Tutto tranne una mamma

Google, il doodle dell'8marzo
Google, il doodle dell’8marzo

di Costanza Miriano

Avevo promesso a me stessa che mi sarei completamente disinteressata delle celebrazioni per l’otto marzo, perché secondo me, oggi, qui, in Occidente, per come sono concepite hanno la stessa pregnanza di una danza della pioggia in Irlanda. Sono vecchie, obsolete, ma soprattutto strabiche.

Avete visto la schermata di Google, verosimilmente il sito più cliccato al mondo, per il giorno x? Donne in tutte le salse – astronauti (ma che fantasia, guarda, non lo avrei mai detto), chimici, cuochi, magistrati, atleti, insegnanti e via dicendo, in quattordici versioni diverse – ma neanche una, dico, neanche una su quattordici in versione mamma. Ditemi voi se non c’è qualcosa di perverso, di intenzionale, di mirato.

Lo stesso dicasi per tutte le celebrazioni analoghe in varie sedi istituzionali. Donne imprenditori, donne in politica, tutte a riempirsi la bocca di parole come diritti e differenza, ma qual è la differenza principale se non la maternità, la capacità di generare vita? Hanno presente, gli organizzatori di tutte le manifestazioni, che siamo il paese che fa meno figli al mondo? Perché continuano a parlare solo, e sottolineo solo, di tutto ciò che può allontanare le donne dalla maternità, esaltandolo come una conquista, e non parlano mai di quello che può incoraggiare le donne a buttarsi nell’avventura di fare figli, se possibile presto, se possibile non uno solo? Perché tra la donna soldato, quella astronauta, quella imprenditore, perché cavolo non è stata invitata una che fa molto la mamma? Ho un sacco di amiche mamme multiple molto più audaci e toste e coraggiose e apripista di quelle che ci propongono come modello. Invece il tasso di natalità tra le donne che in molte sedi – purtroppo anche in quelle dove non ti aspetteresti – ci vengono presentate come esemplari è da estinzione nel giro di qualche decennio.

Ora, non vorrei essere fraintesa. Non dico che non sia un bello che le donne abbiano la possibilità di fare tutte quelle belle cose, se veramente lo desiderano. Credo che tutte noi siamo molto grate alle donne che hanno combattuto per conquistarci la libertà di scegliere, perché la libertà è la condizione minima necessaria, è il presupposto di qualsiasi altro discorso sulla donna, e sull’uomo come anthropos in generale. Grazie. Però adesso basta.

Ho chiesto alle mie figlie “ma secondo voi una donna può fare tutto? L’astronauta? L’ingegnere?” mi hanno guardata con condiscendenza, forse con compassione pure. Direi come se avessi chiesto “ma secondo voi una mucca può fare il latte?” Io credo che per le future donne, e anche per le attuali giovani donne certi discorsi puzzino di muffa. Le conquiste sono incamerate, andiamo avanti.

Ciò nondimeno, si continuano a fare quei discorsi spingendo sempre sull’acceleratore dell’affermazione femminile, come se questa passasse necessariamente per la negazione della maternità, e io sono certa che sia per un preciso disegno culturale: allontanare le donne dal ruolo materno e, nel caso abbiano figli (succede), invitarle a delegarne l’educazione ad agenzie esterne, non alla famiglia, che non è abbastanza controllabile. Quali lobby economiche, quali disegni politici ci siano è sinceramente un’analisi superiore alle mie forze, soprattutto alla fine di una giornata come questa, ma più che altro non mi interessa.

Mi sembra invece molto più interessante, in negativo, il fatto che le donne contemporanee siano parecchio inquiete e infelici, e non lo dice qualche Pontificio Consiglio, ma studi e ricerche laicissimi tipo lAmerican Economic Journal e molti altri citati per esempio da Danielle Crittenden, in Why Happiness Eludes Modern Woman. A me lo dice la semplice osservazione della realtà. Va bene, siamo libere di fare tutto, siamo anche bravissime a farlo. Possiamo avere una vita sessuale soddisfacente senza essere vittime di condanna sociale, e anche senza il rischio di avere bambini indesiderati, grazie alla rivoluzione sessuale e alla contraccezione. Se i bambini arrivano per sbaglio possiamo liberarcene, e anche se non ne siamo sicure, che un bambino sia arrivato, ma lo sospettiamo solamente, basta una bombetta di ormoni uno o cinque giorni dopo. Possiamo studiare e superare i maschi in tutti i campi. Ci hanno detto di realizzarci, e poi di pensare ai figli. Se non arrivano c’è sempre il piano B, la PMA, e pazienza se costa tantissimo e ha pochissime possibilità di riuscita, e gravi rischi per la salute a breve e a lungo termine.

