quello che è importante è non dimenticare mai che io, tu, come dice il Papa, non siamo cattolici per noi stessi, ma per servire Dio e i fratelli. La nostra testimonianza deve sempre essere ordinata alla carità: perché testimoniare la verità? Perché amiamo Dio (e dunque ci curiamo delle sue cose da amministratori prudenti e scrupolosi) e amiamo i fratelli (e perciò vogliamo che tutti arrivino alla conoscenza della erità per GODERNE con noi. Perché noi siamo FELICI di essere cristiani.
      Felici di poter ringraziare il Signore del cielo stupendo di oggi, del sole; del lavoro bellissimo che fai, che (spero di) fare; della Nutella (dopo PAsqua, ormai..), dei funghi nel bosco, delle migliaia di anime che forse non conoscendolo sono testimoni inconsapevoli del suo amore, dei miei amici…
      In quest’ottica sta il discorso del valore divino dell’umano: Cristo, nei suoi trent’anni a Nazareth, ha divinizzato l’essere falegname, l’essere amico, l’essere figlio, l’essere stanco, l’essere felice, il cantare una ninnananna, lo giocare con le anatroccole al parco (ci sarà pur stato un parchetto, a Nazareth…). Noi, oggi, è questo che dobbiamo santificare: il lavoro, la Nutella, i film di Aldo, Giovanni e Giacomo, il matrimonio, i bambini, la croce quando Dio permette che laincontriamo e le piccole croci che noi, spontaneamente, ci carichiamo per renderle più leggere agli altri.
      Il mondo di per sé è tanto bello, e tanto buono, o Dio non lo amerebbe. Poi ci sono i bambini maltrattati, le prostitute schiavizzate, il capo che ci tiranneggia ingiustamente, le guerre, e la confusione dottrinale, che offuscando la mente offusca il cuore…certo, questo è il regno del peccato. Il mio orgoglio, il mio peccatuccio di gola, un peccato forse più grande. Questo è il “mondo” da combattere con tutte le nostre forze. Rendendo sempre grazie a Dio che ci ama e ci dà un cuore di carne per amare il nostro fratello (specialmente quando è antipatico, molesto,…)
      Io lo vedo un po’ così, il cattolicesimo…

      1. 61Angeloextralarge

        Lidiafederica: questo sopra è il commento che dovevo leggere? Oggi per me è stata una giornata frenetica ma i tuoi commenti li avevo letti (compreso questo): Mi spieghi perché mi hai chiesto di leggerlo? 😀
        Se è inerente al commento sulla croce, colgo l’occasione per dire che non sono una “patita” della croce in nessuna forma, ma che purtroppo è una realtà contemplata nel cammino cristiano. Potrei anche citare il Siracide: “Figlio, ti appresti a seguire il Signore? Preparati alla tentazione!”. Il mio commento era per smentire la “teologia del Paradiso in terra” e non per esaltare la croce a tutti i costi ed esortare a salirci cercandola anche se non è nel progetto di Dio per noi. certo dobbiamo salirci, con amore, non con ostinazione o ribellione.
        Spero di non aver fatto confusione! 😉

        1. 61Angeloextralarge

          il “purtroppo” che ho scritto (senza manco pensarci) nel commento sopra è esplcativo del mio amore sviscerato per la croce. 🙁

          1. 61Angeloextralarge

            Aggiungo che nella croce cercata a tutti i costi, soprattutto se per “salvare” qualcuno (altra teoria che gira spesso nei gruppi di preghiera), ci vedo molto orgoglio: chi sono io per “salvare” qualcuno? Chi sono io per “convertire” qualcuno? E’ Dio che salva e che converte! Anzi ci ha già salvati morendo in croce per noi! Questo però non ci dispensa dal fare “con amore” quello che Lui ci chiede! Anzi! Un po’ di sana e cristiana gratitudine?
            Don Fa’, la Salome me l’ascolto domani: c’è Lucio Dalla sul 3 e sono pezzi anche vecchi (dei miei tempi) 😉

