Cara Costanza non sono d’accordo con te (e forse neanche Origene)

2015-11-07_111042

di Giovanni Marcotullio

Cara Costanza,

mi rubo finalmente, e volentieri, qualche minuto per riflettere con te di questa storia delle “due visioni di Chiesa”, su cui hai voluto confrontarti dopo la pubblicazione del tuo post in merito. Quel giorno lessi le tue complesse considerazioni e le condivisi sul mio profilo Facebook, chiosandole così: «Quanto alla tua domanda finale, mi ricordi – e ti ricordo – che il buon vecchio Origene, il quale di suo era piuttosto incline al rigore, imparò pian piano che c’è salvezza anche per chi vive una fede non tematizzata, non impugnata, al limite perfino blanda. “Simpliciores”, li chiamano le traduzioni latine dei suoi testi: sono quelli che accolgono l’annuncio cristiano ma non ne vengono permeati che “fino a un certo punto”. Sono dei comuni “cristiani della domenica”, che per il resto pensano grossomodo come il mondo e neanche lo sanno, e se glie lo fai notare neanche sono in grado di capirlo (ché poi la differenza tra “noi” e loro, se c’è, sta tutta qua, perché a peccati stiamo messi allo stesso modo).

In un certo senso accettare questa cosa può sembrare annacquare la fede e la proposta evangelica; d’altro canto, però, fu questo uno dei punti che portarono Origene a sconfiggere gli gnostici. E quello dell’elitarismo gnosticheggiante è un rischio che da certe nostre parti si corre, almeno talvolta». Il tuo post lasciava infatti quest’ultima considerazione: «Io personalmente mi permetto di chiudere solo con una domanda: se la linea che dovesse prevalere fosse quella di accompagnare sempre tutti nell’errore, con la buonissima intenzione di farci sentire amati, non ci sarebbe precluso un altro livello di vita, una vita in Cristo? Non sarebbe come dire a un bambino: no, questo non lo puoi fare, fai un gioco più semplice, un puzzle con meno pezzi, un videogioco di livello più elementare? Non ci sarebbe tolta una bellezza più alta un’appartenenza più totale, una vita diversa che non è più quella dell’uomo vecchio, che vede il bene ma fa il male come dice san Paolo? Non ci sarebbe negato l’annuncio che può salvarci, la vera buona notizia?».

Ecco, per questa bella inquietudine mi piaci e ti voglio bene: mi fa tenerezza la tua aspirazione alla perfezione, che talvolta mi ha perfino permesso di azzardarti qualche correzione fraterna; mi viene da sorridere al pensiero che il duro stigma di tuo figlio per le tue massime montessoriane – «va’ a fare qualcosa che non ti piace: soffrire tempra il carattere» – abbia la sua radice in questa inquietudine. Per questo mi ha commosso il tuo chiedermi, quasi come regalo di compleanno, di tornare insieme a ragionare su questa storia delle due visioni di Chiesa. Così ti ho chiesto di prestarmi il libro di cui parlavi nel post [Matrimonio e famiglia – Chiesa al bivio” di Stefano Fontana n.d.r.], perché dicevi di dovere a quelle pagine una distinzione “illuminante” e io non avevo avuto modo di trovarmelo tra le mani – anzi, neppure sapevo di una collana de “I libri della Bussola” (mea culpa).

Così ho letto il libro di Fontana, che non ho il piacere di conoscere, e ci ho trovato dentro tante pagine piene di utilissimi promemoria, di obiezioni ficcanti, di argomenti che risultavano dalla sintesi di una teologia rigorosa e buona. Davvero, a leggere quelle pagine viene da ringraziare la Bussola per questa proposta editoriale. Capirai quindi quanto mi sia dispiaciuto restare perplesso, e purtroppo non poco, sui due capitoli centrali (il quarto e il quinto): la distinzione tra le “due opposte scuole di pensiero teologico” si presenta tanto perentoria quanto semplicistica nella sua schematizzazione. Forse sta qui il grosso limite di questi due capitoli: sono semplicistici ma al contempo perentorî. Ad esempio, quando Fontana dice che «la prima corrente potremmo chiamarla rahneriana» si rende conto di star mettendo sotto un’unica bandiera voci estremamente disomogenee tra loro (e non so se i tuoi figli gradiscano il gorgonzola a colazione, invece dello yogurt, perché “tanto derivano entrambi dal latte”). Fontana allora si trova costretto ad avvertire: «Il riferimento a Karl Rahner è senz’altro non esaustivo. Infatti rientrano in questa corrente teologi diversi tra loro e scuole di vario pensiero. Però, alla fine, tutti si rifanno più o meno alla svolta che Karl Rahner ha impresso alla teologia cattolica». Giusto, corretto. Solo un’osservazione: se non si può essere più precisi e dettagliati, su materie che di dettaglio e di precisione hanno un bisogno vitale, allora non si dedica a questo punto il cardine del libro in oggetto (due capitoli su sette, venti pagine su sessantasei!). Diversamente, il rischio è che la semplificazione sfiori il rango di caricatura, e che il proposito stesso del libro si trovi pericolosamente compromesso. “Sapere per capire”, suona il motto della collana. Benissimo, ma serve anche il reciproco – capire per sapere – e se la materia è difficile bisognerà mettere in conto un po’ di pazienza e accettare che non ci si possa formare un’opinione equilibrata in dieci minuti, e neanche in un’ora o in una giornata. La teologia, quando è fatta bene (questo esclude seccamente ogni sorta di Mancuso), è una scienza delicata che richiede molto esprit de finesse e anche un pizzico di esprit de géométrie.220px-Karl_Rahner_by_Letizia_Mancino_Cremer

Adesso una premessa personale: io non amo particolarmente Rahner. Soprattutto per il suo essere involuto nel linguaggio e cervellotico nella speculazione. Se potessi dedicarmi a conoscere a fondo un teologo del Novecento, questo sarebbe De Lubac; se potessi conoscerne due, sarebbero De Lubac e Ratzinger; se potessi conoscerne tre sarebbero De Lubac, Ratzinger e Von Balthasar. Dico questo per chiarire che, per le mie inclinazioni intellettuali (diciamo così) e per i miei gusti spirituali, Rahner non rientra neanche sul podio. Ciò detto – e spero di aver così sgombrato il campo da sospetti di apologia – non è accettabile una presentazione che riduca Rahner al vaso di Pandora, non più di quanto lo siano quelle che cercano di individuarlo in Agostino (il mio amatissimo) o nella Seconda Scolastica o nella Manualistica romana. Questa è tutta gente che ha passato la vita a pensare la fede cristiana, fede che viveva (come poteva), e lo ha fatto con grande scienza e profonda coscienza: sono giganti, quando ci accostiamo a loro il minimo che ci si chiede è che mostriamo un po’ di deferenza. La fretta di arrivare a una sintesi, a un’opinione da ripropinare al prossimo «opportune et importune», l’ansia di trovarsi in un gruppo “a posto” sono dinamiche tipiche di ogni agglomerato umano, e sappiamo bene che la Chiesa, a ogni livello, non fa eccezione. Calma e gesso. Ultima premessa (e poi vado al punto, promesso): benché al libro di Fontana io porti questa critica radicale, non per questo intendo entrare in polemica con lui. Parliamo di Chiesa e di teologia, non di “quello ha scritto, invece io vi dico”.

Quando parliamo di Chiesa è giusto e importante ricordare due dati: da un lato che, dal Pentateuco alla Didaché, il popolo di Dio (dell’antica e della nuova alleanza) ha sempre riconosciuto il principio delle “due vie”. Dio pone davanti all’uomo la scelta, e la libertà si esercita unicamente tra due vie: la vita e la morte, la salvezza e la perdizione, il paradiso e l’inferno. Anche quando si parla di “opzione fondamentale”, almeno quando se ne parla correttamente, non si intende che ci sarebbero delle scappatoie al principio delle due vie, ma appunto che ogni nostra scelta quotidiana va a rafforzare una scelta di fondo (l’opzione fondamentale) o a eroderla fino a convertirla nel suo contrario: è un sistema binario, non si scappa. Il secondo dato che va ricordato, invece, è che tra questo principio e “la fine di tutte le cose”, che poi è “Il Fine di tutte le cose”, Dio stesso, in mezzo ci siamo noi – con tutto quel ginepraio di contraddizioni che siamo e che Dio ha amato e redento, ama e redime ogni giorno. Per questo Gesù va da Zaccheo e chiama Levi prima che questi esprimano il proposito di mutare vita, “non-condanna” l’adultera prima di raccomandarle di non peccare più, chiama Pietro “Satana” un attimo dopo avergli riconosciuto (perché veniva dal Padre) e conferito (perché il Figlio agisce col Padre) il primato apostolico. Perché siamo così, e tu come ogni mamma sai bene che i capriccetti di un bambino non negano la sua devozione totale al genitore, ma anzi ti muovono a una compassione inaspettata, di cui tu stessa ti sei sorpresa ogni volta. Figurati Dio, che per esprimere la sua compassione ha ispirato ai profeti proprio quel verbo che dice la commozione a partire dal fremito delle viscere materne (sia in ebraico sia in greco).

Qui sta l’osservazione fondamentale di Rahner, la quale prende le mosse dalla “rivoluzione copernicana” che portò Kant a riformulare il concetto di “trascendentale”, e si corrobora con l’antropologia “esistenziale” di Heidegger. Chiedo scusa ai non addetti, ma si tratta di un passaggio necessario: spesso si parla di teologia rahneriana come di “teologia esistenziale”, e con questo si intenderebbe che «Cristo lo si incontra negli altri, vivendo i problemi senza la pretesa di avere risposte. La fede consiste in un camminare in ricerca, nel dialogo e nell’accompagnamento accogliente di tutti, in una pastorale che non può essere vincolata da una dottrina, ma che è essa stessa fonte di verità rivelata. Il dialogo con il mondo diventa quindi sostanza, mentre i contenuti dottrinali diventano accidenti» (prendo a prestito la sintesi di Fontana, a p. 31 del libro, per praticità). Tutto questo è forse “parateologia fricchettona”, ma non ha niente a che vedere con Rahner – almeno per quel poco che ne capisco io* – né con l’“esistenziale”. “Esistenziali” sono stati a modo loro i nominalisti medievali, a modo suo lo è stato Kierkegaard, a modo suo lo è stato Heidegger, a modo suo Sartre e a modo suo anche Rahner. Anche Kiko Argüello, che nessuno vorrà tacciare di relativismo, si dice “filosofo esistenzialista”. Chiedeteglielo.

“Esistenziale”, in realtà, non vuole intendersi come contrapposto a “metafisico”, perché il tentativo di Heidegger (cui Rahner deve forse di più, e che comunque criticava egli stesso la versione teologica del proprio pensiero – che a sua volta aveva ampiamente saccheggiato la teologia cattolica), tentativo incompiuto, fu proprio quello di costruire un’antropologia veramente metafisica, cioè che non considerasse l’uomo come ente intramondano, come un oggetto tra gli altri, ma come colui che solo pone la domanda sull’Essere, e che la pone nel suo essere-gettato nel mondo e che la pone svolgendosi nel tempo. Heidegger criticava la versione teologica del suo pensiero, ossia quella sviluppata da Rahner, perché a suo dire la teologia non poteva arrogarsi la qualifica di “metafisica”, e non poteva in quanto studiava un oggetto, e quell’oggetto era Dio. Paradossalmente, Heidegger si trovava nella critica a Rahner più vicino di quanto non volesse a quell’impostazione teologica che ha prodotto documenti come la Pascendi di S. Pio X (che aveva pure le sue buone ragioni e che il filosofo di Freiburg definì “un’insalata italiana che vorrebbero metterci in testa al posto del cervello”). Rahner però era abbastanza sicuro che la “svolta metafisica” di Heidegger – cioè quella che rifiuta di considerare l’Essere alla stregua di un ente e che addirittura arriva a chiamarlo il “ni-ente” – dicesse qualcosa della natura di Dio, il quale pur entrando nella storia e rivelandosi in ogni suo punto «per chi lo cerca» (dice il Salmista) ne resta infinitamente altro. Infinitamente trascendente, dunque, tutt’altro che “meramente storico”. Come già Agostino e tutti quelli che della Verità hanno fatto esperienza («novit eam, qui novit veritatem»), Rahner riteneva che Dio fosse “valde aliud”, assolutamente altra cosa rispetto a tutto quanto conosciamo, eppure “intimior intimo meo”, più intimo a me di me stesso. Com’è possibile? Perché l’esperienza religiosa, quella per cui l’uomo entra in contatto con Dio, è la scoperta che “quello di cui avevi veramente bisogno” – e ce ne avevi più di quanto osassi ammettere – proprio quello esiste veramente, esiste in sé e ti si offre. Che obiezione è, davanti a questa scoperta, “ma così, quindi, tu Dio non lo conosci in Sé, bensì solo per te”? Scusa, Costanza, tu Guido lo conosci “in sé”, oppure a partire dal vostro incontro, dal vostro innamoramento, dalle litigate che avete fatto e dalla tenerezza che ti ha dimostrato, cioè dalla vostra storia? Eppure Guido una storia prima di te ce l’ha (perché non ti ha pensata da sempre), e in parte ne ha pure una senza di te (perché, chiedo conferma all’interessato, temo che ci sia qualche momento in cui si concentra su altro). Dio si rivela invece come uno che da sempre ti pensa, che da sempre ti vuole con Sé e per questo ha eternamente sognato l’Incarnazione, l’Immacolata concezione, i miracoli, la Croce e la risurrezione, tutto fino al cielo che si riavvolge come un rotolo nell’Apocalisse – tutto questo Dio l’ha pensato per te, e l’ha voluto nonostante la prescienza dei tuoi tradimenti, dei tuoi peccati, delle tue ostinazioni nel non volerLo. Che vuol dire “conoscere in Sé Dio”? Sapere che è Trinità? Ma certo che lo sappiamo: ce l’ha detto! Ma mica per questo possiamo vivisezionarlo! O che significa “conoscerLo in Sé”? Che cosa tu conosci “in sé”? Ma neanche un giocattolo di tuo figlio, perché neanche in un momento della sua esistenza quell’oggetto è una cosa in sé: già da sempre è stata pensato, progettato, realizzato e messo in commercio perché un adulto lo comprasse per un bambino. Questo è ciò che c’è da saperne, oltre al fatto che magari è un giocattolo carissimo a tuo figlio per dei motivi che sapete voi o che non sa nessuno – semplicemente è così. Che cosa conosci “in sé”, allora? Forse una pietra, un albero, un mare, cose che non hai pensato e fatto, cose che non hai ancora in mente di utilizzare, e su cui non hai ancora steso i tentacoli del tuo “per me”. Ma è questa la conoscenza di Dio che dovremmo auspicare e augurarci? C’è di più, anzi, e qui torna l’utilità teologica del trascendentale kantiano: quando noi ci poniamo la domanda su Dio non in una situazione analoga a quando ci poniamo la domanda sul sasso o sul ruscello, né in una simile a quando ci interroghiamo sul gioco dei nostri figli; quando ci poniamo la domanda su Dio noi siamo il gioco stesso – che curiosamente pensava, si poneva la domanda sul proprio essere ed era arrivato a sospettare di essere un vile pezzo di plastica destinato al cieco mercato – il gioco che si pone la domanda su di sé, su chi l’ha fatto e perché… e gli viene rivelato all’improvviso che chi l’ha fatto non l’ha pensato per venderlo, ma per regalarlo a suo Figlio, il quale anzi è sceso dal balcone nel giardino in cui era caduto, lo ha lavato ripulendolo dal fango di cui s’era inzaccherato, lo ha riempito del suo profumo e se lo stringe a sé, perché in quel gioco il Figlio vede l’Amore del Padre e quello stesso Amore, per amare il Padre, il Figlio lo riversa sul gioco.

Ecco la nostra situazione, ed ecco perché Rahner si pone questa domanda, carica di stupore: come siamo fatti, noi che siamo capaci di sentire la Parola di Dio che ci si rivela? Com’è che fino a ieri abbiamo vissuto con un’indecifrabile nostalgia ma senza chiederci niente su Dio… e oggi invece il pensiero di Dio è diventato il nostro elemento, fuori dal quale stiamo male come un pesce muore fuori dall’acqua? Per questo Rahner elabora la cosiddetta “svolta antropologica”: non perché Dio venga messo fuori causa, ma perché in ogni angolo del nostro essere deve trovarsi il Suo nome, che è il nostro destino. Cosa ci sia di relativistico o di lassista in un’impostazione del genere io non lo so, a me sembra una lettura attenta ed espressiva della fede cristiana come tutte le generazioni l’hanno vissuta: Rahner ritiene, sì, che il tempo presente ci chieda qualcosa di peculiare. È vero, ma non si tratta del cedimento alle istanze radicali, tutt’altro: Rahner ci chiede di diventare mistici. «Il cristiano di domani – è una sua famosa citazione – sarà un mistico o non sarà» è quanto di più lontano si possa immaginare da “sarà fricchettone o non sarà”: sarà uno che «cerca e trova Dio in ogni cosa» («perché Dio cerca tali adoratori»), oppure sarà assorbito dal mondo. Rahner vede il fricchettone che avanza esattamente come Origene vedeva lo gnostico: per non soccombere, l’unica possibilità è nutrirsi della radice dell’esperienza cristiana, senza entrare nel campo del nemico né sottostare alle sue logiche.

Benissimo, si dirà, e quindi «non si deve dialogare». Calma, niente fretta: il dialogo non è il campo del nemico – lo gnostico e il fricchettone fanno sofismi – si tratta “solo” (direbbero Socrate e Platone) di essere “più filosofi” di loro, perché noi la cerchiamo veramente, e onestamente la Sapienza, e siamo convinti che anche loro siano stati fatti per essere donati al Figlio. Ecco la buona notizia che abbiamo per loro: ancora non lo sanno, ma sono stati fatti per Gesù Cristo. E se di Cristo abbiamo vera esperienza non possiamo evangelizzare col tono di chi dice “ancora non lo sai, ma tu devi vivere come dico io”. Fidarsi di Dio significa anche essere disposti a rischiare con gli uomini: quando Cristo andò da Zaccheo, dicevo prima, avrà sperato (e intimamente saputo, certo, perché era Dio) che alla fine del pranzo Zaccheo dicesse qualcosa di importante, ma non si sarà rovinato la lettura della storia, Gesù, col pensiero rivolto al finale. Il Vangelo di Luca, con grave quotidiana solennità, dice che Gesù «cresceva in età, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini». Noi la liquidiamo un po’ superficialmente, quest’abissale annotazione sull’ambientazione della natura umana di Cristo con la natura divina della persona del Figlio: Gesù crebbe non solo in età (cosa più o meno accettabile), non solo in sapienza (cosa già più difficile, perché sappiamo e crediamo che Egli stesso era già da sempre la Sapienza in persona), ma perfino “in grazia”. «Imparò l’obbedienza – dice la lettera agli Ebrei – dalle cose che patì, e, reso perfetto, divenne causa di salvezza per le moltitudini». Questa è la via di Cristo, fatta di gradualità, e ci illudiamo che la nostra sia fatta d’altro che di “piccoli passi possibili”?

Su questa cosa dobbiamo essere più serî di quanto siamo: con la sistematizzazione teologica in entità sostanziali ci imbuchiamo talvolta in vicoli ciechi sterili, sterili perché risultano tautologici, ovvero non ci dicono nulla più delle premesse – è il segno di una teologia che non funziona, è come un motore ingolfato: il carburante è nel motore ma in un modo che produce l’opposto di ciò che ci si aspetterebbe. Ad esempio: che cos’è il battesimo? È la porta della salvezza, è il sacramento della fede, è la remissione di tutti i peccati personali e del peccato originale (chi l’ha detto che Rahner non crede nel peccato dei progenitori?!), che lascia nell’uomo unicamente il fomes peccati, cioè la concupiscenza, che «non è peccato, ma dal peccato viene e al peccato inclina» (Conc. Trento). Benissimo, ho studiato. Si vede? Ora, con questa legna ci vogliamo accendere il fuoco o ce la vogliamo guardare nella legnaia?

Ti domando: una volta che sei stata battezzata, sei sicura di andare in Paradiso? «Se muoio subito», mi risponderai, perché «in renatis Deus nihil odit». Perfetto, ma così sembra che quasi dobbiamo augurarci di morire subito, e per una fede che nasce da una “buona notizia” la cosa sarebbe un tantino paradossale. Certo che non sei sicura di andare in paradiso, anche se sei battezzata, anche se hai il libretto sacramentario compilato e aggiornato. Se esci dal confessionale e (Dio non voglia) un infarto ti stronca, sei sicura di andare in paradiso? Certo che no, non lo sei, non potresti e non dovresti esserlo: «Se qualcuno presumerà della propria virtù – è sempre il Tridentino –, sia anatema». La fede non serve per darti un’assicurazione sull’eternità, ma la sicura speranza di essere votata a un destino di felicità. «La speranza poi non delude – ti direbbe il tuo amico Paolo – perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori». Perché ogni volta che battezziamo qualcuno la Chiesa ci ammonisce per bocca del sacerdote ad “alimentare sempre” la fiamma pasquale che in quell’occasione viene simbolicamente (cioè sacramentalmente) consegnata? Forse che il fuoco di Dio può estinguersi? Certo che no, il punto è semmai che «se Lui era il fuoco – cantava De Andrè in una splendida cover di Cohen – lei doveva essere il legno». E anche se siamo stati “ontologicamente” redenti e santificati, tutti facciamo l’esperienza di tornare a bagnare e a far marcire “la legna” che siamo. Com’è? Dice bugie la dottrina della Chiesa? O magari dobbiamo capirla un po’ più a fondo? Perché i matrimonî falliscono, talvolta? Erano tutti nulli? No: come ricordi tu, la Chiesa non ci tratta da cretini che non riescono a fare le cose per bene. Molti matrimonî putativi sono intimamente nulli, sì (ma godono del favore del diritto «donec aliter demonstretur»); la Chiesa, però, “esperta in umanità”, sa pure che anche le cose buone si possono corrompere, anzi raccoglie e suggella l’adagio classico “corruptio optimi pessima” proprio per l’aver visto molte cose e persone promettenti corrompersi e marcire. Anche matrimonî avviati con le migliori premesse e celebrati con tutti i crismi possono deteriorarsi, fallire e distruggersi (altrimenti il Diritto canonico neppure contemplerebbe la possibilità della separazione). Perché? Ma perché il matrimonio, come il “sacramento grande” di cui Paolo parla agli Efesini, è un ponte posto da Dio che però tu devi percorrere, non è mica magia bianca: sei classicista e avrai riflettuto ogni giorno della tua vita sul senso di quell’“in unam carnem”, che traduce fedelmente il greco del Nuovo Testamento e l’ebraico dell’Antico, che Gesù cita (forse in aramaico). È un complemento di moto a luogo, non di stato in luogo: così è l’unità che Dio ha donato a te e a tuo marito, a mia moglie e a me. È più grande di ogni desiderio e di ogni merito, superiore a tutti gli sforzi e a tutti i sacrificî, ma chiede al tuo desiderio di diventare merito ogni giorno, anche a costo di sacrificio e qualche volta di sforzo. Due sposi vengono uniti e resi capaci di unirsi sempre di più «ut perfectio fiat», diceva l’intraducibile Ambrogio nel De mysteriis: ciò che c’è già – la vostra intima unione per la vostra salvezza – questo dovete realizzarlo e incrementarlo ogni giorno.

E se non lo si fa? Ovvio, si va di male in peggio invece che di bene in meglio (la storia delle due vie che dicevo all’inizio). Il sacramento non agisce senza di noi, né (tanto meno) contro di noi: ciò che Dio garantisce, con un sacramento, è che resterà sempre pronta, come la fiamma pilota in una caldaia spenta, la possibilità di ripartire. Talvolta viene deteriorata la possibilità umana di fare questo, può venir meno la volontà di uno o di entrambi i coniugi, può dissiparsi anche la stessa fede fiduciale: che si fa allora? Mi pare chiaro che se in un uomo o in una donna è venuta meno la fede (in senso teologale) non è l’adulterio il suo più grande peccato: staccato da Dio nessuno è più capace di fare il bene, neanche la più piccola azione davvero virtuosa. In quel caso si può solo (e si deve molto) pregare per quella persona, perché la sua volontà è indebolita e il suo intelletto obnubliato. Se invece la fede non è venuta meno, quella persona sa bene che il suo matrimonio, se è valido, è uno e uno solo, sa che ogni altra unione sarà un adulterio che porterà disordine nella sua vita e confusione nella sua mente. Se la fede non è venuta meno e ha delle ragioni di ritenere che il matrimonio fosse invalido, ha gli strumenti messi a disposizione dalla Chiesa per fare una verifica ed, eventualmente, per riparare lo sbaglio commesso.