Ma questo ci ha rese più felici? Non mi sembra, anzi. Io sono circondata di donne sole e alquanto disperate. Donne che non riescono a tenere tutto insieme, e anche se hanno figli e lavori splendidi e gratificanti e ben pagati a un certo punto della loro vita cominciano a chiedersi se vale la pena di correre come matte, e lasciar morire le nonne da sole, o sbattersi come trottole nei tre mesi estivi mendicando ospitalità per i bambini, o ancora perdersi primi passi, prime parole, primi amori dei figli.

Ogni tanto leggo i giornali femminili (un po’ noiosetti per me, tranne le pagine beauty, sono drogata di creme) e mi intenerisco a leggere le storie di donne che si raccontano balle per non ammettere che le loro vite sono terremotate, alluvionate, desertificate, perché non hanno investito abbastanza sulla famiglia, sui figli, e si raccontano che troveranno in se stesse e nel loro progetto – un negozio bio, una galleria di arte, una piccola attività di artigianato – la forza per andare avanti. Mi si stringe il cuore, perché io sono certa che solo aprirsi alla possibilità di dare la vita o di accoglierla in altri modi se non arriva, solo fare spazio veramente, lasciarsi mangiare da qualcun altro i sogni e i progetti, solo questo rende una donna veramente felice. Di certo non sono le quote rosa a riempire il cuore.

82 pensieri su “Tutto tranne una mamma

  1. Elena Maffei

    Grazie per questo articolo…oggi mi aiuterà a vivere serenamente nella mia città (Trieste) che sta vivendo l’ennesimo tentativo di impadronirsi dei cuori, delle menti e dei corpi dei più piccoli. Il “Gioco del rispetto”, imposto nelle scuole dell’ infanzia comunali, è per fortuna sotto osservazione, grazie ad un gruppo di genitori cui dobbiamo gratitudine per aver “svegliato” tutti noi. Da mamma e da insegnante vivo con grande tristezza tutto questo…forse perché vedo ciò che sta succedendo nelle scuole da “dentro” e da “fuori”. Oggi chiedo preghiera per le mamme insegnanti ed educatrici…ricordiamoci che dobbiamo essere mamme “all’ ennesima potenza” perché abbiamo anche la cura dei figli degli altri.

    1. Serena

      Elena, da Milano ti sono vicina… Ho seguito tutta la vicenda e mi sono adoperata per diffonderla a tutte le persone che conosco…

  2. irene

    Grazie di cuore Costanza! Questo articolo mi ha commosso: ho 28 anni, sono insegnante di musica e musicista precaria e ogni giorno sono tentata di cedere alle mille voci che dentro di me mi direbbero: “devi ancora studiare, non sei ancora abbastanza formata, continua a pensare alla tua formazione…”. Grazie a Dio però sono anche sposata e vorrei avere figli, quanti il Signore ce ne donerà. È una scelta di campo che per me è anche faticosa: smettere di pensare all’autorealizzazione (che peraltro c’è perchè al momento faccio il lavoro che mi piace!) e scegliere la via del noi…nella società in cui viviamo sento questa fatica ogni giorno. Grazie davvero per il tuo articolo!!

  3. L’ha ribloggato su Quarantadue!e ha commentato:
    Se fosse stato fatto con intenzione mirata e perversa sarei quasi contento. Quello che purtroppo invece credo è che sia stato fatto da un team di cervelli a compartimenti stagni, nutriti dall’idea che donna e mamma non siano più sostantivi accoppiabili, ma che mamma stia sempre di più diventando un aggettivo Squalificativo.

    1. hermione

      E’ vero, la donna mamma è vista male, come colei che si autolimita, sminuisce il proprio potenziale, si interessa di pappe e pannolini quando potrebbe dare un contributo più costruttivo alla società.
      Eppure, tra le donne che conosco, le più tristi sono quelle che non riescono ad avare figli, non quelle che non riescono a trovare un lavoro.

