Anche la sofferenza è un talento.
Nella parabola in cui Gesù parla di un Re che prima di partire per un lungo viaggio consegna una somma in denaro a tre dei suoi servi perché la facciano fruttare, normalmente la prima cosa a cui si pensa è come ad ognuno di noi è stato concesso qualche carisma particolare, un numero di pregi caratteristici, dei talenti appunto, che siamo chiamati a mettere a disposizione, a condividere, nella laboriosa cooperazione per l’edificazione del Regno.
In realtà questa parabola si riferisce in prima istanza al dono della fede, che a ciascuno è proposto perché venga accolto e coltivato, fatto fruttificare con l’approfondimento di quel rapporto personale con Dio che ha come conseguenza la relazione di bene con i fratelli.
In questa prospettiva ha senso la perentoria affermazione finale che decreta che a chi più ha più sarà dato, mentre a chi meno possiede verrà tolto anche ciò che gli è stato dato, e che al nostro orecchio contaminato dalla ferita politically correct del peccato originale suona tanto ingiusta.
Ma davvero funziona così nella relazione con il Signore: se accogli il dono della fede accetti anche la responsabilità che tale dono comporta, ossia di custodirlo e farlo crescere, poiché metterlo in un cantone, sotterrarlo tra le altre incombenze del vivere significa soffocarlo. La fede, infatti, è relazione vera e personale con il Vivente, e come ogni altra relazione va coltivata perseverantemente, altrimenti si spegne e muore.
E già restare fermi, nel cammino di fede, significa retrocedere.
Ecco perché chi coltiva il dono della fede lo vedrà crescere e portare molto frutto, mentre chi l’abbandona rischierà di perderlo, forse per sempre.
Ma la Parola di Dio è viva, e non si lascia rinchiudere in ermeneutiche a compartimenti stagni.
Ed i talenti consegnati ai tre servi possono anche alludere a quella dose di dolore che nella vita tocca a ciascun uomo.
Ad uno sguardo mondano la sofferenza appare del tutto priva di senso, ma il cristiano sa bene che essa possiede in realtà un altissimo valore redentivo. Il Dio fatto uomo ha preso sulla sua carne il dolore, fino ai massimi gradi, e lo ha associato definitivamente alla Sua natura Divina, facendone perciò una prerogativa di Dio: così l’uomo, quando patisce contingenze dolorose, ha la libertà, il potere oserei dire, di accogliere tali sofferenze offrendole in Cristo al Padre, cosicché esse, associate al dolore del Redentore, acquistino in Gesù Patente davvero un valore salvifico per la anime.
Alla luce di tale rivelazione si può ben vedere come anche la condizione dell’uomo che si trovi nel dolore sia in realtà simile a quella del servo a cui il Re affida un talento, non perché inutilmente vi si ribelli, magari pure inveendo contro la malasorte, rimanendo schiavo dell’insensatezza, come quel suddito che seppellì la sua parte nel campo, bensì perché liberamente lo accolga e soprattutto lo faccia fruttificare, rioffrendolo in comunione con Cristo a Dio per la salvezza delle anime.
La storia della Chiesa è piena di tali servi, alcuni dei quali chiamati ad essere vere e proprie “anime vittime”, nell’accezione più sacra e luminosa del termine.
Ma questa possibilità è invero data ad ogni uomo, poiché nella vita chiunque prima o poi è chiamato a far fronte ad un dolore ed è accostandolo in questa prospettiva che ci si rende ultimamente conto di come il Figlio di Dio, nella Sua Passione, Morte e Risurrezione, abbia realmente liberato l’umanità dal non-senso della sofferenza, non eliminandola, bensì trasfigurandola nella Sua opera di Redenzione, ed associando ad essa un potere tale da renderci tutti, nella volontaria compartecipazione al Suo Disegno di Salvezza, davvero superuomini.
Grazie, finalmente l’ho capita!!!
L’ha ribloggato su My Blog LeggiAmo La Bibbia.
…chissà a quali mille altre cose potrebbe alludere questa parabola!
A me, però, e forse non c’entra nulla col discorso sopra, mi è sempre piaciuto il discorso:
“I primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi”
Grazie per questa lettura!
Scusate, ma devo levare il disturbo? Basta dirlo. A69
@A69 ????
