di Costanza Miriano
Essere cieche come talpe conferisce dei vantaggi alle fanciulle e anche alle ex fanciulle come me. Si assume un’aria spaesata e poco reattiva che di solito ispira sentimenti di tenerezza, o almeno di condiscendenza. Se poi una è particolarmente gnocca come Marilyn e legge anche i libri tenendoli rovesciati, il connubio diventa esplosivo, e tutti gli uomini abbassano le difese, ma solo se di taglia di reggiseno si porta dalla quarta in poi.
Io, anche se purtroppo porto la priva (lo sanno tutti, c’era anche sull’Avvenire), per la stanchezza e le ore di sonno mancate – a causa di una serie di impegni accumulati ultimamente – credo di avere perso diversi gradi di vista; di solito li recupero, ma non è detta. In compenso spero di ispirare maggiore simpatia almeno in mio marito quando gli do prova della mia inefficienza particolarmente spiccata in questi giorni, tipo quando dimentico dove ho parcheggiato la macchina – cosa che peraltro offre l’occasione per avvincenti giri turistici del quartiere – o atterro in scivolata sulla cera che ho dimenticato di avere passato, o lavo in lavatrice il lettore mp3 (tutto vero).
Ma c’è un’altra cosa che la stanchezza porta in dono, oltre alla simpatica aria da talpa. La profonda, nettissima, lampante dimostrazione della propria impotenza.
Quando non solo non si riesce più a far tutto, ma quando le cose non fatte superano di gran lunga quelle adempiute, la vita ci sta offrendo una grande occasione: si può cominciare a mollare le redini, e si può decidere di metterle in mano a Dio. Un po’ quello che può succedere quando si ha un bambino piccolo, che almeno all’inizio ti prende tutte le energie e la vita non ti appartiene più. Per questo spesso i figli convertono: è uno di quei momenti in cui si può smettere di cercare di conservare qualcosa per se stessi.
A me sembra che questo sia un principio molto importante per la vita di fede. Oserei dire per la vita in Cristo. Diminuire noi, e lasciar crescere Lui in noi è il senso della nostra vita qui su questa terra, e tutto quello che ci aiuta a mettere una pietra sui nostri desideri, progetti, pensieri, ci può aiutare a far crescere Cristo. In questa opera imprescindibile di scartavetramento la croce è lo strumento più potente, ma anche la stanchezza, questo morire a fettine, può essere molto utile. Bisogna però fare buon uso degli ostacoli e degli impedimenti.
Tutti noi, noi che abbiamo vite normali divise tra lavoro, famiglia e tutto il resto, siamo chiamati a fare tanti sacrifici, chi più chi meno, in un periodo più in un periodo meno. Ma la differenza vera la fa il senso che siamo capaci di dare a questa naturale ascesi che di solito la vita ci impone.
Si può cercare di svicolare, di trovare vie di uscita, di fermarsi all’autogrill lungo la strada più spesso possibile, a fare una pausa caffè che allevii la fatica. Si può provare a nascondersi dietro a un cartello, senza dare nell’occhio, a riposarsi o a fare uno spuntino clandestino. Si può provare a barare, andando nella corsia di emergenza: finché non ti ferma la Polizia, che prima o poi ti becca, è un bel vantaggio. Si può andare a caso e continuare a girare per le strade senza decidere la meta. Si fatica lo stesso, ma senza dare un senso.
Oppure si decide la meta (la vita eterna), e si va avanti, senza barare, senza cercare scorciatoie, autogrill, corsie di emergenza, cartelli dietro cui nascondersi. Si prende quello che viene per la strada, fatica compresa, senza risparmiare né cercare di tenersi niente per sé. Si aderisce a Cristo, cercando di somigliargli. Si prende la croce che viene, senza cercarla, ma senza neanche schivarla, sapendo che non siamo noi che facciamo niente, ma che possiamo lasciar agire Dio.
Allora, dicono, si entra nella perfetta letizia di cui parla san Francesco quando spiega a Frate Leone che la gioia più grande, anche per un consacrato, non è predicare bene, guarire, fare miracoli, avere proseliti. E’ accogliere a braccia aperte quello che viene, anche un fratello che non ti apre la porta e ti lascia aspettare al freddo senza cena.
Ecco, io vorrei consegnarmi come ha saputo fare lui, ma non so se ci riesco. Magari dopo la pausa caffè e poi riparto. Forse.
Primo 😉
Ehi, volevo proprio provare che sensazione si prova, per una volta! 😀
so di essere stata pesante, Roberto, e me ne scuso (eh sì, a volte ne sono capace! 😉 ).
Ora non ho tempo nè testa per rispondere nel dettaglio. Ribadisco solo che ho descritto una sensazione che provo quando ti leggo, che potrebbe non avere il minimo fondamento (e che magari incontrandoci dal vivo non mi daresti neppure)
Vedi, (quasi) tutte le cose che scrivi le condivido. La vita è lotta, il peccato va chiamato per nome, il male esiste e la strada per il cielo non è larga e facile. Tutto vero, non ho nessuna intenzione di fare sconti a nessuno, a cominciare da me stessa. La fede non è un compimento di precetti, il paradiso in terra non esiste e la natura umana è ferita dal peccato originale. La salvezza passa per la croce, e la croce pesa.