Tutto qua, è la dottrina di sempre, che non è stata scalfita dal Sinodo (anzi, non può che uscire rafforzata dall’esortazione, specie a partire dalla Relatio). Non è ingenuo ottimismo, credimi Costanza: quella che certa stampa vorrebbe farci passare come l’opinio communis dell’episcopato mondiale è in realtà la sciagurata opinione di pochi cattivi pastori di Chiese secolarizzate. Per i quali occorre pregare molto: ho già detto altrove che l’impudenza con cui alcuni vescovi (di terre una volta feconde nella fede e ora desertificate) hanno parlato dei prelati di Chiese giovani e forti, vigorosamente schierate a difesa della dottrina che le vivifica, è vergognosa.

La dottrina non cambierà, Costanza, e neanche la prassi, perché anche la dicotomia tra teologia e pastorale è manichea e non serve al bene della Chiesa. Quelli che dicono diversamente sono gli estremisti dell’una o dell’altra fazione (per le quali solo, e davvero, si può parlare di “due visioni di Chiesa”). Tra questi poli opposti – direi “fricchettoni” e “piagnoni”, più che rahneriani e ontologisti (Rahner e la metafisica sono cose serie) – si apre un ampio, complesso e variegato panorama in cui vige un legittimo e sano pluralismo teologico (perlomeno così la pensava Ratzinger quando scrisse l’istruzione Donum veritatis).

Chiedo scusa se mi sono lasciato prendere un po’ la mano ma, come vedi, la materia è complessa, né pretendo di averla esaurita. Una cosa devo confessarla: riprendere in mano Rahner prima di mettermi a stilare questa risposta mi ha dato grande piacere, per quanto abbia richiesto il consueto sforzo di far girare i neuroni a frequenze più alte del solito. Nondimeno, neppure ora direi che il gesuita di Freiburg mi piaccia più di prima; solo che ho sperimentato una volta di più il grande piacere che dà l’accostarsi a un vero teologo. Mi piace sperare di aver incoraggiato qualcuno, con questa pagina, a superare certe semplificazioni, buone al più per dividersi in curva nord e curva sud: quando due discepoli di Cristo si incontrano e si confrontano su come agisce nelle loro vite il Signore che dà la vita è sempre una festa, anche se le sensibilità restano diverse.

Nelle cose necessarie unità – diceva Agostino – in quelle dubbie libertà, in tutte carità.

Ti abbraccio

Giovanni

*: per chi fosse interessato a una presentazione positiva (senza un minimo di simpatia non si capisce niente e nessuno) ma non acritica del pensiero rahneriano e del suo lascito teologico propongo I. Sanna (ed.), L’eredità teologica di Karl Rahner (Ignazio Sanna, ora vescovo di Oristano,  studioso di Rahner da decennî).

198 pensieri su “Cara Costanza non sono d’accordo con te (e forse neanche Origene)

  1. «Quando due discepoli di Cristo si incontrano e si confrontano su come agisce nelle loro vite il Signore che dà la vita è sempre una festa».
    Mi permetto di rivolgermi amichevolmente a Giovanni, non per criticare Rahner – che conosco troppo poco – né per dissentire dalla sostanza di quello che afferma, ma per attirare l’attenzione su un equivoco che, a partire soprattutto da Kierkegaard, è oggi diventato una sorta di premessa indiscutibile, universalmente accettata senza critica, la quale inquina tutto il nostro pensare e sentire. Ho cercato di rintracciarla nella sua origine in Kierkegaard nei seguenti articoli:

    http://www.lsblog.it/index.php/cultura/4410-lo-hegelismo-di-kierkegaard?highlight=WyJkb24iLCJtYXNzaW1vIiwiZG9uIG1hc3NpbW8iXQ==

    http://www.lsblog.it/index.php/cultura/4415-chiarimento-su-kierkegaard

    Cari saluti
    Don Massimo

  2. Gabriele

    Quando si ha l’occasione di affacciarsi alla teologia, alla filosofia, se ben condotte, si scoprono orizzonti infiniti e non si può non rimanere affascinati dalla sua abbondanza e ricchezza…

  3. Non ho ben compreso per mie limiti intellettuali e per l’estensione del “mappazzone” (Giusi cit.) se stringi stringi il dubbio o il disaccordo di Marcotullio, muove i passi dallo stesso mio https://costanzamiriano.com/2015/10/30/sinodo-non-due-fazioni-ma-due-diverse-visoni-della-fede/#comment-103471 che poi l’intervento di “ola” e poi della stessa Costanza chiariscono, ma al di là di questo (nell’intervento di Marcotullio c’è certamente ben di più), su un punto mi sento di essere io decisamente in disaccordo:

    ” Se esci dal confessionale e (Dio non voglia) un infarto ti stronca, sei sicura di andare in paradiso? Certo che no, non lo sei, non potresti e non dovresti esserlo: «Se qualcuno presumerà della propria virtù – è sempre il Tridentino –, sia anatema».”

    Beh, io sono invece piuttosto sicuro! Come sono sicuro che mi farò la mia bella anticamera di Purgatorio…
    E sono sicuro NON perché presumo della mia Virtù, ma perché confido, anzi sono certo di ciò che Dio ci ha donato attraverso la Chiesa nel Sacramento della Riconciliazione.
    Questo Sacramento è Nuovo Battesimo, fa di nuove Creature Nuove, ci riammette alla piena (pienissima!) Comunione con Dio – e con i fratelli. «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto,
    diventeranno bianchi come neve.Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana.»

    Il sacerdote nella formula di rito, non di rado integra alla nostra confessione, tutti i peccati che possiamo avere dimenticato e direi anche “sottostimato”.
    (Va da sé la Riconciliazione presuppone tutta una disposizione del nostro cuore e il sincero pentimento e la volontà di non ricadere più… diamolo per assodato).

    Quindi, cosa dovrei temere, perché dubitare, se mi prendesse un colpo? Ma magari!

    D’altronde se così non fosse, perché darsi tanta pena? Se uscissi dal Sacramento solo “mezzo-risanato”, con pezze nuove su un abito nuovo, a che gioverebbe? Non solo per la mia speranza-certezza di essere ammesso alla presenza del Padre, ma anche sul benefico effetto, il salutare rinnovamento che questo Sacramento procura nella mia vita spirituale e di relazione con i Fratelli e
    la forza che dona per contrastare il Maligno.

    Buona Domenica a tutti.

      1. Giusi

        Mettiti nei miei panni Bariom: ho letto questo post alle due di notte perchè faceva riferimento ad uno precedente di Costanza che avevo capito, apprezzato e che ha fatto pure molto successo (è stato ripreso da molti blog, gruppi, pagine etc.), sono arrivata alla fine con gli occhi da fuori e il cervello in panne e ciliegina sulla torta col consiglio di comprarmi un libro su Rahner! L’unico commento che mi è venuto è quello di cui sopra. Ora a mente fredda sono addivenuta a questa conclusione: dirà sicuramente delle cose intelligentissime però non è detto che dobbiamo capire tutto nella vita!

        1. @Giusi, non era uno sfottò nei tuoi confronti.

          Io l’ho letto questa mattina appena sveglio… è veramente una mappazza! 😀 😀
          E come ho detto, lo è certamente (anche) per i miei limiti intellettuali.

          Buona Domenica 😉

          1. L’articolo è certamente un po’ troppo lungo e pesante. Non sono in grado di dire se riferisce esattamente il pensiero di Rahner. È un autore che conosco poco e per il quale non ho simpatia. Basta il fatto che ha osato scrivere nel 1979 – nel vol. VIII delle opere (ed. italiana) – che la svolta operata dal Concilio Vaticano II, per il fatto che ad esso partecipavano per la prima volta vescovi di tutti i continenti, è paragonabile alla svolta fatta da San Paolo quando ha abolito la circoncisione! Senza entrare in merito della presunta “svolta” di San Paolo – e Rahner aggiunge che l’apostolo non ha neanche bene inquadrato la situazione! – se c’è un concilio “occidentale”, nonostante la partecipazione di vescovi di tutti i continenti, è il Concilio Vaticano II! Ma, a parte la valutazione di Rahner, l’articolo tiene, giustamente, a rilevare l’importanza del coinvolgimento personale. Ha però, a mio giudizio, il difetto di confondere detto coinvolgimento con quel “soggettivismo” che, almeno a partire da Kierkegaard, ha equivocato sul significato delle parole “soggetto” e “oggetto”. Se una realtà è “oggetto” di conoscenza o di amore, non per questo diventa un “oggetto” materiale! Invece è diventato un equivoco universalmente accettato che una conoscenza “oggettiva” – cioè propriamente reale, veritiera – sarebbe un’operazione che rende l’oggetto conosciuto un “oggetto materiale”! Dunque niente più conoscenza obiettiva, ma conoscenza soggettiva! E questa strana conoscenza – che non si sa che cosa sia – sarebbe l’unico modo per avere un coinvolgimento personale!

    1. @bariom
      Stranamente 🙂 … concordo

      Oh, diciamolo pure in modo un po’ così: sei appena stato perdonato dal Signore, cioè, cosa vuoi mettere in dubbio?
      E la gioia che m’accompagna fino al mio successivo sbaglio è quanto mai dolce e serena

  4. A mio giudizio ha ragione Bariom. Infatti la situazione è diversa rispetto al battesimo di un bambino – argomento sul quale ora non entro. Infatti il penitente è, appunto, cosciente di ciò che fa e collabora pienamente con la grazia divina. Mi è anche capitato di dire a un penitente – che aveva bisogno di un incoraggiamento – espressamente: se dovesse morire dopo l’assoluzione, può essere certo della sua salvezza eterna, perché è di fede che il sacramento rimette i peccati. Non credo di aver fatto un abuso.

    1. E ancora Don Massimo, perché ci preoccuperemmo tanto (chi lo fa) che i nostri cari o amici – soprattutto se “lontani” – in punto di morte o presumibile tale, si possano accostare al Sacramento?

  5. PaulBratter

    Non ho il tempo nè la cultura per leggere Rahner, mi faccio bastare questa sua frase estratta dal libro “La fatica di credere” :

    “Chiunque segue la propria coscienza, sia che ritenga di dover essere cristiano oppure non-cristiano, sia che ritenga di dover essere ateo oppure credente, un tale individuo è accetto e accettato da Dio e può conseguire la vita eterna che nella nostra fede cristiana noi confessiamo come fine degli uomini.” “In altre parole: la grazia e la giustificazione, l’unione e la comunione con Dio, la possibilità di raggiungere la vita eterna, tutto ciò incontra un solo ostacolo nella cattiva coscienza dell’uomo.”

    1. Per quello che c’è di accettabile, non c’è nulla di nuovo. Anche S. Tommaso dice che, se in coscienza credo che è mio dovere perseguitare Cristo, ho il dovere di perseguitarlo. Ma non si ferma qui: ognuno ha il dovere di correggere la propria coscienza per adeguarla alla verità, al meglio delle sue possibilità. Se mai, dunque, bisognava dire che chi avesse fatto tutto ciò era in lui per conoscere la verità e senza sua colpa non l’ha conseguita – ad esempio perché ha conosciuto soltanto pseudo-cristiani malvagi – si può sperare che ottenga misericordia – più di chi gli ha dato scandalo. Ma, in ogni caso, la lontananza dalla verità, anche quando non fosse colpevole, è sempre un male e un disordine che è dovere di tutti cercare di superare.

      1. Interessanti i tuo due ultimi commenti Don Massimo alle 12:14 e 12:49, come anche quello di PaulBratter.

        Mi verrebbe da dire per questo nella Scrittura troviamo la famosa frase di Apocalisse cap. 3:
        «Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca.»

    2. PaulBratter

      volevo aggiungere che nel Vangelo Gesù non pronuncia MAI la parola coscienza. Pronuncia invece queste parole:

      “Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
      Crisi tra i discepoli
      59Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao. ascolta mp360Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». 61Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? 62E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? 63È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. 64Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. 65E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
      66Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. 67Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». 68Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna 69e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

      GV 67

      1. Questo non vorrebbe dire. Nel Vangelo non c’è neanche la parola Trinità. Ma sulla coscienza credo che valga la pena di ricordare soprattutto il pensiero di Newman, che è tutt’altro rispetto a Rahner.

        1. PaulBratter

          Allora non c’è neanche la parola ostia, prete e Papa, ma sono presenti in altra forma.
          Ma forse qualcuno mi saprà indicare dove Cristo ha parlato di coscienza (e di primato della coscienza nella salvezza) con altre parole.

          1. La solita tentazione di fare del Cristianesimo la “religione del Libro”?

            Il Catechismo della Chiesa Cattolica lo buttiamo a mare? O vogliamo mettergli contro i Vangeli?

            PARTE TERZA
            LA VITA IN CRISTO

            SEZIONE PRIMA
            LA VOCAZIONE DELL’UOMO:
            LA VITA NELLO SPIRITO

            CAPITOLO PRIMO
            LA DIGNITÀ DELLA PERSONA UMANA

            ARTICOLO 6
            LA COSCIENZA MORALE

            1776 « Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente parla alle orecchie del cuore […]. L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore […]. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria ».69

            I. Il giudizio della coscienza

            1777 Presente nell’intimo della persona, la coscienza morale70 le ingiunge, al momento opportuno, di compiere il bene e di evitare il male. Essa giudica anche le scelte concrete, approvando quelle che sono buone, denunciando quelle cattive.71 Attesta l’autorità della verità in riferimento al Bene supremo, di cui la persona umana avverte l’attrattiva ed accoglie i comandi. Quando ascolta la coscienza morale, l’uomo prudente può sentire Dio che parla.

            1778 La coscienza morale è un giudizio della ragione mediante il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per porre, sta compiendo o ha compiuto. In tutto quello che dice e fa, l’uomo ha il dovere di seguire fedelmente ciò che sa essere giusto e retto. È attraverso il giudizio della propria coscienza che l’uomo percepisce e riconosce i precetti della Legge divina:

            La coscienza « è una legge del nostro spirito, ma che lo supera, che ci dà degli ordini, che indica responsabilità e dovere, timore e speranza. […] Essa è la messaggera di colui che, nel mondo della natura come in quello della grazia, ci parla velatamente, ci istruisce e ci guida. La coscienza è il primo di tutti i vicari di Cristo ».72

            1779 L’importante per ciascuno è di essere sufficientemente presente a se stesso al fine di sentire e seguire la voce della propria coscienza. Tale ricerca di interiorità è quanto mai necessaria per il fatto che la vita spesso ci mette in condizione di sottrarci ad ogni riflessione, esame o introspezione:

            « Ritorna alla tua coscienza, interrogala. […] Fratelli, rientrate in voi stessi e in tutto ciò che fate fissate lo sguardo sul Testimone, Dio ».73

            1780 La dignità della persona umana implica ed esige la rettitudine della coscienza morale. La coscienza morale comprende la percezione dei principi della moralità (sinderesi), la loro applicazione nelle circostanze di fatto mediante un discernimento pratico delle ragioni e dei beni e, infine, il giudizio riguardante gli atti concreti che si devono compiere o che sono già stati compiuti. La verità sul bene morale, dichiarata nella legge della ragione, è praticamente e concretamente riconosciuta attraverso il giudizio prudente della coscienza. Si chiama prudente l’uomo le cui scelte sono conformi a tale giudizio.

            1781 La coscienza permette di assumere la responsabilità degli atti compiuti. Se l’uomo commette il male, il retto giudizio della coscienza può rimanere in lui testimone della verità universale del bene e, al tempo stesso, della malizia della sua scelta particolare. La sentenza del giudizio di coscienza resta un pegno di speranza e di misericordia. Attestando la colpa commessa, richiama al perdono da chiedere, al bene da praticare ancora e alla virtù da coltivare incessantemente con la grazia di Dio:

            « Davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa » (1 Gv 3,19-20).

            1782 L’uomo ha il diritto di agire in coscienza e libertà, per prendere personalmente le decisioni morali. L’uomo non deve essere costretto « ad agire contro la sua coscienza. Ma non si deve neppure impedirgli di operare in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso ».74

            II. La formazione della coscienza

            1783 La coscienza deve essere educata e il giudizio morale illuminato. Una coscienza ben formata è retta e veritiera. Essa formula i suoi giudizi seguendo la ragione, in conformità al vero bene voluto dalla sapienza del Creatore. L’educazione della coscienza è indispensabile per esseri umani esposti a influenze negative e tentati dal peccato a preferire il loro proprio giudizio e a rifiutare gli insegnamenti certi.

            1784 L’educazione della coscienza è un compito di tutta la vita. Fin dai primi anni essa dischiude al bambino la conoscenza e la pratica della legge interiore, riconosciuta dalla coscienza morale. Un’educazione prudente insegna la virtù; preserva o guarisce dalla paura, dall’egoismo e dall’orgoglio, dai sensi di colpa e dai moti di compiacenza, che nascono dalla debolezza e dagli sbagli umani. L’educazione della coscienza garantisce la libertà e genera la pace del cuore.

            1785 Nella formazione della coscienza la Parola di Dio è la luce sul nostro cammino; la dobbiamo assimilare nella fede e nella preghiera e mettere in pratica. Dobbiamo anche esaminare la nostra coscienza rapportandoci alla croce del Signore. Siamo sorretti dai doni dello Spirito Santo, aiutati dalla testimonianza o dai consigli altrui, e guidati dall’insegnamento certo della Chiesa.75

            III. Scegliere secondo coscienza

            1786 Messa di fronte ad una scelta morale, la coscienza può dare sia un giudizio retto in accordo con la ragione e con la Legge divina, sia, al contrario, un giudizio erroneo che da esse si discosta.

            1787 L’uomo talvolta si trova ad affrontare situazioni che rendono incerto il giudizio morale e difficile la decisione. Egli deve sempre ricercare ciò che è giusto e buono e discernere la volontà di Dio espressa nella Legge divina.

            1788 A tale scopo l’uomo si sforza di interpretare i dati dell’esperienza e i segni dei tempi con la virtù della prudenza, con i consigli di persone avvedute e con l’aiuto dello Spirito Santo e dei suoi doni.

            1789 Alcune norme valgono in ogni caso:

            — Non è mai consentito fare il male perché ne derivi un bene.
            — La « regola d’oro »: « Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro » (Mt 7,12).76
            — La carità passa sempre attraverso il rispetto del prossimo e della sua coscienza. Parlando « così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza […] voi peccate contro Cristo » (1 Cor 8,12). « È bene non […] [fare] cosa per la quale il tuo fratello possa scandaliz zarsi » (Rm 14,21).

            IV. Il giudizio erroneo

            1790 L’essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza. Se agisse deliberatamente contro tale giudizio, si condannerebbe da sé. Ma accade che la coscienza morale sia nell’ignoranza e dia giudizi erronei su azioni da compiere o già compiute.

            1791 Questa ignoranza spesso è imputabile alla responsabilità personale. Ciò avviene « quando l’uomo non si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all’abitudine del peccato ».77 In tali casi la persona è colpevole del male che commette.

            1792 All’origine delle deviazioni del giudizio nella condotta morale possono esserci la non conoscenza di Cristo e del suo Vangelo, i cattivi esempi dati dagli altri, la schiavitù delle passioni, la pretesa di una malintesa autonomia della coscienza, il rifiuto dell’autorità della Chiesa e del suo insegnamento, la mancanza di conversione e di carità.

            1793 Se — al contrario — l’ignoranza è invincibile, o il giudizio erroneo è senza responsabilità da parte del soggetto morale, il male commesso dalla persona non può esserle imputato. Nondimeno resta un male, una privazione, un disordine. È quindi necessario adoperarsi per correggere la coscienza morale dai suoi errori.

            1794 La coscienza buona e pura è illuminata dalla fede sincera. Infatti la carità « sgorga », ad un tempo, « da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera » (1 Tm 1,5):78

            « Quanto più prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi sociali si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità ».79

            ……………………………….

            Ovvio che l’insegnamento che se ne trae non è “in nome della coscienza, liberi tutti”, ma una seria chiamata di assunzione di responsabilità all’Uomo, assieme ad una sguardo misericordioso sulla sua realtà decaduta e fallibile (che però a tanti va tanto stretto).

            1. «Io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede» (1Tim 1, 13).

                1. PaulBratter

                  ah Bariom, ma che me fai lo straw man pure tu? Quando mai avrei messo in discussione il Catechismo?
                  Io ho contestato una frase di Rahner e tu mi rispondi con la frase preconfezionata sulla religione del libro e ‘na paginata di copia/incolla del catechismo. Che cacchio c’entra???

                  1. Allora riprendiamo…
                    Tu hai scritto “volevo aggiungere che nel Vangelo Gesù non pronuncia MAI la parola coscienza. Pronuncia invece queste parole:… (e anche tu hai il tuo copia-incolla)”

                    al che Don Massimo ti ha risposto: “Questo non vorrebbe dire. Nel Vangelo non c’è neanche la parola Trinità. Ma sulla coscienza credo che valga la pena di ricordare soprattutto il pensiero di Newman, che è tutt’altro rispetto a Rahner.”

                    e tu: “Allora non c’è neanche la parola ostia, prete e Papa, ma sono presenti in altra forma.
                    Ma forse qualcuno mi saprà indicare dove Cristo ha parlato di coscienza (e di primato della coscienza nella salvezza) con altre parole.”

                    Ecco il mio supposto straw man, la mia frase preconfezionata, e ‘na paginata dal CCC

                    Non c’entra? Può essere… giusto nel caso in cui ho frainteso del tutto il tuo dire.
                    Ho frainteso? Ti chiedo scusa.
                    Se mi chiarisci ti sarei grato.

                    1. PaulBratter

                      ah non avevo capito che la paginata copia/incolla fosse per avvalorare le parole di Rahner, perché la mia richiesta era un’altra e riguardava il Vangelo e le parole di Cristo. Ma visto che il cristianesimo non è la religione del libro allora va bene anche relativizzare il Vangelo. Se lo scopo era dar ragione a Rahner mi tengo stretto quel Libro scritto da un certo Giovanni.

                    2. E la mia “paginata” (prenditela con chi l’ha redatta) NON era per avvalorare le tesi di chichessia, ma per confutare l’idea che TUTTO deve stare scritto nei Vangeli. Come per altro ti evidenziava anche Don Massimo, che ha comunque aggiunto un citazione di San Paolo (tu però avevi ristretto il cerchio alle sole parole di Cristo… o sbaglio?)

                      Poi se vogliamo fare a non capirci e ad una mia richiesta di chiarirmi il tuo pensiero (che magari ho frainteso), rispondi solo a mo’ di battute, lasciamo pure stare… decisamente sopravviverò.

                    3. PaulBratter

                      Dove avrei mai detto che TUTTO deve stare scritto nel Vangelo? Questa è una tua approssimativa e anche un po’ scorretta interpretazione. Io ho solo fatto notare che nel Vangelo non sia mai pronunciata la parola “coscienza”, cosa abbastanza strana se Rahner sembra credere che la coscienza da sola possa salvarci.
                      Comunque, caro Bariom, non è sempre necessario commentare, rispondere, interpretare e predicare.

                    4. Certamente no… smettiamo pure di commentare, leggiamo solo. Rispondere è cortesia. Interpretare qui credo sia inevitabile, predicare è anch’essa una interpretazione tua sul mio commentare.

                      Mi spiace per aver mal interpretato il tuo pensiero.
                      In futuro cercherò di evitare non commentando, ok?