            1. lidiafederica

              no, la croce occupa un rigo e mezzo in un commento di trenta righe…è sulla gratitudine, il valore divino dell’umano etc.-O_O

              Le croci che noi volontariamente prendiamo sono, per esempio, che io vado a lavare i piatti al posto di mia mamma invece di andare a guardare la TV; o che mi privo volontariamente dell’ennesimo Kinder Bueno per offrire quei pochi soldi in elemosina, alleviando le sofferenze di qualcun altro.
              Non è che tutto questo parlare di teologia – salvezza qua, là, Dio che salva etc- ci sta un po’ montando alla testa e fa vedere prospettive teologiche dove c’è solo la banale costatazione che se io rinuncio ad una cena al cinese (piccola croce) e dò il ricavato in beneficienza alleggerisco la croce di qualcun altro.

              Volevo lo leggessi perché è un commento su quanto è bello, buono e positivo il mondo, altro che diavolo…solo per questo 🙂 sono certa che tu lo rendi anche molto più bello a tante persone!

              1. 71Angeloextralarge

                Lidiafederica: Concordo con quello che è scritto nel commento “incrimnato”. Avrei voluto lasciare anche uno smack ed un sorrisone ma tra una cosa è l’altra alla fine me lo sono dimenticato. Le “piccole” offerte quotidiane sono benvenute e preziose agli occhi di Dio, soprattutto perché sembrano piccole ma poi metterle in pratica non è sempre facile: siamo umani!. Quello che a me non piace sul discorso della croce è quanto ho scritto nei commenti sopra. La vita è bellaaaaaa! Anche se ha già la sua croce: mi si trovi uno che è felice senza Dio, anche se non ha grandi croci ma solo le normali preoccupazioni quotidiane! Se me lo si trova, mi dispiace, ma lo definirei “incosciente”: senza volerlo offendere, per carità!
                “sono certa che tu lo rendi anche molto più bello a tante persone!”: grazie per questa frase! Spero proprio che sia un po’ vera nella mia vita quotidiana. Purtroppo una delle mie croci, per chi non l’avesse ancora capito, è non riuscire a far felici proprio quelli che ho “strettamente” vicini, mia madre compresa. Ma s non c’è Dio e nemmeno la sua ricerca, che cosa posso dare loro? 🙂

                  1. 71Angeloextralarge

                    Fefral: a volte è disprezzato anche questo! Anzi, mi si prende in giro perchè “buna, c….., credente…) 😉 Ma continuo tignosa ed imperterrita! Solo per grazia di Dio però, altrimenti… ti lascio immaginare cosa farei! 😀

                    1. Alessandro

                      il tuo nick oggi è 71Angeloextralarge, nei giorni scorsi 61Angeloextralarge 😀

                1. lidiafederica

                  sai Angelo XL…purtroppo certe cose, a volte, si capiscono davvero alla fine della vita. per quanto tua mamma abbia 80 anni (la ricordo nelle preghiere), magari è “intignata” su idee sue, o forse pensa che tu non sia felice e si dispera per te. Mia mamma, quando ero in un periodo di discernimento vocazionale, e penso che forse la mia vocazione non fosse al matrimonio, era sempre triste anche lei (in effetti, aveva capito che quella non era la strada per me, ma ognuno deve capirlo da sé), di non vedermi felice. Sono certa che la tua felicità è cil che renderà tua mamma più felice – cmq davvero, certe cose a volte le si capisce solo sul letto di morte (spero il + tardi possibile).
                  La tua mamma, io credo, capirà allora quanta felicità le hai dato. Cmq, preghiamo che lo capisca anche prima! C’è una santa, Santa Genoveffa (Geneviève) che ha avuto problemi simili…magari raccomandiamo a lei i problemi con la tua mamma!