Eppure non riesco a scorgere, quando ti leggo, la luce che dà senso a tutto questo. Siamo stati creati per essere felici. Il nostro destino è quello. La lotta, la croce, non avrebbero senso senza il fine. E se è vero che la felicità piena non la troviamo in questa vita (per questo siamo inquieti, Joe! E’ l’inquietudine di chi sa che ancora non è arrivato ed è in cammino) è vero che è quello il nostro destino e a volte, quelle poche volte che succede di essere in vera comunione con Cristo, di quel destino ne abbiamo un assaggio già in questa vita. D’altra parte lo scrivi anche tu: il mondo è uscito buono e bello dalle mani di Dio. La natura umana è di per sé buona. Ferita dal peccato. Ma anche redenta. La gioia del cattolico non è solo un punto di arrivo. E’ il senso della nostra vita, tutta. Per questo è normale di fronte al dolore ribellarsi. Non siamo nati per soffrire. Anche se non possiamo scansare la sofferenza.
(ps ti ho risposto di qua perchè mi pare di essere anche in tema col post di costanza di oggi)
OK, ci ho provato ieri e non ha funzionato, riprovo oggi a pubblicare questo link con un racconto che era più adatto ieri, ma… chissà… omnia in bonum..
http://ow.ly/9nMXE Il racconto del giovedì: l’altro fratello. Quando chi ha ragione subisce. Almeno lo crede
Grazie Costanza per ricordarci che il mondo può fare a meno di noi e che è Lui che tira le fila e che ricordarsene per scegliere le priorità che vuole lui e non noi… è utile…
mo’ funziona! bel racconto, chissà se si è sentito davvero così quel fratello…io mi ci sento a volte quando appunto soffro per qualcosa a cui devo rinunciare/fare e dò la colpa a Dio (Dio, perché devo rinunciare alla gita per andare a Messa? Dio perché mi è successo X, Y quando io mi sono comportata bene? etc.)
Paolo, copiato! Smack! 😀
“mollare le redini” quando non ce la si fa più mi pare essere un consiglio valido per tutti, a prescindere dal risvolto religioso… L’unico problema secondo me è saper fare la differenza col “calare le…”
Costanza, dopo la mia sfuriata dell’altra sera, con questo post mi hai massacrato! Non era rivolto a me, dici? Eppure quanto hai ragione, e quanto cercherò di farne tesoro!
Anche perchè, hai un’altra volta ragione tu, abbandonarsi é alla fine più facile che ribellarsi, accettare è più rasserenante che non accettare, perchè quando ti lasci andare, comincia ad agire Lui.
PS: per Fefral: ho mentito, qui il cibo é buonissimo 😀 !!!
Buona giornata
Un bacione!
Un abbraccio grande, sorellastra! 🙂
un abbraccione, sorellastra!
Ogni tanto mi concentro e cerco di uscire fuori di me per guardarmi ed effettivamente vedo un rottame inteso come carretta, più che sulla strada principale dove tutti mi suonerebbero preferisco arrancare sulla stradina di campagna che corre parallelamente. Hai detto una sacrosanta verità Costanza, la consapevolezza dei nostri limiti è direttamente proporzionale al nostro affidamento a Dio. Anche il ripetere un peccato nonostante i miei buoni propositi mi fa sentire un mendicante.
Buon giorno Ragazzi, scusatemi se ogni tanto sparisco ma in questi giorni corro come una matta.
Finché farò come al mio solito: uno di questi giorni mi stancherò di fare ” miss perfezione che tiene su il mondo “( soprannome che mi ha regalato il mio migliore amico anni fa, criticando la mia mania di correre come se dovessi sempre salvare il mondo senza però scompormi una capello ), mi sveglierò una mattina, e come mi capita di fare ” stacco la spina e mi riposo “.
Se negli altri giorni ” inciampo ” forse Dio sorride.
Con un intero post hai risposto al mio commento di ieri, che chiedeva dove fosse finito il Paradiso… e ci hai riconfermato la via per raggiungerlo… affidarsi a Dio. Mi viene in mente un libretto di Chiara Lubich, “Saper perdere”… e quel tale che disse “Sono un un uomo che si è fatto da sè” e gli risposero “Bene signore, questo sgrava l’Onnipotente da una grandissima responsabilità”
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
Che bel post, sulla mia lunghezza d’onda di stamattina, visita medica di quelle paurose paurose, ore di preghiera,ora sono lieta perche’:” Sia fatta la volonta’ di Dio!” mi sono messa con fede totale nelle sue mani e il terribile brusio e paura e’ finito. Costanza, mentre leggevo il tuo post mi e’ venuta in mente una Scritta che ho visto su una maglietta questa settimana: Dio c’e ma non sei tu, rilassati!
