di Jane
Come dice il grande Atticus Finch ne Il buio oltre la siepe, non si può davvero capire una persona fino a che non si cerca di vedere le cose dal suo punto di vista, fino a che non ci si mette nei suoi panni.
Mettersi nei panni altrui può essere importante per diversi motivi. Per esempio, per comprendere meglio il perché delle scelte dell’altro, per riconoscere e rispettare di più le sue idee.
Mettersi nei panni altrui può servire a capire i reali bisogni dell’altro, e quindi ad essergli di aiuto, o a perorare una sua causa o semplicemente ad essergli amico. Soprattutto però, e questo è il punto che mi interessa oggi, mettersi nei panni altrui è utile per riconsiderare i propri di panni.
Pensavo a queste cose oggi, mentre con una collega ci aggiravamo per Milano l’una con una maschera oscurante sugli occhi e l’altra con delle cuffie insonorizzanti nelle orecchie. Due pazze sotto l’effetto di sostanze di origine non controllata? No, non questa volta. Semplicemente, grazie all’iniziativa di un’associazione, mi sono trovata con un gruppo di persone a sperimentare, attraverso degli ausili speciali, diversi tipi di difficoltà o menomazioni fisiche: la cecità, la sordità, l’utilizzo della sedia a rotelle.
Lo scopo di questa esperienza è stato duplice seppur unitario: da un lato, abbiamo tutti provato a metterci dalla parte di chi davvero possiede delle disabilità, dall’altro, abbiamo verificato la scarsa agibilità delle strade della città.
Questa esperienza è stata straordinaria, non solo per l’imparagonabile divertimento nel vedere le espressioni delle persone a metà tra l’interrogativo e lo sconcertato (mi aspettavo seriamente che qualcuno chiamasse la polizia o almeno l’istituto psichiatrico), quanto perché mi sono accorta di cose a cui prima non badavo o non davo peso (se il marciapiede è sporco, io posso schivare l’”ostacolo” ma una persona non vedente?), ho considerato quanto vale il nostro tempo (per una persona in carrozzina il tempo necessario a compiere le normali attività quotidiane è almeno raddoppiato rispetto ad una persona senza difficoltà motorie) che invece il più delle volte sprechiamo, mi sono accorta di quanto sia bello poter ascoltare, poter guardare, poter camminare.
Forse dopo oggi sarò stata contagiata dalla sindrome di Pollyanna, non lo so, sta di fatto che sperimentare la vita più difficile degli altri è utile per due cose: per gioire, per ringraziare e per godere quotidianamente per ciò che si ha, riducendo al minimo le lamentele sterili (io ho il primato mondiale) o le tentazioni di pigrizia (anche di questa ho una collezione di medaglie a casa), per comprendere le difficoltà delle persone, per cercare di aiutarle o sostenerle in qualche modo, senza menefreghismi della serie “si arrangerà”.
La vita è una e va ottimizzata. Bisognerebbe ricordarsi il famoso motto di Marco Aurelio “compi ogni azione come fosse l’ultima della tua vita”. È forse un po’ angosciante la prospettiva dell’imperatore filosofo, e personalmente mi sento più a mio agio con lo spirito ottimista della mia eroina dell’infanzia Pollyanna, che per quanto sia stato definito “idiota” da qualche branca della psicologia, rispecchia un po’ quella speranza cristiana che dovrebbe essere presente in tutti noi: quell’anelito che trabocca oltre il perimetro della realtà e che ci permette di non farci abbattere dalle difficoltà e dalle sofferenze, ma che ci sprona a vedere il lato positivo di ciò che ci capita.
Ammetto però che la mia speranza, oggi, è stata solo che nessuno che conosco mi vedesse incedere per il centro di Milano con delle cuffie giganti e una maschera da sub oscurante. Anzi, l’unica mia speranza oggi è di non essere stata riconosciuta.
Hai ragione Laura, servirebbe a tutti provare queste esperienze. Penso sia impossibile comunque entrare completamente nella parte dato che psicologicamente tu sai che alla sera toglierai tutto e riprenderai il tuo aspetto. Anche la tua conclusione sulla speranza di non essere riconosciuta è umanamente normale e comprensibile ma traccia una certa distanza tra queste persone e noi.
Ho letto il post e sono d’accordo.
Una modesta proposta.