                  1. 61Angeloextralarge

                    Grazie lidiafederica! Soprattutto per le preghiere ed il suggerimento di Santa Genevieve! Smack! 😀

  11. Ma non è questione di cechiobottismo! Si potrà ben coniugare l’annuncio della verità con l’umiltà e la mitezza dell’annunciatore! A patto certo di esser pronti a morire, perché se si sceglie questa via questa ne è poi la conseguenza…

  12. Fk

    Alessandro, scusa, ma come fai ad avere sempre a portata di mano tutti i pronunciamenti magisteriali “ad hoc” per ogni argomento? Sei nella sfera dei miei miti! Volevo anche chiederti: Sei tu forse Alessandro Gnocchi, autore insieme a Mario Palmaro, di “La Bella addormentata”?

    1. Alessandro

      Caro Fk, ti consiglio fraternamente di farti dei “miti” migliori di me 😉

      Quanto ai pronunciamenti magisteriali, non mi sopravvalutare: basta un po’ di memoria (neanche tanta) e un buon motore di ricerca 🙂

      No, non sono Alessandro Gnocchi

      Ti ringrazio davvero per l’apprezzamento e ti saluto con affetto 🙂 😉

      1. Fk

        Sì, ma quei testi bisogna anche conoscerli per ricordarseli!!! Prendi ad esempio le udienze generali di Giovanni Paolo II del 1986 che hai citato sopra… caspita! E chi le conosceva? Per me sei un grande!
        Da questo blog prendo molto (a partire dal Genio Cosmico, come dice scriteriato!). Ma sicuramente tutto il materiale che inserisci mi è di grande aiuto! Sento un bisogno vitale del magistero, sopratutto di quello petrino, oggi più che mai… quello per me è un punto di riferimento insostituibile e sono contento che ci sia qualcuno che oltre ad averne la passione ne abbia anche la conoscenza (al contrario di me!). Ti saluto e ti ringrazio di cuore 😀

  13. Roberto

    Oh, vabbé – come supponevo, non è proprio possibile superare certi ostacoli, e in realtà non è soltanto una questione del mezzo di comunicazione; ma già lo sapevo, pazienza.
    Potrei puntigliosamente ribattere punto per punto – lo faccio o non lo faccio, lo faccio o non lo faccio? Ma sì, lo faccio.

    Cercherò di essere meno “difficile e sdegnoso” del solito (sì, Cyrano, hai indovinato: anche se la prima volta compresi sì e no metà o un terzo di quel che c’era scritto su quel libretto, quando lessi quella parte provai un incommensurabile sollievo: ma wow! Allora poteva esserci un buco anche per me da qualche parte, grande! 😉 ).

    Ah, don Fabio, ma io la registrazione ce l’ho! Le conferenze sono on line sul sito. Per sentire la parte “succulenta” di quella di novembre basta andar qua e partire da ora 01.09.30: cinque minuti ed è fatta.
    http://www.radiopnr.it/download/Spazio%20Diocesi/2011/30-11-11%20Conferenza%20%20Don%20Doglio.mp3