Carina sta maglietta! 😀
http://get-shirt.it/imagecatalogo/BGs0720-210411.jpg
Alessandro, sei incredibileee! Smack! 😀
Questa è una cosa su cui i non credenti spesso sbattono il muso.
La scienza, il progresso, il mondo moderno (ah, ah, come se il mondo non fosse sempre antico…), ci convincono che possiamo avere il CONTROLLO TOTALE.
Poi, basta un attimo di stanchezza alla guida, o una visita medica come quella di Julie (a proposito,Julie, tanti auguri, di cuore), per ricordarci quanto misero sia il controllo che esercitiamo sulle nostre vite.
Certo, se si ha la fede, ci si affida a Dio e tutto quello che ci succede “di qua” assume un’importanza relativa.
Ma credo che anche chi la fede non ce l’ha farebbe bene a prendere atto della ridicolaggine dei nostri deliri di onnipotenza.
La malattia del “ghe pensi mi” è umana, ma colpisce in particolare modo l’essere femminile della specie. Ora, sono molto molto d’accordo col post di Costanza: che ogni tanto bisogna mollare un po’ le redini e abbracciare la croce così come viene, senza misurarla e senza pensare “ce la faccio”/”non ce la faccio”, perchè ogni peso è proporzionato alle spalle che lo devono portare (anche se non lo sappiamo). Però dài…… un caffè ci può stare, e non per distrarsi, ma proprio per tirare il fiato e ricordarci che sì, la fatica non te la toglie nessuno, ma se hai un volto amico vicino, qualcuno che ti asciuga il sudore dalla faccia, vedi meglio la strada davanti a te. Perchè, non so voi, ma per me è importante sapere che alla fine della salita ci sarà un grandioso panorama da godere, e che sarà valso tutta la fatica.
Giuliana: “ce la faccio”/”non ce la faccio”…
“San Pietro non ce la fece più: era troppo pesante la sua croce! Andò a lamentarsi da Gesù, con la sua, quasi sfacciata, familiarità. Gli disse: “Maestro mio, non ti sembra d’aver dato proprio a me, tuo primo apostolo, una croce troppo pesante? È vero che io ti ho rinnegato, ma è anche vero che ti amo più degli altri. E perché allora agli altri, Signore, hai dato piccole croci e invece a me un crocione enorme?”. Rispose Gesù: “Pietro, devo dirti due cose. Prima: non sono io che fabbrico le croci degli uomini. Seconda: Ti pensavo più generoso. Se è vero che mi ami più degli altri, non brontolare!”. Pietro, quasi umiliato, cercò di scusarsi così: “Signore, forse mi sono spiegato male. Non ti ho chiesto di togliermi la croce, ma di darmene una un po’ più leggera, almeno come quella degli altri apostoli!”. Si dice che il Signore a queste parole si mostrò commosso e abbia detto a Pietro: “Mi hai convinto. Vieni con me a scegliere la croce che ti piace”. Lo portò in un grandissimo magazzino, dove erano raccolte le croci di tutti gli uomini. Pietro si scaricò subito la sua croce e incominciò la ricerca. Ne provò parecchie: tutte avevano qualche noioso difetto: o troppo piccole, o troppo spigolose, o troppo lunghe, o troppo taglienti. Pietro frugò ovunque in cerca di una croce più adatta alle sue spalle. Non riusciva a trovarla. Gesù sorrideva. Ma eccone, finalmente, una, buttata li proprio vicino alla porta. Pietro se la provò e riprovò subito e alla fine poté dire: “Signore, hai poco da sorridere. Hai visto che, alla fin fine, mi sono trovato la croce adatta a me. Prendo questa”. Gesù allora sorrise ancor più e fece notare: “Pietro, hai veramente fatto una buona scelta! Senza accorgerti ti sei di nuovo caricato sulle spalle la tua croce quella che hai buttato via, entrando!”. E concluse: “Mio caro Pietro, io non fabbrico le croci per gli uomini; ma se sapessi con che cura, con che amore, mi adopero perché siano adatte alle spalle e al cuore di ciascun uomo! Ho provato di persona e perciò so cosa significa portare la croce!”.
Cara Costanza! Intanto volevo dirti che ti voglio bene. E che ho pensato anche io spesso questa cosa, della stanchezza che ti accompagna nella stanza dell’umiltà e dell’abbandono al Padre. Che per me a volte è l’unica via ; se no sono come un mastino che serra le mascelle sulla vita volendola controllare e dirigire anche se a volte soffro nel vedere che però non è così che si fa, non è così che sono felice..
I figli..anche io sono stata strappata a me stessa da loro e tanta fatica in più ho fatto per infilare un’altra vita dentro quella ingombrante prorompente molesta e meravigliosa che loro hanno portato.