  6. Massimiliano

    Questa era l’opinione sulla teologia di Rahner del cardinale Giuseppe Siri : «I guai della Chiesa sono derivati da quanto hanno detto e fatto, dopo il Concilio, parecchie persone […]. Da questo punto di vista, il più pericoloso dei teologi non è Hans Kung, perché sostiene tesi così strampalate che nessuno (o quasi nessuno) gli crede.
    Il più pericoloso è il gesuita Karl Rahner, il quale scrive benissimo ed ha l’aria di essere ortodosso, ma ha sempre sostenuto che occorre una “nuova teologia”. Una teologia cioè che metta da parte Gesù e che vada bene per il nostro secolo» (Giuseppe cardinal Siri)
    FONTE: “Il Papa non eletto – Giuseppe Siri, Cardinale di Santa Romana Chiesa”, di Benny Lai (Laterza, Bari, 1993, pp. 291, nota 20). è stato citato Kiko Arguello : questi sono due articoli da lui citati l’anno scorso in commento del Sinodo : http://www.lanuovabq.it/it/articoli-la-teologiadi-rahner-spiegala-resa-davanti-al-mondo-10945.htm http://www.lanuovabq.it/it/articoli-vescovi-divisi-colpa-della-cattiva-filosofia-10651.htm Riporto il link di un intervento tutto da leggere sull’attualità dell’enciclica Pascendi del filosofo cattolico Emanuele Samek Lodovici che contiene una riflessione sull’approccio di Rahner alla realtà fondamentale della nostra fede, la Resurrezione : http://www.kattoliko.it/Leggendanera/modules.php?name=News&file=print&sid=2002 Non voglio naturalmente delegittimare l’opinione di Marcotullio, ma solo evitare che venga liquidata come superficiale o peggio integrista la posizione di chi pone rilievi critici sulla compatibilità dell’impianto filosofico di Rahner con la fede cattolica. Il pluralismo è buono e viene dal Signore finchè si rimane nell’ambito dell’ortodossia,che la Chiesa ha sempre insegnato essere decisiva per la salvezza .Grazie di questo spazio di confronto .

    1. Ribadisco che all’origine di queste posizioni soggettiviste vi è l’equivoco quasi banale sul senso delle parole “soggetto” e “oggetto”, equivoco formulato da Kierkegaard e divulgato da Heidegger. La parola “oggetto” può significare “oggetto di conoscenza o di amore”, ma può significare – in senso equivoco, cioè totalmente diverso – “cosa”. Se una formula dogmatica è “oggettiva” significa semplicemente che è vera. Ma con un equivoco posso dire che oggettiva significa che tratta le realtà come una cosa – le “oggettiva”, come si dice oggi, o, con una frase enormemente retorica: “oggettivazione dell’inoggettivabile”! Per questo Rahner ha inventato la parola “cosificare”: la conoscenza “oggettiva” “cosifica”! Perché? Perché considera il conosciuto come un oggetto. Ma oggetto in che senso? Se è nel senso di complemento oggetto del verbo conoscere, non “cosifica” un bel niente! Infatti “complemento oggetto” non significa assolutamente “cosa”, “oggetto materiale”! Così anche l’accusa che viene fatta al “realismo” si fonda su un errore di… latino! Infatti dicono: il realismo dice che conosco la “res” (adequatio intellectus ad rem), ma “res” significa “cosa”, dunque il realismo “cosifica”. Ma il fatto è che “res” non significa “cosa”! “Res” significa “una realtà”. Giustamente l’antico inglese ha tradotto “res publica” non con “common thing”, ma con “common wealth”! Meravigliosa traduzione, che scardina tutti i sofismi sul “realismo cosificante”!

  7. Mario D'Astuto

    Ti ringrazio moltissimo, Giovanni Marcotullio, non sono in grado di scrivere “ bene scripsisti, Thoma, de me” come Gesù, durante un’estasi, disse a San Tommaso. Non sono un teologo ma da cristiano della strada apprezzo moltissimo il tuo invito al dialogo. Paolo VI, già in epoca conciliare, aveva invitato i cristiani al dialogo rispettoso nella sua famosa Enciclica “Ecclesiam suam”.

  8. Ho letto con piacere tutto l’articolo
    Non sono in grado di dire che lo condivido o meno, tutto o solo in parte (ho giusto un filo in meno di limiti intellettuali di Bariom 😀 )
    Ma è bello per me rendersi conto di quanti diversi modi di conoscere e cercare il Signore ci sono a questo mondo
    Quindi ringrazio l’autore per il suo tempo e le sue parole, e l’ospite che l’ha pubblicato pur dichiarando di vedere le cose in modo diverso da lei.

    Ora devo solo trovare il coraggio di leggere i link di Don Massimo 🙂

  9. Vanni

    “L’opposizione dei buoni teologi non si scoraggiò. Consapevoli della loro responsabilità verso le anime e ligi al loro dovere di fedeltà al Magistero della Chiesa, continuarono a segnalare i pericolosi errori di Rahner, anche se purtroppo, come era da aspettarsi, il rahnerismo non è arretrato, ed anzi si è rafforzato sino ad oggi. La storia di questa terribile lotta all’interno della Chiesa etc….”

    Terribile lotta!

    Ho estrapolato da un articolo di Padre Cavalcoli, tutto da leggere.

    http://isoladipatmos.com/alla-radice-della-crisi-storia-delle-occasioni-perdute/

  10. ola

    Grazie per l’articolo, che anche io ho letto con piacere. Siccome la caratura culturale del post e’generalmente un numero piu’grosso di dove posso arrivare io, mi trovo a chiedere un chiarimento: se l’unico modo che ho di conoscere Dio e’fare esperienza diretta di come lui mi conosce, qual e’di preciso il ruolo della Chiesa come comunita’ in Rahner?

    1. yokanaan

      Così la spiega Ladaria (che è segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede – prima che a qualcuno fumino i grilletti) commentando e citando Rahner:

      Il cristianesimo comprende se stesso come la religione assoluta, destinata a tutti gli uomini, e non può riconoscerne nessun’altra con parità di diritti. La ragione di questa affermazione è innanzitutto di natura cristologica: non è l’uomo che instaura il cristianesimo, non si trova lungo il cammino che partendo dall’uomo va alla ricerca di Dio, piuttosto è l’azione di Dio nell’uomo, «la libera autorivelazione di Dio nella sua autocomunicazione all’uomo, la relazione che Dio stesso instaura tra sé stesso e l’uomo», e «questa relazione di Dio con tutti gli uomini è fondamentalmente una e la stessa, poiché si fonda sull’incarnazione, sulla morte e sulla risurrezione della parola dell’unico Dio fatto carne. […] Da quando c’è Cristo, da quando si è fatto carne come parola assoluta di Dio, e nella morte e risurrezione ha riconciliato il mondo con Dio in modo effettivo e non soltanto teorico, […] quel Cristo e la sua permanente presenza storica nel mondo, chiamata Chiesa, è la religione che lega l’uomo a Dio» [K. Rahner, Das Christentum und die nichtchristlichen Religionen, in Id., Schriften zur Theologie V, 138]

      (Luis F. Ladaria, Karl Rahner: Cristo nelle religioni del mondo, in I. Sanna, L’eredità teologica di Karl Rahner 245)

      1. Paul Candiago

        Signor Yokanaan, Ola io da semplice cristiano non so di che cosa parlate e se quello che scrivete ha qualche relazione con la Catechesi Cattolica. Il Credo che mi insegnarono da piccolo e che ancora recito con profonda Fede contene le principali Verita’ su Dio, la Trinita’, Gesu’ Cristo e il suo sacrificio di redenzione per l’Uomo e l’eterno futur che mi aspetta il tutto avvolto nel progresso dei tempi e disegno di Dio. Cosa ci sia da aggiungere arzigoggolare, razionalizzare per un credente cattolico non vedo lo scopo il fine e a che utilita’ spirituale o reale tenda. Ricevo l’impressione che si voglia creare confusione tanto per dividere il gregge e sbranarne le pecorelle. Ma guai a chi intenzionalmente lo fa: il cielo e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno. Cordiali saluti, Paul

        1. Ma lei qui che riceve tante negative impressioni che ci sta a fare?
          A raddrizzare gli arzigogoli di tanti che a suo dire sono al limite dell’apostasia?
          Vada per le strade ad annunciare il Vangelo… Sola lettura di testi catechetici e ortodossi mi raccomando, che non si sa mai dovesse cadere in fallo!

            1. Perché non è una (provocatoria) domanda lecita?
              Non gli ho mica detto “fuori di qui” (che non starebbe cmq a me…)
              Personalmente capisco più il senso dei tuoi interventi che queli del sig. Paul che paiono un “disco rotto”…
              Dato poi che non sembrano affatto aprire ad un confronto, mi sfugge la ratio…

              Presumo continerà a farli… non sarò certo io ad impedirglielo.

              1. Pensandoci bene, avrò ecceduto con l’imperativo “Vada per le strade…” me ne scuso, ma dopo aver letto tre interventi, uno in fila all’altro che ripetono sempre SOLO la stessa cosa… ecco la non celata provocazione.

              2. Paul Candiago

                Signor Bariom, a suo discernimento: prima accettare/dire la Verita’ e mai adagiarsi su qualsiasi forma di apostasia religiosa. Fare questo o avere questa mentalita’ non e’ dottrina cristiana, non serve Cristo, ne la vera Chiesa, ne fa evangelizzazione: solo diventiamo commercianti e Mercanti del Tempio. In altre parole, quanto mai attuali ai nostri giorni,siamo diventati, senza neppure accorgercene “sepolcri imbiancati”. Per simili ragioni e circostanze abbiamo avuto e abbiamo Martiri e Confessori che danno la loro vita per servire la Verita’ e fare vera evangelizzazione: non politca, o deformazione catechetica al sociale del Mondo: “con me o contro di me”. Cordiali saluti, Paul

                P.S: Non esiste il “grigio” evangelico, se interpretato alla Luce della ortodossia catechetica uffiiciale del Magistero della Chiesa e nulla ha a che vedere con Misericordia e Carita’ e Fraternita’ verso il prossimo che devono essere sempre applicati in ogni caso “come balsamo sulle ferrite” che scaturisce dalla Fede nell’Amore insegnatoci da Cristo. Peccato che al giorno d’oggi assistiamo a molti cristiani che leggono il Vangelo alla rovescia: prima io, poi gli altri e Cristo se ho tempo.

                1. E a lei sig. Paul, da dove viene la pretesa di parlare a mio discernimento o altrui, ricordando l’ovvio…
                  Già che tanto insegna, mi mostri come “considera gli altri superiori a se…”

                  O se qualcosa la urta, dica chiaramente a tizio o caio o a me, dove non si avrebbe mentalità non Cristiana o si sarebbe sepolcri imbiancati o altro… questo sarebbe parlare con verità e non sentenziare al vento e pontificare.

                  Diversamente ciò che lei dice lo dice per se stesso.
                  La saluto.

                  1. Paul Candiago

                    Signor Bariom, non guardi le mie parole sono solo carta carbone della Scrittura/ Catechismo. Non ho capacita’ letterarie, ne educazione sufficiente per farlo e tanto meno mi addito a superiore, solo “copio” sempre la Scrittura/Vangelo non trovando fino ad ora nessun scritto o pensiero, filosofia umana superiore alla divina rivelazione in riferimento al mio/ nostro Credo e mi permetto di comunicarla ad altri: sperando senza nessun contributo mio o di fasificarne il significato/ interpretazione ufficiale della Chiesa Cattolica . Cordiali saluti, Paul

                    1. Allora risparmi la sua carta carbone, giacché attingo puntualmente e me ne faccio un dovere, agli “originali”.

                      Ciò non mi evitata di cadere in errore, quindi se ha errori da evidenziare, lo faccia pure e mi farà un servizio, diversamnente trovo questo suo ripetitivo riportare pedissiquemente, ciò che si conosce (o pensa di stare su un blog di atei o agnostici?) decisamente irritante.

                      La saluto.

                    2. Paul Candiago

                      Signor Bariom, irritante o meno non entra ne ha senso, quello che conta qui per il Cristiano cattolico e’ ripetere a iosa l’ortodossia di catechesi di Parola, Tradizione e Magisterio della Chiesa e ogni fedele ha, come obbligo essendo parte dei Battezzati, di far notare “opinioni/interpretazioni personali non conformi al Deposito della Fede che ci viene impartito dall’ordine ecclesiastico via catechesi ufficiale. Sempre valido e’ leggere la Srittura ed impararla magari a memoria e tutt’altra cosa interpretarla a prorio gusto o coscienza …non e’ cosi’ per un Cristiano cattolico.. Tutto qui il resto dello scrivere solo carta da imballaggio che non ha nulla a che vedere con lo spirito del pensiero cristiano. Cordiali saluti, Paul

                    3. Questo è ciò che conta per lei e la sua interpretazione di ciò che conta.
                      Non mi pare, per quanto il cuore della Buona Notizia sia uno solo, che il Vangelo ci inviti semplicemente a “ripetere a macchinetta” Catechesi e Dottrina… ma lei faccia pure se ciò la fa sentire nel giusto.

                      La saluto (credo a lungo).

                    4. Paul Candiago

                      Signor Bariom, magari riuscissi a ripetere a macchinetta la dottrina di Cristo: non c’e’ via migliore alla santita’ mi creda…e quanti Santi e Martiri ha fatto e fara’ perche’ per essersi ripetuti a “macchinetta” le eterne parole di Cristo e ottenuto la vita eterna: il cielo e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno. Beati fin d’ora chi fa sue queste Parole. Paul

                    5. Paul Candiago

                      Mi scusi Signor Bariom ho dovuto andare su Google per trovare il significato, ed e’ proprio giusto: parte del Gregge di Cristo nostro Pastore: pecorella contenta e pacifica sul parto verde con un ruscello di acqua pura e’ fresca e gl’occhi che mirano il Pastore…poetico ora, vero domani. Cordiali saluti, Paul

                      Sillabazione:

                      【pe-dìs-se-quo】

                      Definizione e Significato:

                      Aggettivo, Sostantivo

                      Aggettivo

                      Che segue o imita passivamente qualcuno o qualcosa, senza offrire alcun contributo personale di originalità: imitatore, rifacimento pedissequo

                      servo pedissequo, nell’antica Roma, schiavo che aveva il compito di scortare a piedi il padrone

                      Sostantivo Maschile (Femminile -qua) Servo pedissequo

                      Avverbio pedissequamente, senza la minima creatività, passivamente

                    6. Già, ma i lSignore non ci ha più chiamato “servi”…
                      e per far fruttare il talenti non basta agire “pedissequamente”.

                      Di nuovo la saluto.

                    7. Paul Candiago

                      Signor Bariom, lei e’ la prima persona che mi dice che la Catechesi Ufficiale della Chiesa e’ passiva: “non son venuto a portare la pace ma la Guerra”. La veda lei.

                      P.S. Meravigliosi Talenti da usare bene da usare secondo la Catechesi e non di testa propria: dove la troviamo la Santa Sapienza per farlo se non ci viene infallibilmente dalla Chiesa.

                    8. No sig. Paul, io non ho detto che la Catechesi della Chiesa è passiva!
                      E la inviterei a non mettere simili idiozie in bocca a chi NON le ha pronunziate…

                      Esprimevo il dubbio che il SUO ripetere (cosa poi della Catechesi della Chiesa?) “a macchinetta” fosse azione passiva.
                      Mi pare poi abbia (come su tutto) una personalissima idea, su cosa siano i talenti e come li si possa far fruttare.

                      La saluto.

      2. ola

        @yokannan, intanto grazie – quindi se ho capito bene la Chiesa e’il luogo ( luogo in senso matematico, non fisico ) dove Cristo va incontro agli uomini, giusto? Dove l’uomo, ponendosi la domanda di Dio, si accorge di questa relazione che lo definisce.

        1. “non è l’uomo che instaura il cristianesimo, non si trova lungo il cammino che partendo dall’uomo va alla ricerca di Dio..”
          La ricerca di Dio da parte dell’Uomo è di fatto ciò contraddistingue quella che possiamo definire una “religiosità nautrale”, che non è in se stessa cattiva, anzi è il richiamo che Dio ha posto nel cuore della Sua Creatura.

          La “religiosità naturale”, porta però spesso ad una forma di religioità fatta di superstizione e in ultima analisi di un dio che l’Uomo si costruisce a sua immagine e somiglianza (cosa che troviamo in moltissime religioni o credenze e che negativamente si può riflettere anche nello stesso Cristianesimo – difficile poi definirlo tale).

          Non saprei dire se solo “nella Chiesa” Cristo va incontro all’Uomo… certo le strade per questo incontro stanno nelle multiformi vie della Grazia (parlo del “primissimo” incontro per chi è lontano…), di certo la Chiesa è l’unico “mezzo” tramite il quale avere la piena rivelazione del Cristo, della Trinità e della relazione che definisce appunto l’Uomo (Uomo Creatura) come tale.

          1. Paul Candiago

            Signor Bariom , Ola, devo leggere il suo scrivere nel contesto della Genesi: Dio scelse il suo popolo e Abramo per darci, gradino per gradino, la Legge e i Profeti culminando con il Sacrificio di redenzione del Sommo Sacerdote: Cristo. Cosi’ fu l’eterna prassi per insegnarci come Dio deve essere servito ed adorato? O il suo scrivere contiene delle libere deviazioni rispetto all’educazione catechetica ufficiale della Chiesa? Cordiali saluti, Paul

              1. Paul Candiago

                Signor Bariom le do ragione e’ sempre difficile accettare la semplicita’ della Scrittura senza metterci il nostro razionalismo: le conseguenze del peccato originale: disubbidienza e superbia: la nostra lotta quotidiana. Cordiali saluti, Paul

  11. Bell’articolo grazie.
    Un po’ troppe sciocchezze su Rahner nei commenti, mentre di Padre Cavalcoli, che comincia il suo articolo dicendo che Benedetto XVI “si è tirato addosso le ire dei rahneriani, che lo hanno portato ad abdicare e quindi a rinunciare al ministero petrino”, si potrebbe pensare che voglia poi parlare anche delle scie chimiche.

    Non si può sintetizzare il pensiero di Rahner tirando fuori qualche sua citazione qua e la. E’ come se io cercassi di convincervi che la teologia di S.Agostino avalla il matrimonio omosessuale e le adozioni omoparentali. Non vi torna? Eppure è lì, scritto nero su bianco dalla sua penna: “Ama e fa ciò che vuoi”!

    @Bariom, interessante discussione sulla confessione. Ma ti faccio notare che hai poi esplicitato anche tu degli assunti: “(Va da sé la Riconciliazione presuppone tutta una disposizione del nostro cuore e il sincero pentimento e la volontà di non ricadere più… diamolo per assodato)” che spostano solo il problema. La domanda diventa: andando a confessarti puoi essere certo di avere una buona e corretta predisposizione e preparazione per ricevere il sacramento? Ovviamente no! Ma, tornando alla formulazione originale, se tu fossi certo che morendo un attimo dopo la confessione saresti salvo, quale differenza ci sarebbe tra un sacramento e un rito magico?

    1. Beh di sicuro nessun rito magico ti può dare la salvezza…

      L’assunto perché sposterebbe il problema?

      Laddove io non posso avere la piena certezza di essermi “correttamente preparato”, interviene l’Amore e la Misericordia di Dio che guarda l’intenzione dei cuori. Altrimenti altro che rito magico, mi darei la salvezza solo per essermi presentato con “le carte in regola”, avere tutti i “bollini” al posto giusto.

      Mi pare aver ben specificato da dove viene la mia certezza. Ho poi scritto “piuttosto sicuro” (o se preferisci “speranza certa”) a contrappunto della non certezza espressa nell’articolo.

      1. @Bariom, avevo precisamente fatto quel “contrappunto” immediatamente dopo il “passo incriminato”: «La fede non serve per darti un’assicurazione sull’eternità, ma la sicura speranza di essere votata a un destino di felicità. “La speranza poi non delude – ti direbbe il tuo amico Paolo – perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori”».
        Se mi si chiedesse “Morti un istante dopo il battesimo si può avanzare una pretesa sul paradiso?” direi sempre di no, «altrimenti la grazia non sarebbe grazia» (direbbe ancora Paolo), ma penso che sarebbe più corretto obiettare che la domanda è mal posta.

        1. Paul Candiago

          Signor Marcotullio, siamo messi bene molto bene. Penso anche il mondo di Kafka riderebbe. Fraterni saluti, Paul

            1. Paul Candiago

              Signor/a Yokanaan, rifrasandomi: se per capire il contenuto spirituale e di vita Cristiana come da dottrina Evangelica si debbono fare le delucubrazioni mentali che vedo in questi articoli/ commenti poveri noi altro che apostasia si arriva all’ateismo. Dove la gente trova tutta questa “merce” per parlare con presunta capacita’ intellettuale o e’ frutto solo di immensa confusione e lavoro di divisione e contestazione da parte di Satana per perdere le anime? “ Se non sarete semplici come questi fanciulli non entrerete nel regno di Dio…e continua, ai dottori della legge: sepolcri imbiancati e quanti ne abbiamo al giorno d’oggi vanitosi del loro sapere umano ma usato male anzi malissimo. Fraterni saluti, Paul

              1. Giovanni Marcotullio

                Gentile Paul,
                come ho più volte ribadito, non è la teologia ad alimentare la fede cristiana. Dunque nessuno è obbligato a mettersi alla prova con domande (e tentativi di risposta) di cui non avverte il bisogno. Per chi vuole, invece, l’esercizio della fede ragionata non contraddice le parole evangeliche ma anzi le invera: quando ho incontrato bravi teologi ho sempre visto uomini molto semplici, e chi ha conosciuto Rahner di persona mi ha detto lo stesso di lui.

                1. Paul Candiago

                  Signor Giovanni Marcotullio, mi ha impresso, per la prima volta nella mia vita, leggere “fede ragionata”. Superfluo dire se c’e’ la ragione non necessitiamo atto di fede…ma lasciamo perdere. Solo attraverso la Catechesi Ufficiale della Chiesa siamo istruiti in forma infallibile sulla Fede: Tu sei Pietro e su questa pietra costruiro’ la mia Chiesa ….e le porte dell’inferno non prevaranno contro di essa. La Chiesa con la sua Parola, Tradizione e Magisterio esercita la sua Autorita’ Universale su tutti i suoi fedeli . Ogni deviazione dalla Dottrina ufficiale non e’ permessa. Non sara’ mai permessa, perche’ la Chiesa come Depositaria della Fede non ha il potere di cambiare nulla della Verita’ Evangelica. Se lo facesse sarebbe come dire/fare che Cristo e’ falso il che e’ come bestemmiare..ecc. Cordiali saluti, Paul

        2. @Giovanni credo il problema stia tutto solo nel termine “pretesa”.

          Mai avanzato né pensato alcuna “pretesa” di salvezza…
          Poi pretese verso Dio ne ho di continuo, ma questo fa parte delle umane debolezze e forse della troppa “confidenza” 😉

      1. @Ola, non so se capisco bene la tua domanda, perché non mi sembrava di porre premesse, ma se ti riferisci alla predisposizione per la confessione, ovviamente i neonati non si confessano; comunque la rinuncia a Satana e la professione di fede la fanno per loro i genitori e i padrini, in virtù della comunione dei santi. – se era a questo che ti riferivi

        1. Paul Candiago

          Signori Andrea e Ola, ma dove trovate queste perposizioni di riflessione sui sacramenti che non sono per nulla in linea con il Catechismo ufficile della Chiesa nell’indottrinazione dei suo fedeli. Evviva il libero pernsiero, ma e apostata e’ privo di base teologica, anche la piu’ elementare, a riguardo dei sacramenti istituiti da Cristo come aiuto alla nostra salvezza. Se fosse chiara queta Verita’ il resto non troverebbe le convoluzioni che leggo ad errore ed apostasia catechetica. Cordiali saluti, Paul

          P.S.: Ampia lettura sul Catechismo della Chiesa Cattolica del Santo Papa Giovanni Paolo II sul sacramento del Battesimo e Confessione…come bascica ricerca di catechesi.

        2. ola

          @Andrea mi riferivo a questa premessa:
          “Ma, tornando alla formulazione originale, se tu fossi certo che morendo un attimo dopo la confessione saresti salvo, quale differenza ci sarebbe tra un sacramento e un rito magico?”
          La mia domanda era se secondo questo assunto anche il Battesimo dei neonati sia quindi da considerare un rito magico, non essendo questi ultimi in grado di “operare insieme” al Sacramento, ne di portare una predisposizione alcuna. Nondimeno non credo sia discutibile che un neonato morto un secondo dopo il proprio Battesimo sia salvo?