  4. marianna

    Grazie! proprio oggi che ho malati a casa due figli su tre. e uno ha tre mesi 😉

  5. gaia lombardi

    non è vero che le conquiste sono incamerate. a parità di preparazione e professionalità, le donne raggiungono i livelli dirigenziali in numero significativamente inferiore agli uomini e sono pagate di meno (non solo in Italia). credo che il problema stia proprio nel credere che ce l’abbiamo fatta. il tentativo di squalificare l’accezione donna/mamma fa parte esattamente del piano: “se riusciamo a non farle essere più nemmeno mamme, riusciremo a giustificare il fatto che non ci sono abbastanza astronaute, dirigenti, politiche ecc….”

    1. paulbratter

      ah ecco è una questione di soldi…
      tra l’altro qualcuno ancora mi deve mostrare un contratto di lavoro dove è scritto che la retribuzione è commisurata al sesso.

  6. Alvise: non sempre, non fissa. Di certo quando non lo sono non è perché qualche omaccio cattivo e prepotente mi impedisce di fare l’amministratore delegato, o di prendere la pillola, o di andare sulla Luna.

    1. Serena

      Io mi sento infelice proprio quando non riesco a dedicare tempo e qualità ai miei figli…
      Il mio ad è donna e dice che ha rimpianti per aver sacrificato la famiglia per l azienda: non ha figli e quando può si dedica al nipote come se fosse suo figlio…

    2. …certo è impossibile una definizione della felicità, essa viene e essa va, perlopiù, ma forse la felicità “fissa”, per dire, è quello stato d’animo (evendocelo) che ci permette di non essere martoriati da tutte le vicissitudini della vita. Ecco, in questo, per esempio, anche fosse solo un’illusione di qualcosa che non c’è, ma essendoci l’iilusione è come se ci fosse, la religione potrebbe essere una maniera per averci quello stato d’animo di cui sopra. Per questo, ad esempio, è una assurdità la famosa scommessa di Pascal. O Pascal credeva o non credeva, o era illuso o non era. Non si può fare finta di credere, o di essere illusi, per scommessa. Pascal era il classico infelice (o l’infelice classico, se preferite) (per quello che ci ho capito io) (almeno)!

      1. @Alvise

        la scommessa di Pascal può essere facilmente equivocata nella maniera che hai descritto, cioè “fai finta che…, illuditi”, a mio avviso invece è da intendere semplicemente come un “cos’hai da perdere?”.

        A me è stata utilissima quando dal mio gaio ateismo nichilista cominciavo a volgermi alla possibilità di Dio e quelle volte che mi volgevo nuovamente verso il nihil, nulla, mi echeggiavano in testa le parole di Pascal e mi rendevo conto che anche se mi sbagliavo non avrei perso nulla visto che prima adoravo il nulla che ovviamente non ha alcun valore e che quindi lasciandolo non lo avrei perso essendo inesistente.

        Scusate il gioco di parole.

        La felicità è avere una meta verso cui mettersi in cammino e non è da confondersi con uno stato d’animo.

        – E se quella meta non esiste?
        – Cosa mi perdo se già so che dall’altra parte non c’è niente.

        Cos’ha senso quando niente ha senso? Solo cercare un senso.

        1. Non c’è nulla da perdere, questo lo capisco, anche se uno crede a qualcosa che non c’è, ma bisogna che ci creda!

          Per quanto riguarda il camminare verso una meta, bisogna che uno ce l’abbia questa meta!

          Credo che ci sia gente felice anche senza bisogno di cercare nulla. “Beati i poveri di spirito…”

          1. …zzero meno zzero uguale zzero, giusto!

            …come quella donna (io, per esempio) che non aveva figli e a cui tutte (le credenti) “testimoniavano” come era bello
            averli e che quella era la vera “realizzazione” !