E quando con tante acrobazie e furbizia strappo dei momenti “per me” a volte, non so cosa farmene! Per me sì ma sempre perchè sono di qualcuno (marito, figlie) e di Qualcuno. Allora forse con umiltà posso anche decidere di fermarsi un attimo per prendere fiato. Un abbraccio e grazie. ps: fermati prima di acquisire il diritto ad un cane-guida , please! 😉
ieri sera, mentre pregavo il rosario con mio marito, ho avuto una folgorazione teologica (baaa…) che vi riporto perché in tema. Eravamo sul letto e, come al solito, la nostra gatta partecipava alla preghiera con grande devozione, passando dall’uno all’altro, ronfando e cercando carezze. Questa gatta, molto bella, è un po’ selvatica: forse è stata tolta alla mamma troppo presto, comunque, anche quando si accuccia e chiede coccole facendo le fusa, non riesce a tenere le unghie dentro le zampe, si aggrappa spesso malamente, rischia di graffiare e qualche volta lo fa. Per questo motivo, non sempre è facile accontentarla e godere appieno della sua compagnia e affetto gattesco. Questo spesso ci fa rimpiangere la nostra ex gatta di tanti anni fa, che si abbandonava alle carezze con grande fiducia e senza unghie, nemmeno per sbaglio. L’altra gatta riceveva cento volte di più, non in affetto, anche a questa siamo molto affezionati, ma in compagnia reciproca.
Ebbene, ho pensato. Io quando mi metto nelle mani di Dio ho sempre le unghie in fuori: paura, desiderio di contare qualcosa, di avere un’ancora di salvataggio umana, e molto altro. Se riuscissi a fidarmi veramente, le mie unghie sparirebbero, e sai quante coccole in più potrei ricevere! Non che il Signore non me ne dia lo stesso -io la mia gatta la carezzo anche se non si rilassa completamente- ma potrei scoprire un mondo nuovo… come infatti le rare volte che riesco a mettere veramente “tutto” nelle sue mani senza dubbi e perché.
Vi abbraccio tutti, grazie Costanza.
Simpatica questa folgorazione teologica, devo procurarmi una gatta anch’io
bellissimo questo tuo intervento, Matrigna! la differenza tra il tenere fuori le unghie e il ritirarle sta proprio nel riconoscere su di sè una appartenenza, una paternità a cui abbandonarsi.
Bellissimo!
il gatto… teologico
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Matrigna, ci sono i diritti di autore sulla gatta teologa? 🙂 credo che la riutilizzerò.. e in fondo oggi la sto già usando, non nel riportarla agli altri (non ancora) ma nel viverla.. Il mio corpo mi ha fatto capire che ero proprio stanca e mi dovevo fermare un attimo e l’ho fatto.. pensavo che con un giorno di vacanza in più avrei potuto mettermi a studiare per un progetto di lavoro con più calma.. e invece è da stamattina che sto facendo di questa giornata una preghiera.. a poco a poco le unghie sulle mie zampette non si vedono più.. e io in Lui mi riposo e mi ricarico molto meglio.. 🙂
P.S. Menomale che ci siete!!! Tutti voi!!
auguri per una veloce ricarica, Claudia. La gatta è a distribuzione libera… vi posto una foto quando ne trovo una
Matrigna di Cenerentola: Smack! 😀
Abbandonarsi alla vita è più facile che contrastarla. Un pò come il corso dei fiumi che va da monte e valle, e non se ne può invertirne il verso, a meno di rivoluzionarne il corso, a fronte di un grande spreco di risorse. E poi, tanto, il fiume ritorna ad andare dove è giusto che vada, verso il mare. La vita bisogna seguirla, farsi trascinare, smetterla di sbatacchiarla per trascinarla un pò qua e un pò la. Bisogna viverla sentendola, seguendola, un pò come l’istinto. E solo se l’ascolti riesce a regalarti il giallo del sole nel cielo.
Buon venerdi
PuntoG
“Sì, dobbiamo fare di tutto per superare la sofferenza, ma eliminarla completamente dal mondo non sta nelle nostre possibilità – semplicemente perché non possiamo scuoterci di dosso la nostra finitezza e perché nessuno di noi è in grado di eliminare il potere del male, della colpa che – lo vediamo – è continuamente fonte di sofferenza. Questo potrebbe realizzarlo solo Dio: solo un Dio che personalmente entra nella storia facendosi uomo e soffre in essa. Noi sappiamo che questo Dio c’è e che perciò questo potere che « toglie il peccato del mondo » (Gv 1,29) è presente nel mondo […]
Ritorniamo al nostro tema. Possiamo cercare di limitare la sofferenza, di lottare contro di essa, ma non possiamo eliminarla. Proprio là dove gli uomini, nel tentativo di evitare ogni sofferenza, cercano di sottrarsi a tutto ciò che potrebbe significare patimento, là dove vogliono risparmiarsi la fatica e il dolore della verità, dell’amore, del bene, scivolano in una vita vuota, nella quale forse non esiste quasi più il dolore, ma si ha tanto maggiormente l’oscura sensazione della mancanza di senso e della solitudine. Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore […]
La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana.