          1. “certezza” va inteso come pretesa o presunzione, dato che il sacramento non ha una tale pretesa, la premessa non lasci aperto quell’equivoco sui battesimo dei neonati

            1. Paul Candiago

              Signor Andrea Piccolo, come commediante di religione e’ veramente un divo. Dove trova questa catechesi non lo so ma di fantasia ne ha molta veda se Cristo accetta il suo razionale: ne dubito nostante la sua black magic. Cordiali saluti, Paul

            2. ola

              “certezza” va inteso come pretesa o presunzione
              Quindi “certezza” in senso soggettivo piu’che oggettivo.
              “la premessa non lasci aperto quell’equivoco sui battesimo dei neonati”
              Quindi siamo d’accordo che il Battesimo per i neonati ha effetto “ex opere operato”, o, nella tua parafrasi, come “un rito magico”.

              1. Ola, Non puoi fare dei ragionamenti tuoi e poi dire che erano idee mie.
                Non era una questione di distinzione soggettivo-oggettivo ma di semantica.
                Soprattutto, io non ho fatto una parafrasi ma una ipotetica, e non mi sono mai sognato di paragonare un sacramento a una magia, cosa che sembra suggerire la tua ultima affermazione.

                1. ola

                  @Andrea Piccolo, se ho compreso bene il tuo commento tu hai comparato un sacramento che opera anche senza l’aiuto, il co-lavoro del ricevente ad un rito magico. Abbiamo visto e siamo d’accordo sul fatto che non e’sempre cosi’, vedi anche il mio commento sotto e l’articolo del CCC citato. Se ti ho compreso male allora ti chiedo scusa per il tempo che ti ho rubato!

            3. Thelonious

              @Andrea Piccolo: dal vocabolario

              CERTEZZA:

              “1. In senso soggettivo, e più com., conoscenza sicura di un fatto, convinzione, persuasione ferma: avere (la) c. di riuscire; raggiungere la c.; possedere la c.; con c., in modo sicuro, fuori di dubbio: affermare, sapere con c. o con tutta c., con c. assoluta; c. matematica, piena, totale, come quella che si può trarre da esatti calcoli matematici; c. morale, certezza non suffragata da prove oggettive, ma da profonda convinzione soggettiva e intuitiva.

              2. In senso oggettivo, il fatto di essere certo, sicuro, cioè pienamente rispondente al vero, oppure immancabile, garantito: la c. delle verità assolute; la c. della fede; dubitare della c. di un’opinione, di una teoria; avere, dare, raggiungere la c. del pane, del futuro, di un domani (espressioni queste che possono essere intese anche in senso soggettivo); Chi vuol esser lieto, sia, Di doman non c’è certezza (Lorenzo il Magnifico); c. di diritto, quella che lo stato democratico riconosce ai cittadini considerandoli tutti uguali davanti alla legge; c. della pena, la garanzia che la sentenza di colpevolezza emessa nei confronti di un imputato sia effettivamente eseguita (che il colpevole, in pratica, sconti effettivamente gli anni di carcere a cui è stato condannato). ”

              PRETESA:

              “pretésa s. f. [der. di pretendere1, part. pass. preteso]. – Il fatto di pretendere, e anche ciò che si pretende: accampare, avanzare una p., delle p.; spesso con connotazione negativa, richiesta assurda e immotivata: questa è una bella p.; ma senti che pretese!; avere la p. di …, con un verbo all’infinito, ostentare pregi o qualità che non si possiedono: ha la p. di essere elegante; ha la p. di saper cucinare; con funzione di avv. o di agg. la locuz. con (o di) qualche p., di persona (o cosa) che vuole apparire più di quanto non sia: la casa è arredata con qualche p.; mi sembra gente con qualche p.; era solo una bettola … con decorazioni di qualche p., festoni di carta a colori e fronde avvizzite sul muro (Arbasino). Nel linguaggio giur., p. punitiva dello stato, il diritto dello stato alla punizione del reo, in quanto vien fatto valere mediante il giudizio penale. Spesso al plur., e in usi assol., per indicare esigenze eccessive, aspirazioni sproporzionate, dettate da un’esagerata opinione di sé: una persona che ha molte, troppe p., carica di pretese; frequenti le locuz. agg. e avv. di poche p., senza p., senza troppe p. e sim., di persona (o cosa) semplice, modesta, alla buona, senza particolari esigenze o ostentazioni: è un tipo senza p.; sono vestiti senza troppe p.; un ristorante, un albergo di poche pretese. ”

              quindi “certezza” non va inteso come “pretesa” o presunzione, perché sono parole diverse e indicano cose diverse.
              La certezza è una cosa, la pretesa un’altra.

              Le parole sono importanti

              1. @Thelonious, le parole sono importanti, è vero.
                A questo proposito, hai mai notato che qualunque dizionario per spiegare il significato di una parola ne usa altre, a volte intere frasi di altre parole che, proprio perché altre, hanno un significato diverso, a volte molto diverso, ma nell’insieme riescono a farti capire il significato cercato.
                La cosa più fastidiosa in un dizionario è trovare nella spiegazione una parola derivata della parola da spiegare (raro, ma capita), perché non spiega niente.
                Un dizionario in cui tutte le voci venissero spiegate con la voce stessa sarebbe assolutamente e perfettamente preciso, e totalmente inutile.

                “pretesa” circoscrive l’orizzonte semantico di “certezza”

                Il fatto che stessimo argomentando di fede e non di logica formale mi dava l’impressione (confidenza, non certezza, eh!) che fosse abbastanza evidente il senso, ma provo a spiegarmi meglio con un esempio:
                Immagina di avere un conto in banca dove hai depositato 1.000 euro, e sei sicuro che ci sono perché sei andato personalmente tu a depositarli, e hai anche visto l’estratto conto che registra il tuo versamento. Se quando ti rechi allo sportello per prelevare l’impiegato ti dice che il saldo è zero, è facile che tu pretenda che i tuoi soldi saltino fuori al più presto. La tua è una certezza che pretende.
                Poi si possono fare altri esempi in cui certezza non è pretesa.

                Però non era così difficile, dai.

                1. Paul Candiago

                  Gentili Signori Andrea e Thelonous, siamo messi bene, anzi molto bene come esperti di filologia applicata, ma penso che non ci vorra’ molto tempo per il digitale e il binario: 010111000 evitandoci il tedioso lavoro di vocabolari e risorse varie per capire cosa scriviamo. Ha cosa fa il progresso e le sue discipline letterarie. Cordiali saluti, Paul

                2. Ma stiamo (state) ancora parlando delle “cose di Dio” o è un semplice confronto semantico-etimologico-Zingarel-Treccani? 😀 🙂

                  Poi Andrea ok l’esempio, ma se parlando di banche fossimo stati ultimamente in Grecia, avremmo ben poche “certezze”… Sarebbe facile sì “pretendere” di avere i propri soldi, (ma anche no ho conosciuto persone che non hanno preteso nulla) e anche NON averli.

                  Se però la banca è di Nostro Padre, LUI ha fatto un deposito e nostro nome (non noi), Lui continuamente ci ha ricordato che il deposito è li per noi, che anzi operando come Lui ci ha istruiti, questo deposito centuplicherà (con lasciti anche periodici assieme a persecuzioni) per poi avere l’intero “malloppo” 😀 😉 non quando noi decideremo di passare a “riscuotere”, ma quando Lui ci chiamerà per passare alla “cassa”. Se fosse così, possiamo dirci *certi* che la “Banca” non verrà meno alla Sua Parola? O no?

                  Perché le parole sono importanti e una parola (magari anche non precisissima ammettiamolo pure), racchiude dentro di sé molti significati. Possiamo arrivare a questi in un comune sentire o ci fermiamo a dibatter sulla semantica?
                  Come se io e te dovessimo descrivere la nostra esperienza di Fede, forse non useremo neppure le stesse parole, probabilmente sarebbero spesso inadatte e mai esaustive, ma possiamo umanamente sperare di riuscire ad esprimere ciò che sperimentiamo? Oppure facciamolo non dico con il vocabolario alla mano, ma certo allora meglio solo con il Catechismo, così con ci sbagliamo… 😉

                  Ricordo l’uso mio imprudente del temine “possedere” rispetto Dio… Un Fratello subito mi redarguì: “Come possedere… non puoi possedere Dio, come fai a dire una cosa simile!” E secondo logica, aveva ragione. Poi ho scoperto proprio qui, grazie ad un commento che ha colmato la mi ignoranza, che detta espressione è usata nel Catechismo di Pio X… vedi un po’ 😉

                  Buona giornata.

                3. Thelonious

                  @Andrea Piccolo:

                  (“…Però non era così difficile, dai…”) facciamola finita, please, con questa spocchia da maestrino cerchiamo di non arrampicarci sugli specchi.

                  Le parole hanno un significato, e se mi permetti, credo di conoscerle anch’io.
                  Forse non avrò le tue elevate vette intellettuali, ma so ancora distinguere un cavallo da una mucca.

                  Passo e (per quel che mi riguarda) CHIUDO.
                  saluti

    2. Thelonious

      @Andrea Piccolo: “se tu fossi certo che morendo un attimo dopo la confessione saresti salvo, quale differenza ci sarebbe tra un sacramento e un rito magico?”.

      Non ho capito. Io dopo l’assoluzione sono certo (la certezza di fede) di essere tornato in stato di grazia. Dov’è la falla della mia certezza? Dov’è il rito magico? Non sono domande retoriche: non ho proprio capito quel che dici

      1. Provo a dirlo in un altro modo: il sacramento non ti conferisce un credito nei confronti di un debitore. Hai invece la promessa della Sua Grazia, e sei confidente di riceverla perché la Sua promessa è certa perché lui è fedele. La promessa è certa ,non io; non nel senso in cui si usa solitamente il termine “certo” -come mi pareva lo usasse anche Giovanni Marcotullio- , mentre nei commenti mi pare abbia preso più il significato di abbandono confidente.

        1. @Andrea, mi inserisco qui per concordare appieno con questa tua sintesi.
          Non mi pareva in effetti di aver mai detto qualcosa che potesse far pensare all’acquisizione di un credito (ma tutto può essere…). Di certo non era il mio pensiero…
          Il mio commento delle 18:49 mi pare piuttosto in linea con quanto affermi.

          Buonanotte.

          1. Paul Candiago

            Signori, come sapete il Catechismo del Santo Papa Giovanni Paolo II contiene ampia ed ufficile spiegazione del significato del sacramento e dei sacramenti e loro azione nella Chiesa e nella nostra salvezza. Basta leggere e si ha l’ortodossia dei sacramenti dalla fonte ufficiale della Chiesa valevole per tutti i suoi fedeli. Il primo giusto gradino nella istruzione della nostra Fede e del loro significato/azione come da educazione impartitaci dalla Chiesa: Madre e Maestra . Buona lettura e cordiali saluti, Paul

              1. Paul Candiago

                Signor Bariom, penso che copiare sia sempre una grande virtu se si copia ed evangelizza l’ortodossia catechetica ufficiale della Chiesa. Quanto ne abbiamo bisogno al giorno d’oggi che vediamo il fai da te religione diventare sempre piu’ un modo personale di essere e fare religione (incluso l’ordine sacerdotale a tutti i livelli praticare le loro idee, ovviamente non tutti, grazie a Dio). L’apostasia dilaga e la gente dicasi cristiana non se ne accorge neppure e non dice nulla a riguardo. Tanto viviamo in democrazia e non e’ carino imporre il Vangelo di Cristo in modo integrale e il Magisterio Ufficiale della Chiesa fuori moda cosa da santi di secoli passati. Evviva il “buonismo, la miseriordia per tutti ed ecumenismo democratico: Parola, Tradizione e Magisterio cose d’altri tempi …oggi si va alla luna e non in chiesa ” . Cordiali saluti, Paul

          2. Thelonious

            @Andrea Piccolo: ovviamente nessun credito. Anche perché noi non siamo creditori nei confronti di Dio, ma solo debitori. Debitori di tutto: della vita e soprattutto della grazia. In questo siamo d’accordo mi pare. Non ho infatti capito che c’entri il rito magico, ma lassamo stà, via…

        2. ola

          @Andrea Piccolo provo a spiegare anche io in un modo piu’semplice: se tuo figlio ti fa uno sgarbo tu giustamente ti dispiaci di questo sgarbo. Nel momento in cui tuo figlio viene da te a chiederti scusa, tu lo perdoni. Da quel momento, se vedi che tuo figlio e’veramente pentito del suo sgarbo, il tuo dolore per quello che ha fatto cessa o quantomeno diminuisce – in quanto noi non siamo perfetti come perfetto e’il Padre. Non per questo tuo figlio vanta un qualche credito presso di te, ne si e’compiuto un qualche rito magico.
          In ogni modo adesso mi e’piu’chiaro – grazie a Fabrizio Giudici per la puntuale citazione dal CCC! – il senso del tuo commento, e lo trovo condivisibile, solo il riferimento al rito magico e’stato forse infelice – cfr. CCC 1128 per esempio.

    3. Vanni

      @Andrea Piccolo

      Beh, può perfino accadere che Padre Cavalcoli ne sappia qualcuna più di Lei.

      E sull’uso strumentale del detto di Agostino non ci scherzi troppo: è davvero usato, e con qualche successo, nel senso da Lei ricordato.

      1. @Vanni, le probabilità che Padre Cavalcoli ne sappia più di me sono decisamente elevate, dato che si presume abbia almeno il baccalaureato in teologia.
        Ciò non toglie che una fesseria resta una fesseria anche sulla bocca di una persona istruita.
        L’idea che Benedetto XVI abbia lasciato il ministero petrino dietro la spinta di rahneriani irati, è una solenne sciocchezza. Ma solenne.
        Padre Cavalcoli ha uno stile troppo complottista per me, ma al di la dei gusti personali è indubbio che le idee che riporta come rahneriane non sono mai passate nella di lui testa.

        1. Vanni

          @Andrea Piccolo

          “le probabilità che Padre Cavalcoli ne sappia più di me sono decisamente elevate, dato che si presume abbia almeno il baccalaureato in teologia. Ciò non toglie che una fesseria resta una fesseria anche sulla bocca di una persona istruita.”

          Su questo siamo d’accordo e si potrebbe applicare a diverse situazioni; ma io mi riferivo alla maggiore possibilità di entrature nell’ambiente. Saluti.

  12. Ma voi fratelli/sorelle di Fede cattolica dove trovate nella Bibbia tutto questo “nuovo” materiale per farne uno stillicidio spirituale di tale natura per seguire Cristo e il cammino che ci propone con la sua dottrina per raggiungere la santita’? Piu’ vi leggo e piu’ mi fate pensare che devo cambiare la barca di Pietro, su cui navigo, per comprendere quello che scrivete o il senso/l’origine di tali discorsi/riflessioni che non so da quale vera spiritualita’ cattolica=catechesi ufficiale e per che tipo di fedeli siano necessari? Buona scrittura, ai vostri prossimi articoli/ commenti di “pettegolezzi, puntigliosita’”dicasi spirituale. Cordiali saluti, Paul

  13. Giusi

    Scusate, nella mia ignoranza, io ho l’impressione che spesso quando si parla di coscienza si intenda qualcosa di soggettivo invece a me pare chiaro che la coscienza di cui parla il Catechismo è il luogo dove, con l’aiuto dello Spirito Santo, si manifesta la Volontà di Dio pertanto seguire la coscienza vuol dire riconoscere e capire cosa vuole Dio da noi.

    1. @Giusi, direi sia proprio così da intendere in estrema sintesi 😉

      Si deduce dalla “paginata” di Catechismo che ho riportato e della quale anch’io mi permettevo di fare sintesi quando scrivevo: “…l’insegnamento che se ne trae non è “in nome della coscienza, liberi tutti”, ma una seria chiamata di assunzione di responsabilità all’Uomo…”

  14. vale

    la dicotomia tra ortodossia e prassi, non so se faccia bene o male alla chiesa. ma è un fatto.
    o marxianamente crediamo che la prassi forma la realtà?

    esiste una prassi pastorale che non sia una serie di tentativi più o meno a caso di essere in accordo ed all’interno della la dottrina? poiché,di fatto, una prassi-o pastorale – erronea, conduce ad una modifica della dottrina così come viene percepita.
    certo, la dottrina reale non muta. almeno,per i cattolici,nelle sue definizioni credute tali da sempre o definite tali dai pontefici o dai concilii in unione col vescovo di roma, ma vola nell’empireo delle idee inconoscibili se non è norma anche al comportamento effettivo.

  15. Diego 1976

    Che da oltre 50 anni coesistano due chiese mi pare sia una cosa evidente.
    Il guaio è che viviamo quella che probabilmente è una situazione senza precedenti: ovvero è la parte minoritaria ad essere rimasta fedele alla dottrina di sempre, mentre quella largamente maggioritaria (docente e discente) se ne va allontanando ogni giorno di più.
    Lo scisma non si è ancora attuato formalmente perchè l’ala progressista è stata ed è abile a far passare attraverso la prassi (con la scusa dell'”aggiornamento pastorale” e del contrasto creato ad arte tra Dottrina e Misericordia) quelle modifiche che non si possono imporre in via dottrinale.
    A tal fine si è utilizzato e si continua ad utilizzare nei documenti del Magistero dal Concilio Vaticano II in poi un linguaggio prolisso e ambiguo (“fermo restando….tuttavia….”), mentre in precedenza questi erano cristallini nelle affermazioni e nelle condanne, ove necessario.
    È sufficiente ricordare alcuni esempi tratti dalla liturgia: altare girato verso il popolo, comunione sulla mano, utilizzo esclusivo della lingua volgare, Santa Messa come banchetto comunitario.
    Cosa ci aspetta per il futuro?
    E’ probabile che se si tenteranno ulteriori gravissime innovazioni come l’abolizione del celibato sacerdotale oppure l’apertura del sacerdozio alle donne oppure la nomina dei sacerdoti da parte dei fedeli (perché prima o poi è lì che si vuole arrivare), a quel punto bisognerà scoprire le carte.
    E che Dio ci aiuti.

    1. Insomma Diego sei l’ennesimo sostenitore del “tutti i mali vengono dal CVII” (o interpreto male?)?

      E’ evidente che ne derivino due “chiese”… chi non si schioda dal “pre” e chi fa suo il “pre e il post” nella logica del et-et e nella fiducia dello Spirito che muove la Chiesa.

      (Poi certo c’è anche chi è per il “viva il post” e abbasso il “pre” 😦 … ma al mondo c’è di tutto…).

      1. Diego 1976

        Ciao, grazie per il commento.
        La mia frequentazione delle parrocchie mi porta a ritenere che buona parte del clero e dei fedeli pensino che con il CV2 (“IL Concilio”) sia nata una “nuova” Chiesa, e tutto ciò che era caratteristico di quella “antica” fosse da mettere in soffitta, retaggio di altri tempi (peggiori, è sottinteso).
        Questo prima di tutto a livello liturgico, e poi di conseguenza a livello dottrinale. Ricordiamoci infatti che “lex orandi lex credendi”.

        1. Thelonious

          @Diego 1976.
          Mah, la mia frequentazione delle parrocchie invece mi dice altro, e non ho la tua percezione.
          Senza dire che dal punto di vista lessicale, si indichi il CVII come IL concilio per antonomasia, ma questo per la prossimità temporale. E’ ovvio. Come si può pensare, nel 2015, quando si parla del concilio senza specificare, ci si riferisca, che so, al Concilio di Efeso? Suvvia, siamo realisti…

          1. Diego 1976

            Beato te! Purtroppo dalle mie parti la situazione non è così pacifica, la contrapposizione si avverte a pelle. Pensa che in alcune chiese del centro storico, risalenti a 3 o 4 secoli fa, la furia è stata tale da abbattere le balaustre in marmo che dividevano il presbiterio dalla navata, in spregio anche a precise direttive delle autorità delle Belle Arti. Un abbraccio.
            Un

            1. @Diego, se stiamo a “percezioni” ci può stare di tutto…

              Con questo non voglio negare in assoluto le tue o pensare non siano reali, ma posiamo prendere le storture dall’una o dall’altra parte come la regola?
              O possiamo fare della nostra pur sempre ristretta visuale della nostra (sempre ristretta) frequentazione l’esatta immagine di ciò che realmente è?

              Tutto qui.

      2. ola

        e chi fa suo il “pre e il post”

        non ultimo il grande Papa emerito, ma questo viene taciuto spesso e volentieri perche’non rientra nello schema del “piccolo gregge”.

  16. vale

    @diego76

    a me non scandalizza più di tanto l’altare girato verso il popolo ( ho trovato foto di chiese di fine ‘800 e primi ‘900 già con tale architettura. per cui,la faccenda nasce ben prima del vat.II
    ).od altro.

    quel che mi sconcerta è: che pastorale utilizza, e di conseguenza, che dottrina trasmette un sacerdote così?:

    Intervistato da Brescia Today, don Fabio Corazzina, già coordinatore nazionale di Pax Christi, l’associazione portata alla ribalta soprattutto da don Tonino Bello, apre alle unioni gay ed al matrimonio per i sacerdoti.

    http://www.lafedequotidiana.it/don-fabio-corazzina-si-alle-unioni-civili-gay-ed-ai-matrimoni-per-i-preti/

    1. Giusi

      Ma questi non li sanziona nessuno: possono dire tutto quello che vogliono. Potrei farti una lista ma sarebbe troppo lunga già solo quella del Triveneto. Semplicemente non sono cattolici ma stanno sempre là.

  17. Fabrizio Giudici

    È inevitabile la produzione di “mappazzoni” se ormai il Cristianesimo non è più un’incontro, ma solo una filosofia. D’altronde il neo-primate belga, di recente nomina bergogliana, usa il termine “ideologia” per riferirsi al pensiero della Chiesa. Infatti, qui ormai è tutto un dibattere tra filosofi: Kierkegaard, Heidegger, Kant… È vero che la filosofia “scopre orizzonti infiniti”, ma cosa vuol dire quel “se ben condotta”? Lo dice un altro commento: “bene scripsisti, Thoma, de me, come Gesù, durante un’estasi, disse a San Tommaso.”. Ecco: durante un’estasi. Una volta la filosofia scaturiva dall’incontro. Perché i filosofi erano dei mistici. Ma, attenzione, anche il termine “mistico” deve oggi pagare il pegno alla neolingua: ecco che da “uno che parla con Dio” diventa uno che “cerca e trova Dio in ogni cosa”. Cioè una cosa che è semplicemente uno dei pre-requisiti del Cristiano. Todos misticos, olè! Ovviamente, una volta de-strutturato anche il misticismo, tutta la sequela di mistici testimoni delle rivelazioni mariane che dall’800 sino ad oggi ci mettono in guarda dalla imminente crisi della Chiesa diventano favolette, anzi, meglio, roba da ignorare. Semmai, ecco proprio semmai, si riferivano ai cardinali faraoni che spendono e spandono; roba che si risolve con una spending review. Chissà perché la Madonna s’è scordata di dire, tra gli inviti a recitare il rosario, di studiare economia e pregare perché il Padreterno mandi molti ragionieri nella Chiesa.

    Dunque, tolto di mezzo il mistico, rimane l’intellettuale. Il quale inevitabilmente produce mappazzoni, e li deve produrre perché in questo modo ragioniamo nel mondo delle idee e non in quello della realtà, fatto da vescovi e cardinali, convocati come padri sinodali, ma chiaramente eretici – guardacaso in gran parte seguaci di Rahner: perché oltre ai documenti già segnalati nei commenti sopra basterebbe ricordare il criterio di giudicare l’albero dai frutti, e questa è la migliore sintesi senza bisogno che si prenda un pezzo qua ed un pezzo là. Cosa che traparentesi fa pure Marcotullio, perché tra tante citazioni di Rahner la parolina magica “storicismo” non è mai saltata fuori; e con questa omissione inutile poi chiedersi retoricamente cosa ci sia di “relativistico” nel pensiero di Rahner.

    Però non c’è niente da commentare, perché se si ignorano i fatti, è evidente che non ne deve seguire una spiegazione. Infatti “la dottrina non cambierà […] e neanche la prassi, perché anche la dicotomia tra teologia e pastorale è manichea e non serve al bene della Chiesa.”. Frase che non vuol dire niente, che non spiega niente, perché nei fatti la prassi è già cambiata in molte parti del mondo, guardacaso pure nell’Argentina del vescovo Bergoglio e non c’è stato bisogno di una consultazione formale o informale. Ma, ripeto, va tutto bene. Basta tenere presente “quanti diversi modi di conoscere e cercare il Signore ci sono a questo mondo”, frase chiaramente verissima e che sottoscrivo, però quei “quanti” nel senso di “molti” poi trascolora nel “tutti”. Che anche un bambino sa che sono due concetti diversi; però, guarda caso, quel “pro multis” durante la Consacrazione è diventato, secondo l’arbitrio di certi, “per tutti”, anche in questo caso senza nessun mutamento di dottrina, ma neanche formale di prassi, eppure semplicemente l’hanno fatto e l’hanno tenuto, nonostante i tentativi di Ratzinger papa di rimettere le cose a posto.

