In buona Compagnia

 

di Joseph Ratzinger        Rimini 1990 

 […] La Chiesa non è soltanto il piccolo gruppo degli attivisti che si trovano insieme in un certo luogo per dare avvio ad una vita comunitaria. La Chiesa non è nemmeno semplicemente la grande schiera di coloro che alla domenica si radunano insieme per celebrare l’Eucarestia. E infine, la Chiesa è anche di più che Papa, vescovi e preti, di coloro che sono investiti del ministero sacramentale.

Tutti costoro che abbiamo nominato fanno parte della Chiesa, ma il raggio della compagnia in cui entriamo mediante la fede, va più in là, va persino al di là della morte. Di essa fanno parte tutti i Santi, a partire da Abele e da Abramo e da tutti i testimoni della speranza di cui racconta l’Antico Testamento, passando attraverso Maria, la Madre del Signore, e i suoi apostoli, attraverso Thomas Becket e Tommaso Moro, per giungere fino a Massimiliano Kolbe, a Edith Stein, a Piergiorgio Frassati. Di essa fanno parte tutti gli sconosciuti e i non nominati, la cui fede nessuno conobbe tranne Dio; di essa fanno parte gli uomini di tutti i luoghi e tutti i tempi, il cui cuore si protende sperando e amando verso Cristo, “l’autore e perfezionatore della fede”, come lo chiama la lettera agli Ebrei (12,2).

Non sono le maggioranze occasionali che si formano qui o là nella Chiesa a decidere il suo e il nostro cammino. Essi, i Santi, sono la vera, determinante maggioranza secondo la quale noi ci orientiamo. Ad essa noi ci atteniamo! Essi traducono il divino nell’umano, l’eterno nel tempo. Essi sono i nostri maestri di umanità, che non ci abbandonano nemmeno nel dolore e nella solitudine, anzi anche nell’ora della morte camminano al nostro fianco.

Qui noi tocchiamo qualcosa di molto importante. Una visione del mondo che non può dare un senso anche al dolore e renderlo prezioso non serve a niente. Essa fallisce proprio là dove fa la sua comparsa la questione decisiva dell’esistenza. Coloro che sul dolore non hanno nient’altro da dire se non che si deve combatterlo, ci ingannano. Certamente bisogna fare di tutto per alleviare il dolore di tanti innocenti e per limitare la sofferenza. Ma una vita umana senza dolore non c’è, e chi non è capace di accettare il dolore, si sottrae a quelle purificazioni che sole ci fanno diventar maturi. Nella comunione con Cristo il dolore diventa pieno di significato, non solo per me stesso, come processo di ablatio, in cui Dio toglie da me le scorie che oscurano la sua immagine, ma anche al di là di me stesso esso è utile per il tutto, cosicché noi tutti possiamo dire con San Paolo: “Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo Corpo che è la Chiesa” (Col 1,24) […]. La vita va più in là della nostra esistenza biologica. Dove non c’è più motivo per cui vale la pena morire, là anche la vita non val più la pena. Dove la fede ci ha aperto lo sguardo e ci ha reso il cuore più grande, ecco che qui acquista tutta la sua forza di illuminazione anche quest’altra frase di San Paolo: “Nessuno di noi vive per se stesso, e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore” (Rom 14,7-8). Quanto più noi siamo radicati nella compagnia con Gesù Cristo e con tutti coloro che a Lui appartengono, tanto più la nostra vita sarà sostenuta da quella irradiante fiducia cui ancora una volta San Paolo ha dato espressione: “Di questo io sono certo: né morte né vita, né angeli né potestà, né presente né futuro, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù nostro Signore” (Rom 8,38-39).

(Joseph Ratzinger, Meeting di Rimini 1990)

QUI  versione integrale dell’intervento

 

14 pensieri su “In buona Compagnia

    1. Fabrizio Giudici

      Cosa _non_ abbiamo fatto. E mi ci metto per primo. Ci siamo lasciati abbindolare dalle parole false del post-concilio e non abbiamo preso a pedate, e fatto cacciare a pedate, tutti gli infidi eretici con la faccia d’agnello che si sono infilati subdolamente nelle nostre fila. E questa è la punizione divina. E molti ancora fanno finta di non capire, di non vedere.