La società, però, non può accettare i sofferenti e sostenerli nella loro sofferenza, se i singoli non sono essi stessi capaci di ciò e, d’altra parte, il singolo non può accettare la sofferenza dell’altro se egli personalmente non riesce a trovare nella sofferenza un senso, un cammino di purificazione e di maturazione, un cammino di speranza. Accettare l’altro che soffre significa, infatti, assumere in qualche modo la sua sofferenza, cosicché essa diventa anche mia. Ma proprio perché ora è divenuta sofferenza condivisa, nella quale c’è la presenza di un altro, questa sofferenza è penetrata dalla luce dell’amore. La parola latina con-solatio, consolazione, lo esprime in maniera molto bella suggerendo un essere-con nella solitudine, che allora non è più solitudine […]
Ma ancora una volta sorge la domanda: ne siamo capaci? È l’altro sufficientemente importante, perché per lui io diventi una persona che soffre? È per me la verità tanto importante da ripagare la sofferenza? È così grande la promessa dell’amore da giustificare il dono di me stesso? Alla fede cristiana, nella storia dell’umanità, spetta proprio questo merito di aver suscitato nell’uomo in maniera nuova e a una profondità nuova la capacità di tali modi di soffrire che sono decisivi per la sua umanità. La fede cristiana ci ha mostrato che verità, giustizia, amore non sono semplicemente ideali, ma realtà di grandissima densità. Ci ha mostrato, infatti, che Dio – la Verità e l’Amore in persona – ha voluto soffrire per noi e con noi.
Questa capacità di soffrire, tuttavia, dipende dal genere e dalla misura della speranza che portiamo dentro di noi e sulla quale costruiamo. I santi poterono percorrere il grande cammino dell’essere-uomo nel modo in cui Cristo lo ha percorso prima di noi, perché erano ricolmi della grande speranza.
Vorrei aggiungere ancora una piccola annotazione non del tutto irrilevante per le vicende di ogni giorno.
Faceva parte di una forma di devozione, oggi forse meno praticata, ma non molto tempo fa ancora assai diffusa, il pensiero di poter « offrire » le piccole fatiche del quotidiano, che ci colpiscono sempre di nuovo come punzecchiature più o meno fastidiose, conferendo così ad esse un senso. In questa devozione c’erano senz’altro cose esagerate e forse anche malsane, ma bisogna domandarsi se non vi era contenuto in qualche modo qualcosa di essenziale che potrebbe essere di aiuto.
Che cosa vuol dire « offrire »? Queste persone erano convinte di poter inserire nel grande com-patire di Cristo le loro piccole fatiche, che entravano così a far parte in qualche modo del tesoro di compassione di cui il genere umano ha bisogno. In questa maniera anche le piccole seccature del quotidiano potrebbero acquistare un senso e contribuire all’economia del bene, dell’amore tra gli uomini. Forse dovremmo davvero chiederci se una tale cosa non potrebbe ridiventare una prospettiva sensata anche per noi.”
(Benedetto XVI, Lett. Enc. Spe salvi, 36-40)
Sorellastra, ma che scherzi? Non pensavo affatto a te quando ho scritto. Pensavo a tutti noi, stanchi e non stanchi (forse non mi sono resa tanto conto di lamentarmi un po’ troppo), incasinati o no: tutti dobbiamo decidere la direzione della vita, che ci sia la salita o la pausa caffè. La direzione è la vita eterna. Viva la gatta teologa.
Grazie Costanza per questo post! Me lo stampo e me lo porto in Cappellina per meditarci su, perché hai scritto cose molto giuste. Smack! 😀
Quello che mi ammazza è la cera… 😉
http://i899.photobucket.com/albums/ac199/Peryshko10/x_bd7a8d8f.jpg
http://i899.photobucket.com/albums/ac199/Peryshko10/x_a2cbf078.jpg
Alessandro, Scriteriato: ma con le vostre foto state proponendo che *anche* BXVI prenda ispirazione dai gatti per fare teologia? Sarà per questo che tutto quello che scrive è così comprensibile? (confesso che è il primo Papa del quale sono riuscita a leggere le encicliche fino in fondo)
Certo, sono sicuro che c’è un nesso tra semplicità e comprensibilità delle parole BXVI e il suo amore per i gatti.
BXVI ama i gatti e non teme i serpenti…
http://www.chiesadinapoli.it/napoli/allegati/13894/Papa13.jpg
Ma il Serpente teme molto BXVI…
http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/satanismo-esorcismo-12244/
Benedetto batte maledetto 1 a zero!
Mii corrego: 2 a zero!
Bellissima! 🙂
…e meno male che ci son le donne che fanno tutte ‘ste cose. se no sai che croci noi maschietii….
mascietti,ops
aridaje,fucilo la tastiera :maschietti,oh!
Sono ormai mesi che seguo in silenzio il tuo blog, cara Costanza.
