di Gerhard L. Müller
Il Concilio Vaticano II cercò di riaprire una nuova strada verso l’autentica comprensione dell’identità del sacerdozio. Perché mai si giunse allora, all’indomani del Concilio, a una sua crisi d’identità paragonabile storicamente solo con le conseguenze della Riforma protestante del XVI secolo?
Penso alla crisi della dottrina del sacerdozio avvenuta durante la Riforma protestante, una crisi a livello dogmatico, con cui il sacerdote è stato ridotto a un mero rappresentante della comunità, mediante una eliminazione della differenza essenziale fra il sacerdozio ordinato e quello comune di tutti i fedeli. E poi alla crisi esistenziale e spirituale, avvenuta nella seconda metà del XX secolo, esplosa cronologicamente dopo il Concilio Vaticano II – ma certo non a causa del Concilio – e delle cui conseguenze noi oggi ancora soffriamo.
Joseph Ratzinger evidenzia con grande acume che, laddove viene meno il fondamento dogmatico del sacerdozio cattolico, non solo si esaurisce la fonte alla quale si può efficacemente abbeverare una vita alla sequela di Cristo, ma viene meno anche la motivazione che introduce sia a una ragionevole comprensione della rinuncia al matrimonio per il regno dei cieli (cfr. Mt 19, 12), sia del celibato quale segno escatologico del mondo di Dio che verrà, segno da vivere con la forza dello Spirito Santo, in letizia e certezza.
Se la relazione simbolica che appartiene alla natura del sacramento viene oscurata, il celibato sacerdotale diviene il relitto di un passato ostile alla corporeità e viene additato e combattuto come l’unica causa della penuria di sacerdoti. Non da ultimo, scompare poi anche l’evidenza, per il magistero e la prassi della Chiesa, che il sacramento dell’Ordine debba essere amministrato solo a uomini. Un ufficio concepito in termini funzionali, nella Chiesa, si espone al sospetto di legittimare un dominio, che invece dovrebbe essere fondato e limitato in senso democratico.
La crisi del sacerdozio nel mondo occidentale, negli ultimi decenni, è anche il risultato di un radicale disorientamento dell’identità cristiana di fronte a una filosofia che trasferisce all’interno del mondo il senso più profondo e il fine ultimo della storia e di ogni esistenza umana, privandolo così dell’orizzonte trascendente e della prospettiva escatologica.
Attendere tutto da Dio e fondare tutta la propria vita su Dio, che in Cristo ci ha donato tutto: questa e solo questa può essere la logica di una scelta di vita che, nella completa donazione di sé, si pone in cammino alla sequela di Gesù, partecipando alla sua missione di Salvatore del mondo, missione che egli compie nella sofferenza e nella croce, e che Egli ha ineludibilmente rivelato attraverso la sua Risurrezione dai morti.
Ma, alla radice di questa crisi del sacerdozio, bisogna rilevare anche dei fattori intra-ecclesiali. Come mostra nei suoi primi interventi, Joseph Ratzinger possiede fin dall’inizio una viva sensibilità nel percepire da subito quelle scosse con cui si annunciava il terremoto: e ciò soprattutto nell’apertura, da parte di tanti ambiti cattolici, all’esegesi protestante in voga negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.
Spesso, da parte cattolica, non ci si è resi conto delle visioni pregiudiziali che soggiacevano all’esegesi scaturita dalla Riforma. E così sulla Chiesa cattolica (e ortodossa) si è abbattuta la furia della critica al sacerdozio ministeriale, nella presunzione che questo non avesse un fondamento biblico.
Il sacerdozio sacramentale, tutto riferito al sacrificio eucaristico – così come era stato affermato al Concilio di Trento –, a prima vista non sembrava essere biblicamente fondato, sia dal punto di vista terminologico, sia per quel che riguarda le particolari prerogative del sacerdote rispetto ai laici, specialmente per ciò che attiene al potere di consacrare. La critica radicale al culto – e con essa il superamento, a cui si mirava, di un sacerdozio che limitasse la pretesa funzione di mediazione – sembrò far perdere terreno a una mediazione sacerdotale nella Chiesa.
La Riforma attaccò il sacerdozio sacramentale perché, si sosteneva, avrebbe messo in discussione l’unicità del sommo sacerdozio di Cristo (in base alla Lettera agli Ebrei) e avrebbe emarginato il sacerdozio universale di tutti i fedeli (secondo 1 Pt 2, 5). A questa critica si unì infine la moderna idea di autonomia del soggetto, con la prassi individualista che ne deriva, la quale guarda con sospetto a qualunque esercizio dell’autorità.