    Ultima nota, non irrilevante a questo discorso.

    “E sono sicuro NON perché presumo della mia Virtù, ma perché confido, anzi sono certo di ciò che Dio ci ha donato attraverso la Chiesa nel Sacramento della Riconciliazione.”

    Sulla consapevolezza di essere in Grazia di Dio, il Catechismo è chiaro: nessuno può pensare di esserlo, e l’esempio viene di nuovo dai santi del passato.

    ****

    “2005 Appartenendo all’ordine soprannaturale, la grazia sfugge alla nostra esperienza e solo con la fede può essere conosciuta. Pertanto non possiamo basarci sui nostri sentimenti o sulle nostre opere per dedurne che siamo giustificati e salvati. 240 Tuttavia, secondo la parola del Signore: « Dai loro frutti li potrete riconoscere » (Mt 7,20), la considerazione dei benefici di Dio nella nostra vita e nella vita dei santi ci offre una garanzia che la grazia sta operando in noi e ci sprona ad una fede sempre più grande e ad un atteggiamento di povertà fiduciosa.

    Si trova una delle più belle dimostrazioni di tale disposizione d’animo nella risposta di santa Giovanna d’Arco ad una domanda subdola dei suoi giudici ecclesiastici: « Interrogata se sappia d’essere nella grazia di Dio, risponde: “Se non vi sono, Dio mi vuole mettere; se vi sono, Dio mi vuole custodire in essa” ».”

    ****

    Questa grande risposta di Giovanna chiarisce benissimo i dubbi sopra espressi. Dio ci vuole certamente salvare, ma nonostante ciò nessuno di noi può avere la presunzione di essere salvato. Quindi la frase di Bariom è corretta solo in parte, perché la sicurezza non c’è. Questo dettaglio apparentemente da poco invece è molto importante proprio quando si vuol definire cosa sia una “coscienza correttamente formata” e quali grandi pericoli ci siano ad affidare certe scelte alla “coscienza” dei fedeli, senza queste fondamentali premesse. Ma, mi direte, per carità: che ci frega di Giovanna d’Arco. La risposta più corretta la dà sicuramente Kant.

    1. Io invece caro Fabrizio faccio mia in toto la bellissima frase di Giovanna D’arco e ti ringrazio di averla riportata 😀

      Direi che il farla mia serve a chiarire ulteriormente il mio pensiero (anche a me stesso):
      “Se non vi sono” – se non vi fossi completamente, anche dopo aver ricevuto l’Assoluzione – c’è poi sempre il Purgatorio che è anch’esso Salvezza – il mio cuore sa che Dio desidera più di quanto io stesso lo desideri io sia “in grazia Sua” (Dio mi vuole mettere) e comunque so anche che il mio cuore questo desidera. In questo c’è forse presunzione? Dovrei vivere nella paura ogni secondo che la Salvezza mi sia negata? Questo spesso porta all’atteggiamento negativo di coloro che mai si sentono “in Grazia”, mai perdonati, portando lo scrupolo all’eccesso…
      Guardiamo a come muore chi muore riconciliato con Dio… che non è solo cosa dei Santi canonizzati, ma “semplicemente” del Cristiano. Perché quella è Fede vissuta, non tanto e non solo quella definita da canoni e regole…

      Cosa diversa il timore che la nuova mia completa adesione al peccato, in un tempo seguente alla Riconciliazione, metta a rischio la Grazia ricevuta (ricevuta, non acquisita/meritata/conquistata o pretesa)

      “Se vi sono, Dio mi vuole custodire in essa” e questo è altrettanto certo.

      Forse non sono riuscito a chiarire qual è la “certezza” del mio cuore (che non è presunzione di…) e se fosse non tornerò sull’argomento.
      Ciò che credo e conosco del mio cuore è relativo. Ciò che importa e importerà e ciò che Dio, conosce del mio cuore.

      1. Fabrizio Giudici

        “e comunque so anche che il mio cuore questo desidera. In questo c’è forse presunzione? ”

        No. Comunque invece di “presunzione” avrei dovuto scrivere “presupposizione”, e penso che questo abbia fatto capire male il mio commento… Rileggo sempre prima di postare, ma ogni tanto qualche parola scappa. Vedo di spiegare meglio cosa intendo.

        Innanzitutto, il mio modo di pensare su questo punto non è molto diverso dal tuo… è che è un concetto un po’ difficile da esprimere, anche se probabilmente chi lo pensa (lo vive?) lo capisce bene. Da un lato, non è che tutti – Santi compresi – devono avere una paura ossessiva di finire all’Inferno, perché il Padreterno non è un despota capriccioso. Come dici tu benissimo, se il nostro cuore desidera Dio realmente e lo accoglie, questa è la cosa importante. Se poi dovessimo avere veramente questo dubbio continuo di finire all’Inferno nonostante tutto, dovremmo mollare tutto quello che facciamo e rimanere in costante stato di invocazione di perdono, perché tutto quello che facciamo nella nostra vita sarebbe inutile ai fini di risolvere il problema.

        Però deve esserci la consapevolezza della nostra incostanza, per cui quel desiderio viene tradito in continuazione. E se non siamo vigilanti, si può scivolare in uno stato pericoloso. Mi ha molto colpito quel passaggio, che ho citato recentemente, di Eliot in cui San Tommaso Beckett sa che il martirio è imminente, ma addirittura deve far un’esame di coscienza per accertarsi che avvenga per gloria di Dio e non sua propria. È impressionante. Direte: ma non è magistero, è una riflessione di Eliot. Però è totalmente consistente con quanto insegna il Magistero e hanno testimoniato altri santi martiri (pensiamo solo a Pietro che si fece crocifiggere a testa in giù).

        D’altro canto, come dici tu c’è il Purgatorio. Tuttavia, se uno si accontenta dell’obiettivo minore, c’è il rischio di conformarsi e poi ridurre sempre le proprie mire. È un po’ come il discorso della perfezione: nessuno di noi può raggiungerla, sarebbe presuntuoso pensarlo, ma nonostante ciò dobbiamo puntarci, come da esplicita esortazione di Gesù “Siate perfetti come è perfetto il Padre Vostro che è nei Cieli”.

        Diciamo così, per capire il senso: è sbagliato pensare di essere “stabilmente” in Grazia di Dio. Parafrasando Giovanna: se ci siamo, Dio ci vuole custodire, lasciando intendere quindi che potremmo uscirvi. Siamo sempre in equilibrio instabile e ci rimaniamo fino all’ultimo secondo di vita su questa Terra.

        1. Fabrizio Giudici

          PS Ma volendo rimanere nella discussione, tempo fa leggevo su un blog ortodosso (nel senso di Chiesa Ortodossa) l’affermazione che “volere essere santi” è già una forma di presunzione (sempre che abbia capito bene). Io non sono d’accordo, ma mi dà da pensare. Sarebbe interessante approfondire.

          1. Paul Candiago

            Signor Fabrizio Giudici, “siate perfetti come il Padre mio che e’ nei Cieli….con i suoi angeli e si suoi santi”…l’interpretazione di santo e’ piu’ che contenuta e le sue dimensioni spiegate. Cordiali saluti Paul

          2. …da una parte il cattolico non desidera nel suo cuore che Dio (quemadmodum desiderat…) dall’altra è giusto che egli viva nella buia oppressione del suo esser cattivo (siccome essendo originalmente incline al peccato).
            Nessuno può dirsi o sentirsi salvo, solo sperare, se non fosse peccato di superbia anche sperare (per quanto, tutti i santi lo insegnano, umilmente, in punta di piedi).

          3. Grazie dello scambio Fabrizio.
            Si sarebbe interessante approfondire…

            Non che sia un gran approfondimento raccontarti come la vedo io, ma se trovo il tempo (stasera credo no…) te lo racconto 😉

          4. 61angeloextralarge

            Fabrizio Giudici: leggendo le biografie di qualche Santo ho notato che alcuni ripetevano spesso: “Voglio farmi Santo” o qualcosa del genere. Il piccolo Domenico Savio aveva chiesto a Don Bosco di aiutarlo proprio in questo. Credo che quello che si può definire presunzione sia l’eventuale motivazione che spinge a diventare Santi.

        2. bri

          @fabriziogiudici
          premesso che son d’accordo su tutte le sfumature che richiamano il penitente a non presumere … tuttavia, e loscrivo per essere fraternamente corretto casomai, dopo la confessione io sperimento lagioia delperdono di Dio, che immagino far festa come il padre del figliol prodigo (si’ anche per me, come per tutti) e non per presunzione ma per fede nella sua parola
          e questo perche’ nonostante iogia’ sappia che commettero’ moltidegli stessi peccati che ho appena confessato e nonosrante nessun uomo potrebbe perdonare queste mie continue recidive, io al Suo perdono non posso non credere
          con annesse implicazioni di salvezza
          che poi lecomprometta in un attimo … vabbe’ lasciamstare

          1. @bri, credo che alla fine Fabrizio non sostenga nulla di tanto diverso, ci si era addentrati nelle “pieghe” dell’animo umano a fare distinzioni tra il presupporre, la presunzione e la “confidente certezza” (se mi si passa il termine) che viene dalla Speranza in Cristo.

            D’altronde se riandiamo a leggere Paolo, Egli parla della Speranza praticamente allo stesso modo con cui si potrebbe parlare di “certezza”, perché la nostra speranza è “fissa in Dio”.

            “… fissate ogni speranza in quella grazia che vi sarà data quando Gesù Cristo si rivelerà.”

            Si può forse tacciarlo di presupponenza o presunzione? 😉

            Credo anche che poter testimoniare questa “certezza” (continuo ad usare questo termine, ma credo ci siamo capiti come lo intendo), sia vera testimonianza per i “lontani”, coloro che non hanno più certezze, né tanto meno speranze e che sia uno degli aspetti più “affascinanti” della professione di Fede.

            1. @bariom
              mi iscrivo alla serie dei repetita iuvant
              Nuovamente, noiosamente 🙂 , ma senza fastidio alcuno, concordo con tutto quel che hai scritto

    2. yokanaan

      Guardi, senza scrivere mappazzoni: non ho usato la parola “storicismo” perché sarebbe fuori luogo. Se nelle sue fonti la ritrova a proposito di Rahner (che – ripeto – non rientra tra i “miei” autori), allora rifletta meglio sul fatto che non basta un sano e doveroso riferimento alle dimensioni storiche della fede perché si dia dello storicismo. Il presupposto dell’evoluzione dei dogmi è ben precedente a Hegel, a Kant, a ogni trascendentale e a ogni idealismo: è nel cuore dell’Incarnazione, e già Ireneo di Lione, Vincenzo di Lérins e Prospero d’Aquitania lo riconoscono apertamente. Lo stesso Tommaso d’Aquino, se vuole un’autorità sicurissima, ricordava che l’«actus credendi non terminat ad enuntiabile, sed ad rem», perché l’“enuntiabile” è storico e soggetto a mutevoli terminologie, che si affinano o si ingrossano nella storia.

      1. Fabrizio Giudici

        “non basta un sano e doveroso riferimento alle dimensioni storiche della fede perché si dia dello storicismo”

        Lo so benissimo, e non è questo il senso del mio intervento. Il “doveroso riferimento” non può essere un -ismo. Mi sembra che una serie di precisazioni molto chiare siano già presenti nei documenti che Massimiliano ha linkato. Se vogliamo aggiungerne

        Per evitare di ripeter male cose dette da esperti, riporto pari pari un paio di estratti da un’analisi Antonio Livi sul pensiero di Kasper, allievo di Rahner. Ovviamente sarebbe il caso di leggerlo tutto per capire il contesto:

        http://disputationes-theologicae.blogspot.it/2015/07/il-fondo-inquietante-della-proposta.html

        “Ogni singola tesi sostenuta da Kasper (che raramente ha i caratteri dell’originalità, visto che l’autore si accontenta di ripetere quanto già sostenuto dai suoi maestri, a cominciare da Karl Rahner), se analizzata da un punto di vista rigorosamente epistemologico, appare priva di quella consistenza epistemica che caratterizza la vera teologia; le sue ricerche teologiche non sono (e nemmeno si propongono di essere) un’ipotesi di interpretazione scientifica della fede professata dalla Chiesa attraverso la Sacra Scrittura, le formule dogmatiche e la liturgia: sono piuttosto espressioni di una ambigua “filosofia religiosa”, termine con il quale io designo quell’arbitraria interpretazione delle nozioni religiose proprie del cristianesimo che ha prodotto nell’Ottocento i grandi sistemi dell’idealismo storicistico, come quello di Hegel e quello di Schelling[2].
        […]
        Che significa che la rivelazione cristiana, nella sua “essenza” (termine indubbiamente metafisico, ma che deve essere sfuggito a Kasper), è “storia”? Storia di che cosa, storia di chi? Si deve forse intendere la storia degli uomini (quello che Kasper chiama la «natura») in rapporto all’azione di Dio (il «soprannaturale»)? In questo caso, si tratterebbe della nozione teologica di “storia della salvezza”, ossia dell’iniziativa salvifica di Dio Creatore e Redentore, che è rivelata all’uomo da Dio stesso, prima tramite i Profeti e poi, definitivamente, mediante l’Incarnazione del Verbo. Questa però non può essere la concezione di Kasper, perché corrisponde pienamente alla dottrina teologica tradizionale, che per Kasper sarebbe da rigettare in quanto presupporrebbe un «modo statico, metafisico e sovratemporale» di concepire «il rapporto tra naturale e soprannaturale». Ora, tenendo conto del fatto che, parlando di un «rapporto tra naturale e soprannaturale», Kasper ammette (involontariamente) la distinzione tra il mondo (la creazione) e Dio (il Creatore), uno dei due termini del rapporto, Dio, non può essere identificato con la “Storia”: a meno che non si voglia, in definitiva, escludere Dio dal discorso teologico e parlare solo del mondo e delle sue vicissitudini, anche quando si tratta della vita religiosa e della Chiesa. Il che è proprio quello che intende Kasper, come ben presto si vedrà.”

        1. yokanaan

          Chiedo scusa, ma prendere un articolo contro Kasper, e che quindi degli scritti di Kasper sta parlando, per scaricarlo su Rahner, mi sembra – come dire – un processo epistemologicamente opaco.

          1. Fabrizio Giudici

            Non mi pare che le cose stiano così: Livi dice piuttosto esplicitamente, nel passaggio citato, che Kasper ripete le stesse cose di Rahner, con scarso valore aggiunto. Ne deduco che quello che Livi scrive è a proposito delle idee di Rahner, semplicemente riprese da Kasper, visto il suo momento di popolarità.

            Io non sono in grado di stabilire se è giusto o sbagliato, ovviamente, ma l’obiezione qui sopra mossa evidentemente andrebbe mossa a Livi.

            PS In seconda battuta vale sempre il discorso dei frutti dell’albero.

            1. yokanaan

              Non mi faccia passare per l’apologeta di Rahner che non sono: se si parla di Rahner si cita Rahner, o si tace. Anche il lupo della favola dice all’agnello che se non era stato lui era sicuramente stato suo padre. A Livi non devo alcuna obiezione, finché non intervenisse lui in una conversazione su Rahner parlando di Kasper. Nel qual caso se la prenderebbe tale e quale anche lui.

              1. Fabrizio Giudici

                Non ho intenzione di farla passare come apologeta di Rahner. Comunque, se preferisce un paragrafo di Livi esplicito e senza “intermediari” come Kasper, la faccio contento:

                http://www.antoniolivi.com/it/?p=436

                Di parere opposto Antonio Livi , decano emerito della facoltà di Filosofia della Pontificia Università Lateranense, secon­do cui «come in He­gel non c’è differen­za tra spirito e mate­ria, tra Dio e Creatu­ra, perché tutto è dialettica all’interno dello Spirito, così an­che l’hegelismo di Rahner rischia di ri­sultare incompatibile con l’idea di un Dio assolutamente trascendente, la cui vo­lontà di creare e di salvare è totalmente li­bera. È uno dei cortocircuiti a cui la teo­logia di Rahner giunge volendo interpre­tare le verità di fede con categorie filoso­fiche inadeguate. Il Concilio Vaticano I con i suoi pronunciamenti dogmatici contro il razionalismo e il fideismo – con­tinua Livi – ha espressamente negato la possibilità di utilizzare nella teologia cri­stiana sia Kant, che non dà alla fede alcu­na premessa razionale metafisica, sia He­gel, in cui non c’è vero dialogo tra Dio e l’uomo perché tutto interno allo Spirito». Insomma, per Livi Rahner rappresente­rebbe un tentativo non riuscito da parte della teologia di confrontarsi con la filosofia moderna: «Il trascendentale rahne­riano fa sì che tutto sia a priori, tutto sia in un certo senso eterno. Per questo, ad esempio, Rahner può dire che anche co­loro che non hanno avuto l’annuncio del Vangelo oppure non vi hanno creduto so­no già cristiani. Tutti sarebbero cristiani per il solo fatto di essere uomini. Il che è suggestivo, ma è falso. Perché il dogma dice che l’uomo è stato oggetto della Ri­velazione di Dio con un atto gratuito di a­more avvenuto nella storia e chi non ha conosciuto il Vangelo o non l’ha accettato non è cristiano. Il problema della salvez­za dei non credenti è un’altra cosa».

                1. yokanaan

                  Adesso perlomeno non siamo fuori traccia. E l’osservazione di Livi è ben più seria, qui, benché sintetica. Osserverei a questo punto che il Vaticano I scarta razionalismo e fideismo, espressamente, non Kant ed Hegel: difatti oltre a numerosi grandi come Von Balthasar a queste dottrine filosofiche si sono abbeverati anche bravi teologi di rango meno eccelso, come ad esempio Piero Coda. Anch’io ho spesso l’impressione che le pagine di Rahner siano più suggestive che vere, ma non trovo affatto che la sua dottrina del “cristianesimo anonimo” sia così squadrata come sembra da queste due righe. Cose simili sono state dette da centomila teologi, prima di lui e di Kant, a partire da Giustino e Ireneo. Il problema, come dice Livi, è la distinzione tra natura e sopranatura. Ma su questo trovo molto più fine De Lubac di ogni tomista che io conosca.

                  1. Purtroppo non conosco De Lubac e spero di trovare il tempo di avvicinarlo.
                    Livi descrive un Rahner incline al panteismo, e non so proprio dove sia andato a trovarlo. Certo non negli scritti di Rahner. Non ho mai notato confusione tra natura e sopranatura in Rahner e se qualcuno ha dei riferimenti dei suoi testi piacerebbe averli

  18. Fabrizio Giudici

    “Non che sia un gran approfondimento raccontarti come la vedo io,”

    Per me lo è, Bariom, sia detto senza falsa cortesia. Senza fretta, che tanto siamo qui 🙂

  19. Gentile Signore Vale, per favore sintesi: o Dottrina=Evangelizzazione come da catechesi ufficiale o errore, apostasia o eresia. “Tutto il resto viene dal Maligno”. Cordiali saluti, Paul

  20. Fabrizio Giudici

    “L’idea che Benedetto XVI abbia lasciato il ministero petrino dietro la spinta di rahneriani irati, è una solenne sciocchezza. Ma solenne.”

    Sei sicuro? Anche se sono proprio i rahneriani irati che lo dicono, vantandosene?

  21. Fabrizio Giudici

    “E l’osservazione di Livi è ben più seria, qui, benché sintetica. Osserverei a questo punto che il Vaticano I scarta razionalismo e fideismo, espressamente, non Kant ed Hegel: difatti oltre a numerosi grandi come Von Balthasar a queste dottrine filosofiche si sono abbeverati anche bravi teologi di rango meno eccelso, come ad esempio Piero Coda.”

    L’osservazione è di fatto la stessa, semplicemente qui c’è la radice per l’appunto sintetica, mentre quando si parla di Kasper si stanno analizzando le conseguenze pratiche (cosa che però non è secondaria). Il problema, per quanto mi riguarda, è molto più terra terra.

    “Il problema, come dice Livi, è la distinzione tra natura e sopranatura.”

    Ecco, esatto. Il problema è che la filosofia tedesca ottocentesca è atea, figlia del settecento, mentre così non era la filosofia dei secoli passati, sino ad arrivare ai primi Padri della Chiesa (salvo forse dei germi rinascimentali?). Ora, prima di portarmi in casa una filosofia atea, molto praticamente, mi chiedo a cosa ci giova: non ce l’ha ordinato il dottore, dopotutto. Ci sono tre possibilità, a spanne:

    1. C’è una idea balorda tipo apocatastasi (visto che si parlava di Origene) che vagheggia che in definitiva il male non è assoluto e definitivo, e c’è del buono un po’ da tutte le parti. L’apocatastasi è già eresia di suo, quando parla in prospettiva teleologica, a maggior ragione lasciamo perdere qualsiasi cosa simile che si applichi in prospettiva terrena.

    2. C’è una idea balorda che la Chiesa in sé non abbia strumenti sufficienti per l’indagine razionale, e qui direi che non c’è altro da dire e il discorso si chiude subito.

    3. C’è l’idea che le ideologie di successo, come indubbiamente sono state e sono ancora quelle ottocentesche, vadano combattute non frontalmente, ma assimilate. A priori, visto che già sono abituato a vedere scienza che è controintuitiva, non avanzerei critiche (però farei sommessamente presente che in millenovecento anni di storia precedente la Chiesa ha sempre preso di petto le idee sbagliate e le ha sconfitte tutte: già c’è puzza di bruciato se inizio a percepire un sentore di eccezionalità per quanto riguarda l’epoca moderna – cronocentrismo anyone?). Ma visto che sono cinquant’anni che ci dibattiamo con le conseguenze nefaste di questa strategia, mentre abbiamo il controesempio eclatante di GPII che ad un certo punto – in barba a tanti discorsi filosofici – agli uomini di buona volontà ha detto “non abbiate paura”, agli altri ha detto “piantatela con le vostre fregnacce” e in dodici anni scarsi di pontificato ha contribuito a mandare all’aria uno dei sistemi politico-ideologici apparentemente più potenti mai apparsi sulla faccia della Terra, be’, mi vien da dire che ci siamo fatti male abbastanza. Quindi, l’idea è balorda a posteriori, se qualcuno avesse avuto dubbi a priori.

    In definitiva, non vedo nessun motivo pratico per cui la Chiesa abbia bisogno di ri-fondare il proprio pensiero su Kant, Hegel & compagnia cantante, e vedo invece tutti i problemi che ne conseguono, per cui concludo che è meglio lasciarli stare dove sono.

    De Lubac è un altro discorso. Qui si parlava di Rahner, no?

    1. yokanaan

      C’è pure quella idea dei semina verbi, e finiamola di dire che ogni idea ispirata a Kant ed Hegel deve essere atea, o siamo ridicoli: di ateismo accusavano anche i primi cristiani, e forse sono più atei tanti cartesiani o sedicenti tomisti. Ma chiudo qui, perché queste logomachie non hanno niente della serenità con cui si fa teologia, È tutto uno spocchioso chiosare e distinguere: la conoscenza si amplia invece chiedendo e ascoltando (guarda un po’ i verbi a proposito di Gesù bambino nel tempio tra i dottori). Buona giornata.

  22. Fabrizio Giudici

    @Diego 1976 “”ovvero è la parte minoritaria ad essere rimasta fedele alla dottrina di sempre, mentre quella largamente maggioritaria (docente e discente) se ne va allontanando ogni giorno di più.”

    Diego, in realtà non è una novità – fortunatamente, nel senso che possiamo già vedere un precedente simile, che poi si è chiuso. Secondo quello che ho letto da molte parti, l’eresia ariana al suo culmine coinvolgeva una netta maggioranza della Chiesa, specialmente tra le gerarchie. Tant’è che ad Atanasio viene attribuita la frase “voi avete le chiese, noi abbiamo la fede” (nota: virgolettato mio e non ho un riferimento). Atanasio dovette pure fuggire e nascondersi per salvare la ghirba. Durò qualche decennio, poi finì come è il destino di tutte le eresie. Non è una passeggiata, ma non è neanche il caso di lasciarsi andare al pessimismo.

