di Benedetta Frigerio Tempi.it
Dolce e Gabbana? Avevano ragione loro. I bambini devono nascere da un padre e una madre e non in laboratorio, perché «la vita ha un corso naturale e ci sono cose che non dovrebbero essere cambiate». È ciò che pensa Alana Newman, 28 anni, «nata con lo sperma di uno sconosciuto per fare piacere a mia mamma» e «usata come una sorta di strumento per risolvere le sue mancanze».
Newman è una delle tante figlie della fecondazione eterologa e parlando a tempi.it individua una fondamentale differenza rispetto a chi nasce naturalmente: «Io sono stata comprata. Mia mamma fece letteralmente shopping, pagando per me e per mio padre». Newman non si è mai sentita «accolta ma fabbricata. Sono cresciuta pensando che il mio ruolo nel mondo fosse quello di soddisfare i desideri degli altri a discapito dei miei diritti, come ad esempio avere un padre». Le conseguenze sulla sua vita sono state tante: «Mi facevo usare da tutti per ogni cosa, senza tenere conto di me stessa. Facevo sesso anche con le persone con cui non avrei voluto farlo. Questo atteggiamento si rifletteva su tutto. Per me la fecondazione eterologa dovrebbe essere vietata come un atto criminale. Ma anche quella omologa è sbagliata: pure in questo caso il bambino sa di essere venuto al mondo con lo scopo di soddisfare i genitori».
Hattie Hart, 16enne, ha scoperto due anni fa di essere stata concepita con lo sperma di un donatore anonimo. Insieme a Newman, ha scritto sul Federalist un articolo contro il «bullismo» di Elthon John, ai danni di Dolce e Gabbana, e «la moltitudine di genitori che difendevano i loro “bei bambini” fatti artificialmente», bambini che «non hanno voce per protestare». Hart pensava che «l’uomo con cui sono cresciuta fosse mio padre, ma non avevo un buon rapporto con lui. Poi, quando ha divorziato da mia mamma, mi ha detto la verità. Inizialmente provai un sospiro di sollievo per il fatto che non fosse mio padre: era distaccato e non mi ha mai trattata come i suoi figli naturali. Ma dall’altra parte, scoprire di non avere un papà mi ha lacerata. È un vuoto incolmabile», spiega a tempi.it.
Newman ricorda di quando al college lesse Il Nuovo Mondo di Aldous Huxley, che già nel 1939 anticipava lo sviluppo delle tecnologie della riproduzione a fini eugenetici e di controllo delle nascite. Nonostante «l’ambiente liberal, la mia classe era contraria a un mondo così. Allora rivelai la mia storia». Alla notizia i compagni rimasero in silenzio, finché un ragazzo esclamò: «Beh, pare un essere umano perfetto, forse non dovremmo essere così isterici!». Io, continua Newman, «sono sì un essere umano, come lo è il figlio di uno stupro, ma questo non significa che stuprare sia giusto». E poi «la mia psiche non è così normale. E qui non si tratta di qualcosa che i medici possono aggiustare. È un problema spirituale».
Hart, da quando ha scoperto come è nata, ha cominciato «a leggere e incontrare persone come me. Quelli come noi hanno tutti problemi di fiducia, abbandono, rifiuto con cui devono convivere tutta la vita». Le due ragazze citano a tempi.it lo studio intitolato My daddy’s name is donor (Mio papà si chiama donatore), da cui emerge che chi è privato di una delle due figure, materna o paterna, corre gli stessi rischi di coloro che sono cresciuti da persone drogate o alcolizzate: «È così, è la pura verità, che piaccia o no».
Oggi però Newman è felicemente sposata con due figli. «È vero, sono stata fortunata. Prima di tutto perché ho letto tantissimo, senza stancarmi, per anni, e ho capito come mai stavo così male, scoprendo che anche gli altri figli dell’eterologa soffrono. Ma soprattutto ho avuto la fortuna di incontrare alcuni cattolici che mi hanno amata in un modo che non conoscevo. A casa mia si amava per sentirci bene, mentre per queste persone l’amore era un’altra cosa: si sacrificavano e si privavano di qualcosa di loro per rendere felice me. L’opposto di come ero sempre stata trattata. Questo amore mi ha cambiata, ma il mio passato resta».
Per Hart «una delle più grandi tragedie è la perdita dell’appartenenza. La fecondazione eterologa è devastante, dovrebbe essere vietata. Per questo ringrazio Dolce e Gabbana: mi sono sentita difesa da due persone coraggiose, che hanno parlato a nostro favore in una società in cui tutti hanno paura di farlo. Una società che onora solo le coppie e i singoli che vogliono bambini e mai i figli e i genitori biologici». Nell’ambiente in cui Hart è cresciuta «dire che un bambino ha il diritto di crescere con sua madre e suo padre non è permesso. Per fortuna mia mamma ha capito la gravità delle conseguenze del suo gesto e ora mi sostiene. Ma non è facile comunque». Che cosa aiuta Hart ad andare avanti? «Io spero. Ora so che con la terapia posso aiutarmi, anche se chi è passato di qui dice che un vuoto ci sarà sempre. Ma soprattutto sono felice di aver incontrato Alana che mi vuole bene davvero, è il mio mentore, una sorella che mi ha capito ed è strano in una società che mi fa sentire in colpa per i miei sentimenti». Invece «dire la verità, parlare di quello che mi è successo e sapere che può servire è terapeutico, mi fa sentire bene. Si capisce, no?».
Buongiorno, è la prima volta che commento in questo blog ma l’articolo ha suscitato in me delle riflessioni che volevo condividere. Leggendo ho colto il dolore di queste persone, ma nelle loro parole mi pare di aver colto ragioni complesse. In particolare, mi ha colpita la frase “in questo caso, il bambino sa di essere venuto al mondo con lo scopo di soddisfare i genitori” e questo sarebbe un elemento di fragilità, insicurezza e amarezza.
La mia domanda però è: omologa o eterologa, biologica o in vitro, bianchi o neri, gialli o blu, quali sono le motivazioni di una gravidanza? Siamo certi che le persone eterosessuali che concepiscono un figlio lo facciano per generosità e tutti gli altri per egoismo e voglia di soddisfare un proprio desiderio personale? E un figlio, anzi, non è anche espressione di un proprio desiderio profondo, che non andrebbe quindi visto con sentimento di condanna?
Ripeto, non posso certo esprimermi su un dolore che non è il mio, dare risposte per una sofferenza che non ho provato e sbrogliare col raziocinio sentimenti complicati; da queste parole, però, quel che mi è passato è il senso di essersi sentite poco amate, un tappabuchi, un oggetto invece di una persona, uno strumento per placare il proprio egoismo. Il problema, allora, mi pare riguardare tutti quei figli concepiti con questo spirito, non tanto e non solo quelli frutto di questa tecnica di fecondazione. Quanti sono i bambini che nascono per salvare un rapporto, per noia, per dovere, per caso, per insicurezza? Il problema, allora, sono i genitori eterologhi o i genitori fragili? Queste sono le domande che mi son venute spontanee leggendo questi passaggi. Buon inizio di settimana
Vedi, c’è del vero in questa tua osservazione; è indubbio che possano entrare diverse motivazioni in una gravidanza normale; ma pensare che l’atteggiamento mentale e spirituale dei genitori sia, se non l’unico, il principale discriminante per comprendere questo disagio è ingenuo.
Infatti, chi subisce la violenza di essere concepito con una fecondazione, peggio del peggio se eterologa (ma non solo, come detto nella testimonianza) percepisce nella propria carne di essere frutto di un atto di compravendita. Si esce perciò dall’aggrovigliata foresta della psiche e delle motivazioni personali delle coppie (di genitori) per sbattere contro il muro di granito della più bruta realtà: sai di essere frutto di una tecnica, con tutto ciò che questo comporta.
In secondo luogo, con l’eterologa hai pure davanti la scelta, fredda e inevitabile, di essere stato concepito come orfano di almeno uno se non entrambi i veri genitori, per il gradimento e la soddisfazione di altre persone.
Non c’è molta differenza tra questo e l’idea di essere comprato al supermercato. E naturalmente, all’interno di questo squallido baratto, viene negato a questi figli di poter esprimere il loro disagio. Non sono realtà paragonabili, c’è poco da dire. E il fatto che, setacciando il mondo, si possa sempre trovare una situazione episodica nella quale c’è il figlio concepito naturalmente che magari sta peggio di quest’altro, non cambia il giudizio sulla pratica di fecondazione, che è un’azione malvagia per sé. Come sempre, alcuni ne soffriranno più d’altri.
Io continuo però a pensare che le motivazioni con cui vieni accolto e cresciuto siano molto importanti. Non intendevo lanciare una caccia al “chi sta peggio”, ma cercare proprio quelli che possono essere gli elementi in grado davvero di determinare l’equilibrio o la serenità di una persona: sentirsi amato, stimato, capito e accolto conta più o meno della naturalità dell’atto con cui si è stati generati?