Quale visione teologica ne scaturì?
Da un lato si osservava che Gesù, da un punto di vista sociologico-religioso, non era un sacerdote con funzioni cultuali e dunque – per usare una formulazione anacronistica – era un laico.
Dall’altro, sulla base del fatto che nel Nuovo Testamento, per i servizi e i ministeri, non viene addotta alcuna terminologia sacrale bensì denominazioni ritenute profane, sembrò che si potesse considerare dimostrata come inadeguata la trasformazione – nella Chiesa delle origini, a partire dal III secolo – di coloro che svolgevano mere “funzioni” all’interno della comunità, in detentori impropri di un nuovo sacerdozio cultuale.
Joseph Ratzinger sottopone, a sua volta, a un puntuale esame critico, la critica storica improntata alla teologia protestante e lo fa distinguendo i pregiudizi filosofici e teologici dall’uso del metodo storico. In tal modo, egli riesce a mostrare che con le acquisizioni della moderna esegesi biblica e una precisa analisi dello sviluppo storico-dogmatico si può giungere in modo assai fondato alle affermazioni dogmatiche prodotte soprattutto nei Concili di Firenze, di Trento e del Vaticano II.
Ciò che Gesù significa per il rapporto di tutti gli uomini e dell’intera creazione con Dio – dunque il riconoscimento di Cristo come Redentore e universale Mediatore di salvezza, sviluppato nella Lettera agli Ebrei per mezzo della categoria di “Sommo Sacerdote” (Archiereus) – non è mai dipeso, come condizione, dalla sua appartenenza al sacerdozio levitico.
Il fondamento dell’essere e della missione di Gesù risiede piuttosto nella sua provenienza dal Padre, da quella casa e da quel tempio in cui egli dimora e deve stare (cfr. Lc 2, 49). È la divinità del Verbo che fa di Gesù, nella natura umana che egli ha assunto, l’unico e vero Maestro, Pastore, Sacerdote, Mediatore e Redentore.
Egli rende partecipi di questa sua consacrazione e missione mediante la chiamata dei Dodici. Da essi sorge la cerchia degli apostoli che fondano la missione della Chiesa nella storia come dimensione essenziale alla natura ecclesiale. Essi trasmettono il loro potere ai capi e pastori della Chiesa universale e particolare, i quali operano a livello locale e sovra-locale.
*Il brano è tratto dall’introduzione al volume,”Insegnare e imparare l’amore di Dio” scritta dal cardinale Gerhard L. Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede e curatore dell’opera omnia di Ratzinger.
E intanto ieri, giorno dell’ultima Apparizione di Fatima, Lutero è entrato in Vaticano. Questa foto non si può guardare!
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Per chi vuole adeguarsi al nuovo corso, al posto delle Litanie Lauretane può pronunciare le litanie luterane:
Sancte Martine Lutheri, ora pro nobis;
Sancte Reinhalde Marx, ecclesiae traditionum novator, ora pro nobis;
Sancte Leonarde Boff, Papae Consultor, ora pro nobis;
Sancte Aloysi Ciotti, exemplum novae charitatis, ora pro nobis;
Sancte Johannes Küng, Sacrae Novae “Theologiae” Magister, ora pro nobis;
Sancte Vincenti Bianchi, egregius defensor novae fidei, ora pro nobis;
Sancte Roberte Benigni, doctor novae ecclesiae, ora pro nobis;
Sancte Eugeni Scalfari, pater novae ecclesiae, ora pro nobis;
Sancte Iacinthi-Marce Pannellae, novus con-fessor, ora pro nobis.
naturalmente bisogna aggiungere di diritto
supersapiens et supersancta Giusi
Ma anche te! Con questi santi rientriamo tutti!
MARIA VERGINE!
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Qui la “serie completa” delle immagini:
http://www.scuolaecclesiamater.org/2016/10/scandalo-in-vaticano-lutero-varca-il.html
Manca questa: è imperdibile! Infatti l’Osservatore Romano non se l’è fatta scappare: tutti col nastrino in mano in una catena d’ammore pure con l’episcopessa!
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L’episcopessa, essendo donna, merita un surplus di misericordia a parte…. Il Papa è cavaliere:
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“Nel dialogo ecumenico bisogna guardarsi, illudendosi di facilitarlo, a non sminuire la provvidenziale rilevanza del Magistero ecclesiale, in particolare dei pronunciamenti che sono presentati come definitivi e irreformabili, che provengano sia personalmente dal Successore di Pietro sia dai Concili approvati dal Successore di Pietro come supremi…
Ciò che è stato definito, è stato definito per sempre: non è da ritenersi legato all’epoca storica e alla cultura del tempo, attinge al disegno eterno di Dio ed è lo Spirito della verità che se ne fa garante.