    Come dicevo, Cyrano, so che il vocabolo non era adatto: tu mi parli dell’et-et, e io più che venirti dietro non posso, che scherzi?, ma la questione che avevo in mente è un’altra ed era quel che avevo scritto anche l’altro giorno e sarà stato visto come un puntiglio sterile da professorino. Avevo detto a Lidia “noi non siamo intelligenze angeliche”. Non possiamo capire tutto assieme, ma solo un pezzetto per volta prima di poterci fare un (vago) quadro, più generale, che ricomprenda almeno qualche frammento, in sé coerente, di un Mistero che ci sorpassa infinitamente.
    Ne approfitto così anche per rispondere a don Fabio, anche perché l’idea di esser superiore ad alcunché mi fa sorridere sotto i baffi.
    Poiché noi possiamo comprendere solo un pezzetto per volta, l’incomprensione, la saltuaria ferita, la frustrazione che nasce dalla smania di voler avere una risposta omnicomprensiva – e dall’altra parte il rischio di essere fraintesi e risultare sgraditi – vanno messe in conto. Non si può prescindere da esse. Sottolineo: non si può prescindere da esse, perciò voler trovare il modo di disinnescarle, a mio modo di vedere, è orgoglio e superbia. E non solo! Non solo si può procedere in questa comprensione solo un pezzetto per volta: come la traccia lasciata da Pollicino nel bosco, è necessaria una sequenza, un movimento, che leva il suo canto “dal basso”; è un canto di dolore e deve esserlo. Lo puoi attenuare, adattare – anzi, devi farlo, ma questo richiede un contatto personale che un blog, dove le parole oggi ci sono e domani spariranno “mangiate via” da altre, non permette. Eppure non puoi dimenticare il senso di ciò che stai cantando. Ci sono eccezioni? Altroché. Ma l’eccezione, lasciamola pure al Signore! Noi ragioniamo sulla strada che fu sempre seguita, prima di volerci incaponire di averne trovata una nuova e migliore.
    Per cerchiobottismo (parola che per primo avevo affermato essere inadatta a quanto volessi esprimere) intendevo questo: a questo allude il Cardinal Biffi. E’ come se Biffi dicesse: c’è una smania nel mondo cattolico, un fermento violento, di voler “saltare la parte brutta”, di volerla subito affiancare, seppellire, “coprire” da quella bella per ragiungerla subito. Risparmiare all’errante (colui che è nell’errore / colui che è in viaggio ) quella fatica e frutrazione a cui alludevo.
    Umano, comprensibile… sbagliato.
    All’apparenza non è sbagliato. All’apparenza è bello, gratificante, ti dà la sensazione di un successo immediato, ma guarda un po’… sembra proprio una strada ampia! E cos’è lastricato di buone intenzoni? Non parlo in teoria: parlo di ciò che so, parlo per esperienza, ovvero per essermi scelto questo gratificante ruolo: il lungo viaggio della mia anima, per quanto poco interessante, è… complicato, sì, senz’altro 😀
    Ora mi viene da dire che il Paradiso non è lastricato di buone intenzioni, ma di scelte difficili.
    Ma allora dobbiamo essere dei rompiballe? Mha, diciamo che dobbiamo accettare che si debba imparare un po’ per volta. Come è stata costruita la Grande Muraglia Cinese? Un mattone per volta. Sì, frustrante – ma non soltanto. Ecco un muro a secco di quelli seri!
    E non sta all’errante di capire questo: sta a chi è più avanti lungo la strada.

    Quando si son presentati i vari troll (che fossero dei perditempo, oppure che la loro coscienza si trovasse in una condizione di errata buonafede è irrilevante – e non faccio nomi ma sappiamo a chi sto alludendo) e la prima cosa che ho fatto è stato di dar loro degli energici e rudi scrolloni, è certo che in parecchi avranno pensato “eh ma non si fa così”. E probabilmente ancora lo penseranno. Mi sta bene, non è un problema e neppure dico di essere nel giusto. Ma io ho sempre un motivo, che nel caso è: chi, partendo da zero o quasi, discute con noi, deve capire che non esiste “il fast food del cattolico”. O si accetta la frustrazione che nasce dalla fatica di non capire e ci si mette di buzzo buono, oppure… ma se tu vuoi una risposta precotta come il panino del MacDonald e pretendi che essa ti sazi, allora “non sei un’anima seria”, come si diceva una volta. Questo nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore, un perditempo. Ma è chiaro che non hai il diritto di perdere il mio, di tempo. Non solo questo: se sei uno scalcinato Azzeccagarbugli che sta cercando con affanno una strada per tenerti ben stretta la tua volontà e far finta di essere cattolico, se io ti do spago va a finire che faccio il tuo male. E se io scorgo in te questa attitudine, se non sto attento potrei addirittura renderne conto a Colui che è l’unico a cui dovremo render conto di tutto. Non mi sta bene.