Alice, ogni bambino ha diritto ad essere concepito in una relazione d’amore, secondo la modalità naturale ed ha diritto ad essere accolto ed amato dai suoi genitori. Il problema non è concepire per generosità o egoismo, ma secondo natura. Naturalmente è lecito, oltre che perfettamente naturale, desiderare un figlio con la persona che si ama, il problema nasce dal come si cerca di dare risposta a questo desiderio. Se lo si accoglie con gioia quando viene naturalmente, dove sarebbe l’egoismo? Forse nel fatto di averlo desiderato? L’egoismo è un comportamento che ignora la dignità ed i diritti delle persone, non mi pare che desiderare un ipotetico figlio e poi dargli vita secondo le leggi della natura sia egoismo.
Davvero non capisco il problema che poni.
Quello su cui rifletto, in base alle testimonianze riportate nell’articolo, è la percezione legata al dolore di queste donne, che si sono sentite usate e prelevate come un prodotto da supermercato. La domanda che mi sorge spontanea, in conseguenza di ciò, è che ci si possa sentire così anche al di fuori del concepimento “artificiale”: se io sono stata messa al mondo dai miei genitori in maniera poco desiderata, poco cercata, poco sperata, il sentimento di inadeguatezza e di rabbia nei loro confronti non sarebbe molto diverso. Questo mi ha portata a chiedermi se il problema non sia tanto come si concepisce, ma in che maniera si accoglie il nuovo venuto, lo si fa sentire amato, desiderato.
alice.securo
Alice, il problema è che forse va chiarito il punto di partenza.
In una coppia, il punto di partenza è il rapporto (anche sessuale) tra i due, non il desiderio di un figlio, e il figlio, se viene, una conseguenza, un dono; nel caso dell’eterologa, il punto di partenza è figlio-oggetto di un presunto “diritto”…è tutta un’altra cosa, mi sembra….
Hai ragione, va chiarito il punto di partenza: naturalità o desiderio? Di nuovo però il dubbio resta: la naturalità del gesto è sufficiente a garantire il “disinteresse” (in senso buono, passatemi il termine) nell’accogliere un figlio? Per me non è una questione risolvibile in maniera dicotomica, con tutti i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. O usiamo i termini torto e ragione, se preferite.
Alle riflessioni di Alice aggiungo un’altra già avanzata da Roberto: il “figlio dell’eterologa” sa di avere da qualche parte un genitore biologico al di fuori della coppia che l’alleva e di essere in parte un prodotto della tecnica. E questo non è indifferente per il “figlio dell’eterologa”.
Si può obiettare: pure un figlio adottivo ha da qualche parte un genitore al di fuori della coppia. Sì, ma non è la stessa cosa. Alcuni dati dovrebbero far pensare.
Come segnala l’ottimo Giuliano Guzzo:
“Da noi non è molto conosciuto. Anzi, possiamo tranquillamente dire che si tratta di uno studio della cui esistenza, in Italia, non è al corrente praticamente quasi nessuno, nonostante sia stato pubblicato da ormai qualche anno. Ed è un peccato, perché le centoquaranta pagine di My daddy’s name is donor (“Il nome del mio papà è donatore”, Institute for American Values, New York 2010), per quello che raccontano e per come lo raccontano, sono semplicemente esplosive. Di che si tratta? E’ il primo e verosimilmente tuttora più dettagliato tentativo di ricerca sulla condizione psicologica, di benessere familiare e sociale di coloro che sono stati concepiti attraverso la donazione di sperma. La ricerca, convalidata da una Commissione indipendente composta da docenti e ricercatori prevenienti da numerosi atenei – dall’Università del Texas a Princeton, dall’Università della Virginia alla Duke, dove si sono formate personalità del calibro del Presidente Nixon (1913-1994) e Tim Cook, CEO di Apple -, è stata realizzata da Elizabeth Marquardt, Norval D. Glenn e Karen Clark.
La società Abt SRBI di New York, a partire dal Survey Sampling International (SSI), database contenente informazioni su oltre un milione di famiglie americane, ha selezionato un campione di 485 giovani e adulti di età compresa tra i 18 e 45 anni e due gruppi di controllo, il primo composto da 562 soggetti adottati in tenera età, il secondo da 563 soggetti cresciuti con i loro genitori biologici. Cos’è emerso dallo studio?
Anzitutto si è riscontrato come i figli concepiti in seguito alla donazione di seme maschile sperimentino forti tensioni in relazione alle loro origini e identità, che si esprimono in un pensiero fisso – ricorrente almeno due volte la settimana, in quasi metà dei casi – su chi sia il loro padre biologico. In particolare, disturba il ruolo del denaro nel concepimento: questi figli della provetta, che in teoria dovrebbero esserne favorevoli almeno come gli altri dal momento che è stato decisivo per la loro venuta al mondo, lo avversano. E in quasi un caso su due esprimono favore più verso l’adozione che verso la tecnica in base alla quale sono stati concepiti.
In particolare, nonostante tre quarti dei rispondenti abbia saputo di essere stato concepito con l’eterologa dai genitori, i quali assai verosimilmente avranno presentato in termini positivi la loro scelta, ben il 37% non consiglierebbe ad un amico di ricorrere all’eterologa se volesse un figlio, il 48% è d’accordo che sia meglio adottare un figlio piuttosto che reperire spermatozoi e ovociti, il 42% è contrario al pagamento dei gameti, oltre il 40% è contrario al concepimento intenzionale di un bambino senza padre o senza madre.
Tornando alla condizione psicologica, il quadro d’insieme che emerge è quello di una maggiore insicurezza dei figli dell’eterologa non solo rispetto ai figli che vivono con i genitori biologici, ma persino nei confronti dei figli adottati dopo l’abbandono. Il 45% è seccato dalle circostanze del proprio concepimento, il 70% si domanda come sia la famiglia del proprio “donatore” di gameti, il 53% è disturbato quando si parla della genealogia (contro il 29% dei figli adottati), il 48% dice di essere rattristato quando vede gli amici con i propri genitori (solo il 19% tra i figli adottati), il 43% si dichiara confuso sull’appartenenza dei membri alla famiglia, il triplo rispetto ai figli adottati.
Non solo, l’insicurezza rispetto alla sincerità dei genitori nei loro confronti su fatti importanti è il doppio rispetto a quella rilevata tra i figli adottati, la paura d’intessere relazioni affettive con persone che potrebbero essere un parente senza saperlo è più che doppia rispetto agli adottati e cinque volte maggiore rispetto ai figli biologici. Due terzi di queste persone ritengono che sia un diritto potere conoscere ed intessere relazioni col donatore di gamete.
Questi ed altri elementi – per un esame completo dei quali si rinvia alla lettura integrale di My daddy’s name is donor, facilmente reperibile attraverso internet:
http://americanvalues.org/catalog/pdfs/Donor_FINAL.pdf
– alla fine convergono su un dato che, ancora una volta, emerge molto chiaramente: i figli hanno in una famiglia intatta formata da padre e madre biologici il loro ambiente migliore.
E’ stato detto che è un report non credibile perché realizzato da cristiani fondamentalisti, cosa non solo falsa, ma in contrasto con l’approvazione ricevuta dallo stesso da fior di accademici. E’ stato detto che il campione non è rappresentativo dell’intera popolazione americana, cosa mai sostenuta da chi ha svolto questa ricerca e che, in ogni caso, non toglie un fatto: la base del campione, seppure non randomizzata, ha il pregio di essere ampia ed è quanto meno rappresentativa della popolazione USA che è solita rispondere ai sondaggi. Tanto per fare un esempio, la rappresentatività del campione di questo studio è certamente superiore a quella descritta dall’European Union lesbian, gay, bisexual and transgender survey del 2012, a cui è stata data grande enfasi sui media omofili senza preoccuparsi di evidenziare come le risposte fossero state elicitate attraverso la promozione su siti gay. E’ stata inoltre denunciata eccessiva sicurezza nel presentare questo lavoro e nelle sue conclusioni, senza ricordare che nessuna ricerca precedente, sul tema, ha considerato un campione tanto vasto. Peraltro sembrano avere problemi non solo i figli, ma anche i genitori dei figli concepiti con l’eterologa. Secondo i risultati pubblicati da ricercatori di uno dei centri studi più omofili, il centro studi sulla famiglia dell’Università di Cambridge, la comunicazione dell’origine da un donatore ai bambini di dieci anni «non si associa sempre ad un adattamento psicologico ottimale da parte dei genitori».”
http://giulianoguzzo.com/2015/05/11/figli-di-uno-sperma-minore/#more-7363
http://costanzamiriano.com/2014/06/10/mio-padre-si-chiama-donatore-3/
Attenzione quando parliamo di studi però, perché da ciascuna analisi spesso partono altre prospettive, e anche molto diverse. In questo che è stato definito il più grande studio finora mai realizzato sui figli di coppie gay, e quindi per la stragrande maggioranza figli di eterologa, emerge come questi bambini siano in assoluto quelli che esprimono una salute migliore rispetto a tutti gli altri; l’analisi si basa sui parametri di “salute” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e riguarda quindi, anche, benessere psicofisico e, per essere semplici, “felicità”. Solo per evidenziare come studi rigorosi e attenti possano suonare campane molto diverse.
http://www.ilpost.it/2014/07/08/figli-coppie-omosessuali-studio-australia/
ti sbagli. Lo studio che citi non è “rigoroso e attento”, anzi è metodologicamente debole:
“Infatti, a parte che leggendo questo studio traspare, da parte degli autori, una prudenza assai diversa dai toni riservatagli dal quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, non sono né poche né irrilevanti le criticità che, anche ad una lettura superficiale, emergono.