Più in generale, riscoprire una più consapevole adesione e un più vivo amore allo Spirito della verità è la grazia della quale ha più bisogno la bella confusione dei nostri giorni.”
(Giacomo Biffi, Lo Spirito della verità. Riflessioni sull’evento pentecostale, Bologna 2009, p. 73)
“Non si ribadisce mai abbastanza il carattere del nostro ministero [sacerdotale], il quale è totalmente relativo alla funzione che, entro il progetto salvifico del Padre, è propria ed esclusiva di Gesù.
Come Figlio di Dio costituito nella natura umana, lui solo è il Signore, lui solo è l’unico Maestro… Gesù è il “Capo”; e noi, come suo icona viva, dobbiamo guidare i fratelli sulla sua e non sulla nostra strada.
Gesù è il “Maestro”; e noi in suo nome insegniamo (e dobbiamo ricevere ascolto, purché non proponiamo le nostre ideologie ma la sua verità).
Gesù è il “Santificatore”; e noi santifichiamo attraverso gli atti sacramentali a noi affidati, che dobbiamo rispettare nella loro struttura originaria. Gesù è il “Servo”; e noi serviamo, cercando in ogni nostro pensiero e in ogni nostra azione l’autentico bene degli uomini.
Tutto questo noi facciamo non per conto nostro, ma per conto suo, perché siamo i suoi “ministri” e non siamo i padroni o gli iniziatori dell’impresa salvifica del cristianesimo.”
(Giacomo Biffi, Pecore e pastori. Riflessioni sul gregge di Cristo, Siena 2008, p. 202)
Ettore Gotti Tedeschi ha rilasciato un’intervista a C&DM:
http://www.campariedemaistre.com/2016/10/un-campari-con-ettore-gotti-tedeschi.html
Due passaggi notevoli:
Due considerazioni attorno allo IOR. Anzitutto mi permetto di avanzare dei dubbi attorno alle Ultime Conversazioni di Benedetto XVI, chi lo conosce non vi ritrova né la cultura, né i riferimenti, né i modi di dire consueti di questo grande Papa. Chissà piuttosto se un giorno potrò collaborare anche io a scrivere le sue memorie, perché ci sono dettagli del pontificato benedettiano che nessuno sa.
[…]
Ma Papa Benedetto XVI si è dimesso a causa di problemi “bancari”?
L’ipotesi dello SWIFT non è plausibile nella versione sostenuta da Blondet e Socci. Intendiamoci, può aver rappresentato un elemento di pressione nella rinuncia, ma non è lecito indicarlo come il fattore fondamentale. I fattori sono stati ben altri e sarebbe bello un giorno poterli dimostrare e non solo argomentare, del resto una parte almeno di essi la conosco di persona, non dimenticate che lo scandalo Vatileaks scoppia a partire dal ruolo del sottoscritto.
Prima o poi lo sapremo. Intanto però si vedono chiaramente – ed è un escalation continua -, se non le cause, le finalità di aver indotto quelle dimissioni.
“Il primo compito del quale vorrei parlare oggi è il “munus docendi”, cioè quello di insegnare. Oggi, in piena emergenza educativa, il munus docendi della Chiesa, esercitato concretamente attraverso il ministero di ciascun sacerdote, risulta particolarmente importante…
Questa è la funzione “in persona Christi del sacerdote”: rendere presente, nella confusione e nel disorientamento dei nostri tempi, la luce della parola di Dio, la luce che è Cristo stesso in questo nostro mondo.
Quindi il sacerdote non insegna proprie idee, una filosofia che lui stesso ha inventato, ha trovato o che gli piace; il sacerdote non parla da sé, non parla per sé, per crearsi forse ammiratori o un proprio partito; non dice cose proprie, proprie invenzioni, ma, nella confusione di tutte le filosofie, il sacerdote insegna in nome di Cristo presente, propone la verità che è Cristo stesso, la sua parola, il suo modo di vivere e di andare avanti.
Per il sacerdote vale quanto Cristo ha detto di se stesso: “La mia dottrina non è mia” (Gv, 7, 16); Cristo, cioè, non propone se stesso, ma, da Figlio, è la voce, la parola del Padre. Anche il sacerdote deve sempre dire e agire così: “la mia dottrina non è mia, non propago le mie idee o quanto mi piace, ma sono bocca e cuore di Cristo e rendo presente questa unica e comune dottrina, che ha creato la Chiesa universale e che crea vita eterna”.