    Erika per esempio non la tratterei mai così! Non è difficile distinguere tra chi è sincero e chi è falso anche con se stesso. Questo però non significa che quindi le incomprensioni siano risolte, anzi.
    Perché Gesù ci avverte che il mondo ci odierà? E’ perché gli ricordiamo alcune normative a cui dovrebbe attenersi e non ne ha voglia? Sì, anche, ma non solo. Il problema è anche un altro, e cioè che, quanto più si diventa cattolici, quanto più si ragiona da cattolici, e quanto più si ragiona da cattolici, tanto più si diventa incomprensibili al mondo. C’è un ostacolo, “la maledizione di Babele”, che rende sempre un po’ più difficile una comunicazione serena, e la sua radice è che, alla resa dei conti, per noi “voler bene” deve essere desiderare che il nostro prossimo diventi cattolico o lo diventi di più.
    E’ quel che fa dar fuori da matto Alvise. “Ma non basta essere persone decenti? Ma non basta far bene, essere umani e gentili? Ma che modo è mai questo!” L’unica risposta è ‘no’ ed è bene saperla argomentare. Ed è per questo che quando alle mie orecchie il discorso comincia con ‘Gesù per primo era uomo’ a me cominciano a sudare le palme. Anche in questo c’è un ordine, che richiede un movimento diverso.
    Quello che ha scritto Lidia mi ha fatto molta tenerezza, come anche quel che mi ha scritto Fefral qualche giorno fa (ehi, sei stata pesante, vha Fefral, però non mi hai dato alcun fastidio; c’era coraggio e franchezza in quel che hai scritto: è una cosa che apprezzo sempre, nella stessa misura in cui non sopporto i vili Azzeccagarbugli… ).
    E’ la Chiesa che dice che non basta essere persone civili e decenti “chi non crede non sarà salvato”! Sconvolgente: ma perché!? Le incazzature di Alvise io le capisco benissimo, mi danno la sensazione di deja vu, a volte; e se a volte mi fa perdere la pazienza, più spesso la ragione per cui vorrei che, di tanto in tanto almeno si allontanasse, è che continuare a prenderci d’assalto giorno dopo giorno non gli fa bene. E’ come se prendesse tutti i giorni a craniate un muro di cemento: non può far bene. E di nuovo, parlo per esperienza.
    Mi ricordo perfettamente quel che gli disse Alessandro un giorno: basta, mettiti davanti al sepolcro vuoto. Giusto e bello: parti da lì e comincia. E’ proprio quello il posto da cui partire. Ma il giorno dopo, lui era ancora qua a dare altre capocciate al muro. Non sempre voler allontanare è una cattiveria.