Il lavoro in questione, anzitutto, non si basa su un campione enorme – 500 bambini – e fra l’altro ottenuto attraverso un campionamento di convenienza anziché probabilistico [3], e quindi dagli esiti di ricerca non generalizzabili; il che non è poco se si pensa che è stato proprio sulla base di analoghe carenze che è stata formulata una dura critica [4] ai 59 studi che l’American Psychological Association aveva selezionato per cercare di sdoganare le cosiddette famiglie omosessuali.
Un reclutamento non probabilistico del campione, sia ben chiaro, non implica che lo studio effettuato su di esso sia automaticamente carta straccia; impedisce però – questo è il punto – di trarre qualsivoglia conclusione generale come quella rilanciata da Repubblica.
Anche perché la raccolta del materiale successivamente impiegato nello studio risulta effettuata tramite dati self report da parte dei genitori sulla salute del loro bambino; non quindi quello che si dice un parametro assolutamente oggettivo e incontestabile. Inoltre rimane da chiarire la composizione del campione di confronto: si trattava di figli coi genitori sposati, conviventi, separati, single o solo? Senza altre informazioni, l’eterosessualità del genitore è parametro insufficiente.
Non va infine trascurato come la situazione economica di molti dei bambini di “famiglie omosessuali” considerati – oltre 400 – fosse caratterizzata da un reddito familiare tutt’altro che comune, precisamente fra i 60.000 ed i 250.000 dollari, contro un reddito medio delle famiglie confrontate di 64.000 dollari; e pure i titoli di studio dei genitori gay reclutati sono risultati mediamente superiori a quelli degli altri. A ciò si aggiunga che questo studio esce proprio mentre in Australia divampa il dibattito su una ridefinizione del matrimonio che includa anche le coppie omosessuali, il che da un lato spiega come mai questa ricerca goda di tanta visibilità e, d’altro lato, alimenta l’ipotesi che le stesse persone omosessuali interpellate possano essersi impegnate per apparire genitori all’altezza.
Del resto non sarebbe la prima volta che la letteratura su questi temi risulta condizionata da posizioni, per così dire, pro-gender [5]. Le numerose e feroci voci critiche sollevatesi solamente pochi mesi or sono contro l’ormai famoso studio ad opera del sociologo Mark Regnerus [6] (che pure, coinvolgendo 3.000 giovani dai 18 ai 39 anni, si avvalse di un campione assai più vasto dando voce direttamente a loro, ai figli cresciuti da genitori omosessuali, ma fu da taluni giudicato poco credibile) per questo lavoro curato da Simon Crouch – a sua volta, coincidenza, genitore gay [7] – benché come abbiamo visto esso sia ben distante dall’essere inattaccabile, non si stanno per il momento ancora sentendo. Avranno, immaginiamo, altro di cui occuparsi oppure, più semplicemente, si scagliano solo contro quello che disturba i loro schemi. O forse sarebbe meglio dire i loro pregiudizi.”
[3] Viene chiamato campionamento di convenienza perché «legato alla semplicità dell’estrazione, o al basso (inesistente) costo di estrazione»: Levine D.M. – Krehbiel T.C. – Berenson M.L., Business Statistics, Pearson 2006 (trad.it Statistica, Apogeo 2006, p.221); nello specifico, i partecipanti a questo studio, non scelti casualmente fra la popolazione, sono stati reclutati attraverso annunci, pubblicità, elenchi di indirizzi mail della comunità gay;
[4] Cfr. Marks L (2012) Same-sex parenting and children’s outcomes: A closer examination of the American psychological association’s brief on lesbian and gay parenting.«Social Science Research»; Vol. 41(4):735-751;
[5] Cfr. Redding, R.E. (2008) It’s really about sex: Same-sex marriage, lesbigay parenting, and the psychology of disgust.«Duke Journal of Gender Law & Policy»; Vol.16: 127-193;
[6] Cfr. Regnerus M. (2012) How different are the adult children of parents who have same-sex relationships? Findings from the New Family Structures Study.«Social Science Research»; Vol. 41(4):752–770;
[7] Cfr. He Beamed and said, “My mummy’s name is daddy” – Dr Simon Crouch, 3/12/2012:«gaydadsaustralia.blogspot.it».
http://giulianoguzzo.com/2014/07/10/figli-di-coppie-gay-piu-felici-degli-altri-non-esattamente/
Uno studio metodologicamente più affidabile dice ben altro:
“L’autore della ricerca, Donald Paul Sullins, ha utilizzato come campione il National Health Interview Survey (NHIS), un dataset che con le sue 75.000-100.000 interviste all’anno condotte su un campione rappresentativo di famiglie, costituisce una delle fonti primarie d’informazioni sulla salute degli americani.
Per ciascuna famiglia intervistata viene scelto in modo casuale un figlio riguardo al quale gli adulti sono invitati a fornire le informazioni richieste. In questo studio sono state esaminate le risposte ottenute in 17 anni (1997-2013) da 1.390.999 adulti che hanno fornito informazioni su loro stessi e su 207.007 minori.
La metodologia dello studio ha consentito di identificare 2.751 coppie dello stesso sesso (2,304 conviventi e 447 sposate; 1.387 maschili e 1.384 femminili. Tra queste, 582 coppie (406 femminili e 176 maschili) avevano dei figli minorenni a casa, per un totale di 512 bambini e ragazzi che vivevano in case dove gli adulti erano legati da vincoli omosessuali. È stata esplorata la presenza di eventuali problemi emotivi, comportamentali o relazionali attraverso l’uso combinato di due procedure distinte. Le variabili di cui è stato tenuto conto sono state il sesso, l’età, la razza dei bambini, la scolarità dei genitori, il reddito familiare, eventuali episodi di bullismo di cui sono stati vittime negli ultimi sei mesi, la proprietà o meno della casa, la presenza di disturbi mentali tra i genitori.
I risultati del lavoro di Sullins mostrano che la probabilità di problemi psicologici risulta due-tre volte maggiore tra i bambini e i ragazzi che vivono con genitori omosessuali; 8 dei 12 parametri psicometrici indagati sono risultati deteriorati. Il disturbo da deficit di attenzione ed iperattività (ADHD) mostrava incidenza più che doppia, i disturbi dell’apprendimento erano più frequenti del 76%, i medici di medicina generale erano stati interpellati per problemi psichici dei minori con una frequenza due volte e mezzo più elevata. La proprietà o meno della casa, gli episodi di bullismo e la presenza di seri disturbi mentali tra i genitori risultavano incrementare il rischio di problemi emotivi e comportamentali tra i figli di coppie gay, mentre i legami biologici tra minore ed adulti sono risultati l’elemento preponderante nella spiegazione delle differenze tra minori in coppie etero od omosessuali.
Tra i figli biologici di coppie eterosessuali sposate l’incidenza di disturbi psico-affettivi è infatti risultata del 4,3% contro il 7,1% dei figli dell’intero gruppo di genitori eterosessuali e il 14,9% dei minori che vivono con adulti omosessuali, tra cui “non c’è corrispondente gruppo di bambini con un livello parimenti basso di problemi emotivi”, quindi anche quelli che vivono con omosessuali sposati.
Contrariamente a quanto da qualcuno già messo in giro, i figli con genitori dello stesso sesso risultavano infatti avere maggiori problemi non solo dei figli con genitori eterosessuali sposati, ma anche di quelli adottivi, conviventi e persino single (triplo considerando i cofattori e del 50% maggiore inserendo i legami biologici, a indicazione, secondo il professor Sullins, che la struttura familiare è significativa nella misura in cui essa riflette principalmente i legami biologici).
Come ogni studio trasversale anche lo studio di Sullins non è in grado di spiegare le cause, ma è già significativo evidenziare l’associazione di famiglia biologica integra con migliore condizione dei figli da una parte e genitorialità omosessuale con peggiore stato dei minori dall’altra. Un altro limite consiste nella rilevazione indiretta attraverso i genitori delle condizioni dei bambini, elemento questo che verosimilmente è assai meno rilevante in un campionamento randomizzato come quello dello studio di Sullins rispetto agli studi non randomizzati.