Perchè non chiedre di scrivere un post anche a “anatroccolina” (se vuole)la quale non solo ha mostrato di avere bravura e freschezza e facilità di scrittura (non meno di altri)
ma anche inoltre diversità di interpretazione della vita di un cristiano (più leggera, direi, più “vivibile” )
mi sembra una proposta totalmente fuori luogo: una tafazzata. Oltre tutto ha tagliato la corda, si direbbe…
poi… più vivibile? Direi con lo sconto e annesso veleno…
non esiste un cristianesimo a mio uso e consumo, così come mi piace.
Esiste una sola via, verità e vita: prende o lasciare.
Assumendosi la libera e consapevole responsabilità delle conseguenze.
Che non determiniamo certo noi.
che significa “tafazzata”? Qui, nel centro di tutto, nella Capitale e Città Etrena le parole nordiche sono incomprensibili (questo è un mio scherzo personale al tuo amore per Milano, Paolo! 🙂 ) però davvero tafazzata non lo capisco 🙂
Cmq, a me sembra di percepire un po’ di astio per paperella nelle tue parole, perché? Io sono perfettamente d’accordo sul fatto che il suo modo di vivere il cristianesimo di paperella possa essere definito “a mio uso e consumo”, e penso che non sia la via giusta da seguire, ma non direi che “ha tagliato la corda” (magari sta male, o ha dei problemi, chissà)… Io penso che per quanto un blog possa aiutare, a Paperina servano degli amici veri che la consiglino, probabilmente più di quanto possiamo fare noi da qua. speriamo le capitino! Tanti bei lati del carattere ce li ha, mi sembra.
Sulla proposta di a chi far scrivere un post taccio per non incorrere più nelle ire di admin, che ha già troppo da fare a difenderci dai gechi e dalle torte per uomo 😉
babypaperella sostiene di avere già un sacco di amici, e pure un migliore amico che è un gran figo. Ma effettivamente manca da troppi giorni….avesse avuto problemi con la suocera impicciona?
ah, tamarro! 😉
no, veramente rappresenta l’idiota felice di darsi le bottigliate sulle palle.
Potrebbe andar bene anche il morettiano “continuiamo così, facciamoci del male”
ok. tamarro è il cafone (ma si dirà al Nord cafone? Cafone, burino…). la persona trash, ecco.
ho capito, grazie 🙂
lidia, vocabolario Zingarelli:
TAFAZZISMO, (colloq.) Atteggiamento autolesionistico o masochistico [da Tafazzi, cognome di un personaggio impersonato dal comico Giacomo Poretti che in una trasmissione televisiva si colpiva il bassoventre con violente bottigliate, 1996]
TAMARRO, 1 (merid.) Zotico, burico
grazie Ale 🙂
Tra lßaltro,io stupida ancora non l’ho detto, ma il post di LGT stavolta mi è piaciuto proprio tanto!
Carissima, vendendo la nostra anatroccola imperversare in altri blog, con le sue pennellate di saggezza colorata, sempre così candida e tagliente, sicura di ciò che fa e sa, contornata da elogi commossi, sempre con la risposta pronta, sempre con caso familiare eccellente per portare fatti concreti contro le idee che non le garbano, vengono un po’ di dubbi, con malizia -confesso- ma vengono: che magari ci sia un po’ di artificiosità, di costruzione, di provocazione, di…. ma sì, diciamolo, di malizia.
Sempre felice di essere smentito.
D’altronde l’amore da esercitare sta in questo: nell’amare tutti non solo quelli che ti stanno simpatici, quelli che amarli ti viene naturale. “che merito ne avreste? anche i pagani fanno così!”.
L’amore va contropelo, deve sapersi fare strada tra gli scogli, portandoti a pregare e mostrare comprensione e rispetto, profondissimo, per chi ti sputa contro.
Non chiede però di avere sconfinata ammirazione e simpatia: quest’ultima è di pancia, l’amore è di testa e volontà.
Come ti permetti? Questo è il blog di Costanza Miriano, non il tuo. Sta a lei dire se una proposta è fuori luogo o no.
vabbè con Paolo ci siamo capiti 😉
Smack!
fatto salvo che è palese, sottinteso, che la decisione sta a chi possiede il blog e a non altri, mi permetto con la medesima libertà di chi formula la proposta, nello stile e libertà dei commenti.
O bisogna dire che si è d’accordo per definizione?
Se mi sembra una proposta sbagliata lo dico, convinto e sicuro che la capacità di giudizio di Costanza e Admin sono tali da permettere loro di prendere la decisione più giusta.