    Quindi non si parte dall’orizzonte terreno! Dopo aver acquisito un respiro capace di tendersi verso il Cielo, si potrà tornare sulla terra; perché noi siamo cattolici, e tocca a noi essere capaci di tessere assieme Cieli e terra. Un filo: fa che sia un filo tra le mani di Maria. Le cose della terra ci vengono facili; è per dare loro un altro senso che dobbiamo imparare. Il mondo era bello uscito dalle mani di Dio, ma per farlo ritornare tale deve essere ri-santificato. Quindi la prima cosa è insegnare a farlo. Se manca questo pezzo e, ancora una volta, si vuole saltare la parte faticosa che riguarda l’imparare, chi nulla sa e capisce, si limiterà a vivere la propria vita come prima.
    Ancora una volta, costui dirà “accidenti che bello, avevo tanta paura e invece la sfango facile: posso vivere più o meno come prima, salvo rispettare alcuni obblighi religiosi.” e sarà all’apparenza tutto contento, finché le cose cominceranno a non quadrare più. E se qualcuno si chiede se parlo per esperienza personale, ancora una volta la risposta è sì, perché ho la sensazione che, nella Fede, non mi sia fatto scappare neppure un errore che è uno.
    Qual è la ragione della santificazione? La ragione della santificazione è quella di riconquistare qualcosa che è perduto, che era bello ma ora imbozzachito. Anche la Carità – che è amore per Dio e amore del prossimo ma in una prospettiva divina, e perciò redentiva – si impara. Se nessuno te la insegna, non puoi imparare. Se non impari, non puoi intrecciare nulla. Se non intrecci, non puoi conquistarti grazie per salvare né la tua anima né le altre. Se non sei avveduto a sufficienza per percepire il pericolo che tutti gli esseri umani viventi corrono, non puoi neppure operare per il bene, perché il bene è solo associarsi al Redentore nella Sua opera, nei modi che a Lui piacciono. Se il discorso vuol partire subito da una visione positiva, ahimé, questo preclude il comprendere il senso della lotta che ci viene chiesta. Questa vita E’ lotta. Nel mondo la presenza del male è attiva e continua, e non c’è essere umano che non si possa perdere. La presenza del male è attiva anche nelle cose piccole, minute. Come sono le piccole cose che possono aggiudicare il Paradiso, allo stesso modo sono altre piccole cose che ci possono meritare l’inferno. Non ci vanno solo gli assassini seriali, putroppo.
    Al tempo presente, così ci suggeriscono molte apparizioni mariane, non c’è mai stata una così grave perdita di anime nella dannazione. Non possiamo sapere quali, questo sarebbe Giudizio; ma non è giudizio prendere atto del fatto che molto probabilmente è così.

    Per mio personale divertimento, a volte mi chiedo: se Santa Monica avesse condiviso la mentalità che va per la maggiore tra i cattolici oggigiorno, che fine avrebbe fatto Sant’Agostino? Invariabilmente mi viene da concludere che noi non avremmo avuto alcun Sant’Agostino (e alcuna Santa Monica!). Peggio per noi, ma prima ancora di questo: peggio per lui!!
    Adesso ragionamenti del genere si vogliono censurare al grido di “Giudizio, Giudizio! Vergogna.” No, mi spiace, respingo l’accusa al mittente. Ma questo richiederebbe ancora troppe, davvero troppe parole – come posso sintetizzare anni di ricerca in un commento? Non posso. Dico solo: davvero l’apparente “ferocia” – vogliamo usare questo termine? – (ma solo apparente, e più verbale che altro… ) di quasi duemila anni di cattolici erano sbagliate, quando per esempio si scagliavano contro le eresie, e le cose “giuste” le abbiamo capite solo noi? Oppure allora sapevano davvero che l’eresia è davvero un veleno mortale per l’anima? Ma com’è possibile, Signore, che sia così?! Che quello in cui credo possa incidere così nel profondo sulla forma che mi attende in eterno? Anche Erika chiedeva qualcosa del genere qualche giorno fa. Una domanda splendida, che meriterebbe pagine e pagine di dedizione per formulare una risposta che possa stare alla sua altezza.
    E’ questa la risposta da saper dare… è questo, il nodo di tutto. Ma per saperla dare, prima bisogna crederci. E…

    Oh, basta! Scusa la lunghezza, Admin! E tutti. Eppure lo dovrei ben capire che – qui il Mistero è così fondo, e le nostre parole così insufficienti – maledette loro! 😀 Basta così – questo basta e avanza. Buonanotte!

    1. Te lo puoi scordare, che mi metto a ribattere punto per punto a un papello del genere! 🙂
      Quello che ho da dire, in fondo, lo scrivo dal primo giugno in qua, penso tu l’abbia capito bene: se uno è eretico, eretico lo si chiami, e si preghi per lui (con amore fraterno, non con zelo farisaico); se uno è scismatico, scismatico lo si chiami, e si preghi per lui (con amore fraterno, non con zelo farisaico); non ho fretta di scavalcare “la parte brutta”, non credo ad alcun paradiso in terra (e certe teologie sono pure quelle dei paradisi in terra). Niente è sbagliato, di quello che scorre nella Viva Tradizione della Chiesa – e chi tra noi ha mai insinuato il contrario? Vorrei solo che tutta questa bellezza tu te la godessi – ma come si fa a godere mentre si digrignano i denti?