Com’era prevedibile lo studio è già stato messo nel mirino della gioiosa macchina da guerra arcobaleno. L’autore è un prete cattolico e pertanto lo studio è viziato, hanno detto… Il professor Sullins ha pubblicato decine di studi sociologici su riviste peer review ed è referre per numerose riviste scientifiche tra cui l’American Journal of Sociology, la più antica rivista di sociologia d’America, collegata al dipartimento di sociologia della Chicago University e l’American Sociologica Review, organo ufficiale dell’associazione dei sociologi americani…
È stato detto che i risultati sono contraddetti da quelli di un’altra ricerca che ha esaminato lo stesso dataset NIHS presentato all’ultima assemblea della Population Association of America. Peccato che in quel rapporto gli autori abbiano preso in considerazione un solo indicatore, lo stato generale di benessere riferito dai genitori. Sarebbe stato sorprendente trovarlo diverso tra i figli delle coppie gay dal momento che si tratta di un parametro che cambia assai poco tra le diverse strutture familiari.
Si dice che si dovrebbero controllare situazioni simili: coppie eterosessuali sposate e stabili con coppie omosessuali sposate e stabili e confrontare i rispettivi figli. Piccolo problema: tra i 15.000 soggetti di 18-39 anni esaminati dal professor Regnerus (la cui ricerca ha subito un impressionante tentativo di demolizione, ma è infine stata riconosciuta corretta da un’indagine interna della Texas University e dall’editor della rivista scientifica che l’ha pubblicata, rivelando, ancora secondo il professor Redding, l’esistenza di un “gruppo di pensiero sociopolitico operante nella comunità delle scienze sociali” che spinge a “giocare in modo politicamente sicuro, evitare le domande controverse, pubblicare le conclusioni giuste”), solo 175 hanno dichiarato di avere una madre che ha avuto una relazione omosessuale, di questi solo 85 hanno vissuto con la partner della madre, 31 per meno di un anno, 20 per non più di due anni, 5 per 3 anni e 8 per 4 anni; solo 29 hanno passato almeno 5 anni con la partner della madre e solo due hanno trascorso con essa tutta la minore età fino ai 18 anni. Nessuno ha invece potuto affermare di essere vissuto col padre e col suo partner per tutti i primi 18 anni di vita. L’instabilità è la regola delle unioni omosessuali, la stabilità l’eccezione. I campioni del New Family Structures Study (NFSS), dell’Early Childhood Longitudinal Study (ECLS), dell’US Census (ACS), del Canadian Census e del NHIS confermano ciò che i giudici bolognesi hanno definito un pregiudizio e smentiscono quella montagna di letteratura pseudoscientifica volta ad ottenere fini politici: dimostrare che i figli crescono bene, se non meglio, con due adulti dello stesso sesso.”
http://www.lacrocequotidiano.it/articolo/2015/02/17/politica/in-difesa-dello-studio-sullins
Alessandro:
1 la letteratura in questo campo è sterminara e contraddittoria
2 non esitono ricerche che abbiano più valore di altre.
3 la statistica in sociologia e in psicologia (per tant ragioni facilemente immaginabili) non è attendibile.
4 non mi sembra corretto argomentare con il copia e incolla. Se tutti incominciassimo a farlo si potrebbe facilmente riempire il blog di qualsiasi “ricerca seria” possibile inimmaginabile.
Alvise:
smettila di fare il qualunquista pro domo tua, non è vero che non esistono ricerche che abbiano più valore di altre (altrimenti tutti i sociologi e gli psicologi dovrebbero cambiare mestiere, perché le loro ricerche avrebbero lo stesso valore degli oroscopi, e le loro discipline sarebbero attendibili quanto l’astrologia), che la statistica in sociologia non sia attendibile lo dici tu (vallo a dire a sociologi e statistici, misurati con loro).
Quanto al copia incolla, quello da evitare è il copia-incolla a vanvera. Se permetti, non faccio copia incolla a vanvera, ma pertinente. Ad esempio, nel caso dello studio indicato da alice ho incollato l’estratto di un articolo che mostra le carenze metodologiche di quello studio, articolo firmato da Giuliano Guzzo, il quale è laureato con tesi in sociologia e ricerca sociale
http://giulianoguzzo.com/about/
e quindi può considerarsi un esperto su come vada condotta una ricerca sociale.
Non è colpa mia se gli studi metodologicamente più affidabili mostrano che (cito Guzzo e Puccetti) “i bambini che crescono in famiglie dove le figure parentali appartengono allo stesso sesso, manifestano condizioni peggiori nell’ambito della salute e della performance”.
Così è, che piaccia o non piaccia, che irriti o non irriti, che sia politicamente corretto o no.
Se invece vogliamo continuare a citare studi metodologicamente indifendibili per illuderci di dimostrare che sono valide le nostre tesi sbagliate, allora facciamolo.
Guzzo e Puccetti che siano ci saranno sempre studi più affidabili di altri e altri ancora più affidabili eccetra.
Io non difendo nessuna idea in particolare, ma continuo a pensare che tutto, alla fine, dipenderà da con che persone
gli capiterà di vivere a un bambino omologo o eterologo (visto che era questo l’argomento del post)!
del politicamente corretto me ne frego!
del politicamente corretto me ne frego!
e infatti sei sempre qui, commento dopo commento, a difendere tutti i difensori del politicamente corretto.
Sei uno strano anarchico, devoto alle sentenza della Consulta
…sei tremendo!!!
Alvise:
ti voglio bene!
“del politicamente corretto me ne frego!”
Questa è buona!
Donald Paul Sullins probabilmente è uno studioso valevole; non voglio metterlo in discussione “di per sé”, ma è un sacerdote ed insegna alla The Catholic University of America. Quindi lo studio è finanziato da un’università che ha delle posizioni preconcette sull’argomento. Ciodetto i dati ( Sullins è un sociologo, non uno psicologo) si riferiscono a tutte le situazioni in cui vi sono genitori che provano attrazione verso persone dello stesso sesso. Lo studio non spiega perché ci sarebbe una casistica maggiore di determinate problematiche. Il punto (a parer mio) è che molto spesso, la maggior parte dei casi, si tratta di situazioni che effettivamente possono agre un trascorso traumatico; persone che scoprono di essere omosessuali ad un’età adulta, quindi un percorso travagliato che passa attraverso separazioni e divorzi (e, mi spiace dirlo, ma molto spesso un forte stigma sociale) che, evidentemente, più facilmente può determinare effetti negativi per i bambini. Nessuno psicologo vi potrà mai spiegare (se non con spiegazioni capziose e un po’ ideologiche) quale ragione scientifica determina un trattamento deteriore per il bambino che vive essendo cresciuto (ad esempio perché adottato) in una famiglia omo rispetto ad una etero; pur non volendomi (e non potendo) addentrarmi in un campo che non è il mio è oramai sempre più assodato che nel 21 secolo il problema del riferimento alla figura maschile e femminile non ha pià una portata rilevante data la molteplicità di stimoli e relazioni che incontrano oggi i bambini. È un fattore questo, su cui, scientificamente (ma la cosa è anche logica), non ci potrà mai essere una posizione univoca e universale. E basta studiare un po’ di storia dell’istituto familiare per sapere che il modello che ci piace tanto (mamma, papà, figli, cane e station wagon) non è un modello che è sempre esistito. E non è che , nell’800, ci sono stati gli psicologi che hanno detto alle persone che quello era il modello di famiglia da seguire perché avevano capito che era il migliore….
“Donald Paul Sullins probabilmente è uno studioso valevole; non voglio metterlo in discussione “di per sé”, ma è un sacerdote ed insegna alla The Catholic University of America. Quindi lo studio è finanziato da un’università che ha delle posizioni preconcette sull’argomento.” argomento piuttosto fallace.
Copernico era un prete
Mendel un monico agostiniano
Jerome Lejeune era un cattolico fervente in causa di beatificazione
…..
ecc…
dobbiamo continuare?
prova ad applicare la tua frase a Copernico, ad esempio, e pensa se una frase del genere non apparirebbe ridicola.
Uno studioso o è valevole o non lo è. Una cosa o è vera o è falsa.
Riusciamo a rimanere su un piano argomentativo, invece di tirare fuori ipotetiche dietrologie?
Quanto poi all’imparzialità degli studi, sorvoliamo sull’imparzialità degli studi di genere, per favore.
Dan,
svegliati una buona volta dal tuo sonno ideologico.
“Nessuno psicologo vi potrà mai spiegare (se non con spiegazioni capziose e un po’ ideologiche) quale ragione scientifica determina un trattamento deteriore per il bambino che vive essendo cresciuto (ad esempio perché adottato) in una famiglia omo rispetto ad una etero”
Ti sfido a mostrare quale psicologo sia in grado di spiegare (senza spiegazioni capzione e ideologiche) quale ragione scientifica determinerebbe un trattamento NON deteriore ecc.
“pur non volendomi (e non potendo) addentrarmi in un campo che non è il mio è oramai sempre più assodato che nel 21 secolo il problema del riferimento alla figura maschile e femminile non ha più una portata rilevante data la molteplicità di stimoli e relazioni che incontrano oggi i bambini.”
E’ oramai sempre più assodato da chi? Da te? Ma fammi il piacere!