Non c’è libertà di discussione o i pareri si possono esprimere solo in una direzione?
Come, anche mi meraviglio, che nemmeno Fefral abbia mai potuto scrivere un post introdittivo (ma forse è lei che non vuole) . Mi ha sempre colpito, comunque, in questo blog, ma non è che io ne frequento altri, solo un altro, a volte,
e tanto basti,comunque, dicevo, in questo blog, la bravura nello scrivere un po’ di tutti, a parte certi luoghi comuni e manierismi che però sono ineliminabili da qualunque mente umana. Per esempio, oggi, una cosa che voglio segnalare nel post del giorno, una espressione, ho trovato, tra le altre, la quale dimostra come lo stile costanziano si sta diffondendo o come gli stili, in fondo, qualsiasi, abbiano una radice comune che sta nel linguaggio umoristico-accattivante-burlesco che è diventato padrone del mondo!!!!
Ecco, l’espressione che volevo additare era:
“…a badilate”.
non sarà anche che la realtà è una cosa troppo seria perché noi non se ne sorrida?
Altro smack!
non fare finta ke non hai capito
qua scrivono la costanza miriano il cyrano la laura gotti tedeschi la raffaella frullone tu e qualche altro
l’unico ke dopo ke ha scritto il suo pezzo continua a dire questo si questo no sei tu
poi oh anke questa è libertà di discussione neh
Isabella! Non voglio fare la paladina di Paolo: è maggiorenne e vaccinato, quindi si difende da solo!
Questo tuo modo di scrivere mi ricorda qualcuno che da qualche giorno non si fa sentire e che, (guarda un po’?) non aveva dimostrato molta simpatia nei confronti di Paolo.
Questo è quanto vorrei ti dico:
Karine le “k” al posto del “ch”… Ragazza, che bello essere giovani come te! Meno aggressività, però, non ci starebbe male, anche perché Costanza sa difendersi da sola e non ha bisogno di paladini: fidati e lasciala fare quello che crede. Tra l’altro, se sai come funzionano i blog (da povera vecchiarella ancora ho imparato pochissimo), c’è anche Admin e, se un commento non è in “linea editoriale” lo può togliere: lascia fare anche a lui quello che ritiene giusto… Fidati! Smack!
Scusa la fretta e gli svarioni! Smack!
“poi… più vivibile? Direi con lo sconto e annesso veleno…”
Direi come essere “diversamente credenti”! 😉
questa proposta conferma la tesi che noi uomini siamo dei gran tonti e con 4 moine ci beviamo tutto
non scherziamo alvì: la paperella non sa usare h e apostrofi, se questa la chiami freschezza e facilità di scrittura (sono d’accordo però che non è da meno di altri 😉 )!!!
beh Joyce non usava la punteggiatura…per dire.
sipotrebevolendoscriverrecosisenzaspazisenzaorto
graffiasenzasenzanientecomeccccepareanoi
Bello il post. Mettersi nei panni degli altri di propria volontà è un grande atto di carità.
Dice il salmo 49: “L’uomo nella prosperità NON COMPRENDE, è come gli animali che periscono”.
Per esperienza (grandi sofferenze personali) posso dire che è proprio vero: la sofferenza (accettata e vissuta fino in fondo, anche se non desiderata!) ci purifica, e ci permette di COM-PRENDERE e scoprire profondità della vita che non immaginavamo.
Grazie
Atticus Finch!uno degli eroi della mia adolescenza,ho letto “Il Buio oltre la siepe” almeno 20 volte e ,proprio in questi giorni,lo sto leggendo ai Bassotti.Memorabile la scena finale quando ,seduta sui gradini della casa dei Radley, Scout guarda l’intero quartiere dove è nata e dove vive,da una nuova prospettiva,e come le aveva insegnato il padre prova ad immedesimarsi in Boo.
Anche tra marito e moglie,è importante,talvolta fare un giro di 180 gradi e guardare tutto da una prospettiva diversa.
Tuttavia,mi scusi LTG,ma Pollyanna non la reggo,forse perchè ho solo visto il film e mai letto il libro,ma io sono piuttosto d’accordo con Anna Frank che diceva che non la rallegrava sapere di avere disgrazie minori di altri quanto guardare il cielo.Solo se alzo lo sguardo e vedo tutta la realtà con la sua imponenza e bellezza io riesco a sperare.