  23. Fabrizio Giudici

    “Ma dai Fabrizio… Cosa mi dovrebbe significare?
    C’è gente che si vanta di sapere quando sarà la fine del mondo! :-P”

    Cosa c’entra la fine del mondo? Non parlo del futuro, ma del passato documentato: dico che Danneels si è vantato pubblicamente di aver fatto parte di un gruppo che si oppose prima a GPII e poi a BXVI. Dopo aver gettato il sasso ha ritirato solo parzialmente il braccio per evitare il rischio di conseguenze pratiche, ma il punto è tutto lì. Sta di fatto che un bel numero di rahneriani sopravvissuti sono stati piazzati in posizioni di rilievo da Francesco – l’ultimo è il neo primate del Belgio.

    Ragazzi, cosa volete di più: il filmino? Be’, c’è anche il video dell’intervista di Danneels, se andate a cercarlo.

    D’altronde il programma di Francesco è spiccicato quello dei rahneriani proposto in un sinodo degli anni ’80. Fin nei dettagli: dall’importanza della “misericordia” fino al C8 (solo chiamato con un nome diverso, “consiglio della corona”), passando per la malsana idea del decentramento delle chiese locali – tutta roba che Ratzinger osteggiò vigorosamente. Tant’è che Danneels masticava amaro dopo il conclave del 2005, mentre era trionfante sulla balconata con Bergoglio nel 2013.

    1. Ueh, la mia era solo una battuta…
      Se poi avessi immaginato dove andavi a parare, di certo me la evitavo.

      Mo’ però stacco la spina.

    2. Giusi

      E ciliegina sulla torta (rancida) solo apparentemente fuori tema……

      “Ci avviciniamo dunque a Parigi rassegnati a subire nelle prossime settimane una serie di annunci “terroristici” su quanto ci potrà capitare a causa dei cambiamenti climatici. E come sempre ci sono marce, manifestazioni, iniziative in cui si dovrebbe dimostrare la sensibilità del popolo per questi argomenti. Quest’anno però c’è una novità: ovvero la presenza istituzionale della Chiesa cattolica a sostegno delle politiche per il clima. Sulla spinta dell’enciclica Laudato Sii è partita una mobilitazione di diocesi e comunità in vista di Parigi; un appello dei vescovi di tutto il mondo è stato lanciato il 26 ottobre (ma non si sa chi l’abbia effettivamente firmato); 230 organizzazioni cattoliche mondiali hanno proclamato novembre il “mese del clima”, con petizioni, pellegrinaggi e iniziative varie che culmineranno con la marcia nella capitale francese il 29 novembre.

      Sembra quasi che ora sia la Chiesa a volersi mettere alla testa del movimento ecologista mondiale, e un modello lo ha dato il Vicariato di Roma che domenica scorsa ha organizzato la Marcia per la Terra (salutata anche dal Papa all’Angelus) raccogliendo l’adesione di decine di organizzazioni tra cui WWF, Greenpeace, Legambiente. È una sorta di ubriacatura ecologista che, aldilà delle intenzioni, omologa anche i cattolici all’ideologia dominante. A dire il vero non si può essere neanche tanto sorpresi: dopo aver visto nel Sinodo che voglia di piacere al mondo c’è tra i pastori su matrimonio e famiglia, figurarsi su un tema come l’ambiente”.

      http://www.lanuovabq.it/it/articoli–iniziata-la-lunga-marcia-verso-parigiecco-un-uragano-di-annunci-catastrofici-sul-clima–14357.htm

      1. Paul Candiago

        Signora Giusi, Fabrizio viviamo un era moderna dove l’uomo sa di piu’ di Cristo a riguardo della fine del mondo meraviglioso. Buon divertimento, dimenticavo, mi son comperato un potente telescopio e di notte guardo le stelle per vedere “se sono disturbate” ma le lastre non lo mostano ancora. Paul

      2. Francesca

        @Giusi
        A me piace tanto l’ecologia, il cibo bio (verace)….tutte ‘ste robe verdi 😛
        Sempre piaciute. Sto molto attenta anche ai detersivi con formule chimiche un pò meno inquinanti per le acque…. (è tutto un gran business anche quello, ma basta prendere le giuste informazioni per orientarsi)
        È grave? 😉

  24. Fabrizio Giudici

    “finiamola di dire che ogni idea ispirata a Kant ed Hegel deve essere atea, o siamo ridicoli: di ateismo accusavano anche i primi cristiani, e forse sono più atei tanti cartesiani o sedicenti tomisti.”

    Be’, esiste anche l’umiltà di confrontarsi con la realtà e siccome ormai quelle filosofie sono state ben messe alla prova in varie forme…

    “Ma chiudo qui, perché queste logomachie non hanno niente della serenità con cui si fa teologia, È tutto uno spocchioso chiosare e distinguere: la conoscenza si amplia invece chiedendo e ascoltando (guarda un po’ i verbi a proposito di Gesù bambino nel tempio tra i dottori). Buona giornata.”

    Mah… per me spocchioso è scrivere un mappazzone in cui si sostengono certe idee e poi non rispondere a banali obiezioni di un’ignorante come me, dopo aver tentato invano di spostare il focus della discussione. Io ho chiesto, mi sono anche messo in ascolto, ma non è arrivato niente.

    Comunque, buona giornata anche a lei.

    1. yokanaan

      Vuole confrontarsi con la realtà? Allora faccia pace con l’idea che Von Balthasar e Coda (per dire due che ho già menzionato) devono moltissimo a Hegel ma non sono atei. Ci faccia pace.
      Quanto al mappazzone, vogliamo fare il conto delle sue battute nei commenti e delle mie? E chiama “obiezione” il menare il can per l’aia? “Si sostengono certe idee”… ancora a farmi passare per l’apologeta di Rahner. Ostinazione incredibile.

  25. Fabrizio Giudici

    Ma non era chiusa lì? Comunque l’ho già detto: io non voglio farla passare per apologeta di Rahner. Non mi faccia passare per quello che la vuol far passare per apologeta di Rahner. Visto che però Rahner l’ha tirato fuori lei, io le ho chiesto una cosa semplice: quale sarebbe il contributo alla Chiesa dell’inserimento del pensiero filosofico di Kant, Hegel e compagnia. Ho espresso la mia opinione secondo la quale vedo tre possibili strade, ma tutte che portano ad un vicolo chiuso. Sarebbe quindi interessante leggere una risposta in cui o lei fa presente che quelle tre strade non sono così assurde, oppure c’è una quarta o quinta strada. C’entrano Von Balthasar e Coda? Bene, ci spieghi come.

    Sul fare domande sì, sono ostinato, ostinatissimo, un vero rompicoglioni. Lo considero un talento: Dio me l’ha dato e io cerco modestamente di farlo fruttare. D’altronde non capisco il senso di postare un contributo su un blog aperto ai commenti se poi non ci si aspetta che i commentatori facciano domande.

    @Bariom “Se poi avessi immaginato dove andavi a parare, di certo me la evitavo.”

    LOL 🙂

    1. yokanaan

      Veramente avevo già risposto: c’è quella (scomoda) faccenda dei “semina Verbi” per cui pare sia impossibile bollare una qualsivoglia produzione dell’ingegno umano come una pura boiata. In forza di questa, bisogna osservare che il criticismo e l’idealismo sono utili anzitutto come spie di alcune derive essenzialistiche della teologia scolastica precedente; in secondo luogo come recupero dell’alterità di Dio che in nessun modo può essere pensato come ente intramondano. Tanto per cominciare. Ovvio che si creano nuovi problemi, ma pure la categoria di “transustanziazione” (a sentire Tommaso) non è filosoficamente trasparente.

      1. Paul Candiago

        Signor Yokanaan, F.Giudici, penso che pensare che a Dio onnipotente nulla e’ impossibile sia il filo conduttore anche all’ineffabile Mistero della Eucaristia. Ah! la mente umana e le sue presuntuose superbie di curiosita’ nei misteri divini. Cordiali saluti Paul

  26. Francesco

    rahner e sinodo a parte, a me l’idea della miriano che nella Chiesa esistano due visioni mi sembra corretta. Una che cerca (coi propri limiti) di vivere il Vangelo in maniera radicale (“sine glossa”, come diceva san francesco d’assisi, mi pare) è una che cerca di inseguire il mondo (magari anche con le migliori intenzioni). Quest’ultima credo senta l’influenza dei protestantesimo. Io per primo: quando ero piccolo credevo che la parte più importante dell’Eucaristia era l’omelia…

    1. E sarebbe una confutazione seria? Ma si può dedurre cosa voleva dire l’autore citando 2 parole di un discorso?

      Allora avevo ragione io a dire che la frase di S. Agostino “ama e a ciò che vuoi” è un chiaro avallo del matrimonio omosessuale.

  27. Vincenzo Sasso

    Le argomentazioni (se intendono essere tali) dell’Autore contro la dottrina tradizionale a proposito, ad esempio, del Battesimo e del destino delle anime in cui non c’è peccato sono puramente sofistiche. E’ certo che un’anima, nel momento in cui fosse pura dalla colpa e anche da qualsiasi pena (se uno si confessa rimane, infatti, la pena temporale da scontare, a meno che non si riesca a vivere la penitenza sulla terra o si usufruisca delle Indulgenze) andrebbe in Paradiso. Dio però ci fa vivere la vita sulla terra perché vuole che meritiamo il Paradiso. Acquisendo maggiori meriti e una maggiore virtù potremo ricevere una parte maggiore della gloria del Signore.
    Citare quel giudizio di Rahner sulla Pascendi gioca a suo sfavore: in esso si vede la mancanza di umiltà di Rahner, che pensa che la Vera Fede sia questione di complicati ragionamenti (non ricchi, ma complicati) e tante ore passate sui libri, mentre essa è semplicemente la Dottrina di N.S. Gesù Cristo consegnata alla Chiesa. Questa cosa, invece, i santi la sanno e sono i santi che la Chiesa ci indica come veri teologi.
    Per poter conoscere il pensiero di Karl Rahner consiglio la lettura di G. CAVALCOLI, Karl Rahner. Il concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura.

    Copio anche qui il commento di Padre Cavacoli all’articolo, pervenutomi per e-mail: <>. E soggiunge: <>.
    Dopo gli studi fatti, considerato anche che è del tutto evidente quanto alcune affermazioni di Rahner stridano con il Catechismo e con alcuni documenti del Magistero, anche successivi al Concilio Vaticano II, non credo vi sia molto da indagare. Certo, la porta resta sempre aperta per coloro che volessero argomentare a favore di Rahner, sperando che non utilizzino sofismi e ripetano argomentazioni già confutate. E sperando, soprattutto, in una presa di posizione chiara da parte della Chiesa un giorno.

    1. Vincenzo Sasso

      Ops, ho appena notato che le frasi tra le virgolette non vengono visualizzate.
      Le metto tra virgolette piccole.
      Prima: “La difesa di Rahner fatta da Marcotullio non regge. In realtà Rahner è il principale responsasbile dell’attuale relativismo un campo teologico e morale e la critica fatta da Fontana è azzeccata. Basterebbe l’abominevole e sacrilego giudizio da lui dato alla Pascendi di S. Pio X per squalificarlo come teologo. Sanna è vittima degli errori rahneriani”.
      Seconda: “Il mio libro ha avuto due edizioni e recensioni favorevoli, mentre nessun rahneriano è stato capace di smentire quanto ho detto, documentato da 500 note e frutto di trent’anni di studio del suo pensiero. Tutt’al più fraintendimenti e menzogne. Tenga presente che sono accademico pontificio dal 1992 e che ho lavorato in Segreteria di Stato dl 1982 al 1990. Con Mons. Sanna ebbi a suo tempo una corrispondenza epistolare, nella quale egli non mi dette alcuna soddisfazione. I rahneriani sfuggono a un dibattito serio, perchè loro per primi sanno che ne resterebbero sconfitti, per cui, con grossi mezzi finanziari ed un’abile propaganda, presentandosi come “progressisti”, continuatori del Concilio Vaticano II, riescono a raggirare anche persone colte ma ambiziose e desiderose di far carriera e si impongno agli ingenui e ai furbi solo per la loro grande capacità di argomentare in modo sofistico. Il rahnerismo è la più grande iattura della Chiesa del nostro tempo”.

  28. Fabrizio Giudici

    “Speriamo tu non sia quello che da cinque se ne procura altrettanti!! 😀 😀 :-D”

    Non mettere limiti alla Provvidenza Divina… 😛

    “In forza di questa, bisogna osservare che il criticismo e l’idealismo sono utili anzitutto come spie di alcune derive essenzialistiche della teologia scolastica precedente; in secondo luogo come recupero dell’alterità di Dio che in nessun modo può essere pensato come ente intramondano. Tanto per cominciare. Ovvio che si creano nuovi problemi, ma pure la categoria di “transustanziazione” (a sentire Tommaso) non è filosoficamente trasparente.”

    Non penso che nessuna filosofia possa essere “definitiva” (e tanto meno poi penso che una filosofia possa esserlo nei confronti della conoscenza di Dio, e manco dovremmo porci il problema). Ma una cosa è tenere conto di certi sviluppi filosofici, un conto volerli conciliare a tutti i costi, letteralmente “a tutti i costi”, con il cristianesimo. Se guardo a Marx, può essere che trovo qualche aspetto interessante sulla critica al capitalismo che posso condividere e magari sviluppare. Ma non per questo penso di dover prendere tutta la struttura portante del pensiero di Marx e diventare marxista. Per quanto riguarda la Chiesa, la Dottrina Sociale è ben in grado di criticare il capitalismo già con i suoi strumenti, ma non ho nessuna obiezione se prende in esame qualche considerazione di Marx, nel caso sia utile; ma non certo tutto l’impianto per poi ritrovarsi con la Teologia della Liberazione. È anche un banale problema di rischi/benefici.

    Tornando dunque al risvolto pratico delle cose… quali sarebbero le gravi conseguenze della “deriva essenzialistica” della teologia scolastica, o della “non trasparenza” della categoria di “transustanziazione” che la Chiesa ha dovuto _necessariamente_ affrontare a metà del XX secolo, dando così tanta libertà al Concilio a teologi come Rahner? Perché – parlando per esempio della “transustanziazione” – se guardo di nuovo alle conseguenze, e cioè a quanto si siano amplificati i dubbi, per non parlare delle eresie vere e proprie, sul concetto di “Presenza Reale”, vedo solo nuovi problemi (che in realtà sono vecchi problemi rinnovati), e nessuna nuova soluzione.

    1. Francesca

      Perché? Che hanno detto sulla transustanziazione di nuovo che ha causato dubbi?
      Illuminatemi che sono ignorante 😉
      Una cosa la so: le 3 posizioni fondamentali nel cristianesimo riguardo alla Cena Eucaristica.
      E ad esempio quando lessi quella luterana mi dissi: “maddaaaiiiii, davvero noi esseri umani possiamo stabilire se il mistero assomiglia più alla transustanziazione o più alla consustanziazione?”. La Presenza Reale c’è, punto.
      Non datemi dell’eretica, grazie. Credo alla transust ma ci misi tre ore a capire la consust. Poi, un pò alla volta, con apporti di filosofia mi fu tutto bello chiaro…. però quando espongo a persone comuni (cattolici) l’evento eucaristico e introduco necessariamente quel poco di filosofia…mi guardano molto strano e dunque mi sorge il dubbio che sia meglio tacere e lasciare le cose come stanno. (Ma come stanno? In che cosa crede il ‘cattolico medio’? )

      Devo anche dire che girando per forum vari incontro molti ex cattolici passati a chiese riformate che mi danno della “cannibale” (sic) e della “blasfema” (ri-sic), sostenendo che oggi è superstizione o plagio mentale credere ad una cosa simile…

      1. “In che cosa crede il ‘cattolico medio’?”
        Ehhh DOMANDONA !!

        E chi lo sa? Chi può dire di saperlo? Presumo solo il Padreterno 😉
        Poi si fanno sondaggi, statistiche, illazioni, supposizioni… qual è il metro? (certo un metro ci sarebbe…)

        Cos’è poi un “cattolico medio”? ( né anularte né mignolo 😀 😀 )

  29. Fabrizio Giudici

    “Che hanno detto sulla transustanziazione di nuovo che ha causato dubbi? Illuminatemi che sono ignorante ;-)”

    Separiamo le domande, anche perché sono consequenziali. Iniziamo a rispondere alla prima: qual’è il contributo delle “nuove teologie” sulla transustanziazione? L’ho chiesto ieri, ma per ora non vedo nessuna risposta… Quello che vedo è che sempre meno fedeli e preti ci crede. Diciamo che dalla prima risposta si potrebbe tentare di trovare un nesso.

    “mi sorge il dubbio che sia meglio tacere e lasciare le cose come stanno. ”

    Esatto. O per lo meno: prima di andare a toccare teologia consolidata, voglio vedere una teologia molto più solida. E una teologia fatta in ginocchio, ma veramente, come San Tommaso, non come Kasper, che semmai andrebbe fatto mettere in ginocchio sui ceci.

    “In che cosa crede il ‘cattolico medio’?” Ehhh DOMANDONA !! E chi lo sa? Chi può dire di saperlo? Presumo solo il Padreterno 😉 Poi si fanno sondaggi, statistiche, illazioni, supposizioni… qual è il metro? (certo un metro ci sarebbe…) Cos’è poi un “cattolico medio”?

    In realtà si può benissimo rispondere a queste domande, se per “cosa crede” si intende “cosa crede pubblicamente”, ovvero “qual’è la testimonianza che si dà in pubblico”. Che non è necessariamente quello che credono in foro interno, ma è comunque un’informazione utile. Un sondaggio, se fatto bene, può perfettamente renderlo noto. Per esempio, poco tempo fa facevo presente che in Germania la metà abbondante dei cattolici non crede nella vita eterna. Ma era giusto una citazione, perché vorrei sapere su cosa rendono testimonianza anche in altre parti del mondo. Da questo punto di vista, in Germania hanno avuto il merito almeno di aver fatto l’indagine.

    “La certezza è una cosa, la pretesa un’altra.”

    Totalmente d’accordo.

    1. @Fabrizio non per polemica, ma “Quello che vedo è che sempre meno fedeli e preti ci crede.” può non voler dire un bel nulla…
      Quel che “vedi” cos’è, dov’è? (domande solo retoriche)

      Poi anche “sempre meno” non dà alcuna valenza né di numero ne di “peso”.
      E coloro che ci credono “sempre più” per maturazione o conversione di Fede?

      1. Paul Candiago

        Fuori tema, ma tangenziale: “il fumo di Satana e’ entrato nella Chiesa” (Beato Papa Paolo VI), mi permetto di aggiungere in tutte le forme e a tutti livelli e lo vediamo e con il piacere dei teoghi liberali e qulli a fede razionalizzata: povero Cristo dopo tanto Lavoro ripagato con sacrilegi ed irriverenze anche nel Sacramento del suo Amore. Non scandalizziamoci ma vigiliamo e preghiamo che “ le Porte dell’Inferno non prevaranno contro di Essa”. Cordiali saluti, Paul

      2. vale

        @ bariom

        è ovvio che si tenda a fare di ogni erba un fascio-riguardo ai sacerdoti- quando senti di charamsa e,da ultimo,dell’ex abate di montecassino (sulla cui vita scandalosa stanno venendo fuori cose agghiaccianti).che sono certamente la piccola minoranza dei sacerdoti ( però fatti arrivare da qualcuno in posizioni di rilievo.e non credo, visto la vita che han condotto, che nessuno sapesse dove sarebbero andati a parare.)

        epperò proprio siffatti scandali dubito invoglino qualcuno a tornare all’ovile….

          1. Paul Candiago

            Signor Bariom il “vantaggio” dello Scandalo e’ che essendo evidente/pubblico avverte il fedele. Cio che e’ piu’ canceroso e’ l’azione occulta, silenziosa, impercettibile di scandali che agiscono giorno per giorno ed entrano come deviante, all’ abitudine religiosa, nella coscienza del fedele. Sono acettate senza renderesi conto che sono errori, apostasia o massoneria: venduti come aggiornamenti e per intellettuali teologia liberale e razionale della fede. Ripetendomi, veda la bellezza della trasmissione del programma via Internet di Radio Maria di Erba di Como Italia, ci vogliono anni per capire la deformazione che fa della catechesi ufficiale della Chiesa e nessuno grida allo scandalo anzi adulazioni a non finire perche’ via telecomunicazioni la “realta” diventa virtuale e facile da camuffare come pare e piace specie se psicologicamente parallela ad emozioni e sentimentalismi del cliente. Con questa possibilita’, usata male, la somministazione dell’inquinamento dottrinale avviene a piccolissime dosi giornaliere che desensibilizzano la nostra coscienza al punto che vediamo/diventiamo in materia di morale, comportamento, mentalita’ e spiriutalita’ al di fuori delle parentesi del catechismo Cristiano. Mi sopporti pazientemente e faccia di necessita’ virtu’. Cordiali saluti, Paul

  30. Fabrizio Giudici

    “Quel che “vedi” cos’è, dov’è? (domande solo retoriche)”

    Intanto vedo una cosa che è già molto chiara di per sé: c’è sempre un certo numero di persone in coda per l’Eucarestia, ma i confessionali sono sempre vuoti. Evidentemente questo è un grande problema e quello che vedo è già a suo modo un qualcosa di statisticamente solido, pur se si basa solo sulla prospettiva di un singolo, visto che è una costante, in qualsiasi posto io sia e in qualsiasi chiesa vada.

    Quando poi leggo di resoconti su quello che si insegna in molti seminari (vedasi p.es. vari articoli scritti da Don Ariel, ma non solo), o che certi preti fanno “spallucce” quando vedono uno che scappa con la Particola in mano… certo, questi sono invece resoconti anedottici, ma sono segnali gravi.

    Ah, dimenticavo: vedo e leggo di preti che dicono pubblicamente che la Comunione la danno “a tutti”, senza “discriminazioni”. Per questo giro ti risparmio il riferimento a Bergoglio cardinale 🙂

    1. Paul Candiago

      Fuori tema, ma tangenziale: “il fumo di Satana e’ entrato nella Chiesa” (Beato Papa Paolo VI), mi permetto di aggiungere in tutte le forme e a tutti livelli e lo vediamo. Non scandalizziamoci ma vigiliamo e preghiamo che “ le Porte dell’Inferno non prevaranno contro di Essa”. Cordiali saluti, Paul

  31. Arrivo con la discussione già agli sgoccioli ma pazienza. Sulla coscienza: qualcuno lanciava la sfida di trovare un passo evangelico in cui Gesù parla di coscienza. Be’ secondo me c’è un’esortazione chiara in Lc 12,56-57 “Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?”
    Inoltre qualcuno diceva “la coscienza di cui parla il Catechismo è il luogo dove, con l’aiuto dello Spirito Santo, si manifesta la Volontà di Dio”. Giusto, ma se la coscienza è solo questo allora non concorda con quel passo di Tommaso d’Aquino citato da un altro commentatore in cui si dice che se in coscienza credo che sia giusto perseguitare Cristo ho il dovere di farlo. Suppongo che in quel passo l’Aquinate avesse in mente San Paolo prima della conversione. San Tommaso era soggettivista? Il fatto è che non abbiamo altro strumento per andare in fondo alle cose. San Paolo era Fariseo per convinzione sincera, non per acquisire crediti, senza doppiezze. E questo ha fatto sì che messo di fronte alla novità di un incontro a potuto sinceramente cambiare strada. Lo stesso si può dire del cardinale Newman, altro famoso laudatore della coscienza. Come anglicano, aveva cercato di approfondire le radici del suo anglicanesimo fino in fondo e ha scoperto che avrebbe dovuto essere cattolico.
    Già così rischio di aver rinfocolato la discussione. Ma il punto più interessante dell’articolo qui sopra secondo me non è tanto la diatriba su Rahner (Rahner sì, Rahner no, cosa salvare di Rahner, perché mai dovremmo salvare qualcosa di Rhaner), ma i due paragrafi sulla gradualità, che mi sono anche salvato sul computer:

    “Benissimo, si dirà, e quindi «non si deve dialogare». Calma, niente fretta: il dialogo non è il campo del nemico – lo gnostico e il fricchettone fanno sofismi – si tratta “solo” (direbbero Socrate e Platone) di essere “più filosofi” di loro, perché noi la cerchiamo veramente, e onestamente la Sapienza, e siamo convinti che anche loro siano stati fatti per essere donati al Figlio. Ecco la buona notizia che abbiamo per loro: ancora non lo sanno, ma sono stati fatti per Gesù Cristo. E se di Cristo abbiamo vera esperienza non possiamo evangelizzare col tono di chi dice “ancora non lo sai, ma tu devi vivere come dico io”. Fidarsi di Dio significa anche essere disposti a rischiare con gli uomini: quando Cristo andò da Zaccheo, dicevo prima, avrà sperato (e intimamente saputo, certo, perché era Dio) che alla fine del pranzo Zaccheo dicesse qualcosa di importante, ma non si sarà rovinato la lettura della storia, Gesù, col pensiero rivolto al finale. Il Vangelo di Luca, con grave quotidiana solennità, dice che Gesù «cresceva in età, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini». Noi la liquidiamo un po’ superficialmente, quest’abissale annotazione sull’ambientazione della natura umana di Cristo con la natura divina della persona del Figlio: Gesù crebbe non solo in età (cosa più o meno accettabile), non solo in sapienza (cosa già più difficile, perché sappiamo e crediamo che Egli stesso era già da sempre la Sapienza in persona), ma perfino “in grazia”. «Imparò l’obbedienza – dice la lettera agli Ebrei – dalle cose che patì, e, reso perfetto, divenne causa di salvezza per le moltitudini». Questa è la via di Cristo, fatta di gradualità, e ci illudiamo che la nostra sia fatta d’altro che di “piccoli passi possibili”?
    Su questa cosa dobbiamo essere più serî di quanto siamo: con la sistematizzazione teologica in entità sostanziali ci imbuchiamo talvolta in vicoli ciechi sterili, sterili perché risultano tautologici, ovvero non ci dicono nulla più delle premesse – è il segno di una teologia che non funziona, è come un motore ingolfato: il carburante è nel motore ma in un modo che produce l’opposto di ciò che ci si aspetterebbe. Ad esempio: che cos’è il battesimo? È la porta della salvezza, è il sacramento della fede, è la remissione di tutti i peccati personali e del peccato originale (chi l’ha detto che Rahner non crede nel peccato dei progenitori?!), che lascia nell’uomo unicamente il fomes peccati, cioè la concupiscenza, che «non è peccato, ma dal peccato viene e al peccato inclina» (Conc. Trento). Benissimo, ho studiato. Si vede? Ora, con questa legna ci vogliamo accendere il fuoco o ce la vogliamo guardare nella legnaia?”