Ti rendi conto da solo di che stupidaggine sia affermare che per la salute psichica e la crescita armonica di un bambino “nel 21 secolo il problema del riferimento alla figura maschile e femminile non ha pià una portata rilevante data la molteplicità di stimoli e relazioni che incontrano oggi i bambini?”
Chi sarebbe lo psicologo (si fa per dire) di tua fiducia dal quale hai attinto questa marchiana corbelleria?
Leggiti una buona volta qualcosa di interessante, come questo:
http://www.diesselombardia.it/imgdb/Cigoli_Scabini_omogenitorialita.pdf
Da meditare questo passaggio, direi:
“su questo punto possiamo trarre qualche indicazione dalla storia delle ricerche e degli studi sui “figli del divorzio”. Infatti, mentre nelle prime ricerche gli aspetti di problematicità e di sofferenza venivano attribuiti riduzionisticamente allo stigma sociale, ora che tale stigma non può più essere evocato (stante anche la grande diffusione del divorzio che lo rende statisticamente normale) il peso e il dolore che accompagna questi figli, ora adulti, viene più facilmente alla luce.”
“Copernico era un prete
Mendel un monico agostiniano”
No, non serve. La storia la conosciamo tutti e la comparazione tra personaggi vissuti in contesti estremamente diversi non ha alcun senso.O devo mettermi a citare Galileo? Qui non c’entra di per sé l’essere sacerdote cattolico ma è una questione legata ai condizionamenti determinati dall’essere appartenenti ad una struttura che è riconducibile ad una precisa posizione politico-ideologica su determinati temi
“Ti sfido a mostrare quale psicologo sia in grado di spiegare (senza spiegazioni capzione e ideologiche) quale ragione scientifica determinerebbe un trattamento NON deteriore ecc.”
Non lo so. In effetti non lo saprei dire.Ti potrei ribadire quelle considerazioni storiche di cui sopra, che non hanno valore strettamente scientifico, non c’è dubbio, ma che possono servire ad aiutati a leggere la realtà. Così come le altre considerazioni (davvero pensiamo che il contesto in cui cresce un bambino oggi è lo stesso di 3 secoli fa? e che questo cambiamento non ha alcun peso?).
Ma soprattutto io ti posso dire che diversi contesti familiari hanno la stessa dignità e che l’ambiente eticamente e socialmente sano per me è dato dalle scelte di chi vive quel contesto familiare; questa è la mia “ideologia”, che inevitabilmente (scienza o non scienza) si scontra con quella di chi invece sostiene che genitori sono SOLO quelli biologici che il modello familiare GIUSTO è uno solo. E, mi spiace, ma questo è il terreno del dibattito. Ed è qui che mi ricollego all’articolo
L’articolo è molto interessante. E qui mi viene da fare una riflessione. Se il dibattito pubblico su un tema come l’omogenitorialità e i matrimonio omosessuali e, più in generale, la genitorialità nel 21 secolo fosse impostato su questioni più profonde e non su frasi come “se si possono sposare due uomini allora anche un uomo e un cane” magari si potrebbe addivenire a risultati molto più funzionali al raggiungimento dell’interesse collettivo.
Ed è interessante perché solleva delle questioni con attenzione scientifica ma è (per sua stessa ammissione) solo una delle tante posizioni che si riflettono nel dibattito scientifico.
“Potremmo proseguire, passando in rassegna le numerose ricerche pubblicate sulle famiglie omogenitoriali e proponendo i loro variegati esiti. Qui però ci interessa porre la questione fondamentale inerente al processo stesso di ricerca.
La ricerca scientifica in ambito psicologico, vale a dire entro le scienze del vivente e dell’azione umana, non è oggettiva, ma soggetta a un insieme di vincoli che vanno dalle presupposizioni dei ricercatori (loro implicazione compresa) fino agli strumenti che utilizzano (tec- niche e statistiche comprese). Trattare la ricerca come nuova fonte di verità è un affronto nei confronti dei programmi di ricerca e di ciò che la filosofia della scienza ha insegnato. La ricerca non “dimostra”, ma indica il rilievo di alcune informazioni provenienti dalla medesima. Quale aspetto del fenomeno vogliamo considerare? Cosa intendiamo per benessere dei figli? La risposta a queste domande inevitabilmente orienta il processo di ricerca.”
Cioè in sostanza la scienza, nelle sue varie declinazioni e a seconda del campo di riferimento, di può dare degli strumenti per capire e per intervenire nell’ambito dei cambiamenti sociali ma non può “cambiare” la realtà né determinare il nostro orientamento valoriale. Soprattutto in un settore come questo.
Il campione di confronto non è composto dalle famiglie eterosessuali, ma riferisce ai risultati medi ottenuti per gli stessi valori nella popolazione australiana in generale.
Per quanto riguarda l’obiezione che “i genitori omosessuali si siano impegnati per risultare all’altezza”, se posso essere diretta, mi sembra un’osservazione quantomeno strana: a essere intervistati sono stati i bambini, non i genitori, e se i genitori si sono impegnati per crescere figli “felici” (uso le virgolette per comprendere tutte le sfumature previste dall’Oms), dovrebbe essere comunque un tanto di guadagnato.
Infine, da persona che si occupa a dosi modeste ma continuative di analisi statistiche da qualche anno, mi si permetta anche di dire che è abbastanza inconsistente l’idea che uno studio esca in un preciso momento su temi caldi per orientarne gli andamenti. Si fanno studi su temi di attualità precisamente per tastare il polso in una data congiuntura, il che non si traduce automaticamente in analisi capziose e tendenziose.
Scusi le precisazioni ma, appunto, da quando ho avuto modo di approcciare professionalmente questo mondo mi accorgo di quanto spesso si tenda a dare significati e interpretazioni che le analisi statistiche non hanno, lasciandone così da parte gli elementi davvero significativi.
Non ha risposto al nerbo delle contestazioni di Guzzo:
1) Campione esiguo: 500 bambini
2) Campione ottenuto attraverso un campionamento di convenienza anziché probabilistico (nello specifico, i partecipanti a questo studio, non scelti casualmente fra la popolazione, sono stati reclutati attraverso annunci, pubblicità, elenchi di indirizzi mail della comunità gay), e quindi dagli esiti di ricerca non generalizzabili; il che non è poco se si pensa che è stato proprio sulla base di analoghe carenze che è stata formulata una dura critica [Cfr. Marks L (2012) Same-sex parenting and children’s outcomes: A closer examination of the American psychological association’s brief on lesbian and gay parenting.«Social Science Research»; Vol. 41(4):735-751] ai 59 studi che l’American Psychological Association aveva selezionato per cercare di sdoganare le cosiddette famiglie omosessuali.
Un reclutamento non probabilistico del campione, sia ben chiaro, non implica che lo studio effettuato su di esso sia automaticamente carta straccia; impedisce però – questo è il punto – di trarre qualsivoglia conclusione generale
3) divario notevole tra condizione economica di molti dei bambini di “famiglie omosessuali” – oltre 400 su 500 – e reddito medio del campione di confronto. Lo stesso dicasi quanto ai titoli di studio.
Lei scrive: “Per quanto riguarda l’obiezione che “i genitori omosessuali si siano impegnati per risultare all’altezza”, se posso essere diretta, mi sembra un’osservazione quantomeno strana: a essere intervistati sono stati i bambini, non i genitori”
Non è così, si sbaglia.
Legga qui:
http://www.biomedcentral.com/1471-2458/14/635/abstract
e vedrà che è stato consegnato un questionario a 390 genitori che si identificano come attratti da persone dello stesso sesso e che hanno bambini tra gli zero e i 17 anni. 315 hanno riconsegnato il questionario compilato, pertanto non c’è nessuna garanzia che costoro l’abbiano compilato “consultando” i bambini (anche perché è difficile “consultare” un bambino di 2 o 3 anni).
Al riguardo nota giustamente Guzzo: “la raccolta del materiale successivamente impiegato nello studio risulta effettuata tramite dati “self report” da parte dei genitori sulla salute del loro bambino; non quindi quello che si dice un parametro assolutamente oggettivo e incontestabile”. Personalmente sarei stato più duro…
Lei scrive: “Il campione di confronto non è composto dalle famiglie eterosessuali, ma si riferisce ai risultati medi ottenuti per gli stessi valori nella popolazione australiana in generale”.
Mi scusi: ma se così fosse, come si può pretendere di chiamare “campione di confronto” un campione del genere? Un campione di confronto scientificamente decente in questo caso non dovrebbe essere costituito “dalla popolazione australiana in generale”, ma da genitori eterosessuali con figli tra 0 e 17 anni in condizioni economiche paragonabili a quelle delle coppie omo ecc.
Anche se il campione fosse di genitori eterosessuali senza altra precisazione, sarebbe un campione scientificamente inadeguato, come nota Guzzo: “Inoltre rimane da chiarire la composizione del campione di confronto: si trattava di figli coi genitori sposati, conviventi, separati, single o solo? Senza altre informazioni, l’eterosessualità del genitore è parametro insufficiente.”