Questo fatto, che il sacerdote cioè non inventa, non crea e non proclama proprie idee in quanto la dottrina che annuncia non è sua, ma di Cristo, non significa, d’altra parte, che egli sia neutro, quasi come un portavoce che legge un testo di cui, forse, non si appropria.
Anche in questo caso vale il modello di Cristo, il quale ha detto: Io non sono da me e non vivo per me, ma vengo dal Padre e vivo per il Padre. Perciò, in questa profonda identificazione, la dottrina di Cristo è quella del Padre e lui stesso è uno col Padre. Il sacerdote che annuncia la parola di Cristo, la fede della Chiesa e non le proprie idee, deve anche dire: Io non vivo da me e per me, ma vivo con Cristo e da Cristo e perciò quanto Cristo ci ha detto diventa mia parola anche se non è mia. La vita del sacerdote deve identificarsi con Cristo e, in questo modo, la parola non propria diventa, tuttavia, una parola profondamente personale. Sant’Agostino, su questo tema, parlando dei sacerdoti, ha detto: “E noi che cosa siamo? Ministri (di Cristo), suoi servitori; perché quanto distribuiamo a voi non è cosa nostra, ma lo tiriamo fuori dalla sua dispensa. E anche noi viviamo di essa, perché siamo servi come voi” (Discorso 229/E, 4)…
Quella del sacerdote, di conseguenza, non di rado potrebbe sembrare “voce di uno che grida nel deserto” (Mc 1,3), ma proprio in questo consiste la sua forza profetica: nel non essere mai omologato, né omologabile, ad alcuna cultura o mentalità dominante, ma nel mostrare l’unica novità capace di operare un autentico e profondo rinnovamento dell’uomo, cioè che Cristo è il Vivente, è il Dio vicino, il Dio che opera nella vita e per la vita del mondo e ci dona la verità, il modo di vivere…
Cari confratelli sacerdoti, il Popolo cristiano domanda di ascoltare dai nostri insegnamenti la genuina dottrina ecclesiale, attraverso la quale poter rinnovare l’incontro con Cristo che dona la gioia, la pace, la salvezza.
La Sacra Scrittura, gli scritti dei Padri e dei Dottori della Chiesa, il Catechismo della Chiesa Cattolica costituiscono, a tale riguardo, dei punti di riferimento imprescindibili nell’esercizio del munus docendi, così essenziale per la conversione, il cammino di fede e la salvezza degli uomini.
“Ordinazione sacerdotale significa: essere immersi […] nella Verità” (Omelia per la Messa Crismale, 9 aprile 2009), quella Verità che non è semplicemente un concetto o un insieme di idee da trasmettere e assimilare, ma che è la Persona di Cristo, con la quale, per la quale e nella quale vivere e così, necessariamente, nasce anche l’attualità e la comprensibilità dell’annuncio.
Solo questa consapevolezza di una Verità fatta Persona nell’Incarnazione del Figlio giustifica il mandato missionario: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). Solo se è la Verità è destinato ad ogni creatura, non è una imposizione di qualcosa, ma l’apertura del cuore a ciò per cui è creato.
Cari fratelli e sorelle, il Signore ha affidato ai Sacerdoti un grande compito: essere annunciatori della Sua Parola, della Verità che salva; essere sua voce nel mondo per portare ciò che giova al vero bene delle anime e all’autentico cammino di fede (cfr 1Cor 6,12).
San Giovanni Maria Vianney sia di esempio per tutti i Sacerdoti. Egli era uomo di grande sapienza ed eroica forza nel resistere alle pressioni culturali e sociali del suo tempo per poter condurre le anime a Dio: semplicità, fedeltà ed immediatezza erano le caratteristiche essenziali della sua predicazione, trasparenza della sua fede e della sua santità. Il Popolo cristiano ne era edificato e, come accade per gli autentici maestri di ogni tempo, vi riconosceva la luce della Verità. Vi riconosceva, in definitiva, ciò che si dovrebbe sempre riconoscere in un sacerdote: la voce del Buon Pastore.”