Per forza, mi bloccano tutti i commenti che invio. Che devo dedurne? Siccome so che “in paradiso, a dispetto dei santi, non ci si può stare”, mi dica l’Admin cosa devo fare. A69
Fa quello che ti pare
@ Admin
mi dispiace per questa incomprensione; può darsi che abbia detto qualche parola sgradita, ma pur cercando di essere costantemente civile e cortese, non è umanamente possibile soppesare, sempre, parola per parola quello che scrivo (come dicevano i latini “reus non habet stateram in manu”.
Beh, chiudiamo l’incidente qua. Se avrà a ripetersi qualcosa di simile, sarà mia cura farmi da parte. A69
Bariom:
…nemmeno, però, da parte tua, avrai la sicurezza di marcire in una cella, in nessun caso, se ne vede tanti casi che poi nessuno marcisce in cella, per fortuna, o ( nel caso dell’aspirante martire nostrale) per sfortuna!
Alvise se per quello non ho neppure la certezza di essere vivo domani…
E con ciò? Mi siedo e aspetto la morte?
Poi chi ti ha detto che il mio “essere vigile” (mi pare tu abbia usato queste parole) sia perché temo di finire in galera?
…settentrionale capa tosta! vigile voleva dire che (nel caso) sei pronto a far la tua parte, sempre,
con tutte le conseguenze carceraie possibili!
Toscanaccio de coccio! 😃😜
A parte che essere vigile (se non comunale…) da vigilare, porta ad altro che non accettare sino alle estreme conseguenze un propria scelta, il senso l’avevo capito 😉
Cmq se non prima e a piede libero, ti aspetto eventualmente x quel dì…
Mah, toscano… antellese se va bene 😉
@ Bariom e Alvise
via, siate buoni! Tanto, questi scambi di battute son “tutto amor che cresce”! A69
(scusate il doppione)
Ammetto che è la prima volta che leggo sotto questa luce tale parabola! O forse non l’avevo mai compresa od ascoltata sotto la logica cristiana, sarò stato sordo…
Invero una interpretazione che ci può stare, ma come a volte “tutto può trovare posto in Dio”…
Quindi se quella dei talenti-carisrmi o talenti-possibilità-potenzialità è la più semplice e di prima lettura (non volgio dire “superficiale”), la seconda quella talenti-Fede (o dono delal stessa) è certamente la più corretta e quella che spinge alla riflessione più profonda.
La proposta talenti-sofferenza, la vedo un po’ troppo tirata o stiracchiata ad adattare una nostra idea alla Parola di Dio (non me ne volere caro Andrea…).
Anche perché a ben guardare, il modo di accettare e vivere la sofferenza così come qui correttamente descritto, fa sempre parte del vivere e mettere a frutto il “talento della Fede”. Quindi…
A latere mi piace ricordare come il talento (non se se fosse quello romano o altro…), anche quello unico ricevuto dal servo infingardo, comunque corrispondeva diremmo oggi, a “un sacco di soldi” 😉
Parabola dei talenti.
50 anni; laurea; conto in banca; riuscita nel lavoro e nella carriera; sposato con figli; matrimonio riuscito; vita piena sia nel lavoro che nel tempo libero; hobby creativi; ecc… eppure questa parabola “blinda” la felicità, anche e soprattutto, a qualcosaltro: “sfruttando” i doni ricevuti tanto più si é utili agli altri (specialmente a chi ha di meno) tanto più ci si sente “realizzati”.
Ma tra i “beni” ricevuti da chi giustifica la nostra esistenza c’é anche il dolore. Affermazione incontestabile. E come per altri beni “meno problematici” anche per il dolore deve valere la parametrizzazione proposta da Gesù (chi più ha più da e chi meno riceve é tanto più in “colpa” quanto meno fa). Altra affermazione comprensibile. Ma qui cominciano i problemi: chi “più” ne riceve “più” deve in qualche modo metabolizzarne la presenza ma, presumo, anche in questo caso sempre in funzione del prossimo. Aspetto di comprensione non immediata ma con una sua logicità. Diciamo che come il parafulmine assorbe i fulmini e riesce a farlo perché scarica il potenziale elettrico così una persona interessata da dolore quanto più comincia ad affrontarlo fruttificandone la presenza tanto più, tra le altre cose, arriva probailmente ad accettarne la contingente esistenza. Il tutto correlato alla testimonianza del Gesù-Uomo e della sua Passione che quindi presenta la necessità del dolore sotto un’altra luce, quella destinata, anche e soprattutto, a dar senso alle nostre esistenze.