Bablablablabla….come si fa a dire no al blablablabla?
Benedetta Frigerio:
“Scrive facendosi accompagnare dalla Madonna e da Giovanni Testori” (sic!)
…e digià che ci sono mi preme anche manifestare la mia riprovazione per la orrenda (sotto tutti i punti di vista) immagine di presentazione del post!
Alvise, è una delle copertine del romanzo “Il Nuovo Mondo” di Huxley citato nell’articolo. Fa piacere che ti faccia schifo.
Alvise: cicca cicca cicca
Roberto:
…questo non vuol dire che non sia orrenda (sotto tutti i punti di vista)
Non ero ironico: fa davvero piacere che ti faccia schifo; è bene che trasmetta l’orrore per ciò che (allora) vagheggiava e a cui man mano ci avviciniamo. E d’altronde, quello di graffiare la sensibilità e quindi l’attenzione del lettore (ascoltatore in questo caso, essendo la versione “audiolibro” di allora, in vinile, se non sbaglio) era sicuramente quel che aveva in mente il grafico/editore/ecc. (elementari strategie di marketing, si sa).
Sarà brutta la foto, può essere. ma la cosa più brutta è non sapere a chi si appartiene. Io porto la mia esperienza di affidataria di una bambina che non ha mai conosciuto il padre e di cui la mamma (che al momento non è più in grado di prendersene cura) non vuole rivelare neppure il nome. Posso assicurare che la bambina (8 anni) desidera ardentemente conoscere se non il viso almeno il nome del padre. E ogni giorno immagina nei passanti come potrebbe essere il padre e mi chiede se può scegliersene uno che le piaccia.
Vorrei aggiungere che non è pensabile che noi donne, per il solo fatto di aver ricevuto in dono un utero e un sofisticatissimo sistema riproduttivo, non solo per questo possiamo pensare di usarlo irersponsabilmente o per “giocare a fare Dio”. Anche nel caso di fecondazione omologa, di concepimento tradizionale all’interno o meno di un rapporto matrimoniale. E’ il fatto stesso di poter dare la vita che ci dovrebbe far riflettere su cosa e a chi affidiamo quella vita che portiamo per 9 mesi. Nella mia esperienza quella vita cresce, prende coscienza di sè e di noi che la accompagnamo e comincia a porci, esplicitamente o no, tante domande; la prima è “da dove vengo” e “dove andiamo”.
http://www.notizieprovita.it/wp-content/uploads/2014/12/brave_new_world_.jpg
Credo che lo stato di profonda sofferenza psicologica di questa “figlia della fecondazione eterologa” sia in realtà la conseguenza diretta di quanto lei stessa racconta: «Pensavo che l’uomo con cui sono cresciuta fosse mio padre, ma non avevo un buon rapporto con lui. Poi, quando ha divorziato da mia mamma, mi ha detto la verità. Inizialmente provai un sospiro di sollievo per il fatto che non fosse mio padre: era distaccato e non mi ha mai trattata come i suoi figli naturali. Ma dall’altra parte, scoprire di non avere un papà mi ha lacerata. È un vuoto incolmabile».
Dal racconto emerge infatti un ambiente familiare sui generis, in cui il “padre” si comporta non soltanto in modo distaccato nei confronti di questa bambina, ma assume in modo palese comportamenti diversi, quando dedicati ai figli naturali, nati suppongo da una precedente unione. Quasi non pago di questa inutile cattiveria, dopo il divorzio racconta alla ragazza la “verità”. È evidente che quel soggetto si sarebbe comportato in quel modo vergognoso, anche se la bambina fosse stata adottata e non frutto dell’eterologa.
Mettere al mondo una creatura in modo naturale presuppone sempre una consapevolezza responsabile. Possiamo immaginare quanto debba essere difficile e complesso, una volta assodata l’incapacità di generare, scegliere un qualsiasi ripiego, adozione compresa. Una scelta che deve essere attentamente valutata e accettata da entrambi i coniugi, perché l’aspetto più delicato è rappresentato dall’impatto psicologico che ricadrà su di essi. La fecondazione eterologa presenta delle ricadute psicologiche particolari, che non tutte le coppie sono in grado di affrontare.
Simone
Alice:
Come la vedo io, chi mette al mondo un bambino desiderato all’interno di una coppia, anche se si potrebbe discutere sul lato “egoista” di questo desiderio, NON lo mette PER DISEGNO in una situazione “identitaria” substandard, insufficiente.
La vita non essendo perfetta, accade troppo spesso che questi bambini si trovino in situazioni difficili, perdendo uno o entrambi i genitori, ma in linea di PRINCIPIO questi disagi non erano progettati e tutti i problemi “identitari” che ne risultano sono effetti secondari di processi non voluti. Per questo anche chi si trova a dover vivere senza il padre, ma SAPENDO che il padre c’era e chi era, se guidato e appoggiato da altri adulti nella famiglia e dalla comunità a cui appartiene, di solito riuscirà non a “colmare” il vuoto – questo non è possibile – ma comunque di viverlo con una tranquillità mentale.
Diverso è il caso per chi è stato privato da un genitore PER DISEGNO, in partenza, dalle stesse modalità SCELTE dall’altro genitore per generarlo. A me sembra normale che questa consapevolezza provochi problemi “identitari” di tutt’un altro ordine di grandezza – non solo per l’impossibilità di conoscere il genitore biologico (di sapere chi è), ma appunto perché si sa di essere figli di una situazione VOLUTAMENTE substandard per soddisfare i desideri altrui.
Alice:
Secondo te un bambino si metterà a pensare angosciosamente e traumaticamente in che circostanze è stato concepito?
Come se già non bastasse “Il trauma della nascita” (Otto Rank)!
Da bambino forse no… da adulto certo si.
Ma se non arrivi a capirlo 😐 è solo perché vuoi negarlo.
me ne frego!
( eppure mi pareva di averlo già sentito da qalche altra parte ed in altri tempi….mah!)
p.s. dall’articolo di fondo di Adinolfi oggi su “la croce”:
Oggi le minacce normative sono ben più pesanti:il divorzio breve è già diventato leggedello Stato, la Corte costituzionale ha demolito la legge 40 con l’ultima di 33 sentenze che consente anche la diagnosi preimpianto e avvia la strada alla selezione eugenetica di stampo nazista,
il ddl Cirinnà devasta quel che resta dell’istituto matrimoniale, lo rende
equiparabile all’unione gay e legittima persino la pratica dell’utero in affitto,
nel ddl di riforma della scuola è stato piazzato un emendamento velenoso che renderà obbligatorio il corso di “parità di genere” e dunque inserirà la propaganda gender negli orari scolastici di tutti gli istituti di ogni ordine e grado.
L’offensiva è colossale.
ma non dovevano essere, il primo ministro e il presidente che contrifirma, cattolici?
Per tutti i bambini, quello dell’appatenenza è un pallino fisso: dire ” questa è la mia mamma, questo è il mio papà” per i bambini è una sicurezza, un bisogno atavico…
Tutti sanno che i bambini adottati hanno bisogno di sapere da dove vengono, e ai genitori adottivo vengono fatti dei corsi di preparazione in cui il primo insegnamento è quello di non non permettere che i bambini perdano il filo che li lega alle loro origini: hanno bisogno di sapere chi sono e da dove vengono. Io ne ho conosciuti diversi, e per tutti, ad un certo punto sorge il desiderio di tornare nel paese di origine, come guidati da un oscuro sonar.
I genitori adottivi sono addolorati da tutto ciò ma non devono assolutamente impedire questo processo di elaborazione, che è fondamentale.
Una signora, che ha adottato una bambina dalla Nigeria, mi disse che un giorno, ad una festa di paese, perse di vista la bambina, che aveva 2 anni. Pochi secondi di panico, finchè non l’ha vista che seguiva una coppia di colore.
L’adozione è qualcosa di meraviglioso, e i genitori adottivi sono mamme e papà “al cubo”, perchè davvero, accolgono un’altra vita nella loro vita, un’altra storia nella loro storia, senza aspettative egoistiche ma per puro amore e con dono di sè. Ecco potrei dire che chi ordina un uovo, lo impianta in una donna e poi prende il bambino agisce in maniera diametralmente opposta, perchè compra un essere umano per soddisfare se stesso.
Sradicare qualcuno intenzionalmente dalle proprie origini è qualcosa di profondamente malvagio.
Papa Francesco ieri (18 maggio) al consiglio permanente della Cei:
“occorre uscire verso il popolo di Dio per difenderlo dalle colonizzazioni ideologiche che gli tolgono l’identità e la dignità umana”
Il presidente Bagnasco stamattina nella prolusione:
” Con il Papa diciamo no ad una scuola dell’indottrinamento, della “colonizzazione ideologica”…
È utile segnalare che, tra le modifiche approvate in Commissione al testo in questione, vi è quella che prevede l’insegnamento della parità di genere in tutti gli istituti. Una simile previsione sembra rappresentare l’ennesimo esempio di
quella che Papa Francesco ha definito “colonizzazione ideologica: entrano in un popolo con un’idea che non ha niente a che fare col popolo; con gruppi del popolo sì, ma non col popolo, e colonizzano il popolo con un’idea che cambia o vuol cambiare una mentalità o una struttura” (Papa Francesco, Conferenza Stampa nel volo di ritorno dalle Filippine, 19.1.2015).