          2. anonimo69

            Il punto debole della “scommessa di Pascal” è che non ci sono solo BIANCO E NERO (ovvero SI o NO a Dio) su cui puntare. Ci sono perlomeno due sfumature di NO su cui puntare: l’ateismo e l’agnosticismo, e c’è un’infinità di sfumature di SI su cui puntare, tante quante sono le diverse religioni, le quali sono spesso in stridente contrasto (dottrinale e non solo) fra loro.
            Aver puntato sul SI a Dio non ci dà, la sicurezza di NON rischiare di perdere, perchè bisogna anche indovinare la fede “giusta”. E se dopo la morte si dovesse scoprire di aver scelto il credo sbagliato, non si avrebbe perso, come avendo scelto per il NO a Dio?
            Dopo aver deciso di puntare sull’esistenza del Creatore, devo anche puntare sul “numero giusto” per vincere. Non basta indovinare il “genere” per vincere, devo anche indovinare la “specie”. E non può bastare una generica fede in Dio, senza aderire ad una chiesa specifica, perchè ogni confessione dice di essere la sola depositaria della rivelazione divina e le altre sono da considerarsi eretiche (e le religioni abramitiche hanno più delle altre questa caratteristica di esclusività). Non si fanno eccezioni per colui che crede semplicemente in un Dio creatore, senza credere che ci siano stati, nel contempo, determinati profeti, che ci sia stato o meno un uomo-Dio, che ci siano una “corredentrice”, una determinata assemblea dei fedeli ecc. ecc.
            Mi dispiace, ma con la “scommessa di Pascal” al cattolicesimo NON ci si arriva, perchè anche chi ha scelto Dio, può sempre perdere la partita in quanto può fare la, successiva, scelta sbagliata (a prescindere dalla questione dei peccati commessi). A69

  7. Serena

    Grazie per aver ricordato che l essenza della donna è generare vita con il privilegio unico di partecipare in qualche modo alla creazione… Viva le donne-mamme che sono da proteggere come gli animali in via d estinzione…

  8. cinzia

    Grazie Costanza! Il mio dispiacere non è che non ho fatto carriera, ma è che sto poco con le mie figlie perché ho bisogno di lavorare, e quando stiamo insieme spesso sono così stanca che non riesco a vivere a pieno il nostro stare insieme, così come sempre a causa della stanchezza non vivo pienamente neanche il mio essere moglie.
    A parte la sensazione di presa di giro della festa della donna, per me rimane una giornata in cui viene alla luce la sconfitta della donna, al di là di tante cose positive di cui parli anche tu.

    1. Serena

      Cinzia, sono d accordo con te… E anche io mi sento come te… Anche io ho bisogno di lavorare e non posso negare di essere contenta della mia indipendenza, ma…quanta gioia quando sto coi miei figli!!!!
      Siamo veramente convinte che sia meglio andare sulla luna e non accorgersi che la nostra luna è qui sulla terra, nel nostro ventre e poi fra le nostre braccia?

    2. A me, quel che più dà fastidio della “festa della donna” è che sia basata su un falso storico.

      «Una “festa” inventata» (Vittorio Messori, Pensare la storia, San Paolo, Milano 1992, p. 107)
      «C’erano una volta delle operaie tutte lavoro, fede socialista e sindacato; e c’era un padrone cattivo. Un giorno, le lavoratrici si misero in sciopero e si asserragliarono nella fabbrica. Qualcuno (il padrone stesso, a quanto si dice) appiccò il fuoco e 129 donne trovarono atroce morte. Era l’8 marzo 1908, a New York.
      Storia molto commovente, (…) con un solo difetto; che è falsa. Eh già, nessun epico sciopero femminile, nessun incendio si sono verificati un 8 marzo del 1908, a New York. Qui, nel 1911 (quando già la “Giornata della donna” era stata istituita), se proprio si vogliono spulciar giornali, bruciò, per cause accidentali, una fabbrica, ci furono dei morti, ma erano di entrambi i sessi. Il sindacalismo e gli scioperi non c’entravano. E neanche il mese di marzo.
      Piuttosto imbarazzante scoprire di recente (e da parte di insospettabili quanto deluse femministe) che il mitico 8 marzo si basa su un falso che, a quanto pare, fu elaborato dalla stampa comunista ai tempi della guerra fredda, inventando persino il numero preciso di donne morte: 129…»

  9. Alice

    Io lavoro in Francia, e le mie colleghe trentenni hanno in media 2 figli (ma alcune 3), la Francia ha una natalità altissima, però le donne che hanno figli non stanno a casa, riprendono tutte il lavoro, con orario flessibile/part time ecc e nessuno osa pensare che se una è incinta per la terza volta è una scansafatiche o farebbe meglio a stare a casa.. lo stato le aiuta in termini di incentivi, sgravi fiscali e servizi per l’infanzia.. in TV ci sono programmi fissi e reality sulle sale parto, i primi anni di vita, l’educazione dei bambini, in ogni negozio e ristorante ci sono seggiolini e spazi gioco dedicati..