Il tutto mi sembra un poco tirato ma, ripeto, dal punto di vista anche razionale ha una sua logica. Mi vien da pensare… per fortuna la fede é tutto fuorchè razionalità pura. Almeno da questo punto di vista non si fatica…
@beppino, razionalità “pura”, no… ma ce n’è tanta… e anche questo mi ha convinto e mi tiene avvinto.
La Fede non lobotomizza, ne Dio mi chiede d’essere un imbecille 😉 anzi…
Bariom:
…era a te che facevo prima la solenne promessa che quando marcirai in una cella in conseguenza della legge Scalfarotto, io ti verrò a trovare e ti permetterò di provare a convertirmi!
L’avevo capito e mi apprestavo a risponderti, ma ho visto chiusi i commenti…
Cmq ci conto, hai fatto solenne (e ribadita) promessa pubblica!
Ma spero non resterai deluso… non è in mio potere convertire nessuno 😉
L’ha ribloggato su Luca Zacchi, energia in relazione.
L’ha ribloggato su Luca Zacchi, energia in relazione.
Certo, caro Andrea, che i dolori sono talenti. Se non fossero talenti sarebbero maledizioni. Ma il Signore non ci manda maledizioni.
Mia zia Ginetta, dopo essersi sposata ebbe tre figli, tre maschi. Il primo figlio le morì di morbillo quando aveva ancora pochi anni. Il secondo figlio le morì quando lui aveva circa vent’anni, polmonite. Il terzo figlio, che ho conosciuto personalmente, si chiamava Artemio. Purtroppo, fin da giovanissimo, fu preso nel gorgo dell’alcoolismo. Non riuscì a combinare niente nella vita. Niente lavoro, niente famiglia, nessun successo. Dopo un certo numero di anni morì anche il marito di mia zia Ginetta, che rimase sola col figlio alcolizzato. Infine anche Artemio, colpito da un tumore al fegato, morì. Mia zia Ginetta trascorse gli ultimi anni della vecchiaia straziata dal dolore. Quando andavo a trovarla, aveva sempre gli occhi rossi e lucidi, freschi di pianto. Ma sempre, quando mi vedeva, la sua faccia nerbata (frustata) dal dolore, si allargava in un sorriso sincero, d’amore.
Ecco! Questo è il talento del dolore, portato con tanta umiltà, senza mai un gesto di ribellione. Grazie zia per la grande lezione che hai saputo darci.
” Se non fossero talenti sarebbero maledizioni”… o castighi (come qualcuno diceva)
No Bariom! Sono talenti, quindi castighi; le maledizioni non c’entrano. Dio non maledice i suoi figli. La maledizione è l’opposto del castigo. Mia zia è stata duramente castigata ed il suo dolore, unito alla croce di Cristo, ha certamente contribuito a salvare molte anime.
Si questo è il tuo ben noto assioma… ed ecco che passiamo da sofferenza talenti a talenti=castighi…
Stupido io che ti ho porto l’assist.
Bariom, i dolori sono certamente talenti da far fruttificare. Certamente non sono maledizioni, ma benedizioni di Dio… che ci fanno soffrire, ma per la nostra salvezza. Qualcuno li chiama castighi. Quello che è certo è che fanno soffrire e che la sofferenza porta frutto. Chiamali come vuoi, sempre quello sono: sofferenza che Dio permette per la nostra salvezza.
“sofferenza che Dio permette per la nostra salvezza” e per la nostra crescita spirituale non ci piove!
Ma il “chiamali come vuoi” non va affatto bene. Le cose si chiamano con il loro nome.
Anche i castighi di Dio sono certamente ennesima possibilità e chiamata a conversione, ma le due cose non sono la stessa cosa
Dubito che la tua cara zia sia stata “castigata”, ma se a te piace dirla così…
Se non sono stati castighi, allora dimmelo tu cosa sono stati. Un caso? Sfortuna? Anche volendo pensare al demonio, resta il fatto incontrovertibile che Dio lo ha permesso.
Insomma Bariom, Dio ha scelto la croce per salvarci, mica la poltrona. Ha bisogno di persone che siano disponibili a soffrire per i peccati del mondo perché la sofferenza, soprattutto quella degli innocenti, se unita alla croce di Cristo, salva anime dall’inferno. E’ vero che la croce di Gesù è sufficiente, da sola, a salvare tutti, ma occorre anche la nostra libera adesione (con la fede) alla croce di Cristo. Gesù lo dice esplicitamente: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25 Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”. Cosa significa “prendere la propria croce”? Dio ha forse creato l’uomo per metterlo in croce? No, naturalmente. E allora, perché vuole che ognuno prenda la sua croce, prima di mettersi alla Sua sequela? Da dove viene questa croce se Dio non l’ha voluta?