      PS: Non per attaccarsi alle parole, prendi la cosa sul serio. Rileggi piano piano questa tua frase, soffermati su ogni singolo membro e guarda quante volte riesce a contraddirsi: «Non è giudizio prendere atto del fatto che molto probabilmente è così».
      L’unica verità è che di queste cose non sappiamo niente e che, se sono stupidi e temerari quelli che pretendono di assicurarci che l’inferno è vuoto, non sono diversi quelli che vorrebbero che venisse creduto per fede rivelata e definita un contenuto di rivelazioni private.

      1. JoeTurner

        Io non capisco dove lo vedete tutto questo gran digrignare i denti di roberto a me sembra molto più inquieti e tormentati altri

    2. lidiafederica

      Molto bello,penso che ognuno possa identificarsi con la tua paura di non essere capito e al contempo ansia di testimoniare la verità.
      Io penso di aver vissuto il momento più clou di questa dottrina vissuta quando ho detto al mio ex-fidanzato (agnostico e non cristiano) che non sarei andata a letto con lui (eh, assicuro che ci è voluta tanta fede e molta molta testa, e certe volte, ammetto, ho avuto molta tentazione di “dimenticare” il mio essere cristiana – vabbè che in realtà vale per tutti, non solo per i cristiani,il fatto che la castità è meglio, ma lasciamo correre) e quando ho dovuto rinunciare ad alcune gite con lui per andare a Messa. Saranno cretinate, ma sono le conseguenze di una morale non da “fast-food”.

      I momenti belli poi sono quando un’amica arriva e ti fa” “Lidia, oggi sono felice, mi sono andata a confessare come mi avevi consigliato”…o un amico (giuro, è successo) scrive e dice: “Lidia grazie delle preghiere, da ateo laicista che ero mi sono convertito” (e, aggiungo, l’anno scorso ha preso i voti)… vabbè, era per condividere due belle cose.

      A parte ciò, che dire: io al tuo posto, senza smettere di condannare sull’etere e nella vita gli errori, proverei a rendere felici le persone a cui correggo gli errori. Che ne so, se è un amico offrendogli una cena, se è un altro blogger dicendogli qualcosa di cario. E se è un teologo/Vescovo…boh, pregando tanto per loro, che si può fare per rendere più felice un Vescovo? Magari gli porti dei cioccolatini, se non è diabetico. Così, tu compi il tuo dovere, pratichi la carità, rendi più felice una creatura di Dio volendole bene (che è il comandamento di Gesù) e parli della retta dottrina. E se ti piacciono mangi i cioccolatini 😉 Oppure ti sorbisci un’ora di ascolto delle problematiche del Vescovo, lo fai sfogare…anche questa è carità, anzi…
      Detto male, prima di spiegare la Trinità a qualcuno ascolto i suoi problemi con la moglie malata, o coi figli scapestrati: se tralascio l’uno o l’altro, non va bene, secondo me. Persino fra commentatori: prima di spiegarti la dottrina sulla Trinità, ti chiedo come va, ti affermo la mia stima, cerco di capire cosa hai voluto dire davvero e il senso della tua esperienza. E così vivere e predicare la dottrina diventa forse un po’ meno frustrante per noi e per chi ci ascolta.
      Chissà se anche i miei (troppo) lunghi commenti strapiaceranno ad Admin? 😉 (non ti preoccupare se non ti piacciono. non è importante)

      1. me stesso

        Sineramente mi sento più vicino a Roberto ma mentre leggevo il tuo commento ho pensato che chissà se esistono anche due modi di vivere la fede, uno più maschile (la spada) e uno più femminile (l’accoglienza).Proporrò il tema a Costanza 😉