    Eppure la Francia è un paese laico, mentre sono i paesi “cattolici” come l’Italia e la Spagna ad avere dei tassi di natalità bassissimi.. non è una contraddizione? Io non so spiegarmelo..

  10. Alice, infatti io penso che le donne dovrebbero avere diritto al part time, senza la necessità del consenso dell’azienda. E’ un diritto minimo, come quello di avere la pausa per mangiare. E’ vitale.
    Per Cinzia: i contratti collettivi ovviamente non fanno differenza fra uomini e donne. La differenza c’è sul piano della contrattazione singola, e in quel caso la maggioranza delle donne, il 60%, contratta di rinunciare agli aumenti per avere più tempo per la vita personale. Siamo NOI che lo chiediamo. Sono statistiche. E le statistiche dicono che gli uomini guadagnano di più perché sono in più ai posti dirigenziali, è vero, ma nella maggior parte dei casi è perché non ci sono donne disposte a immolarsi totalmente desertificando il resto della propria vita, perché questo è ciò che viene chiesto in cambio. Su 100 donne che conosco, direi che 95 vorrebbero più tempo per sé, per la vita di relazione e la cura. Il 5 restante sono quelle sole, senza neanche una mamma da accudire.

  11. Claudia

    Cara Costanza,
    scusami ma in francia non è una questione di “part time”, ma una questione di servizi sociali e sgravi fiscali consistenti.

    Ho vissuto in francia per anni, le mie amiche entro i 35 anni avevano tutte 2-3 figli e lavoravano tutto il giorno. Hanno 4 mesi di congedo maternità rispetto ai 5 italiani. Ma hanno asili nido e tagensmutter che funzionano, detraggono dalle tasse il costo della baby sitter, della donna delle pulizie, persino dell’idraulico. Non pensano che la vita ruoti solo attorno ai bambini, fanno di tutto con i pargoli appresso, e nessuno si sogna di pensare che c’è qualcosa di sbagliato.
    Le donne francesi che conosco hanno ricominciato a lavorare tra i 4 e i 6 mesi dei figli. Magari con l’allattamento (ma quello c’è anche in italia). I padri sono coinvolti attivamente nelle attività di cura, entrambi i genitori lavorano, curano i bimbi, cucinano.

    In italia siamo lontani dall’ottenere la parità di opportunità perchè il lavoro femminile continua ad essere considerato di serie B, perchè non c’e adeguato sostegno per le attività di cura, e tutto ciò va a danno non delle donne come te, o me, che hanno i mezzi (economici) per fare quello che vogliono, ma delle donne con livelli di istruzione più bassi e meno abbienti, che potrebbero fare lavori meno remunerati.

    Perchè queste donne, appena hanno figli, escono dal mercato del lavoro perchè non “conviene” più economicamente per loro lavorare. I costi di cura sono troppo alti. Quando potrà tornare a lavorare sarà troppo tardi. Così il danno è fatto: famiglie più fragili economicamente, donne dipendenti che se qualcosa va storto non sanno più come fare, bambini a rischio poverta (ce ne sono sempre di piu in italia).

    Se invece di combattere “contro” il lavoro femminile pensassi di combattere “a favore” della possibilità della donna di lavorare E avere figli, a favore del coinvolgimento dei padri (grandi assenti nei tuoi articoli e dimenticati dal diritto che non gli riconosce la possibilità di trascorrere tempo con i bimbi piccoli), vedresti che le donne avrebbero più fiducia nel futuro, sarebbero più sicure, e si rimetterebbero anche a fare figli. Come succede già in francia.

    Non è attaccandosi a un modello del passato che si affronta bene il futuro.

    (PS peraltro le donne hanno sempre lavorato in passato, che fosse nei campi, o in casa, quando magari si avevano animali da cortile, abiti da cucire, fuoco da accendere…ben diverso da schiacciare due bottoni oggi – il modello della “mamma a casa” è esistito brevemente negli anni 60-70, ed è stato elevato a modello universale in modo del tutto irrazionale)

    1. Rita

      Brava Claudia! Io cambierei il titolo dell’articolo in “Tutto e anche una mamma”
      Perché tutte le donne rappresentate da google possono essere anche mamme perché la maternità è intrinseca alla donna non c’è bisogno che essa venga rappresentata!

    2. admin

      Cara Claudia
      senza nulla togliere alla tua replica pure interessante, ma c’è un motivo particolare per cui intervieni sul blog con diversi nomi e mail?