    Ecco qui secondo me c’è lo stile di Francesco e di tanti pastori o semplici cristiani talvolta tacciati “dialoghismo”. Uno fra tutti il cardinal Martini, per esempio per aver creato la famosa cattedra dei non credenti. Che poi chi squalifica Martini dovrebbe squalificare per esempio anche uno come Chesterton, altro famoso amico di non credenti. Ora, se si guardano i passi riportati nei paragrafi sopra, sembra che anche Gesù non fosse estraneo a questo stile. Certo, chi vuole mi può trovare passi dal sapore differente, ma come si può negare che in Gesù ci fosse anche questo? Anzi, è probabile che i primi cristiani abbiano affascinato i lontani con questo modo di fare.
    E a questo secondo me c’è anche il discorso della rottura-continuità. Qualcuno vuole negare che storicamente questo aspetto sia stato perduto o sottostimato? Non dico dai santi, dalle cui vite spesso vediamo questa capacità sovrumana di conciliare rigore e gradualità con un atteggiamento che sempre benedice l’esistente, ma nell’atteggiamento generale del popolo di Dio? Quante occasioni sono state perse perché si è scelto di esasperare il conflitto o di sminuire l’interlocutore?

    Ora, si può criticare il papa e altri sulla modalità con cui viene portata avanti quatta gradualità. Perché il rischio oggettivo c’è di cercare di far avvicinare qualcuno a piccoli passi e poi girarsi e scoprire che sei tughe ti sei allontanato dalla posizione che avevi raggiunto. Non dobbiamo presumere di essere su una posizione sicura. Ma siamo almeno tutti d’accordo che questa gradualità deve essere messa in pratica? Che in questo una rottura con l’atteggiamento del passato deve esserci?

    Finisco con un paio di domande provocatorie soprattutto rivolte a chi non è d’accordo con le mie impressioni:
    1) Si dice che un famoso amico ateo di Chesterton (non ricordo il nome, abbiate pazienza) alla sua morte abbia detto qualcosa del tipo: “Io nel paradiso non ci credo, ma se ci andrò sarà solo perché sono stato amico di Chesterton”. La domanda è: ma tu hai un amico o un parente lontano dalla fede che probabilmente non farà mai il passo di convertirsi? Ce lo vorresti in paradiso, anche se dovessi “portarlo a spalla” con le tue preghiere? Io sì, almeno quanto spero che qualcuno più progredito di me nella fede porti a spalla me.

    2) Una famosa idea di Martini era che in ognuno di noi convive il credente e il non credente, che devono provocarsi a vicenda. Tu la vivi questa situazione? Io sì, anche se ho fatto la mia scelta.

    1. Paul Candiago

      Signor Zimisce, nella dottrina totale di Cristo chi l’accetta nella sua integrita’ e dice a se stesso: chi e’ con me e chi e’ contro di me….chi mi Ama prenda la sua croce e mi segua….il servo non e’ di piu’ del Padrone. Dottrina da pensare, fare, credere, applicare nell’insegnamento della Parola, Tradizione e Magisterio della Chiesa istituita da Cristo come mezzo piu’ che efficace mantenerci nella Luce della Fede verso un camino sempre di Salvazione eterna. Cordiali saluti, Paul

    2. 2) Io si la vivo.. anche tutti i giorni

      (ma occhio, qui per alcuni citare Martini è blasfemo!) 😐
      Per il resto devo leggere con più calma l’intervento tuo Zimisce, di Fabrizio e di Roberto, ma ora sto preparando un incontro catechetico per stasera… una vostra preghiera sarebbe cosa gradita.

  32. Fabrizio Giudici

    “Che poi chi squalifica Martini dovrebbe squalificare per esempio anche uno come Chesterton, altro famoso amico di non credenti.”

    Calma. Io certamente squalifico Martini (per me è borderline sull’eresia, nel senso che ha già passato il limite), ma non perché vuole parlare con i non credenti, cosa per me del tutto ovvia e scontata.

    “Ora, se si guardano i passi riportati nei paragrafi sopra, sembra che anche Gesù non fosse estraneo a questo stile.”

    Lo stile di parlare con i non credenti certamente, ma non certo con lo stile di Martini. Cristo era magistralmente chiaro e netto e non sottoponeva a nessun compromesso la sua Parola per via della “gradualità”, anche quando appariva “dura”, cosa che invece Martini faceva in continuazione.

    “Perché il rischio oggettivo c’è di cercare di far avvicinare qualcuno a piccoli passi e poi girarsi e scoprire che sei tughe ti sei allontanato dalla posizione che avevi raggiunto.”

    Esatto. Tempo fa qualcuno scrisse che la Chiesa sta cercando di andare incontro al mondo (la gradualità che tu menzioni), il mondo non mostra nessuna volontà di correrle incontro, e si allontana sempre più, e così a sua volta la Chiesa sia allontana sempre più dal suo centro naturale.

    “Ma siamo almeno tutti d’accordo che questa gradualità deve essere messa in pratica?”

    Dipende da cosa si intende e come si mette in pratica. Vedi sopra.

    “Che in questo una rottura con l’atteggiamento del passato deve esserci?”

    No. Perché – salvo non si abbiano in mente solo ambiti storici o geografici limitati – non vedo proprio che in passato la Chiesa non abbia mai gestito la gradualità. Lo ha fatto, a volte con successo, altre anche con grandi fallimenti che avrebbero dovuto insegnare qualcosa, se si accettasse con umiltà la lezione dei fatti.

    “La domanda è: ma tu hai un amico o un parente lontano dalla fede che probabilmente non farà mai il passo di convertirsi?”

    Sì.

    “Ce lo vorresti in paradiso, anche se dovessi “portarlo a spalla” con le tue preghiere?”

    Sì. Ma non è questo il punto della questione. Il punto della questione è se ce lo porto veramente con un certo metodo. Se vogliamo tornare a bomba sull’attualità, un certo numero di miei amici non credenti non sono certo conquistati con certi atteggiamenti, anzi. Uno uscì dalla Chiesa all’epoca del primo “Parroco del mondo”; in generale, potevano essere più interessati a Ratzinger, hanno una certa stima di Wojtyla come personaggio storico, hanno una totale disistima di Bergoglio, per usare un eufemismo (e non riporto altro). Lo “stile Francesco” non li porta proprio da nessuna parte. È chiaro che questo è anedottico, ma è sufficiente come controesempio.

    “Una famosa idea di Martini era che in ognuno di noi convive il credente e il non credente, che devono provocarsi a vicenda. Tu la vivi questa situazione? Io sì, anche se ho fatto la mia scelta.”

    Penso che sia inevitabile, almeno per la maggior parte delle questione. Però, come tu dici, noi facciamo una scelta (lo scrivo al presente perché siamo chiamati a questa scelta in modo continuativo, fino alla morte); quelle parole di Martini però, messe nel contesto di tutto il resto, vogliono dire tutt’altro. Per esempio: tra le cento eresie di Martini, scrisse che Paolo VI “nascose la verità” con la Humanae Vitae. Sei d’accordo su questo? Cosa c’entra la gradualità in questo caso?

    1. Roberto

      Fabrizio, sottoscrivo parola per parola. Aggiungo: il credente e non-credente in noi non devono “provocarsi a vicenda”, ma ciò che è cattolico in noi deve impegnarsi a cattolicizzare tutto ciò che in noi ancora non lo è. Non c’è nessunissimo piano di parità tra il credente e il non-credente che è in noi.

      Se volessi chiedermi per quale ragione, appena agli inizi della mia repentina conversione e per un tempo piuttosto lungo, trovassi i testi di Martini così ammirabili, splendidi, tanto da pensare come proprio un cardinale così dovesse diventare Papa (e poi c’è chi dice che il Signore non abbia senso dell’umorismo!!!) potrei indicare questa, sinteticamente espressa dalla bocca di una passante fermata più o meno casualmente da un telegiornalista all’indomani della morte del vecchio Cardinale. Che diceva una cosa del tipo “Trasformò il fatto di Fede in un fatto culturale.” O qualcosa di simile. Il concetto è quello, comunque.

      Oh sì, il Cardinale è, specie in certi scritti, una meraviglia da leggere; ma sotto questa luce: parla della Bibbia e della Chiesa con lo stesso compiacimento del direttore di un museo archeologico che ti illustra le meraviglie dell’ultima mummia che fa bella mostra di sé dentro una scintillante teca di cristallo. Una carcassa morta, imbalsamata e meravigliosamente ben tenuta.
      Probabilmente, inseguendo un tipico mito borghese, il cardinale si convinse che fosse sotto l’aspetto culturale che fosse necessario e utile “dialogare” coi non-credenti.
      Il risultato è un distillato di analisi che sfoggiano una cultura biblica eccezionale, colma di analisi psicologiste-archeologiche-antropologiche (un distorto, pericoloso ed esasperato biblismo storico-critico) che danno l’impressione di avvicinare il deposito della Fede, svuotandolo. Anche il suo degno compare Ravasi è un campione in questo, seppur con molto minore carisma e spessore.
      Naturalmente, per abbracciare fino in fondo questo “mito culturale” bisogna non distruggere ma, più semplicemente, espungere la Fede vera e propria, che naturalmente fa orrore nella sua realtà e carnalità a ogni intellettuale che si rispetti. Vorrai mica “dialogare” con un raffinato cattedratico agnostico pretendendo ancora di credere fino in fondo in cose imbarazzanti come il peccato originale? Mai più. Lo devi rendere “culturalmente appetibile”. E quindi trasformarlo in una specie di metafora, in una “sapiente descrizione della condizione umana”, e blablabla e noi che siamo così evoluti sì che sappiamo come raccontarcela. Così per tutte le altre Verità di Fede.

      E’ chiaro che una persona che sente per la prima volta la chiamata del Signore, e in cui l’uomo vecchio si volta dappertutto per trovare un compromesso accettabile che gli permetta di sopravvivere, verrà affascinato da un cardinal Martini. E’ proprio quel tipo di riduzione, di abbassamento; quell’impasto di cose buone e cose cattive (il che è un’aggravante e non un’attenuante) che fa sospirare di sollievo qualcuno di fronte alla prospettiva, che atterrisce, di un cambiamento di proporzioni tali qual’è una conversione. E che così può dire a se stesso “meno male che me la cavo relativamente con poco.” La reazione di chi non sa o non vuol sapere che Cristo è venuto a portare non la pace ma una spada che taglia prima dentro di sé e poi fuori. Tipico di chi si fa avvincere dal vecchio cardinale è il discorso che segue la falsa riga del “E ma vedi come è molto più sereno e pacato e mai turbato il ‘discepolo’ di Martini a cui va sempre bene tutto, sempre pronto al dialogo con tutti, ecc.” Insomma, in definitiva, è il non credente che vuol restare tale, quello con cui il cardinale dialoga, e col il quale dialoga avendo come fine il dialogo in sé e non la conversione.

      Ma che tragedia quando invece questo non basta più. Allora ti accorgi di avere tutt’attorno un deserto, e non la più pallida idea su come uscirtene.

      Per questo, non bisogna trascurare o sottovalutare il successo, oggettivo e innegabile, del vecchio Cardinale, l’apparente capacità di pacificare gli animi dei suoi scritti e il conseguente affetto e rispetto che grazie a tale dote raccoglieva e raccoglie.
      Bisgona però chiedersi quali siano le ragioni di tale successo, calarsene fino alle radici e verificare se queste siano buone oppure no. Se no, trarne conseguenze rigorose.

        1. Peccato solo che questo intervento al fine, si connoti più che altro come un pamphlet contro la memoria del Cardinal Martini (di cui non mi faccio affatto difensore che non mi compete).

          Che poi caro Roberto affermi che nel tuo cammino di conversione ha avuto un ruolo, solo che quando forse sei un po’ “cresciuto” non ti è bastato (a torto o a ragione). Ti sei trovato spiazzato e allora? La colpa fu di Martini?
          “Allora ti accorgi di avere tutt’attorno un deserto, e non la più pallida idea su come uscirtene.”
          Perfetto! Momento ideale per l’agire di Dio che spesso ci porta nel deserto perché impariamo che dipendiamo da Lui e che da soli lì ci moriamo.

          Io ho avuto un padre spirituale agli inizi, poi “non mi è più bastato”, limite suo? Cambiamento mio (non dico neppure crescita), ma gli resto grato… il resto è “cammino”.

          Aggiungi: “il credente e non-credente in noi non devono “provocarsi a vicenda”, ma ciò che è cattolico in noi deve impegnarsi a cattolicizzare tutto ciò che in noi ancora non lo è. Non c’è nessunissimo piano di parità tra il credente e il non-credente che è in noi.”

          Può essere vero, ma dipende solo dal nostro stare in Grazia di Dio, nel nostro voler accettare il combattimento… quante volte ci dichiariamo sconfitti in partenza anche solo perché non vogliamo indossare le “armi della Fede”? Capita solo a me?
          Se non c’è parità è solo perché Dio ha fatto “alleanza” con noi, perché è Lui “il forte, l’eroe”.
          Anche se noi abbiamo scelto per Dio, puoi essere certo la tua sia una scelta definitiva?

          Io prego sempre Dio di non venire provato nella Fede oltre le mie misere forze, che su di me non scommetto un centesimo.

    2. “Tempo fa qualcuno scrisse che la Chiesa sta cercando di andare incontro al mondo (la gradualità che tu menzioni), il mondo non mostra nessuna volontà di correrle incontro, e si allontana sempre più, e così a sua volta la Chiesa sia allontana sempre più dal suo centro naturale.”

      La mentalità del mondo MAI le correrà incontro, ma quanti sono quelli che non conoscendo altra mentalità non hanno altra opportunità?! E’ dovere della Chiesa uscire a cercarli per “strapparli” alla mentalità di questo mondo.
      Tu lo vedi come un moto che sempre più La allontana dal suo “centro naturale”, ma il suo “centro naturale è Cristo ed è lo stesso Cristo che non permetterà che la Sua Sposa si allontani (o almeno non fino al limite del “non ritorno” o “per sempre”).
      Io la vedo come la Merkavah, il “carro di fuoco” che viaggia in tutte e quattro le direzioni eppure non si divide 😉

      “Se vogliamo tornare a bomba sull’attualità, un certo numero di miei amici non credenti non sono certo conquistati con certi atteggiamenti, anzi. Uno uscì dalla Chiesa all’epoca del primo “Parroco del mondo”; in generale, potevano essere più interessati a Ratzinger, hanno una certa stima di Wojtyla come personaggio storico, hanno una totale disistima di Bergoglio, per usare un eufemismo (e non riporto altro). Lo “stile Francesco” non li porta proprio da nessuna parte. È chiaro che questo è anedottico, ma è sufficiente come controesempio.”

      Va bene il solito passaggio anedottico, ma veramente credi i tuoi amici dovrebbero convertirsi guardando ad un Papa? Non che non ce ne possano essere i motivi o che non possa succedere o sia successo, ma io in casi come questi mi domando: “non è che non si convertono perché non vedono in me, loro amico (e certo più vicino di un Papa), alcun motivo per convertirsi?”

      Così, tanto per dire… 😉

  33. …no, non è di nessun giovamento né spirituale né pratico né altro, leggere quello che scrivono i nostri maggiori esegeti del blog, Quello che è sicuro che non gli va bene mai nulla, né persone né discorsi né azioni che non siano non si sa bene quali dovrebbero essere. Meglio allora il tono profetico di Paul Candiago, che il guazzabuglio pseudo-pastorale dei nostri dilettanti ermeneuti in libera uscita.

      1. Paul Candiago

        “Ma lei qui che riceve tante negative impressioni che ci sta a fare? A raddrizzare gli arzigogoli di tanti che a suo dire sono al limite dell’apostasia? Vada per le strade ad annunciare il Vangelo… Sola lettura di testi catechetici e ortodossi mi raccomando, che non si sa mai dovesse cadere in fallo!”

        Signor Bariom, non mi aspettavo questo da lei pensandola di mentalita’ “democratica” non avendo letto in questo Sito nessuna restrizione di partecipazione.

        Entro solo con il mio punto di vista: imposto ovviamente a nessuno.

        Ritenengo il Blog di impostazione religiosa cattolica ed essendo cattolico penso di far parte dello stesso gregge.

        E’ vero che assumo che sia sempre lo stesso e solo gregge di sempre per cui scambiare pensieri e belature non dovrebbe irritare nessuno.

        Comunque sia, ho anch’io il dovere di difendere, nella mia ignoranza, la Catechesi Ufficiale della Santa Chiesa come santi preti, suore, frati e fedeli me l’hanno trasmessa.

        Segue poi il messaggio Evangelico:” il regno dei cieli e’ come un seme di senape”e ho anch’io l’obbligazione di farlo crescere con Amore e Fedelta’.

        A dir la verita’ lo faccio a tempo e a luogo e condizione sociale/ambiente/situazione tale da poter “seminare” la buona novella quando ho il discernimento che : “ non si danno le perle ai porci’.

        Andare per le strade: sono troppo vecchio e non ho la richiesta eloquenza o preparazione pastorale per un compito di tanta responsabilita’: compenso questo con le mie preghiere per i predicatori e missionari copiando a “macchinetta” l’esempio di Santa Teresa del bambin Gesu’ dottore della Chiesa.

        Quanto ad apostasia non credo sia il mio caso perche’ quello che scrivo e’ sempre “copia ed incolla” del significato e spirito della Srittura come “servo fedele” alla catechesi ufficale della Chiesa: a titolo di esempio il Catechismo della Chiesa Cattolica di Santo Papa Giovanni Paolo II. (E’vero che alla notte sogno ma non altera per ora l’educazione religiosa che ho ricevuta/ricevo alla parrocchia in modo aggiornato e in ubbidienza al nostro Vescovo unito a Roma)

        Per fare apostasia, errori, massoneria bisogna avere un animo che non si trova bene con il patrimonio di Parola, Tradizione e Magisterio della Chiesa Madre e Maestra che con capacita’ sacramentale ci nutre nella Fede, Speranza e Carita’ con il solo intento di fare dei suoi figli/figlie dei Santi: cosa voglio di piu’ dalla vita?

        Se le piace razionalizzare?: Se la Chiesa nel suo deposito della Fede e sotto l’infallibile azione dello Spirito Santo che la santifica fosse carente di qualcosa implicherebbe che la dottrina di Cristo e l’istituzione della sua Chiesa E’ “difettosa” e cio non e’ possibile e sarebbe non solo apostasia ma anche bestemmia ed eresia. Penso che in questa razionalita’ di logica spirituale sulla Vita della Chiesa, anche se ancora pellegrina sulla Terra, non trovi “cavilli razionali” al Corpo Mistico di Cristo in formazione ? . Cordiali saluti, e’ sempre un piacere leggerla e scambiarci il catechismo: per altre “letterature” sono troppo ignorante. Paul

        1. “Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi…” recita il Salmo.
          Quanto all’eloquenza (dove è scritto sia richiesta?) Mosè era balbuziente se non ricordo male…
          Chieda un Aronne in aiuto, eventualmente.

          La saluto.

          1. Paul Candiago

            Signor Bariom , mannaggia farsi capire e’ sempre difficile: volevo solo dire che non sono tagliato per fare il predicatore: non ho sviluppato quella dote e non penso di averla….fra me e Mose’ le cose sono distanti anni luce… mi vede a Firenze prendere il posto di Savonarola mi bruciano vivo ancora prima che finisca il sermone: per ora preghiere e rosari. Cordiali saluti, Paul

  34. Dovrei riflettere un po’ sulle vostre repliche ma intanto:

    A mio avviso ci sono stati diversi momenti storici in cui alla Chiesa è mancata la gradualità e la comprensione delle ragioni dell’altro che poteva risolvere in modo più cristiano certe situazioni (domanda provocatoria: ha fatto bene o no Francesco a visitare una chiesa valdese e dire quello che ha detto?). Ma è impossibile discuterne adesso senza aprire un centinaio di nuove discussioni. Ne parleremo magari commentando qualche altro post.
    Però è vero che la Chiesa cattolica tutto sommato ha svolto il suo lavoro. Ha accompagnato la civiltà europea attraverso tutte le sue fasi, sapendo prendere il bene ed evidenziando i pericoli di ogni momento culturale (vedi il Rinascimento: buono lo sviluppo artistico e intellettuale, ma attenzione a farsi un’idea troppo fiduciosa della natura umana. Nonostante questo ha dato il suo contributo alla civiltà del tempo. Lo stesso con lo sviluppo della scienza, con qualche intoppo in più). Già Giussani aveva descritto molto bene gli errori in cui l’Occidente è gradualmente scivolato. Ma la Chiesa nel suo complesso sembra aver resistito sia alla tentazione di mondanizzarsi sia a quella di isolarsi abbandonando il mondo a se stesso.

    Se non ho molta simpatia per i detrattori del Concilio Vaticano II è perché credo che abbiamo anche la fortuna di avere ad un passo da noi una fotografia di cosa poteva essere la Chiesa Cattolica se le tendenze “isolazioniste” avessero prevalso. Parlo della Chiesa Ortodossa. Quello è un esempio di Chiesa che ha rifiutato completamente il dialogo con la modernità. Ancora prima della modernità, sembra aver rifiutato anche il Tardo Medioevo. È come se di fronte ad ogni cambiamento culturale avesse risposto ossessivamente “Non ci interessa, abbiamo Dio nella nostra tradizione, non c’è bisogno di null’altro”. Il che è vero, ma come far conoscere Dio alla gente se non confrontandosi con le sfide che la storia propone? Non è un caso, a mio avviso, che negli ultimi giorni di Costantinopoli i pescatori della città si fossero messi d’accordo con i Turchi. Tutti i grandi mistici dell’Ortodossia da secoli non avevano più nulla da dire a loro, impegnati a fare l’eisikasmons nei monasteri. Nessuna buona notizia per cui valesse la pena sopportare le tasse dell’imperatore.
    Lo stesso nella storia più recente:nonostante le speranze di Dostoevskij, che cosa ha saputo opporre l’Ortodossia al comunismo? Solo la necessità di perseverare nelle sante tradizioni. Che cosa ha dato il comunismo all’Ortodossia in cambio di una tacita rassegnazione? Il diritto a perseverare nelle sante tradizioni. Oggi la Postmodernità in Occidente ci mette davanti a delle sfide durissime e a delle tentazioni molto suadenti (come quelle evidenziate nell’articolo di Hadjadji, nel post successivo a questo). Non so se il Concilio Vaticano II è stata la protestantizzazione della Chiesa Cattolica. Sono sicuro che ci ha salvato dall’ortodossizzazione. L’immagine del piccolo gregge può avverarsi comunque. Ma c’è differenza tra essere un piccolo gregge attivo, che si impegna e tutto vaglia e in tutto prende il buono, e un piccolo gregge rintanato in un angolo.