Pollyanna del libro è molto meno i”ottimista idiota” e molto più simpatica della Pollyanna del cartone. 🙂
Devo confessarlo: neanche io ho mai retto Polyanna – ma forse il mio unico contatto col personaggio è dovuto ai cartoni animati che vedevo da piccolo; non so se fanno testo (esisteva, vero, il cartone di Polyanna? Avrei bisogno della conferma di Alessandro, che sposa alla preparazione dottrinale una cultura cartoonesca senz’altro non inferiore alla mia… mi sa che facciamo parte di una generazione segnata 😀 ).
Davvero fondamentale il valore del tempo: noi che diamo per scontato il nostro essere “integri e funzionanti” (per quanto possibile!) dovremmo ricordarcene più spesso. Per evitare sia quell’allegrone di Marco Aurelio che l’ottimismo di Polyanna (questo non potevo sopportare in Polyanna et simila: che la ragione della sua speranza fosse data per scontata, facesse parte integrante della sua identità “perché sì” – mi mandava ai matti, anche se in quegli anni non potevo ovviamente capirne la ragione) dovremmo ricordarci di Chi siamo a servizio. Il nostro tempo non va sprecato perché non ci appartiene, ma appartiene a Colui che E’. A colui a cui appartiene tutto. Il riconoscimento del vero valore del nostro tempo passa nel riconoscere che non è il nostro.
Ceeeerto che c’è il cartone di Pollyanna… 🙂
chebelcartone!!!iomeloguardavosempre.Hoancheletoillibroelasecondapartemiha
fattopiangeretantissimo.
Lidia, l’ortografia! 🙂
chebbelcartone!!!iomelhoguardavosemppre.
oanceletoillibroelasecondapartemia
fatopiangeretantisimo.
skusa…nonchihavevopenzato…quiedovenia.
à propos, ogghiilmioraghazodovevavenireatrovarmieinvecheapersolaereo.chetristezza.
🙁
Accidenti, ci avevo messo tanto impegno per rimuoverlo… 🙂
@Roberto,giusto, anche per sperare occorrono le ragioni,altrimenti sembra piuttosto un volontarismo.
“Anche quando la Prima Lettera di Pietro esorta i cristiani ad essere sempre pronti a dare una risposta circa il logos – il senso e la ragione – della loro speranza (cfr 3,15), « speranza » è l’equivalente di « fede ». Quanto sia stato determinante per la consapevolezza dei primi cristiani l’aver ricevuto in dono una speranza affidabile, si manifesta anche là dove viene messa a confronto l’esistenza cristiana con la vita prima della fede o con la situazione dei seguaci di altre religioni. Paolo ricorda agli Efesini come, prima del loro incontro con Cristo, fossero « senza speranza e senza Dio nel mondo » (Ef 2,12). Naturalmente egli sa che essi avevano avuto degli dèi, che avevano avuto una religione, ma i loro dèi si erano rivelati discutibili e dai loro miti contraddittori non emanava alcuna speranza. Nonostante gli dèi, essi erano « senza Dio » e conseguentemente si trovavano in un mondo buio, davanti a un futuro oscuro. […]
Nello stesso senso egli dice ai Tessalonicesi: Voi non dovete « affliggervi come gli altri che non hanno speranza » (1 Ts 4,13). Anche qui compare come elemento distintivo dei cristiani il fatto che essi hanno un futuro: non è che sappiano nei particolari ciò che li attende, ma sanno nell’insieme che la loro vita non finisce nel vuoto. Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente. Così possiamo ora dire: il cristianesimo non era soltanto una « buona notizia » – una comunicazione di contenuti fino a quel momento ignoti. Nel nostro linguaggio si direbbe: il messaggio cristiano non era solo « informativo », ma « performativo ». Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova.”
(Benedetto XVI, Lett. Enc. Spe salvi, 30 novembre 2007, n. 2)
ma quale cartone!
molto meglio questo.
Riconscete il pastore?
non ricordo il nome ma me lo ricordo in quel gran film che è Cincinnati Kid
Carl Malden?
Karl Malden
il cartone anni Ottanta è sempre cartone anni Ottanta. Chi è mio coetaneo o suppergiù può capire
“Alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (Lc 21,28).
San Luca, nel testo evangelico offerto alla nostra meditazione in questa prima domenica d’Avvento, mette in luce la paura che atterrisce gli uomini di fronte agli sconvolgimenti finali.
Per contrasto, però, l’evangelista presenta con risalto ben maggiore la prospettiva gioiosa dell’attesa cristiana: “Allora – dice – vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande” (Lc 21,27).