Da perugina doc come te sto alla finestra, guardo e godo dei tuoi post…
Oggi non posso fare a meno di scrivere, anche solo due righe, per ringraziarti dei tuoi scritti: così semplici e concreti ma allo stesso tempo illuminanti e pieni di forza.
Essere delle semplici “matite nelle mani di Dio” come dice Madre Teresa dall’alto della sua umiltà (eh si, l’umiltà eleva!) ci porta a vivere nel quotidiano affidando tutto, e sottolineo tutto, a Lui: dalle croci (grandi o piccole che siano), ai successi; dalle sconfitte alle presunte vittorie.
Sono come te, affaticata dalla vita e dalle troppe cose da fare, ma sempre in forza – deste come “sentinelle all’aurora”, dice il Salmo di oggi – quella forza che proviene solo da Lui e da niente altro.
Sono con te, per “riprendere al più presto possibile la vita!” come dice la scritta della tv!
da “tempi” n.9
art.di Krugman
Cosa affligge,dunque,l’Europa?
Giov.Paolo II aveva già risposto
“Di fatto.oltre ad abitarci come in un condominio spettrale,con pochi bambini,molti anziani,un’infinità di conflitti procedurali,una foresta di tribunali piccoli e grandi,cosa decide il nostro essere “casa comune europea”? “L’Europa o sarà cristiana o non sarà”.più che una profezia ,quella di Giov.Paolo II si sta rivelando un’osservazione di realtà impressionante.
….cionondimeno ne avvertiamo l’insufficienza(sugli interventi per salvare i singoli stati,ndr) davanti ad un mondo che è come sabbia mobile sotto i nostri piedi stanchi.
non se ne esce se non ritrovando la pasta umana di “quelli che fecero l’impresa”.Uomini(e donne,va da sé,ndr)
per cui fu necessario che l’eroico divenisse quotidiano ed il quotidiano eroico.Siamo di nuovo là,alla fine di un’epoca.quella iniziata da San Benedetto da Norcia.
e non se ne intravvede un’altra degna di essere vissuta , se non quella che apre all’impresa di riconquista della verità della vita.
Quella indicata e battuta da uomini come Benedetto XVI.”
Per cui è vero lasciarci “fare” da Lui( io sono Tu che mi fai,come ripete Padre Aldo Trento-un giussaniano di ferro,per la cronaca),
ma,come servi inutili, ci tocca, cmque, darci da fare.quaggiù si opera tramite gli uomini e le donne della buona volontà.anzi, della Volontà Buona.
La ciliegina sulla torta la mette Lui.e tollera perfino la pausa caffé…..
vale a todos
ciao
ottime considerazioni generali
ma la vita andrebbe affrontata per come viene e siamo noi gli artefici principali …spesso siamo noi a decidere anche del nostro destino.
Il buio della notte
Mauri
GRAZIE! A Vale e a tutti; oggi mi ci volevate proprio 😀
…e sognava, avveniva, che aveva oltrepassato la morte, e che ora si trovava in dei posti quasi uguali a degli altri che aveva visto, nella sua vita, e era una bella mattina di sole, d’estate , e vedeva, da una parte, alla fine dei campi, una grande pineta verde e nell’ombra tante persone che lo guardavano e sentiva lo chiamavano , ALVISE!!!, ALVISEEEE!!!, che era il nome che ci aveva quand’era vivo, e queste genti che lo chiamavano era genti che sapeva erano morte quando il suo tempo, e più avanti, vedeva, nell’ombra, il suo babbo e la sua mamma e il suo fratello che erano stati in silenzio e ora dicevano che l’avevano aspettato e che erano contenti che era arrivato. Ora, dicevano, ci potremo raccontare tutto il tempo ormai passato, e i ricordi, e le persone,e i posti e la vita passata insieme, le case, gli amici i parenti, i libri, le storie di tutti generi e non sarebbe più avvenuto che lo stessero separati, mai più, in eterno, alla fine. E lontano, nel profondo dell’ombra dei pini vedeva che c’era un grande folla di genti che stavano solitarie, in silenzio. Oh voi, chi siete , gli chiedeva, a codeste genti, che state da una parte da soli, e mi sembra qualcheduni che vi avessi già conosciuti su nella vita? Noi siamo, gli dicevano, della setta dei Cattolici, non crediamo come voi che credete che sia tutto finito, e nint’altro, quello, dicevano, che vedete, qui ora, non consiste nella fine, di tutto, la fine ripetevano, avverrà quando lo fossimo noi soli, al cospetto di Dio, come lui ci ebbe promesso e noi ebbimo creduto. Noi si visse nostra vita nella assidua speranza di una gioia infinita , nella gloria di Dio, e dei Santi, e dei Martiri, questo fu di conforto alle nostre fatiche e pensieri e paure e altre umane vicissitudini. Così detto si allontanarono e si persero, tra le ombre.
vabbé,quando cambio il California con l’harley passo in moto e si beve qualcosa….( a proposito di ombre…di vino,mi sa che c’è pure qualche venetico -o giù di lì-che ci raggiunge….)