(Benedetto XVI, Udienza generale, 14 aprile 2010)
Se ci fossero stati dubbi (!) sulle ultime nomine papali, il neo card. Farrell, nominato a capo del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, ha dichiarato che l'”Amoris Laetitia” è “Magistero ispirato dallo Spirito Santo”; va interpretata nel senso indicato dal Papa nella famigerata lettera ai vescovi argentini; e non capisce i dubbi di molti vescovi. E ovviamente sostiene che il tutto è in perfetta continuità con l’insegnamento di GPII.
https://www.lifesitenews.com/news/popes-new-family-chief-amoris-laetitia-is-from-the-holy-spirit-opens-door-t
https://www.ncronline.org/news/vatican/new-cardinal-farrell-amoris-laetitia-holy-spirit-speaking
Se l’Amoris laetitia va interpretata nel senso indicato dai vescovi argentini (cioè: sì alla Comunione anche ai divorziati risposati che perseverano nella convivenza more uxorio) ed è “ispirata dallo Spirito Santo”, allora bisogna chiedere a Farrell se il Magistero autentico della Chiesa al riguardo, impartito recentemente da Giovanni Paolo II, sia anch’esso “ispirato dallo Spirito Santo”, visto che esso afferma ESATTAMENTE L’OPPOSTO: in NESSUN CASO Comunione ai divorziati risposati che perseverano nella convivenza more uxorio.
Forse che lo Spirito Santo possa contraddirsi, porsi in contrasto con sé stesso? Forse che lo Spirito Santo possa essere in continuià con sé stesso e anche contraddirsi?
La verità è che, a dispetto di quanto dice Farrell blandendo penosamente i gravi errori di Francesco
– il capitolo 8 di Amoris laetitia NON appartiene al Magistero autentico della Chiesa e NON è ispirato dallo Spirito Santo, come è reso manifesto dal fatto che esso contraddice il Magistero autentico della Chiesa
– chi concede l’assoluzione sacramentale e quindi la Comunione ai divorziati risposati che perseverano nella convivenza more uxorio commette un grave abuso e si pone contro il Magistero autentico della Chiesa, e quindi contro la volontà di Cristo misericordioso che nel Magistero autentico della Chiesa si esprime.
A beneficio dei fedeli disorientati (e ne hanno ormai ben donde!), ricordo che il Magistero autentico della Chiesa al riguardo lo si può conoscere NON leggendo Amoris laetitia, ma anzitutto seguendo il saggissimo e sempre più prezioso consiglio del cardinal Caffarra:
“Ai fedeli cattolici così confusi circa la dottrina della fede riguardo al matrimonio dico semplicemente: “leggete e meditate il Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 1601-1666. E quando sentite qualche discorso sul matrimonio, anche se fatto da sacerdoti, vescovi, cardinali, e verificate che non è conforme al Catechismo, non ascoltateli. Sono ciechi che conducono altri ciechi”
Nel dettaglio, il Magistero autentico della Chiesa a riguardo della Comunione ai divorziati risposati (il quale, in sintesi, ESCLUDE IN OGNI CASO dall’assoluzione sacramentale e dalla Comunione i divorziati risposati che perseverano nella convivenza more uxorio) si trova qua:
– Giovanni Paolo II, Esort. apost. “Familiaris consortio” (1981), n. 84
– Giovanni Paolo II, Esort. apost. “Reconciliatio et Poenitentia” (1984), n. 34
– Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, 14 settembre 1994
– Codice di Diritto Canonico, canone 915, secondo l’interpretazione autentica del Pontificio Consiglio per i testi legislativi (“Dichiarazione circa l’ammissibilità alla santa Comunione dei divorziati risposati”, 24 giugno 2000)
– Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1650
– Giovanni Paolo II, Lett. Enc. “Ecclesia de Eucharistia”, n. 37
– Benedetto XVI, Esort. apost. “Sacramentum caritatis” (2007), n. 29
Per difendersi dalla polpetta avvelenata che è il capitolo 8 di Amoris laetitia, oltre a considerare quanto indicato nel commento precedente, si può leggere con profitto il documento della Supplica filiale, nel quale il Magistero autentico della Chiesa al riguardo è presentato proprio rintuzzando punto per punto i principali errori di Amoris laetitia:
http://www.supplicafiliale.org/
Consiglio vivamente anche la lettura, molto istruttiva, di questo strumento preparato da don Morselli:
http://blog.messainlatino.it/2016/09/amoris-laetitia-survival-kit.html
A proposito di interpreti autorizzati dell’Amoris laetitia, l’esortazione apostolica di Francesco sulla famiglia.
E’ noto che Francesco ha indicato nel cardinale austriaco Schönborn l’interprete DOC dell’Amoris laetitia, ed è noto che il porporato austriaco ritiene 1) che Amoris laetitia sia il non plus ultra del Magistero al riguardo 2) che essa ammetta in certi casi alla Comunione i divorziati risposati conviventi more uxorio.