La croce, cioè la sofferenza fino alla morte, viene dalle famose parole che Dio pronunciò dopo il peccato originale: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà». 17 All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. 18 Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. 19 Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!». Non è un castigo questo? Non è la sanzione che Dio ha fatto seguire alla violazione del precetto di “non mangiare dell’albero della conoscenza”? Naturalmente possiamo anche giocare con le parole e dire che Dio non ha voluto la sofferenza e la morte dell’uomo e questo è vero: Dio non ha voluto la morte dell’uomo. Ma la morte dell’uomo (la sua sofferenza, la croce) è conseguenza delle regole che Dio ha stabilito. E quali sono queste regole? E’ molto semplice: chi pecca muore. Prima muore fisicamente, e questo è il destino di tutti perché tutti abbiamo peccato. Poi, se non sale di sua volontà su quella croce che lo porterà alla morte corporale e che è il mezzo che Dio ha scelto per salvarci dall’inferno, morirà anche spiritualmente. Cioè andrà all’inferno.
Dunque, alla fine (della fiera), le sofferenze sono o non sono castigo di Dio? Secondo me si, certamente. Ma se non fossero castigo di Dio, allora devi dirmi, una buona volta, cosa sono le sofferenze fino alla morte che l’uomo patisce. Sono conseguenza di una libera scelta dell’uomo? Certo! Ma questa conseguenza (cioè le sofferenze e la morte corporale) scaturisce dalla volontà di Dio, mica ci sono per caso.
Giancarlo, che bella testimonianza quella di tua zia Ginetta! Quanto bene fanno le tante persone umili e nascoste come lei che offrono e sopportano con amore! E’ bene ricordarsene spesso. Grazie di averlo fatto!
P.S.: come si fa a scrivere alcuni passaggi in grassetto?
Grazie a te Sara, e grazie a tutte le persone che sanno portare la loro croce con grande rassegnazione.
Per scrivere in grassetto si fa così: si mette il segno ; poi seguono le parole da mettere in grassetto; al termine delle parole da mettere in grassetto si mette di nuovo il segno .
Per usare il grassetto devi mettere il segno poi seguono le parole che vuoi mettere in grassetto e chiudi con il segno ; ovviamente il tutto senza le virgolette.
Purtroppo non compaiono i segni necessari per scrivere in grassetto. Non so come aiutarti. Prova a cercare su google.
Allora il sistema più sicuro (non tutti i siti o blog interpretano i segni in ugual maniera, dipende dalla piattaforma) è il seguente:
deve precedere il testo in grassetto e SENZA i + (li ho messi sennò vedevate il grassetto e non le istruzioni).
A chiudere la parte di testo grassetto sempre togleindo i + (occhio alla barra traversa che è fondamentale per chiudere il grassetto. 😉
Ecco… anche mettendo i + mi ha fregato gli altri quindio non si capisce nulla…
Riprovo sotto…
qui in mezzo il testo in grassetto
Togliere gli asterischi
Macché…
Non sono sicura di aver capito, ma ci proverò. Grazie!
@Sara vedi qui:
http://www.scuolarlm.altervista.org/html/modificareiltesto.htm
Ecco, forse meglio. Grazie bis!
…bravo, “eventualmente” e cioè nell’evenienza che, la quale evenienza ho paura, per te, che non ci sarà, a meno di un grosso “omicidio stradale” o quant’altro, chi sa?
E mi sbilancio ancora di più nella previsioe che a nessuno di voi toccherà la gattabuia per le vostre opinioni.
D’altra parte la difesa potrebbe sempre far valere il fatto che non sono opinioni (le vostre) ma Verità Eterne.
E allora, sosterrà l’avvocato, come si fa non testimoniare delle “Verità Eterne?
p.s. non è il tuo caso,te credo emiliano, ma a proposito dei più settentrionali mi ricordo mio zio, ex-colonnello d’artiglieria, esclamare, con il suo accento campano: “piemontese fesso”!
…pensa che il fatto che non si siano avuti terremoti in questi ultimi giorni (qui almeno da noi) lo si debba a San Terremoto?
No, a San Stabile… 😀
@ Alvise, terremoti? Quanti ne vuole… http://cnt.rm.ingv.it/
@ Bariom e Alvise
via, siate buoni! Tanto, questi scambi di battute son “tutto amor che cresce”! A69
@A69, se lo dici tu… 😉