Alvise! Sei tornato come il Cristo di Jean Paul! 🙂
«Toutes les ombres se pressaient autour de l’autel vide, et toutes frémissaient, et leurs poitrines se soulevaient, quoiqu’il n’y eût pas de cœur. Un mort seul, récemment enterré dans l’église, était encore couché dans son linceul. Son sein ne tremblait pas, et sur son visage souriant flottait un songe heureux, mais à l’approche d’un vivant, il s’éveilla et ne sourit plus. Il chercha à ouvrir ses paupières pesantes, mais il n’y avait plus d’œil sous ces paupières, et dans sa poitrine pantelante, il y avait, au lieu de cœur, une blessure. Il souleva les mains et les joignit pour prier ; mais les bras s’allongèrent, se détachèrent du corps et les mains tombèrent jointes sur la terre. Au haut de la voûte de l’église était le cadran de l’éternité : on n’y voyait point de chiffres, et il tournait sans aiguilles, mais un doigt noir l’indiquait aux morts, qui s’efforçaient d’y lire le temps.
Alors descendit d’en haut sur l’autel une figure noble, élevée, pleine d’une impérissable douleur ; et tous les morts s’écrièrent : Christ, n’y a-t-il point de Dieu ? Il répondit : Il n’y en a pas.
Toutes les ombres de ces morts se prirent à trembler, et ce n’était pas seulement leur poitrine qui palpitait, c’était elles tout entières ; et elles commencèrent l’une après l’autre à se dissoudre de terreur.
Le Christ continua : J’ai parcouru les mondes, je suis monté dans les soleils, j’ai traversé les déserts lactés du ciel : mais il n’y a point de Dieu. Je suis descendu aussi bas, aussi loin que l’existence peut jeter son ombre ; j’ai regardé dans l’abîme, et je me suis écrié : Père, où es-tu ? Mais je n’ai entendu que l’éternel orage que personne ne gouverne, et un arc-en-ciel étrange, qui ne devait point sa naissance au soleil, se courbait sur l’abîme et y dégouttait en pluie. Dans ce monde incommensurable, je cherchais l’œil de Dieu, et je n’ai vu qu’un orbite vide, noir, sans corps. L’éternité reposait sur le chaos, et le rongeait, et se dévorait elle-même. Criez, discordantes tempêtes ; ombres, criez ; car Il n’est pas.
Les ombres décolorées s’évanouirent, comme ces vapeurs blanchâtres, condensées par le froid, disparaissent sous une tiède haleine, et tout fut vide. Alors, spectacle affreux pour le cœur ! alors accoururent dans le temple les enfants morts qui s’étaient éveillés dans le cimetière ; et ils se prosternèrent devant la figure majestueuse, qui était sur l’autel et ils dirent : Jésus, n’avons-nous pas de père ? et il répondit avec des flots de larmes : Nous sommes tous orphelins, vous et moi ; nous n’avons pas de père».
Non posso che dedicarti questa ballata, non potrai che apprezzare.
PS: scusami per averlo messo in francese, ma non l’ho trovato in italiano, e non mi pareva il caso di metterlo su in tedesco.
Orfani, tutti, ma ce la faremo!!!
Gimo che bulo!
Alviseeee! Ben tornato! SMACK supergigante! 😀
Ma mi devi ancora spiegare qual’è il “posto”: è una tua fantasia o è qualcosa tratto da uno dei tanti libri che non conosco? Anche se di libri ne ho letti tanti “qualcheduno” m’è sfuggito, soprattutto negli ultimi anni.
Questo posto, quest’altro posto, eccetra…..
L’importante è che non sia “quel posto” dove ogni tanto qualcuno “ce manna!”… 😉
Ciao Alvise! 🙂
Cattolici folla di genti solitarie, in silenzio??
Aleeee! Stragrazzzzie! Smack! 😀
ALVISEEEEEE!!!!!!!!
L A R E V I S T A D E S U S C R I P C I Ó N G R A T U I T A M Á S L E Í D A P O R L A S F A M I L I A S C A T Ó L I C A S D E E S P A Ñ A:
si sbarca in SPAGNA
http://costanzamiriano.files.wordpress.com/2012/03/costanza-miriano-en-misic3b3n-23.pdf
(articolo in lingua spagnola della Revista Mision, un specie di Famiglia Cristiana spagnola)
Me gusta mucho!!! 🙂
Il messaggio di oggi mi è piaciuto Sia per il modo in cui è scritto che per i contenuti. In particolare la frase : Diminuire noi, e lasciar crescere Lui in noi .
Credo che la dinamica di abbassare il livello del proprio delirio di onnipotenza per andare verso un atteggiamento di abbandono al disegno di Dio o anche più semplicemente a ciò che la vita ci riserva, vada unito necessariamente ad una seconda fase, ad una disposizione dell’animo che deve intervenire nel secondo momento. Progettualità. Abbracciare la provvidenza non può essere un rinnegamento delle proprie facoltà; l’azzeramento della propria iniziativa per azzerarsi su una volontà terza. Ma far rinascere la dinamica della propria iniziativa e creatività alla luce di una vision che trascende la dimensione autoreferenziale.