Per capire quanto il cardinale arcivescovo di Vienna sia rispettoso del Magistero della Chiesa sulla famiglia, è utile segnalare che sull’ultimo numero del bollettino della Cattedrale di Vienna, quel Duomo di Santo Stefano di cui Schönborn è titolare, è comparsa una “benedizione” in piena regola di una coppia omosessuale civilunita:
“Sull’ultimo numero del bollettino della Cattedrale di Vienna c’è un articolo sulle “nuove famiglie” dal titolo “We are family”. Il titolo è accompagnato dalla foto di due uomini e un bambino. Uno dei due uomini è Georg Urbanitsch, ex presentatore televisivo, che si è unito civilmente con Bernd Schlachter… hanno adottato proprio il bambino africano che si vede nell’immagine presente nella rivista della Cattedrale.
Urbanitsch ha firmato anche l’articolo e nello stesso possiamo leggere: “La famiglia Arcobaleno, Modern Family, la famiglia non convenzionale … ci sono molti titoli per il nostro bel nido di santuario. Ma non siamo così speciali, noi, vale a dire: papà Bernd, Papi Georg, e figlio Siya (…) Il nostro rituale della sera è sempre lo stesso. Leggiamo un libro, preghiamo, parliamo di ciò che è stato fatto di buono durante il giorno, e cantiamo la ninna nanna. Abbastanza spettacolare davvero”.
Davvero!
http://gwnblog.lanuovabq.it/il-bollettino-cattedrale-di-vienna-benedice-la-famiglia-gay/
…e intanto la CEI aderisce alla marcia radicale. Il family day no, la marcia sì.
http://www.radicali.it/20161019/giustizia-partito-radicale-cei-conferenza-episcopale-italiana-aderisce-alla-marcia-lamnisti
@PaulBratter
Notato la perla?
Si è trattata di una decisione maturata con il Segretario generale, Monsignor Nunzio Galatino; il presidente Bagnasco è stato informato e condivide le finalità dell’iniziativa.
Sarei curioso di vedere la faccia di Bagnasco.
Nel frattempo apprendiamo che non ci sarà mai un chiarimento papale sulla Amoris Laetitia:
http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/I-ragazzi-protagonisti-del-Sinodo—3.aspx
Il Consiglio della segreteria è l’organismo che più da vicino collabora col Papa anche nell’applicazione dell’esortazione postsinodale. Ritiene possibile un intervento formale che offra una specie di “interpretazione autentica” di alcuni punti delicati dell’Amoris laetitia, come quello sui divorziati risposati?
Non credo. Il Papa, quasi antevedendo questo tipo di richiesta, nell’Amoris laetitia ha ben spiegato che «non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi». Infatti dal momento che – come ha affermato il Sinodo – «il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi», occorre procedere con «un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolare».
Detto in altri termini:
http://www.osservatoreromano.va/it/news/risposte-aggiornate-famiglie-ferite
In Amoris laetitia, ha precisato padre Scannone, si tratta in primo luogo della fragilità delle «famiglie ferite», che hanno bisogno di una «risposta aggiornata» da parte della Chiesa in quanto «ospedale da campo». Inoltre, ha ricordato l’antico professore di Jorge Mario Bergoglio, il capitolo 8 riconosce, in linea con la costituzione Gaudium et spes e l’insegnamento tradizionale, «la dignità della coscienza morale come criterio ultimo di moralità de facto». E ha invitato a «saperla rispettare pastoralmente, e non pretendere di sostituirsi a essa, formandola». In effetti, ha osservato, la coscienza «anche se è soggettiva, fa parte della realtà fattuale e dell’obiettività storica». Da qui il bisogno, secondo padre Scannone, di un discernimento sia personale sia ecclesiale.
Ovvero: soggettivismo a go-go. Mica la Chiesa “docente” deve “formare” le coscienze!! E tutto in continuità con la tradizione.
E così prosegue l’attentato al Magistero della Chiesa da parte di Papa Bergoglio.
Bergoglio peraltro se ne infischiava del Magistero al riguardo già prima di partorire Amoris laetitia.