      1. Il Papista

        Se così fosse (ma non è così come dici tu) la colpa sarebbe innanzitutto dei pontefici che hanno guidato la chiesa negli ultimi anni, e in special modo San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Sarebbe loro la primaria responsabilità della decadenza che tu vedi. E non avrebbero alcuna scusa, perché loro compito primarioè “pascere il gregge di Cristo”.
        in realtà non è così: questi santi uomini hanno guidato la chiesa di Cristo nel modo migliore, tra mille pericoli e difficoltà, ed ogni fedele cattolico che con coscienza a loro obbedito ora e a loro grato. Così come ora obbedisce al loro successore, e ancor più successore di Pietro, il pontefice Francesco. Così ho imparato dal catechismo di Pio X.

        Come diceva lo stesso papa:

        “E come si deve amarlo il Papa? Non verbo neque lingua, sed opere et veritate. Quando si ama una persona si cerca di uniformarsi in tutto ai suoi pensieri, di eseguirne i voleri, di interpretarne i desideri. E se nostro Signor Gesù Cristo diceva di sè: si quis diligit me, sermonem meum servabit, così per dimostrare il nostro amore al Papa è necessario ubbidirgli.

        Perciò quando si ama il Papa, non si fanno discussioni intorno a quello che Egli dispone od esige, o fin dove debba giungere l’obbedienza, ed in quali cose si debba obbedire; quando si ama il Papa, non si dice che non ha parlato abbastanza chiaro, quasi che Egli fosse obbligato di ripetere all’orecchio d’ognuno quella volontà chiaramente espressa tante volte non solo a voce, ma con lettere ed altri pubblici documenti; non si mettono in dubbio i suoi ordini, adducendo il facile pretesto di chi non vuole ubbidire, che non è il Papa che comanda, ma quelli che lo circondano; non si limita il campo in cui Egli possa e debba esercitare la sua autorità; non si antepone alla autorità del Papa quella di altre persone per quanto dotte che dissentano dal Papa, le quali se sono dotte non sono sante, perchè chi è santo non può dissentire dal Papa.

        È questo lo sfogo di un cuore addolorato, che con profonda amarezza faccio non per voi, diletti confratelli, ma con voi per deplorare la condotta di tanti preti, che non solo si permettono discutere e sindacare i voleri del Papa, ma non si vergognano di arrivare alle impudenti e sfacciate disubbidienze con tanto scandalo dei buoni e con tanta rovina delle anime.”

        DISCORSO DEL SANTO PADRE PIO X AI SACERDOTI DELL’UNIONE APOSTOLICA IN OCCASIONE DEL CINQUANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE

        Lunedì, 18 novembre 1912
        https://w2.vatican.va/content/pius-x/it/speeches/documents/hf_p-x_spe_19121118_unione-apostolica.html

        C’è sempre da imparare ascoltando la voce di tutti i nostri Santi e Amati pontefici
        in Pace

  1. “Una visione del mondo che non può dare un senso anche al dolore e renderlo prezioso non serve a niente.”

    Il dolore, credo, può, avere senso solo per allenare la forza di sopportarlo senza piagnucolare.
    In questo senso può essere anche “prezioso” (se vogliamo proprio adoprare questo vocabolo)
    Tutto il resto è magìa (come nel film “un uomo chiamato cavallo”, per esempio).

  2. Capiamo tutti il significato: “venga il tuo Regno= venga la tua Chiesa.

    Ed e’ un Regno Eterno.

    Peccato che oggi troppe “canne sbattute dal vento” promuovano “sette” dicasi con “charisma” invece di servire/aiutare fedelmnete la Chiesa a diventare Universale come da profezia in via di realizzazione:

    “Vieni Spirito Santo e rinnova la la Faccia della Terra e il Cuore degli Uomni”.

    Cordiali saluti, Paul

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