Ecco l’annuncio che dà speranza al cuore del credente: il Signore verrà “con potenza e gloria grande”. Per questo i discepoli sono invitati a non avere paura, ma ad alzarsi ed a levare il capo, “perché la vostra liberazione è vicina” (Lc 21,28). […]
Nel vostro corpo e nella vostra vita, carissimi Fratelli e Sorelle [disabili], voi siete portatori di un’acuta speranza di liberazione.
Non vi è in ciò un’implicita attesa della “liberazione” che Cristo ci ha acquistato con la sua morte e risurrezione? In effetti, ogni persona segnata da una difficoltà fisica o psichica vive una sorta di “avvento” esistenziale, l’attesa di una “liberazione” che si manifesterà pienamente, per essa come per tutti, soltanto alla fine dei tempi. Senza la fede, questa attesa può assumere i toni della delusione e dello sconforto; sorretta dalla parola di Cristo, essa si trasforma in speranza vivente ed operosa. […]
Con la vostra presenza, carissimi Fratelli e Sorelle, voi riaffermate che la disabilità non è soltanto bisogno, è anche e soprattutto stimolo e sollecitazione. Certo, essa è domanda di aiuto, ma è prima ancora provocazione nei confronti degli egoismi individuali e collettivi; è invito a forme sempre nuove di fraternità. Con la vostra realtà, voi mettete in crisi le concezioni della vita legate soltanto all’appagamento, all’apparire, alla fretta, all’efficienza.”
(Giovanni Paolo II, omelia per il Giubileo della Comunità con i disabili, 3 dicembre 2000)
Dammi i tuoi occhi, o Dio, la strada sarà piena di fratelli affaccendati solo per amarsi
Se ti è caro ascoltare, imparerai;
se porgerai l’orecchio, sarai saggio.
Sir 6,23
Rallegratevi con quelli che sono nella gioia,
piangete con quelli che sono nel pianto.
Rm 12,15
Chi non ama il proprio fratello che vede,
non può amare Dio che non vede.
1 Gv 4, 20
Gesù, fissatolo, lo amò.
Mc 10,21
L’altro non sarà più un nemico, né un peccatore da cui separarmi, bensì «uno che mi appartiene». Con lui potrò rallegrarmi della comune misericordia, potrò condividere gioie e dolori, contraddizioni e speranze. Insieme, saremo a poco a poco spinti ad allargare il cerchio di questa condivisione, a farci annunciatori della gioia e della speranza che insieme abbiamo scoperto nelle nostre vite grazie al Verbo della vita (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia Orientamenti pastorali CEI n. 65).
Un paio d’anni fa ho avuto la fortuna che mi fosse affidato in “stage” in ufficio un ragazzo con la sindrome di Down.
Ha fatto piazza pulita di tutti i miei pregiudizi sulle persone Down: era spesso sorridente ed era molto tenero, ma aveva anche il suo bel caratterino e se qualcosa non gli andava di farla erano belle discussioni.
Ma la cosa che mi colpì moltissimo era l’atteggiamento dei suoi ex compagni di scuola: a due anni dalla fine del liceo seguitavano a chiamarlo, a invitarlo alle loro feste. Un paio di volte l’ho incontrato di persona in un locale, che gongolava di essere lì coi suoi amici.
E’ una grande speranza per il futuro di tutti vedere dei ragazzi di 20 anni (spesso etichettati in blocco come buoni a nulla superficiali) essere capaci di sacrificare un po’ della loro comodità per com-prendere davvero il diverso.
Che bella questa omelia di Giovanni Paolo Ii, grazie Alessandro. In questa prospettiva chi ha una disabilità può considerarsi un collaboratore del Signore per la salvezza di sè e anche degli altri…: di sè perchè il non poter fare affidamento solo sulle proprie forze con la sofferenza che purtroppo comporta mette in una condizione di abbandono fiducioso a Lui, nella debolezza essere forti attraverso la Sua forza; degli altri perchè con la sua testimonianza il disabile ci aiuta a capire che non è affidandoci a dei falsi idoli che possiamo essere liberi e felici, ma volgendo il nostro sguardo al Signore e traendo forza dalla preghiera, nel ringraziamento e nell’offerta.