  12. cara Claudia, dove esattamente ho combattuto contro il lavoro femminile? Mi citi le parole esatte. Io a 35 anni avevo 4 figli (è vero, hai ragione, ho un lavoro che mi permetteva di pagarmi un aiuto, anche se non mi restava quasi nulla), e poi ne ho cominciato un altro (cioè a scrivere, anche se lo faccio di notte). Anche io mi sono portata i figli ovunque, compreso alle conferenze in giro per l’Italia e ora anche per l’Europa. Quando mai ho combattuto contro il lavoro? Dico solo che siamo oltre quella battaglia. L’abbiamo vinta. Passiamo oltre. Passiamo al diritto di stare di più con i nostri figli. Io vorrei molto più tempo per loro ma non posso dedicarmi quanto vorrei, e questo non perché ami la mistica del focolare, ma perché è la cosa più gratificante e meravigliosa che faccio.

    1. Alice

      Secondo me invece non siamo oltre la battaglia del lavoro, soprattutto adesso, in tempo di crisi! Cioè se una è fortunata tanto da poter avere un lavoro stabile e ben pagato, magari con orario flessibile, e che sia garantito anche dopo una o due gravidanze, o è una libera professionista, o se meglio ancora ha il marito con un lavoro talmente sicuro, stabile, ben pagato, da poter restare a casa a badare ai figli, beh allora LORO hanno superato il problema lavoro.

      Però purtroppo ci sono un sacco di padri di famiglia che ricevono la letterina di licenziamento, o sono in cassaintegrazione, ci sono mamme sottopagate, precarie, sfruttate, che fanno orari impossibili, con contratti a termine e nessuna prospettiva, in aziende in cui l’individuo non è considerato se non come risorsa da spremere e buttare.. per tutte queste famiglie purtroppo il problema lavoro non è affatto superato.

    2. Mattia

      Secondo me lei sbaglia nel dire questo, o almeno ha una concezione parziale delle cose derivante dalla sua personale esperienza che, per varie ragioni, non ha incontrato le ostilità con cui si scontrano normalmente le donne che hanno ambizioni e che si confrontano con il mondo del lavoro in Italia. Io conosco vari contesti lavorativi -anche multinazionali, che già sono migliori di quelli italiani- addirittura del nord Italia -dove probabilmente la mentalità è meno maschilista che nel centro sud- e le assicuro che nn è vero che le donne hanno le stesse possibilità lavorative e soprattutto di carriera di un uomo. E non per loro scelta, nè perchè decidano loro di dedicarsi a dei figli, che spesso neppure hanno, nè vogliono avere -o che comunque gestirebbero senza compromettere il lavoro-. La discriminazione di genere esiste ancora in Italia, non è superata. Probabilmente lei, anche a causa del suo ‘favore’ ai ‘poteri forti’ maschili non ha incontrato queste avversità, ma questo non vale per tutte le donne in Italia, purtroppo. Io voglio pensare che lei parli in un certo modo semplicemente perchè non completamente consapevole di come stiano davvero le cose su questi argomenti in questo paese, ovviamente condizionata dalla sua personale esperienza. Però non credo proprio sia giusto dire di ‘passare oltre’ a problemi che sono invece ancora attualissimi, non certo da ‘dirsi superati’, a meno che non si voglia andare ancora più indietro di quanto già si sia.

  13. Elisa

    Io non conosco il sistema Francese, ma sinceramente 4 mesi dopo il parto mi sembrano pochissimo! se dovessi scegliere un sistema da cui prendere esempio, quindi, più che la Francia direi i paesi scandinavi dove è previsto un anno a casa pagato…
    Anche perchè, all’atto pratico, per quanto possano essere evolute queste mamme francesi, mi sembra francamente utopico pensare di portarsi i bambino appresso ovunque: cosa fai, te li porti in fabbrica? in ufficio? in banca? e ammesso che si possa, sarebbe giusto?
    Ad ogni modo credo che qui si atia andando un pò fuori tema rispetto a quello che era il fine dell’articolo e cioè che l’affermazione femminile passa anche ( se non soprattutto ) attraverso la maternità per cui quando si parla di festa della donna non si può non parlare anche del loro sacrosanto diritto a vivere la maternità.
    Sul come raggiungere quest’obbiettivo ne possiamo parlare, (e su questo punto Claudia ha ragione quando dice che in Italia ormai andare a lavorare è antieconomico per una mamma) ma per parlarne credo che dobbiamo essere d’accordo su un concetto chiave:la maternità oggi ( a differenza degli anni 70) non può più essere vista come un ostacolo all’affermazione femminile, ma come la sua grande realizzazione.