Educare al rispetto di tutti, alla non discriminazione e al superamento di ogni forma di bullismo e di omofobia, è doveroso, lo abbiamo sempre affermato: rientra nei compiti della scuola. Ma l’educazione alla parità di genere, oggi sempre più spesso invocata, mira in realtà ad introdurre nelle scuole quella teoria in base alla quale la femminilità e la mascolinità non
sarebbero determinate fondamentalmente dal sesso, ma dalla cultura.
Abbiamo chiamato in causa la famiglia, perno insostituibile e incomparabile della società…
Ora, il testo di legge in questione ancora una volta conferma la configurazione delle unioni civili omosessuali in senso paramatrimoniale.
Tale palese equiparazione viene descritta senza usare la parola “matrimonio”, ma in modo inequivocabile:
“le disposizioni contenenti le parole ‘coniuge’, ‘coniugi’, ‘marito’ e ‘moglie’, ovunque ricorrano nelle leggi, nei decreti e nei regolamenti, si applicano anche alla parte della unione civile tra persone dello stesso sesso” (art. 3).
Questa equiparazione riguarda anche la possibilità di adozione, che per ora si limita all’eventuale figlio del partner (art. 5). È evidente che – come è successo in altri Paesi – l’adozione di bambini sarà estesa senza l’iniziale limitazione. Così come è evidente, ancora alla luce di quanto accade altrove, che presto sarà legittimato il ricorso al cosiddetto “utero in affitto”, che sfrutta indegnamente le condizioni di bisogno della donna e riduce il bambino a mero oggetto di compravendita. Il desiderio della maternità o della paternità non può mai trasformarsi in diritto per nessuno.
Si alimenta anche così la “cultura dello scarto”, categoria che tanto piace se applicata a certe situazioni, ma non
a queste: “Occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con papà e una mamma, capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva. Continuando a maturare nella relazione, nel confronto con ciò che è la mascolinità e la femminilità di un padre e di una madre, e così preparando la maturità affettiva (…) Con i
bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio.
Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, pretesa la modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del pensiero unico” (Papa Francesco, Discorso alla Delegazione dell’Ufficio internazionale Cattolico dell’Infanzia, 11.4.2014).
In altra occasione il Santo Padre ha ribadito che “questa complementarietà sta alla base del matrimonio e della famiglia” (Discorso alla Congregazione per la Dottrina della Fede, 17.11.2014).
A Napoli il Papa disse che la cosiddetta “teoria del gender” è uno “sbaglio della mente umana” (Discorso 21.3.2015) e
successivamente ha espresso il dubbio “se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa confrontarsi con essa” (Papa Francesco, Udienza generale, 15.4.2015)
Un’ultima parola dobbiamo dirla sul “divorzio breve”. Si puntava sul “divorzio lampo” e su questo si ritornerà non appena i venti saranno propizi. Ma sopprimere un tempo più disteso per la riflessione, specialmente in presenza di figli, è proprio un bene? Si favorisce la felicità delle persone o si incentiva la fretta? “Quando si tratta dei bambini che vengono al
mondo, nessun sacrificio degli adulti sarà giudicato troppo costoso e troppo grande pur di
evitare che un bambino pensi di essere uno sbaglio” (Papa Francesco, Udienza generale, 8.4.2015).
http://www.avvenire.it/Dossier/CEI/Documents/Prolusione%2019%20maggio%202015.pdf
“Con il Papa diciamo no ad una scuola dell’indottrinamento, della “colonizzazione ideologica”…
Evidentemente non è considerato indottrinamento l’indottrinamento cattolico…
Ma quale indottrinamento cattolico? Nella scuola italiana sopravvise un’ora (una) peraltro facoltativa di insegnamento della religione cattolica, insegnamento impartito nient’affatto come indottrinamento.
Per il resto, nei programmi della scuola italiana si sta facendo tabula rasa di tutto ciò che sappia di cattolico, a favore del politicamente e sindacalmente corretto, culturalmente vacui ma amici dell’aria che tira.
Temporaneamente, sopravvivono Dante e Manzoni, ma non è colpa dei cattolici se questi due signori erano cattolici (sì, Dante era indubbiamente cattolico, non solo cristiano).
Ma nemmeno tutta la scuola è fondata sulla teoria gender!
O tutti gli insegnanti della scuola indottrinano sulla teoria gender?
O non esiste una “ideologia” cattolica?
O non si vede il Papa alla televisione un giorno sì e un giorno sì?
Non intendevo dire che tutto il nostro indottrinamento è cattolico,
ma esiterà pure un indottrinamento cattolico in Italia?
O il cattolicesimo a un tratto è sparito?
O ce ne dovrebbe essere molto di più?
E non bisognerebbe, eventualmente, chiamarlo indottrinamento?
O bisognerebbe mettere nei programmi scolastici Santa Teresina e i suoi fratelli?
O Santa Beretta Molla?
O la Miriano?
Alvise,
indottrinare significa
“Istruire; far assimilare, con opera d’insegnamento e di persuasione insistente e metodica, i principî di una dottrina, soprattutto politica; si usa per lo più in tono ironico o polemico”
http://www.treccani.it/vocabolario/indottrinare/
Ora, a te sembra che oggi, 2015, in Italia (a scuola, in TV, nei giornali, sul web, nella propaganda politica ecc. ) sia in atto un’opera di istruzione alla dottrina cattolica, insistente metodica e pervicacemente mirante alla persuasione?
Suvvia!
Oggi l’istruzione all’ortodossia cattolica non la si fa nemmeno quasi più (ahimè) in molte facoltà teologiche…
(indottrinare può essere indottrinare a qualsiasi idea)
Se non è in atto nessuna opera di istruzione alla dottrina cattolica insistente metodica e pervicace,
non mi sembra poi un male!
La verità è che, mi sembra, a me, non sia in atto nessun tipo di istruzione, di nessun genere!
Sarà un male?
“La verità è che, mi sembra, a me, non sia in atto nessun tipo di istruzione, di nessun genere”
Detta così è un po’ troppo cupa… ma mi sembra quasi anche a me, mi sembra
…proprio così (sembrerebbe)!
“Oggi l’istruzione all’ortodossia cattolica non la si fa nemmeno quasi più (ahimè) in molte facoltà teologiche…”
E nemmeno quasi più (ahimé e ahi noi tutti!) in chiesa e al catechismo…
E’ così, sara, purtroppo
Eh, indubbiamente privare qualcuno della sue origini è qualcosa di profondamente malvagio, ed è stato fatto molte volte nella storia, a prescindere dalla eterologa, con l’uso della violenza e contro il parere dei genitori biologici (almeno per l’eterologa i genitori biologici sono d’accordo).
E si potrebbero raccontare in merito a questi veri e propri rapimenti, talvolta di massa, episodi molto brutti (da cui si potrebbe risalire a corresponsabilità……… sulle quali è meglio, in questa sede, stendere sopra un velo……………..).
Però bisogna considerare una cosa: è verissimo che i figli dell’eterologa si sentono spesso a disagio, per questa loro condizione, soprattutto a scuola e con gli amici (e tutti sappiamo che i bambini e gli adolescenti sanno essere più malvagi degli adulti), ma parimenti dobbiamo domandarci, quanto di quel malessere sia dovuto a fatti naturali quanto, invece, alle abitudini ed alle tradizioni (ossia a fatti culturali)?
Perchè se il disagio dipendesse da fatti naturali (cause innate, biologiche) allora il figlio dell’eterologa verrebbe veramente a trovarsi in un grave guaio, senza uscita; ma se quel disagio dipendesse in tutto o in parte da cause socioculturali, allora è possibile che, con il progressivo mutamento delle consuetudiini e della mentalità di una società nei vari momenti della sua storia, quel disagio venisse superato o si attenuasse. A69
A69, solo una domanda. Ma, insomma, tu saresti d’accordo a stabilire per legge che una persona possa essere strumentalizzata per dare soddisfazione ad altri? Davvero è accettabile che si possa ordinare la concezione di un bambino, per poi, una volta nato, comprarselo e portarselo a casa come se fosse una pizza?
@ fra centanni
no, no non dico questo. Solo consideravo che se il malessere provocato dall’essere figlio dell’eterologa potrebbe essere mitigato, se derivasse soltanto o in parte dalla società e dalla cultura.
Purtroppo, poi, a volte sono gli stessi genitori naturali che strumentalizzano il loro nato (se c’è un affittuario dell’utero ci sarà anche un affittante del medesimo………).
Il fatto è proprio questo: il bambino non può compiere nessuna scelta e non ci è dato di sapere cosa sceglierebbe se potesse farlo. In qualche modo un minimo di strumentalizzazione c’è sempre. Purtroppo!