Di Pollyanna potrei cantarvi a memoria la sigla anche alla mia veneranda età (Cristina D’avena aveva una grande fan!) ma in effetti l’ottimismo fine a se stesso, per quanto ottimo messaggio, non convince neanche me e credo che alla lunga non duri… Ripropongo Giovanni Paolo II con un suo pensiero di cui non so la fonte, ma che conosco a memoria “L’ottimismo non è l’ingenua fiducia che il futuro sia necessariamente migliore del passato. Fiducia e speranza sono alla base di una responsabile operosità e trovano alimento nell’intimo santuario della coscienza – lì dove l’uomo si trova da solo con Dio – e perciò stesso intuisce di non essere solo in mezzo agli enigmi della vita, perchè accompagnato dall’amore del Creatore”.
grazie a te, Claudia!
Senza offesa per nessuno: in psicologia clinica esiste la Sindrome di Pollyanna, alias la Sindrome dell’ottimismo idiota…
Erika for president
Secondo me quello che ha battezzato così ‘sta sindrome è venuto su anche lui a girelle e cartoni animati…
D la “corriere della sera” di oggi:
Hans Kung: “Chi è, dunque, un cristiano? Non chi dice soltanto “Signore, Signore” e asseconda un “fondamentalismo” sia esso di tipo biblico-protestante, o autoritario-romano-cattolico, oppure tradizionalista-oriental-ortodosso. Cristiano è piuttosto colui che in tutto il suo personale cammino di vita si sforza di orientarsi praticamente a questo Gesù Cristo. Di più non è richiesto”
ma neanche di meno!
ci sarebbe da chiedere al buon vecchio Hans se lui crede d’esserci riuscito, perché a me la cosa non sembra affatto evidente.
La stessa domanda potrebbe essere rivolta a me a te a chiunque,
ci siamo riusciti noi, voi, a combinare qualcosa di buono, crediamo
di essere speciali rispetto agli altri, diessere meglio, di pensare e di agire più dritto, più giusto, più vero, più giusto?
sì, ma a noi ,di Kung, ce ne po’……
mi è sfuggito un ” non ce ne po’ ….de meno….
ma soprattutto:
che c’entra Hans Kung con il post di oggi?
Il giornalista ha scoperto l’acqua calda? Gesù ci ha detto già 2000 anni fa: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7, 21). E’ a questo che dobbiamo orientarci, come cristiani: ci riuciamo? Non sempre, anzi… Ma ci riproviamo sempre!
Fare la volontà del Padre non è “annacquare” la Parola di Dio e quant’altro ci viene trasmesso dalla Chiesa attraverso svariati documenti ed altro ancora. Fare la volontà del Padre è “abbandonarci” docilmente a quello che LUI ci chiede, sapendo che COMUNQUE E’ IL NOSTRO BENE. Se tu, padre, dai un coltello a tuo figlio solo perché te lo chiede e vuoi farlo contento, che padre sei? Il suo bene non è essere contento ma essere allontanato dal pericolo di ferirsi. Quindi, tornando al Padre con la “p” maiuscola, se ci chiede qualcosa che a noi sembra assurdo o roba da fuori di testa, lo fa sapendo che è il meglio per noi. Ma noi non ne siamo contenti, perlomeno al momento. Poi, guardandoci indietro, nel tempo, scopriamo che determinate situazioni, anche dolorose ed incomprensibili, sono state permesse per procuraci un bene PIU’ GRANDE.
Io sono stufo di sentirmi dire che devo “comprendere il diverso”. Anche perché mi pare che chi idolatra le diversità sia soprattutto chi stigmatizza le differenze.
?????????????????????
Chi stigmatizza che?
Voglio dire che si tende a raggruppare degli individui in base a caratteristiche evidenti, ma che non sono né volontarie, né esaustive della persona: “i” down, “i” ciechi, ecc. , insomma “i diversi” e si invoca per loro comprensione, attenzione, giustizia, riconoscimento dei diritti, ecc. Come se all’interno di queste categorie i componenti fossero tutti uguali e indistinti. Ma questa è una mentalità sindacalista, disumanizzante. Quella stessa mentalità che, d’altra parte, rigetta le appartenenze, cioè le caratteristiche volontarie che mi sembra informino molto più profondamente gli individui. Se fossi Peppino, down, anarchico e coi capelli rossi, vorrei essere etichettato (riconosciuto) come Peppino l’anarchico, non come il down o quello coi capelli rossi, che sono dati di fatto e basta, magari mi creano anche qualche problema, ma in un certo senso “non mi riguardano”.
Non avevo capito che parlavi di questo.
Sono d’accordissimo con te.