        1. lidiafederica

          già! è vero! bell’intuizione, “te stesso” :)…
          (nel caso specifico forse c’è anhce da notare che Roberto ha trovato la fede soffrendo molto, mentre io l’ho incontrata da molto giovane, adolescente e senza grossi traumi formativi.E soprattutto con me sono sempre stati tutti – amici cristiani e amici laicisti – sempre molto buone e comprensivi, forse addirittura i laici più dei cattolici.Perciò non ho “naufragato” come Roberto…)

          1. secondo me conta più questo che il sesso. Come “egli stesso” sa, sono un tipo discretamente maschile, e del resto ho più volte mostrato che se c’è da “impugnare la spada” lo faccio; tuttavia la mia storia è più vicina a quella di Lidia che a quella di Roberto, o forse è a metà tra le due, perché all’età in cui Lidia cominciava a ricevere “la sana dottrina” io cominciavo a cercarla (da solo), come Roberto ebbe a fare più tardi.
            Certamente c’è un modo maschile e uno femminile di credere, ma non vorrei concludere che quello maschile è quello votato all’apologetica mentre quello femminile all’inclusivismo accogliente. In questo senso, Von Balthasar avrebbe avuto una fede troppo femminile per un uomo, e del resto Irene di Bisanzio una troppo maschile per una donna.

            1. 61Angeloextralarge

              Cyrano: da brava gnurant ignoro la vita di Von Balthasar e di Irene di Bisanzio (grazie Signore, perché i santi sono tanti che di tutti non ci si riesce a leggere né gli scritti né la vita!).. Mi hai incuriosito quindi la leggerò prima possibile! 😀
              MA? Ma credo che FONDAMENTALMENTE, cioè a parte i cosidetti CASI ECCEZIONALI, la fede di ognuno di noi sia diversa e condizionata da mille cose, tra le quali ritengo primari il carattere ed il sesso. Questo non toglie che grandi santi di sesso maschile hanno poi fondato opere caritative di grande accoglienza e che grandi sante di sesso femminile abbiano rivoluzionato la storia usando letteralmente la spada, come ad esempio Santa Giovanna d’Arc.

              1. Sono due vite bellissime e molto intense, ma quella di Irene ha delle parti per stomaci decisamente forti (per inciso, se i cristiani possono ragionevolmente venerare immagini sacre senza essere per questo idolatri, buona parte del merito è sua). Sono poi d’accordo con te, ma siccome sono mille le cose che condizionano lo stile di una fede, non starei a scervellarmi a definirne i caratteri femminini e mascolini, sennò rischiamo di dover definire molte più eccezioni che regole.

        2. lidiafederica

          Però le spade lasciamole da parte, che non sono mai un argomento cristiano…piuttosto…visto che i cioccolatini sono feminei, nella variante per uomini propongo che si spieghi la dottrina invitando gli amici a calcetto 😉

          1. me stesso

            però l’Arcangelo Michele la spada ce l’ha eccome 😉
            Il calcetto poi fa troppo dopolavoro, meglio un partita a 11

            1. lidia

              certo, ma lui è un angelo 🙂 e va bene, a 11!! (ma scusa..a calcetto quanti sono? cinque?)

    3. 71Angeloextralarge

      “il Paradiso non è lastricato di buone intenzioni, ma di scelte difficili”: SMACK! ;-).

  14. Caro Roberto, oggi, diversamente da altre volte forse (o forse no e io sono un lettore distratto), ci hai lasciato gettare un occhio nella tua anima e quello che ci hai fatto vedere è molto bello e molto vero, nessuno può mettere in discussione le “trippe” di un altro.
    Le trippe so’ trippe e sono sacre.
    Penso che un buon modo per fare quello che tu dici, che è importante, senza passare per la maestrina dalla penna rossa è proprio quello di farlo mettendo sul tavolo le trippe appunto, oltre alle ragioni.
    Quanto al tuo teologo mi è bastato sentirgli dire che il serpente non è un allegoria diabolica per capire tutto ciò che c’è da capire: hai presente André Gide e il maggior inganno del demonio?

I commenti sono chiusi.