    1. fortebraccio

      Temo ti sia persa il discorso sulla libertà: la maternità può essere la grande realizzazione, se lo vorrà.
      Come la paternità, uguale.
      Ma come dice Claudia, se uno è aiutato, vien anche invogliato! Ma non credo di dovervelo dire io…
      Da cambiare c’è la testa dei datori di lavoro e le leggi sul welfare (scusate il termine inglese).
      La Francia è lì a mostrarlo, e senza retaggi cattolici (profferbacco)!
      Non solo: l’età media a cui si ha il primo figlio è molto bassa (almeno mi pare, statistica fatta da me tra i conoscenti, quindi fallace).

      @costanza
      L’idea che la realizzazione professionale sia antitetica o annulli quella familiare è una peculiarità tutta italiana: anzi, nonostante le belle parole, qui da noi le donne hanno contemporaneamente:
      – redditi di fatto minori (di fatto!)
      – entrano nel mondo del lavoro con mansioni mediamente più basse o le mantengono per tempi più lunghi
      – tutto nonostante rinviino la prima maternità ben oltre la soglia dei trent’anni.
      (E troppo spesso trovino più economico smettere di lavorare che accudire i figli – mentre giustamente dovrebbe essere una decisione svincolata da ragioni economiche)
      Sono le pratiche lavorative reali che bloccano il lavoro femminile E la maternità (E l’assenza di leggi favorevoli, E il welfare sbilanciato sulle persone anziane invece che sulle giovani coppie)
      Guardate i film: le donne lavorano e gestiscono il ménage familiare, anche quando vanno nello spazio (Gravity) o son ingegneri o poliziotte o medici o… fate voi.

      1. No dico.. come sarebbe che la Francia NON ha retaggi cattolici??
        Perché ha avuto la Rivoluzione Francese?! (ah bella quella…!) Poffarbacco…

        1. anonimo69

          La Francia ha molti retaggi: pagani, cristiani, cattolici, protestanti, illuministici, massonici, rivoluzionari, ateistici, marxisti ecc.
          E questo è vero, grosso modo, per tutti i paesi europei (con notevoli differenziazioni fra stato e stato, ovviamente).
          La grande Rivoluzione non ha eliminato i retaggi cattolici della società francese, ma parecchio affievoliti SI. A69

  14. Elisa

    Il fatto è che quello che ci rende felici è realizzare la propria natura profonda e questa natura, per noi donne, è la maternità. Perchè sprechiamo tante energie per negarlo? Poi, è ovvio, dovremmo essere messe nelle condizioni di riprendere il lavoro anche dopo la maternità, e a questo proposito, Claudia, possiamo parlare anche del ruolo del Papà, ma il fatto è che il papà fa il papà, non può sostituire la mamma…..la realizzazione della maternità consiste ( secondo me) nello stare con i figli, non nel farsi sostituire….

      1. Serena

        Si può essere donne-madri anche senza avere figli propri (con l adozione ad esempio)… Basta pensare a chi consacra la propria vita a Dio: sono donne-madri anche le suore…

        1. fortebraccio

          Certo!
          Ma evidentemente non si può essere donne-madri costruendo un’azienda che distribuisce benessere o fondando un metodo educativo nuovo o votando la propria vita alla cura del prossimo…
          Strano concetto.

  15. matrignadicenerentola

    Proprio vero. L’8 marzo avevo notato subito il logo Google, e mi ero anche trovata, rappresentata nel ritaglietto sulla sinistra della figura (la Margherita Hack), e avevo pensato che “io non sono la mia professione” e che niente di ciò che ha fatto di me una donna c’è in questa collezione di professioni. Il problema è che io, 50 anni fa, non ho avuto nessun ostacolo a scegliere un corso di studi poco “femminile”, e che le donne della mia generazione potevano studiare, lavorare e fare lavori anche “da maschi” senza che nessuno fiatasse, ma potevano anche farsi tutti i figli che volevano, se ne volevano, senza dover rinunciare a lavorare. Se la loro vocazione era solo il lavoro, o solo la famiglia, o fare la calza, nessuno fiatava. Ora che il lavoro non è più così ovvio che ci sia, i benefattori delle donne ti danno soldi per congelare gli ovuli e fanno finta di essere all’avanguardia! La verità è che le donne stanno oggi molto peggio di quando la maternità era profondamente rispettata.