Non sappiamo nemmeno se deciderebbe di nascere se potesse scegliere (magari sapendo il come e il dove della sua venuta al mondo….). A69
@A69
Non diciamo falsità.
Non è affatto vero che la strumentalizzazione c’è sempre. Non c’è nessuna strumentalizzazione se il bambino viene concepito in un normale rapporto sessuale. Il rapporto sessuale è normale se non è violento, non è pagato, è pienamente libero e consapevole.
Dunque strumentalizza il bambino chi lo vuole strumentalizzare, altrimenti il bambino viene concepito nel pieno rispetto della sua dignità.
@Anonimo69
Accuse indeterminate, preterizioni, sospensioni, velate minacce: retorica d’accatto.
Indubbiamente….però/ E’ verissimo……ma parimenti/ Ma se…allora è possibile che.
Mezzucci per mascherarsi da pecora ( e non sei il solo) e insinuarsi nelle convinzioni della maggioranza dei frequentatori del blog.
I quali, però, non sono stupidi.
Meglio, molto meglio, il candore irridente di (Alvise), la sua sguaiatezza, (le sue parentesi), (la sua sgangherata ricerca).
@ fra’ centanni
il mio discorso era più filosofico ed esistenziale. La strumentalizzazione del nascituro deriva dal fatto che COMUNQUE anche in rapporto sensuale, coniugale, consapevole e pienamente consensuale (il quale, certamente, è il modo migliore di dare la vita a qualcuno: non mi spingo certo fino al punto di negare questa ovvietà!) al bambino viene imposto di nascere, in un certo luogo, in un certo ambiente e con un certo patrimonio genetico, senza che possa, LUI, compiere alcuna scelta in merito.
Ma, questo inconveniente deve essere addebitato a Dio, il quale non ci ha messo nella condizione di superare questa terribile condizione. Ed è questa la causa prima della mia concezione pessimistica dell’uomo e del mondo, ed anche, del mio categorico rifiuto di diventare padre.
Rifiuto che ha impedito, in tempi diversi, lo sviluppo di 2 proficue relazioni con 2 giovani donne che sembravano volermi bene (chissà cosa ci trovavano in me? boh?!). Ma d’altronde non potevo ingannarle, ossia sposarle e poi comunicar loro che non le avrei mai reso madri!?
@ Vanni
il mio linguaggio prudente e cortese (quelli che tu chiami “mezzucci per mascerarsi da pecora”) deriva da 2 cause:
1) nel mio 1° post, mesi fa, promisi all’admin che avrei parlato con urbanità ed educazione, evitando espressioni “focose”,
2) una volta che mi sono lasciato andare ad un pesante sarcasmo, sono stato messo in moderazione per un po’.
In quanto alle accuse indeterminate, lo faccio per voi e per la natura cattolica del blog (cosa volevi, che nel mio post del 19 c.m. ore 16,07, parlassi di cosa è successo a migliaia di figli dei repubblicani spagnoli, dopo la guerra civile e di “certe” corresponsabilità?). Su queste cose è meglio non aprire polemiche, in questa sede.
In quanto alle “sospensioni” ed alle proposizioni avversative, esse derivano dalle mie incertezze e dai miei dubbi, NON dal calcolo. A69
D’accordo, mi scuso. Bacino (sulla guancia).
Sulla guerra civile spagnola, e sui crimini dei diversi dopoguerrra del Novecento, hai ragione: se ne dovrebbe sapere di più, ma non è questo il luogo.
errata corrige: “….allora è possibile che, con il progressivo mutamento……..”: allora SAREBBE possibile che, con ecc.
A69
Mah bei tempi quando preparavo le Istituzioni di diritto privato su un testo dichiaratamente di sinistra (Trimarchi) e studiavo che ratio della legge sull’adozione ordinaria era dare una famiglia ad un bambino che ne fosse privo e non un bambino a degli adulti che lo desiderassero.Erano i primi anni 80 e tutto questo era un’assoluta novità su cui tutti erano d’accordo e che veniva considerata un grande progresso.
Ora sembra che il principio venga ribaltato. Mi chiedo ma c’è veramente differenza tra affittare un utero e la compravendita di bambini che la legge sull’adozione del 1983 voleva evitare? Si dirà che ospitare, sia pure a pagamento, un embrione nell’utero non è vendere un bambino, e neanche cedere ovuli lo è. Vorrei chiedere sommessamente ma perché io non posso vendermi un rene? ? Perché è ancora proibito vendere parti del proprio corpo? A69 se oltre che di economia politica ti intendi anche di diritto civile mi puoi rispondere?
A me sfugge la ratio giuridica per cui la compravendita di un bambino tramite l’utero in affitto è cosa buona e giusta e progressista e la compravendita di un bambino che non implichi l’affitto dell’utero sia una roba ignominiosa e perversa.
Perchè un bambino per l’ordinamento giuridico è una “persona” (art. 1 c.c.), è non è possibile la compravendita di “persone” (sarebbe “riduzione in schiavitù” che è un reato), mentre il concepito, anzi il concepturo (perchè l’accordo viene stipulato prima del concepimento) NON lo è, per l’ordinamento.
Può non piacere, ma “de jure condito”, le cose stanno così. A69
Il codice civile proibendo “gli atti di disposizione del proprio corpo” che comportassero una diminuizione dell’inttegrità fisica, si rifaceva ad una concezione romanistica e statalistica del corpo per cui esso non apparteneva completamente al soggetto.
Però, in forza di norme statali, comunitarie e sentenze della consulta, il divieto di cui sopra è in via di superamento (un rene per es., purchè non lo si faccia per lucro, è cedibile a chi ne ha bisogno). A69
Velenia:
…ubi maior minor cessat!
il Papa oggi all’Udienza generale:
“Come educare? Quale tradizione abbiamo oggi da trasmettere ai nostri figli?” Intellettuali ‘critici’ di ogni genere hanno zittito i genitori in mille modi, per difendere le giovani generazioni dai danni – veri o presunti – dell’educazione familiare. La famiglia è stata accusata, tra l’altro, di autoritarismo, di favoritismo, di conformismo, di repressione affettiva che genera conflitti. Di fatto, si è aperta una frattura tra famiglia e società, tra famiglia e scuola, il patto educativo oggi è diventato si è rotto e così, l’alleanza educativa della società con la famiglia è entrata in crisi perché è stata minata la fiducia reciproca”.
Inoltre, osserva, la moltiplicazione dei cosiddetti “esperti” ha portato a un’occupazione del “ruolo dei genitori anche negli aspetti più intimi dell’educazione”. “Sulla vita affettiva, sulla personalità e lo sviluppo, sui diritti e sui doveri, gli ‘esperti’ sanno tutto: obiettivi, motivazioni, tecniche. E i genitori – afferma il Papa – devono solo ascoltare, imparare e adeguarsi. Privati del loro ruolo, essi diventano spesso eccessivamente appesantiti e possessivi nei confronti dei loro figli, fino a non correggerli (…) Tendono ad affidarli sempre più agli ‘esperti’, anche per gli aspetti più delicati e personali della loro vita, mettendosi nell’angolo da soli; e così i genitori oggi corrono il rischio di autoescludersi dalla vita dei loro figli. E questo è gravissimo!”
La “buona educazione familiare è la colonna vertebrale dell’umanesimo. La sua irradiazione sociale è la risorsa che consente di compensare le lacune, le ferite, i vuoti di paternità e maternità che toccano i figli meno fortunati. Questa irradiazione può fare autentici miracoli. E nella Chiesa succedono ogni giorno questi miracoli”. Se “l’educazione familiare – conclude il Papa – ritrova la fierezza del suo protagonismo, molte cose cambieranno in meglio, per i genitori incerti e per i figli delusi. E’ ora che i padri e le madri ritornino dal loro esilio – perché si sono autoesiliati dall’educazione dei figli – che ritornino dal loro esilio, e riassumano pienamente il loro ruolo educativo”.
http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/udeinza-del-20-maggio-2015.aspx
Qui il testo integrale dell’udienza:
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20150520_udienza-generale.html
“La “buona educazione familiare è la colonna vertebrale dell’umanesimo. La sua irradiazione sociale è la risorsa che consente di compensare le lacune, le ferite, i vuoti di paternità e maternità che toccano i figli meno fortunati. Questa irradiazione può fare autentici miracoli. E nella Chiesa succedono ogni giorno questi miracoli”. Se “l’educazione familiare – conclude il Papa – ritrova la fierezza del suo protagonismo, molte cose cambieranno in meglio, per i genitori incerti e per i figli delusi. E’ ora che i padri e le madri ritornino dal loro esilio – perché si sono autoesiliati dall’educazione dei figli – che ritornino dal loro esilio, e riassumano pienamente il loro ruolo educativo”.”
Da incorniciare!
.”…la buona educazione familiare è la colonna vertebrale dell’umanesimo”
Ma qual’ è “la buona educazione familiare”?