  35. zimisce

    @Fabrizio
    Alla domanda che mi fai su Martini e l’Humanae Vitae, non conosco il contesto di quella dichiarazione, ma certo non credo che sia stato opportuno esprimere eventuali dubbi pubblicamente in quel modo.

    @Roberto
    Sul credente e il non credente in noi che non dovrebbero essere alla pari in noi. Be’ il principio di Martini era questo dibattito interiore era necessario per andare in profondità nelle proprie convinzioni.
    In realtà ho letto pochino di Martini, ma conosco almeno l’80% di Chesterton. C’è un intero suo romanzo, la sfera e la croce, che parla dell’avventura di un cristiano e un ateo che vogliono duellare proprio sulla questione di Dio. E il resto del mondo che cerca di impedirglielo. In questo romanzo l’ateo e il credente sono certamente descritti con pari dignità. Non l’ho ancora letto però (è uno di quelli che mi manca) quindi non so come vada a finire.
    Visto però che anche lì si parla del rapporto tra pensiero cristiano e pensiero secolare, mi piacerebbe capire secondo voi dove sta la differenza tra l’approccio di Chestertoni e quello di Martini, e perché uno viene continuamente citato come defensor fidei e l’altro (spesso) come traditor fidei.

  36. Fabrizio Giudici

    @Roberto “Non c’è nessunissimo piano di parità tra il credente e il non-credente che è in noi.”

    Contraccambio il “sono d’accordo su tutto”…

    “Il risultato è un distillato di analisi che sfoggiano una cultura biblica eccezionale, colma di analisi psicologiste-archeologiche-antropologiche (un distorto, pericoloso ed esasperato biblismo storico-critico) che danno l’impressione di avvicinare il deposito della Fede, svuotandolo. Anche il suo degno compare Ravasi è un campione in questo, seppur con molto minore carisma e spessore.”

    Quel Ravasi che, per i distratti, si è messo a con-celebrare un rito di “Pacha Mama” con gli indios: gradualità anche questa, evidentemente.

    “Insomma, in definitiva, è il non credente che vuol restare tale, quello con cui il cardinale dialoga, e col il quale dialoga avendo come fine il dialogo in sé e non la conversione.”

    Diciamo così: non è detto che accada sempre al 100%, ma penso che nella maggioranza dei casi così fa a finire. E poi c’è il fenomeno inverso: questo “terreno neutro”, che potrebbe essere secondo la gradualità un passo avanti per il non credente, è una regressione per un credente; ma quelli come Martini e Ravasi lì spostano pure molti credenti. È questo un dettaglio che a me pare importante e non ben compreso. Se nell’800 una pattuglia di missionari andava ad evangelizzare gli Indiani d’America e tollerava qualche “aggiustamento” di troppo con la loro cultura (faccio questo esempio perché mi raccordo ad un mio precedente commento su Alce Nero, su cui aveva a sua volta scritto un articolo Cammilleri), poteva essere un danno accettabile (se poi però la gradualità non si fermava lì, nel senso che l’inculturamento si completava con le generazioni successive). Ma quei missionari potevano parlare in quel modo _esclusivamente_ agli Indiani che andavano ad evangelizzare, senza rischiare di dare messaggi controversi a cattolici di Roma o di New York. Ora non è più così: esiste praticamente un solo canale globale, dove passa tutto. Se un Ravasi (e oggi purtroppo pure un Francesco) dice cose ambigue ad uno Scalfari, che pure potrei capire _parzialmente_ in un contesto di gradualità, il problema è che le stesse cose le leggono pure milioni di cattolici che già scalpitano o sono spinti da forze esterne a scalpitare per andare fuori dall’ovile…

    “A mio avviso ci sono stati diversi momenti storici in cui alla Chiesa è mancata la gradualità e la comprensione delle ragioni dell’altro che poteva risolvere in modo più cristiano certe situazioni (domanda provocatoria: ha fatto bene o no Francesco a visitare una chiesa valdese e dire quello che ha detto?)”

    Ni. A visitare sì; a dire tutto quello che ha detto no. A suo tempo, mi pare proprio su La Croce, lessi questo interessante commento di certi Valdesi “di minoranza”, che mi sembra interessantissimo:

    http://www.riforma.net/sav/articoli/papavaldesi.htm

    Ovviamente non sono d’accordo su tutto, ma vengono forniti molti spunti interessanti. Me lo lascio per un eventuale sviluppo a parte. Intanto leggetelo.

    “Parlo della Chiesa Ortodossa. Quello è un esempio di Chiesa che ha rifiutato completamente il dialogo con la modernità. ” […] “Non so se il Concilio Vaticano II è stata la protestantizzazione della Chiesa Cattolica. Sono sicuro che ci ha salvato dall’ortodossizzazione.”

    Qui bisognerebbe fare una “puntata” sulla Chiesa Ortodossa, la quale è diventata per noi occidentali una specie di luogo mitologico. Per certi è quella che si è salvata da tutti i mali modernisti (e non è affatto vero), per altri invece il simbolo di un fallimento tradizionalista (e non è vero neanche questo). Ma soprattutto: che c’entra il CVII con la Chiesa Ortodossa? Lo scisma è di parecchi secoli prima, e semmai quello che ci avrebbe “salvato” da qualcosa è avvenuto prima. MA qui siamo sul vago. Facciamo una cosa: reset del discorso e definiamo prima cosa sarebbe “l’ortodossizzazione” da cui ci saremmo salvati?

    “Alla domanda che mi fai su Martini e l’Humanae Vitae, non conosco il contesto di quella dichiarazione, ma certo non credo che sia stato opportuno esprimere eventuali dubbi pubblicamente in quel modo.”

    Ecco, vedi, è un po’ quello che mi inquieta di tante dotte discussioni, e qui mi riallaccio al post di Roberto. Parlando da uomo della strada (avrò diritto alla mia fetta di populismo?) a me che mi frega di tanti bei discorsi, eleganti, forbiti, pieni di riferimenti dotti, se poi mi ritrovo davanti uno che mi nega l’ABC del Magistero? Prima fammi vedere a che conclusioni arrivi, poi semmai ti starò a sentire.

    1. zimisce

      Definiamo ortodossizazione: più o meno il radicarsi di quegli atteggiamenti che dicevo sopra. In generale un “contemptu mundi” inteso come disinteressarsi a quello che succede fuori dalla porta. Ridursi ad una chiesa il cui principale impegno è resistere fino alla fine dei tempi. Non è che tale atteggiamento venga solo dalla Chiesa Ortodossa, che ho usato un po’ come paradigma come quando si parla di protestantizzazione in senso generico. Ci sono relitti di molte antichissime chiese che hanno compiuto scismi anche più indietro e che sono sopravvissute fino ad oggi (siriana, copta, assira, solo per citarne alcune), la cui persistenza è ammirevole e dimostra la solidità del messaggio cristiano, ma sono diventate dei pezzi da museo, un po’ il destino che paventavi sopra per la Chiesa Cattolica agli occhi di certi intellettuali. Il miracolo della Chiesa cattolica è che ha ancora una voce nel mondo, per quanto messa in discussione da ogni parte. Diciamo che nella storia, mi sembra, il pendolo ha oscillato tra mondanizzazione e isolamento/rifiuto purista (che per comodità potremmo chiamare protestantizzazione e ortodossizzazione, ma in modo impreciso perché tra i protestanti ci sono tante sette “isolazioniste”), che hanno entrambi l’effetto di privare il mondo si questa voce scomoda, ma si è sempre evitata la caduta in una delle due situazioni.
      Quindi secondo me il Concilio Vaticano II c’entra in questo senso: in quegli anni il pendolo oscillava pericolosamente verso l’isolamento, perché si veniva da un paio di secoli di grandi cambiamenti su cui la chiesa si era rifiutata di confrontarsi. Rivoluzioni, industrializzazione, democrazia ecc… C’era stata la Rerum Novarum, ma mezzo secolo dopo che le situazioni descritte avevano cominciato a manifestarsi ed era rimasta un po’ un caso isolato. E c’erano state anche scelte molto miopi come mettere all’indice le opere di un pensatore moderno e profondamente devoto come Rosmini. La voce ufficiale della chiesa cosa diceva ai cattolici del tempo? “Queste cose non ci interessano e non devono interessarci. Abbiamo il depositum fidei, punto”. Mi pare che una frase di Newmann ai tempi della sua conversione dicesse pressappoco così “nessuno disprezza i cattolici romani di oggi più di me. Eppure lì c’è la verità”. Ma quanti spiriti illuminati come il suo c’erano in grado di arrivarci a questa verità?
      Con “ortodossizzazione” intendo questo: fare come la Chiesa ortodossa (e altre chiese orientali) una scelta unicamente nella direzione della conservazione della tradizione, da ripresentare intatta fino alla fine dei tempi. Un po’ come il servo della parabola, con il depositum fidei come il talento sepolto (una volta ho sentito questo paragone in un’omelia, come di un costante rischio della Chiesa).
      Per questo credo che i cattolici inglesi moderni siano stati precursori del Concilio Vaticano II. Newman e Chesterton, dovendo confrontarsi con un contesto già secolarizzato avevano capito che la Chiesa per essere viva doveva dare risposte alle istanze dell’uomo che viveva nella modernità. Un esempio tra tutti: Chesterton non aveva problemi a dare per acquisita la democrazia. Nei suoi scritti ci sono aspre critiche al fatto che non venisse applicata davvero nel mondo capitalistico, ma non metteva in dubbio che come ideale era buono e valeva la pena cercare di realizzarlo. La Chiesa ha fatto molta più fatica sotto questo aspetto anche per i motivi storici, perché le varie rivoluzioni e guerre d’indipendenza avevano lasciato ferite profonde. Ma la soluzione non poteva certo essere riproporre la precisa e ordinata società feudale.
      Spero di aver spiegato bene il mio punto di vista.

  37. Fabrizio Giudici

    “Ci sono relitti di molte antichissime chiese che hanno compiuto scismi anche più indietro e che sono sopravvissute fino ad oggi (siriana, copta, assira, solo per citarne alcune), la cui persistenza è ammirevole e dimostra la solidità del messaggio cristiano, ma sono diventate dei pezzi da museo”.

    Ma io vedo un sacco di martiri nella chiesa siriana, copta, assira, con il coraggio di farsi tagliare la testa per non rinnegare Cristo, mentre qui vedo un sacco di vigliacchi che non hanno il coraggio di dire quello che pensano davanti ad un té e biscotti con i propri amici in salotto per paura di essere messi “fuori dal giro”… Se andiamo avanti così, quei “pezzi da museo” ci saranno ancora nel 2100, noi non so mica…

    “perché si veniva da un paio di secoli di grandi cambiamenti su cui la chiesa si era rifiutata di confrontarsi. Rivoluzioni, industrializzazione, democrazia ecc…”

    È vero che la Chiesa ha parlato con qualche ritardo in certi casi. Se avesse appoggiato Santa Margherita Alacoque quando si rivolgeva a Re Sole… se la Rerum Novarum fosse arrivata qualche decennio prima forse il comunismo si sarebbe diffuso di meno, eccetera. Ed è vero che certi singoli personaggi con carisma sono stati zittiti (questo succedeva da un po’ di tempo: il Concilio di Trento che fu un capolavoro in prospettiva anti-luterana poi degenerò in clericalismo e persino grandi santi mistici come Santa Teresa furono osteggiati).

    Attenzione però a non cadere nell’errore di credere che prima del CVII c’era solo immobilismo totale, che è un mito da sfatare. Tu hai parlato dell’accettazione della democrazia come valore. Ma Pio XII già nel 1944 ne aveva parlato in un radio messaggio (https://w2.vatican.va/content/pius-xii/it/speeches/1944/documents/hf_p-xii_spe_19441224_natale.html) e nota il riferimento ad un’encliclica di Leone XIII di fine ‘800.

    “È appena necessario di ricordare che, secondo gl’insegnamenti della Chiesa, «non è vietato di preferire governi temperati di forma popolare, salva però la dottrina cattolica circa l’origine e l’uso del potere pubblico », e che « la Chiesa non riprova nessuna delle varie forme di governo, purché adatte per sé a procurare il bene dei cittadini » (Leon. XIII Encycl. «Libertas », 20 giugno 1888, in fin.).”

    Se non lo hai mai letto la trascrizione questo discorso, leggilo attentamente e nota certe intuizioni sui limiti delle società democratiche – intuizioni arrivate prima che l’Italia stessa fosse democratica – e che, ignorate, ci hanno portato alla crisi di oggi:

    “In contrasto con questo quadro dell’ideale democratico di libertà e d’uguaglianza in un popolo governato da mani oneste e provvide, quale spettacolo offre uno Stato democratico lasciato all’arbitrio della massa! La libertà, in quanto dovere morale della persona, si trasforma in una pretensione tirannica di dare libero sfogo agl’impulsi e agli appetiti umani a danno degli altri. L’uguaglianza degenera in un livellamento meccanico, in una uniformità monocroma: sentimento del vero onore, attività personale, rispetto della tradizione, dignità, in una parola, tutto quanto dà alla vita il suo valore, a poco a poco, sprofonda e dispare. E sopravvivono soltanto, da una parte, le vittime illuse del fascino appariscente della democrazia, confuso ingenuamente con lo spirito stesso della democrazia, con la libertà e l’uguaglianza; e, dall’altra parte, i profittatori più o meno numerosi che hanno saputo, mediante la forza del danaro o quella dell’organizzazione, assicurarsi sugli altri una condizione privilegiata e lo stesso potere.”

    1. Paul Candiago

      Signor Fabrizio Giudici,

      come storico nulla da dire e congratulazioni.

      Ora veniamo al nocciolo della Istituzione voluta da Cristo: la sua Sposa la Chiesa e parte del disegno del Suo Corpo Mistico Universale: necessita’ teologica per far quadrare i conti Universali di Onnipotenza Divina e confermata fin dal suo battesimo dallo Spirito Santo.

      Non importa , prima, poi, domani o nel futuro, la vita morale del Cristiano Cattolico deve mantenersi intatta, “senza macchia” per cui la realta’dei Tempi non hanno influenza sulla Luce della Verita’.(“L’ora delle Tenebre si, ma non e’ la prima volta che perdono” )

      Se fosse cosi’ dopo 2000 anni avremo per dottrina chissa’ quale insegnamento umano e la Rivelazione divina trovata mancante di Verita’ Eterna: come vede cio’ teologicamente non e’ accettabile mettendo Cristo ereticamnte a livello razionale umano.

      Meraviglioso come sempre, il progradire dell’uomo come immagine e somiglianza del suo Creatore, cio’ non significa deviare dalla rivelazione divina di come servirlo ed adorarlo: per cui solo e sempre allo stesso modo/maniera amorosamente facendo nostra la Sua Legge: Il figliol prodigo che ritorna dal Padre che lo Ama.

      Le modalita’ reali cambiano giustamente con i tempi , pero’ come sa meglio di me, Fede e Dottrina nel solo totale contesto, ben chiaritoci da Cristo stesso, : “il cielo e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno” richiedono fedelta’ integrale alle Sue Parole e non a quelle di “canne sbattute dal vento” o “falsi profeti” oggi piu’ che mai numerosi e subdoli.

      L’ “economia” reale della Chiesa pellegrina su questa Terra non altera, ne puo’ alterare, il Deposito della Fede anche nelle piu’ difficili circostanze/pressioni/mode/politiche sociali/persecuzioni/ecc. : antiche, moderne e future.

      Penso convenga con me che da due millenni di storia abbiamo subito le piu’ barbariche persecuzioni (includiamo anche quelle fatte come cristiani verso il prossimo…) sopportate dai fedeli a Cristo e la sua Chiesa nel contesto di fedelta’ a Parola, Tradizione e Magisterio.

      Le future apocalittiche profezie non sono piu’ rosee, anzi, faran “tremare le ginocchia”.

      Come vediamo lo scenario della ” Barca di Pietro” non cambia “in questa valle di lacrime”: “chi mi Ama prenda la sua Croce e mi segua…saro’ con voi nel momento della prova”. Pace e bene e sempre fedeli e sicuri in Fede, Speranza e Carita’, fraternamente, Paul

  38. zimisce

    @ Fabrizio
    È vero quelle chiese stanno donando molti martiri, e di certo il loro sacrificio sarà prezioso agli occhi di Cristo e non saranno minime nel regno di Dio come lo sono oggi nei numeri. Ma allora la nostra discussione dovrebbe spostarsi su cosa fa una Chiesa viva. Sa formare uomini donne che sanno morire santamente, e anche la nostra lo fa, anche se al momento non rischiamo la morte violenta, abbiamo tutti in mente gli esempi di buoni cristiani che hanno affrontato una morte prematura per malattia in modo santo. Ma una Chiesa viva porta avanti anche altri aspetti della vita di Gesù oltre al suo sacrificio. Insegna, accompagna, cura le malattie del corpo e dell’anima. Sopra ho cercato di dire che la Chiesa Cattolica per ora è riuscita sempre a proporre agli uomini una strada per una vita feconda. Insomma questo depositum fidei ad usarlo per costruire una vita di senso. Per noi la sfida oggi è questa. In questo sono convinto che l’aspetto esistenziale della fede oggi sia fondamentale, come intuito da Giussani. Eppure nei discorsi di certi cristiani percepisco quasi un fastidio nei confronti di questo aspetto. Come se fosse un capriccio da cristiani mondanizzati. E questo mi infastidisce enormemente, perché, per esempio, avremmo avuto una Chiara Corbella Petrillo senza gli esistenzialisti corsi per giovani ad Assisi? Non lo sappiamo, ma lei stessa riconosceva l’importanza di quell’esperienza per la sua maturazione. E questo ci riporta all’articolo iniziale. L’esistenzialismo nella fede, inteso come fede cercata per dare senso alla vita e spenderla bene, è una deriva o no? E aspetto secondario o è il punto di arrivo fondamentale. Io qui faccio outing e mi schiero con chi pensa che dare senso alla vita sia il frutto più importante della fede.
    Per questo invitavo al confronto con le chiese hanno abbandonato questo aspetto di “evangelizzazione della vita”. Le chiese orientali certo sono giustificate, sono in un contesto in cui se provassero a insegnare, curare, e dare risposte, verrebbero spazzate via. Hai ragione, anche il loro semplice esistere dimostra una fedeltà a Cristo che la maggior parte di noi si sogna. Forse tutto quello che possono fare è stringersi intorno alla Parola e al Credo e offrire martiri. Ma guarda anche cosa succede dove non c’è l’immediato pericolo di vita, come oggi nelle nazioni ortodosse. La secolarizzazione i queste regioni è più indietro che da noi, ma avanza ad un ritmo più rapido. E comunque durante la dittatura comunista ho sentito in quei paesi solo di martiri cattolici (ma ammetto la mia ignoranza, forse è per mancanza di informazione). Inoltre questa perseveranza nella tradizione ha anche un aspetto identitario e etnico che non è sempre buono. Per esempio la Chiesa ortodossa, che ha tutti i santi in comune con noi fino al 1054, ha proclamato diversi santi successivi allo scisma che si sono distinti nell’impedire ai cattolici fare conversioni in terra ortodossa (ad esempio nei vari tentativi fatti prima della caduta di Costantinopoli, o più tardi nelle isole in possesso dei veneziani e dei genovesi). Anche loro rappresentano una fede viva?

  39. Fabrizio Giudici

    “Ma una Chiesa viva porta avanti anche altri aspetti della vita di Gesù oltre al suo sacrificio. Insegna, accompagna, cura le malattie del corpo e dell’anima” […] “L’esistenzialismo nella fede, inteso come fede cercata per dare senso alla vita e spenderla bene, è una deriva o no?”

    No, se non scade in una deriva 🙂 Perdona la battuta, ma il senso è che non è sbagliato “spendere bene la vita”, come dici tu… bisogna vedere cosa vuol dire. “Spendere bene la vita” peraltro non è una novità, perché abbiamo un gran numero di santi, beati e venerabili che non sono stati martiri e non hanno fatto “grandi cose” nel senso umano del termine, anzi li chiamiamo spesso santi delle “piccole cose”. Però in generale non sono vissuti in una società che osteggiava sistematicamente il messaggio cristiano, o direttamente o cercando di camuffarlo per snaturarlo. Per cui…

    “Per questo invitavo al confronto con le chiese hanno abbandonato questo aspetto di “evangelizzazione della vita”.”

    … vediamo di capire bene questo concetto. In quali aspetti le Chiese che tu hai citato hanno abbandonado questo aspetto? Domanda non retorica, perché di quelle Chiese conosco poco, giusto l’aspetto dei martiri dei nostri giorni.

    “E comunque durante la dittatura comunista ho sentito in quei paesi solo di martiri cattolici”

    Mi risulta che ci siano stati:

    http://www.zenit.org/it/articles/i-martiri-del-comunismo-vengono-proclamati-santi

    anche se qui non posso dirti altro rispetto al documento che ho citato. Capisco la tua obiezione relativa al fatto che la Chiesa Ortodossa ha un rapporto ambiguo con il potere – e non è una cosa recente, l’ha sempre avuto sin dall’antichità, tanto che secondo molte ricostruzioni la sua pratica “misericordiosa” in fatto di seconde nozze è in realtà un cedimento al potere. Questo, tuttavia, convive con la pratica monastica, la quale ha una sua importanza. Come scrivevo prima, la Chiesa Ortodossa ha luci ed ombre.

    Ma noi siamo davvero messi meglio? Perché secondo me quella ricerca di “dare senso alla vita” è scaduta molto negli ultimi decenni, al punto che per molti la Chiesa è diventata una ONG. Io tempo fa ebbi questa “epifania” mentre in auto sentivo la radio. Era lo spot dei Valdesi per l’otto per mille. Veniva esaltato l’aspetto esclusivamente laico delle attività finanziate da quel fondo. Mi dicevo: ecco, vedi come siamo diversi. Poi, cento metri dopo, mi sono visto i cartelloni pubblicitari dell’otto per mille della Chiesa Cattolica e mi sono reso conto che in essi (ma anche negli spot tv e radio) non compaiono mai le parole “Dio”, “Cristo”, “Eucaristia”. Ci sono solo poveri, bisognosi, disadattati, e le figure di preti, monache e laici cattolici che vanno loro incontro. Bene, questo è un “senso della vita”. Ma se non mi nomini Dio e i Novissimi, è solo un’ONG. Siamo solo poco dietro ai Valdesi, alla fine.

    Associato a questo tema c’è una nota polemica degli ambienti laici che giudicano la pubblicità come truffaldina, perché in realtà la maggior parte delle quote del fondo vengono spese per “gli stipendi dei preti”. Da un certo punto di vista, questi laici hanno ragione, se non altro perché partono da un dato di fatto. Ma qui sta il paradosso, perché io vorrei proprio che la pubblicità dell’otto per mille dicesse che i soldi li devi dare per il sostentamento del clero (termine tecnico preciso, ma considerato politicamente scorrett), perché il prete prima di tutto è un ordinato che amministra l’Eucaristia e gli altri sacramenti, una cosa che solo lui può fare, e non è un “lavoro” che può dare una retribuzione. Ma pare che la CEI si vergogni di dirlo, preferendo parlare di attività filantropiche, importanti, ma secondarie. Ecco, questo non è un segno di “fede cercata per dare senso alla vita”, e per me è il chiaro segno di una deriva grave.

    Se poi leggo il discorso di un Papa a proposito di fatti come quelli di Parigi e non vedo neanche un riferimento a Gesù Cristo, ma un semplice “non è umano” (il che è un’assurdità: quello che è successo è proprio umano, umanissimo, fin dai tempi di Caino, è proprio quel che succede all’umano quando si dimentica il divino) mi convinco ancora di più.

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