Da Papa:
http://www.lastampa.it/2014/04/23/vaticaninsider/ita/nel-mondo/una-telefonata-del-papa-e-si-riparla-della-comunione-ai-divorziati-z5ifnKBXd2OvYnRksxvjvK/pagina.html
e da arcivescovo di Buenos Aires:
http://qn.quotidiano.net/cronaca/2014/03/13/1038517-papa-francesco-bergoglio-padre-pepe.shtml
“Nelle villas la maggior parte delle persone non sono sposate, eppure voi date la comunione a tutti. Il cardinale [Bergoglio] lo sapeva?
«Certo che lo sapeva. L’America Latina è così. Facevamo ritiri spirituali per le coppie, conviventi e no, partecipava anche lui, e sapevamo che molte non erano sposate. Però col tempo la maggior parte di loro si sposavano».”
Segnalo questo pezzo decisamente interessante di Padre Scalese:
http://querculanus.blogspot.it/2016/10/nova-et-vetera.html
PS Scusate la petulanza, che ammetto :-)… Dall’altra parte si parlava di latino e mi chiedevo se l’ambiguità della AL si sarebbe presentata in latino… Di là la AL è off topic e ho obbedito. Qui è in topic 🙂 e riprendo il concetto, perché è affrontato – insieme ad altri aspetti – proprio da Padre Scalese:
Per fortuna, le esortazioni apostoliche non vengono piú pubblicate in latino, perché altrimenti i traduttori avrebbero dovuto rompersi la testa per rendere certi concetti: per “accogliere” se la sarebbero potuta facilmente cavare con accipere, excipere o recipere; per “accompagnare” avrebbero potuto usare comitare (o il rispettivo deponente comitari) oppure (pro)sequi o deducere; ma come tradurre “integrare”? Inutile cercare nei dizionari tradizionali (per i quali “integrare” è esclusivamente sinonimo di “completare”; e quindi lo traducono con complere); meglio rivolgersi a un dizionario di “neologismi” come, p. es., il Lexicon recentis Latinitatis (a cura dalla Fondazione “Latinitas”, LEV, 2003), che traduce “integrare”, nel senso moderno del termine, con inserere o, in senso riflessivo (“inserirsi”), con coniungi. Ma non si pensi che le cose vadano meglio con le lingue moderne: talvolta certe espressioni che in una lingua appaiono ovvie, non lo sono poi in un’altra.
La cosa qui si fa interessante, perché in tutte le letture papali, a me il senso di “integrare” come “inserire” non è mai venuto in mente come significato principale. Sarà deformazione professionale – ma attenzione, se il punto di Padre Scalese è valido, cioè di prestare attenzione al valore semantico che si dà alle parole, che potrebbe non essere più quello “classico”, allora la mia osservazione “moderna” potrebbe non essere peregrina – per me “integrare” vuol dire “far stare insieme, per mezzo di un espediente, due cose molto diverse che naturalmente non potrebbero farlo”.
Sicuri che non sia questo il senso da intendere? Due cose che non possono stare insieme sono l’Eucarestia e il peccato, lo stato di grazia e vivere una relazione illegittima, eccetera. Alla fine sarebbe pure questa una “tentazione protestante”, come da titolo di questo post: infatti p.es. è proprio il senso del termine “ecumenismo” così come è stato inventato dai protestanti: tante chiese tutte diverse tra loro, che formano la Chiesa Universale senza problema di contraddizioni.
Ma, veramente Fabrizio (al di là del preciso contesto) intendere “integrare” come:
“far stare insieme (per mezzo di un espediente) due cose molto diverse che naturalmente non potrebbero farlo” pare una forzatura neppure corrispondente al senso del termine.
Integrare semmai è riportare ad un “integro” che è un “intero”, ma anche qualcosa di perfettamente “unito”, cioè l’opposto di ciò che porta ad una “disintegrazione”, un “andare in mille pezzi”.
“Integrare” può anche essere inteso come portare a completezza qualcosa che era mancante… perfezionare.
Poi che vi siano “elementi” che per quanto ci si sforzi, non possono essere “integrati” in un tutt’uno o che non portano a perfezione un bel nulla, è palese.
@Bariom
Quello che dici è vero nel senso classico del termine. Ma Padre Scalese solleva il problema dei significati “alla moda”. In tecnologia, “integrare” vuol dire quello che ho scritto sopra. E sappiamo che, purtroppo, i tecnicismi hanno invaso il campo del pensiero, soppiantando il pensiero classico. D’altronde in politica “l’integrazione” è il multiculturalismo, ovvero la pretesa che possano stare insieme culture totalmente diverse. Quello che dici che “è palese”, non lo è più così tanto.