Alviseeee! guarda un po’ Socci…
http://www.antoniosocci.com/2012/01/ma-quale-blasfemia-qualla-di-castellucci-davanti-a-gesu-e-preghiera/
Credo, per esperienza personale e diretta, che per “capire” i fratelli che sono “diversi” a causa di disabilità o malattie o altro, sia importante mettersi nei loro panni, ma soprattutto stare con loro, gomito a gomito, nella quotidianità. Mi rendo subito conto che, se si vuol parlare di “diverso” nel senso di “handicappato”, “down, “cieco”, etc., quello più “diverso” sono io che considero chi non è come me meno valido e meno capace. E’ una cosa sottile, ma purtroppo c’è. Tra l’altro “diverso” è un bruttissimo termine! Anche i cosidetti “normali” sono diversi tra loro e questo è e deve essere un dono,
Poi, l’esperienza di Laura è una cosa positiva e l’approvo, soprattutto se data come testimonianza. Ma, secondo me è un’esperienza INCOMPLETA: non può essere totalizzante, nel senso che comunque non potrà mai darmi occasione di capire fino in fondo quello che sta vivendo l’altro. Come dice giustamente nonpuoiessereserio: “tu sai che alla sera toglierai tutto e riprenderai il tuo aspetto”. Sapendo di rientrare nella mia “normalità” vivo il tutto con un’ottica diversa e moooolto più leggera. Soprattutto chi è passato improvvisamente da uno stato di “normalità” ad uno di “diversità”, a causa di incidenti o malattie varie, si è trovato in una situazione nuova e definitiva. Mi viene il mal di stomaco pensando a quanta sofferenza si può provare in una situazione del genere! Non poter più rientrare nella “normalita” e, grande dolore psicologico, dover chiedere aiuto agli altri e dipendere in tantissime cose da loro. Siamo grandi e forti quando ci diamo da fare per aiutare chi ha bisogno, ma siamo molto fragili quando siamo noi a dover essere aiutati.
La guarigione di infermi e disabili è spesso presentata nel Vangeli come invocata, raccomandata da persone a cui sta a cuore l’infermo, il disabile.
Il paralitico di Cafarnao, che viene sanato e al quale sono rimessi i peccati, è condotto a Gesù su un letto e Gesù gli perdona i peccati “vista la loro fede” (Mc 9).
Il cieco di Betsaida (Mc 8) è condotto a Gesù, il quale viene pregato di “toccarlo”
Nel territorio della Decapoli Gesù guarisce un sordomuto che gli era stato recato con la preghiera che egli gli imponesse le mani (Mc 7)
Il capo della sinagoga Giairo invoca da Gesù la guarigione per la figlia in fin di vita (Mc 5)
Il centurione di Cafarnao raccomanda a Gesù il servo paralizzato e sofferente (Mt 8)
Il funzionario del re invoca l’intervento di Gesù a beneficio del figlio malato a Cafarnao (Gv 4)
Altre volte è l’infermo o il disabile a supplicare Gesù di essere risanato.
Il cieco Bartimeo è guarito dopo aver implorato Gesù a squarciagola: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!”… “Rabbunì, che io riabbia la vista!”” (Mc 10)
L’emorroissa fa di tutto per toccare il mantello di Gesù e essere sanata (Mc 5)
I due ciechi di Mt 9 implorano Gesù “Figlio di Davide, abbi pietà di noi”
Alessandro:
mi chiedi cosa c’entra coll’argomento.
La mia era in un cero senso (e poi credevo che interessasse un po’ tutti)
una risposta a Paolo Pugni (di nome e di fatto?) che diceva:
“non esiste un cristianesimo a mio uso e consumo, così come mi piace.
Esiste una sola via, verità e vita: prende o lasciare.”
Eccco, alora ho pensato che ogni tanto qualcuno qui dentro vuole assumersi
la potestà di spiegare come e in che modo (uno solo, quello che inteso da loro)essere cristiani, facendo ricorso a encicliche, passi evangelici, bolle, articoli del catechismo, prediche, e naturalmente alle sacre scritture. Io ho messo un articolo di un grande studioso di teologia 8o invece no, solo Ratzinger è un grande studioso?)che esprime anche lui il suo punto di vista sul tema cristianesimo
e non vedo come uno possa smentire in modo assoluto le sue parole a meno che non che non si pensi al papa e al suo potere di infallibilità che è appunto argomento anche,da discutere anche.