La prima fase, di abbandono e umiltà, descritta nel blog, è un percorso difficile.. La seconda, la proattività ancor di più.
Pero bello pensare ad un dio che vuole la nostra libertà per compiere la sua volontà.
campane spagnole festeggiano…
Ole!!!! 😀
Admni: l’articolo parla del libro dicendo “best seller” e mi è tornato in mente il LIBRO DELL’ANNO: che fine ha fatto?
l’epifania del Genio cosmico in Spagna avrà bisogno d’un minimo d’accompagnamento musicale:
Vamos Costanxita.
L’ unico dubbio è che in Spagna il problema della violenza famigliare è molto dibattuto e la parola “sottomessa” potrebbe far sussultare qualcuno. Costy dovrà spiegarlo mille volte come va inteso.
ola! y vamos aber tambien la vercione espanola de el livre? tiengo muchos amigos en Espana y en los paeses que ablan espanol! Y tiengo tambien una cara tal da escribir en espanol quando non lo save hacer!
Ah ah Alvise ma anche tu non puoi essere serio, sei troppo un mito.
@ Scriteriato: 🙂
@ 61Angeloextralarge: FIUMI DI PAROLE
Potreis spiegares aggiungendos las esses a las fines des las palabras. Soy parada a llegar en Espana!
>Io, anche se purtroppo porto la priva
La taglia “priva”, è un felice refuso o una ragionata invenzione linguistica?
è una battuta ripresa da Elio (e le storie tese)
Dunque: se in Spagna si parla del libro di Costanza come il “best-seller 2011” (e il 2012 è appena iniziato!) vuol dire che probabilmente hanno confrontato “dati alla mano” su chi ha venduto di più, giusto? Ripeto che per me la vincitrice morale è il Genio Cosmico, soprattutto per i “frutti” di Sposati e sii sottomessa! Quale altro libro ha avuto un’eco come questo? NONOSTANTE IL TITOLO TRAGGA IN INGANNO e non invogli le donne stesse ad acquistarlo!!! Quale altro libro è stato preso come testo per i corsi di fidanzamento? Quale altro libro è consigliato da sacerdoti “tosti” ai loro figli spirituali? Ed infine QUALE ALTRO LIBRO HA ORIGINATO UN BLOG COME QUESTO? Piaccia o non piaccia il blog, piacciano o non i commenti ed i relativi commentatori, questo blog fa parlare, NON SOLO PARLA! E tutto questo riporta all’attenzione dei Media (he forse preferirebbero ignorare la cosa?) che la FAMIGLIA E’ IL CENTRO DAL QUALE NASCE TUTTO IL RESTO, e per questo va impostata seguendo Cristo! Amen!
N.B.: Genio Cosmico non ci lasciare per la Spagna! 😉
Non è che vuoi dare ragione ad Alvise: ORFANI TUTTI ? Nooo, eh! 😀
Sono totissimo corde d’accordo, imperciocché di Genio Cosmico ce n’è uno, tutti gli altri son nessuno.
@cocacola “Abbracciare la provvidenza non può essere un rinnegamento delle proprie facoltà; l’azzeramento della propria iniziativa per azzerarsi su una volontà terza. Ma far rinascere la dinamica della propria iniziativa e creatività alla luce di una vision che trascende la dimensione autoreferenziale.”
mi piace!
Cara Costanza, proprio in questi giorni pensavo a cosa deve avere provato Cristo guardando in basso dall’alto della croce. La braccia ed i piedi inchiodati, umanamente incapace di nulla. E’ quello che, forse come te, sto provando anch’io in questi giorni, tante cose da fare, la capacità l’energia e la voglia di farle, e l’esperienza della impotenza assoluta di fronte agli impegni, alle richieste, ai bisogni, alle urgenze, alle scadenze, di fronte ai quali non posso e non voglio sfuggire. Mentre altri, quelli che Dio mi ha messo vicino, attingono così, forse, un po’ di quella Vita che la Grazia continua a mettermi dentro. Così, davanti a un mondo che sembra sempre crollarmi davanti, si impara a fare, senza fare apparentemente nulla, almeno nulla di quello che parrebbe bene secondo la nostra volontà. Ad affidare tutto a Lui, come Lui, sulla Croce, ha affidato tutto, ogni opera, ogni progetto, al Padre. E’ una cosa che genera nel cuore qualcosa di struggente, come una ferita che grida verso l’Alto, mentre il cuore si rimette a Dio, come a un papà, di un abbandono vero, filiale, confidente. Del resto, noi siamo chiamati a portare sempre nel nostro corpo il morire di Gesù, affinché sia manifesta in noi la sua Resurrezione. Il periodo è quello giusto. Presto sarà la Pasqua.