Già… 😐
@fabriziogiudici
Magari sbaglio, ma io mi fermerei al vocabolario
” Far entrare, incorporare un elemento nuovo (cosa o persona) in un insieme, in un tutto, così che ne costituisca parte integrante e si fonda con esso”
Nessun espediente, nessuna impossibilità naturale. Solo un po’ di lavoro in più
@PaulBratter
Amoroso scambio epistolare tra il partito radicale e i vertici della CEI, via Avvenire:
http://www.avvenire.it/Lettere/Pagine/Carceri-umane-e-ri-umanizzanti.aspx
A proposito di marcia radicale sì/ Family day no:
– visto che il plenipotenziario di fatto della CEI mons. Galantino si è adoperato in ogni modo per ostacolare i Family
Day
– visto che Galantino è e rimane plenipoteziario di fatto della CEI per volontà del Papa
– visto che il Papa sistematicamente non aiuta (eufemismo) i vescovi che pubblicamente si oppongono all’ideologia gender e alle sue implicazioni:
http://www.marcotosatti.com/2016/10/10/nuovi-cardinali-usa-belgio-scelte-in-una-sola-direzione-il-governo-ombra-del-papa/
non è ora, una volta per tutte, di sfatare la leggenda metropolitana secondo cui Francesco sia un ardimentoso, irriducibile avversario dell’ideologia gender?
La realtà è un’altra: il Papa tuona a più riprese contro l’ideologia gender, l’indottrinamento da “gioventù hitleriana”, la guerra mondiale portata alla famiglia, ma nei fatti promuove e favorisce l’operato di vescovi che non muovono un dito contro questa ideologia (anzi…), e intralcia chi si impegna vigorosamente contro di essa.
Sfatata dunque la leggenda metropolitana, faccio mie le domande di Tosatti:
“Ma come? Non c’era una guerra mondiale contro la famiglia? C’è un incendio, e mandiamo ad affrontare le fiamme persone che soffrono di fobia per l’acqua?
Un discorso assolutamente analogo può essere fatto per il nuovo cardinale di Bruxelles, De Kesel. Il suo predecessore è stato aggredito fisicamente, per la sua posizione contro il Gender, ma niente berretta. Anzi via di corsa allo scadere esatto del mandato.
De Kesel, che finora è noto soprattutto per aver distrutto una comunità sacerdotale fiorente di vocazioni e amata dalla gente, invece diventa subito cardinale.
Non so che risposte dare a un comportamento che può apparire doppio, o schizofrenico. Probabilmente ci sono ragioni profonde che nella mia semplicità mi sfuggono.”
“La realtà è un’altra: il Papa tuona a più riprese contro l’ideologia gender, l’indottrinamento da “gioventù hitleriana”, la guerra mondiale portata alla famiglia, ma nei fatti promuove e favorisce l’operato di vescovi che non muovono un dito contro questa ideologia (anzi…), e intralcia chi si impegna vigorosamente contro di essa. […] Non so che risposte dare a un comportamento che può apparire doppio, o schizofrenico. Probabilmente ci sono ragioni profonde che nella mia semplicità mi sfuggono.”
Ormai è da un po’ di tempo che alcuni leader di movimenti su temi non negoziabili – prendiamo Gandolfini, ma è solo un esempio – messi davanti a qualche domanda scomoda sugli atteggiamenti di Oltretevere – rispondono con “Papa Francesco ha cattivi consiglieri” che rivela tutto il loro imbarazzo.
Francamente non se ne può più: mi sento preso in giro da questa risposta. I “cattivi consiglieri” se li è scelti uno per uno e li ha imposti, alla faccia della sinodalità. E fa mettere a tacere – anche se poi non ci riesce – chiunque si oppone: gli episodi relativi al card. Sarah sono solo gli ultimi di una serie.
Capisco benissimo i problemi di Gandolfini & co nel porsi davanti alla platea di fedeli. Ma hanno un esempio: se i 45 esperti di teologia, poi gli 80 firmatari di http://supplicafiliale.org , hanno trovato un modo di esprimersi coraggioso e chiaro, rispettoso e non con un atteggiamento di contrapposizione, su temi teologici, allora credo che sia possibile e legittimo attendersi atteggiamenti parimenti coraggiosi e chiari, pur rispettosi eccetera, su temi di governo. Si dica chiaro e tondo come stanno le cose: perché non facendolo si contribuisce a creare ulteriore confusione nei fedeli, anziché ridurla. Rinunciare alla chiarezza per ottenere al massimo una photo opportunity con Francesco, per dare l’idea che Francesco approva il loro operato, mentre invece lo ostacola in mille modi, mi parte un magro risultato.