Allora: uno è papale e non amette nulla di estrapapale e giudica lui chi è papale o no confrontandolo con gli articoli della dottrina etc. Un altro legge anche lui i vangeli e, in buona fede!) interpreta con la sua intelligenza. Voi siete dei papalini?
Più o meno mi regolo così: il cristianesimo autentico è quello che giunge fino a me da una lunga tradizione all’interno della quale chi si professava cristiano non ha puntato i riflettori su sé stesso ma ha accantonato opinioni soggettive e idiosincrasie per porsi totalmente al servizio di Cristo, anzitutto sforzandosi di capire chi è Cristo veramente.
E per far ciò ha accettato di elidere ogni convinzione troppo compiacente con il proprio amor di sé, autoassolutoria, condiscendente con le proprie superbia e vanità, acquiescente con i propri vezzi e capricci: perché trasparisse Cristo così com’è, e non manipolato a proprio uso e consumo. Perché fosse lui ad aderire a Cristo, non per piegare Cristo ad aderire a lui.
Insomma, una tradizione permeata da cristiani che, pur di riconoscere il primato di Cristo, non hanno esitato a riconoscersi peccatori, e hanno rinunciato a fabbricarsi un Cristo a propria immagine e somiglianza, accomodante nei confronti dei loro peccati e delle loro manchevolezze. Considero autentico quel cristianesimo in cui non risalta il singolo, per quanto intelligente e financo geniale, ma pure il santo si sente appartenente a una cordata, a una comunità che trascorre i secoli e nella quale nessuno primeggia, che non va abbandonata o stravolta ma alla quale occorre tenersi stretti. Per starsene stretti alla cordata, e quindi non cadere in rovina, occorre sapere che la forza che regge la cordata non se la conferisce nessuno dei suoi componenti, ma è ricevuta da Cristo e si conserva e incrementa obbedendo a Cristo.
Insomma: cristianesimo autentico è quello in cui si sa che, per non fallire, le nostre forze sono insufficienti, ed è necessario ricevere (la grazia) da Dio e obbedire a Dio. Senza rivendicazioni personalistiche, rinnegando sé stessi, prendendo la croce, senza recriminazioni lamentevoli (magari in tema di morale sessuale) in nome della propria “coscienza” e “autodeterminazione”.
Da ultimo passi da: “considero cristianesimo autentico” a: “insomma
cristianesimo autentico è” …
E’ naturale che forse il “considero” è pleonastico,
ma io l’avrei lasciato.
Ma io sono me, te sei te, Kung è Kung (Kung-fu?)
certo, il “considero” si può lasciare, ma tieni presente che quello che ho scritto è una critica a chi conficca in ogni discorso l'”io penso che”, cioè è una deplorazione del voluttuoso prender piede, in tanta parte di cristiani, del “dogma come lo interpreto io”, del “vangelo come lo leggo io”, ossia dell’invalere – oggi vieppiù sfrenato, incontinente – del soggettivismo, della primato del “secondo me”.
Sì, ma chi si può considerare non soggettivo?
Per questo ci si stringe in “ecclesia”? Per sentirsi più oggettivi?
E questo basta?
penso che non ti sia difficile cogliere quali posizioni traboccano di soggettivismo e quali siano così poco individualistiche e soggettivistiche da risultare perfettamente integrate nel corpo vivo della Chiesa.
Ti è veramente difficile distinguere il cristiano che non fa che mettere al centro sé stesso dal cristiano che predilige fare posto a Dio?
Non è facile,
Per me , almeno, non è facile.
Che vuol dire farsi da parte? Non è un’altro modo di credere che sia quella la strada giusta?
@ Alessandro – 20 gennaio 2012 a 19:08
Bravissimo…me la stampo e la metto in memoria, sintesi perfetta .
Ti ringrazio . Vale anche per me.
Grazie mille a te, Umberto
Lieto di esserti stato utile!
Joe Turner.
ho letto ora l’articolo.
Ne ho conservato questo:
“Tu sei o non sei il mio Pastore?”.
E questa è preghiera. Significa: Signore, sono disperato, salvami! Spargi il tuo sangue per guarire anche me!”
la mia segnalazione era più sul piano mediatico-comunicativo che non su quello teologico
Alessandro:
Vedi, per quanto sopra, anche :
s.Paolo, Galati 2, 11-21
Sì, ma la divergenza tra Pietro e Paolo non era certo insanabile, e fu celermente sanata. Che la salvezza fosse per circoncisi e incirconcisi Pietro aveva ben compreso:
cf At 11, 1-18