    1. saras

      Ora non so come fosse esattamente 50 anni fa, ma è vero che adesso una giovane donna, specialmente se sposata, ai colloqui di lavoro si sente dire anche proprio esplicitamente che sarebbe l’ultima da scegliere tra i candidati. Scordatelo. Sei donna, sei giovane e sei pure sposata! Ovvero: appena ti assumo mi piazzi una maternità, e io ci perdo. Anche a me, in un luogo di lavoro cattolico e da persona di grande umanità (non sto ironizzando!) fu chiesto se fossi sposata. No. Se fossi fidanzata. Non lo ero, e fui assunta (immagino non solo per quello, ma mi colpì la domanda). Nella giungla, il più debole soccombe. E i più deboli nel mondo lavorativo di adesso, almeno in Italia, sono le donne…io non vedo grandi conquiste, sinceramente, se non nella teoria.

  16. vale

    ot ( ma mica tanto,poi…)

    http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2015/03/12/strasburgo-vota-a-favore-unioni-civili-e-un-diritto-umano_077545a5-0630-438b-9842-9db41ca3930a.html

    L’Europarlamento vota a favore del riconoscimento delle unioni civili e del matrimonio tra persone dello stesso sesso considerandolo come un diritto umano. L’Unione europea – si legge in una relazione approvata con oltre 390 voti a favore, 151 no e 97 astensioni – incoraggia le istituzioni e i govefni a contribuire ulteriormente alla riflessione su questo tema. Il passaggio sulle nozze gay compare al punto 162 della relazione annuale sui diritti umani e le democrazia nel mondo nel 2013 e sulla politica della Ue in materia, il cui relatore e’ l’europarlamentare socialista Pier Antonio Panzieri.

    Il Parlamento europeo, si legge nella relazione, prende atto “della legalizzazione del matrimonio e delle unioni civili tra persone dello stesso sesso in un numero crescente di Paesi nel mondo, attualmente diciassette, incoraggia le istituzioni e gli Stati membri dell’Ue a contribuire ulteriormente alla riflessione sul riconoscimento del matrimonio o delle unioni civili tra persone dello stesso sesso in quanto questione politica, sociale e di diritti umani e civili”.

  17. luca

    FUORI TEMA.

    Anch’io vado fuori tema, e volontariamente.
    Condivido tutto ovviamente, ti stra-stimo e non vedo l’ora di incontrarti a Cesena, però voglio chiederti una cosa:

    Tu scrivi “Quali lobby economiche, quali disegni politici ci siano è sinceramente un’analisi superiore alle mie forze, ma più che altro non mi interessa”.

    Ovviamente capisco quel non mi interessa rispetto all’articolo, ma in generale ? Te lo sarai chiesto in questi mesi ! Io me lo chiedo da tempo.

    Allora, fermo restando che la risposta a questa domanda potrebbe rischiare di darci un bersaglio troppo facile, di “distrarci”, politicizzarci, ideologizzarci (insomma io non sono contro, ma pro: non so te ma io non mi vedo con freccia e bersaglio contro cui andare ma piuttosto con uno scudo con cui difendere), allora, dicevo, io vorrei proprio iniziare a capire se, chi e perchè c’è dietro…. perchè poi a fare troppo i dietrologi, ci si merita l’appellativo di pazzi.

    Perchè anche ci fosse qualcuno, è davvero sconcertante come faccia presto breccia nelle “(dis)intelligenze” della gente; e questo comunque sia, per chi ha uno scudo e non un dardo, è una domanda reale.

    Io penso che, più che esserci qualcuno dietro, non ci sia nessuno davanti. (cavolo, che perla poetica di saggezza !!)

    Ciao, a presto

    p.s. metto la mia email “fasulla” perchè prima di farmi riconoscere voglio capire se sei d’accordo; non potrei sopportare un tuo commento negativo… 🙂

  18. Sì, Luca, credo che ci sia qualcuno dietro… Però dovrei documentarmi meglio ed avere le prove prima di scriverlo. A Cesena te lo dico nell’orecchio!

  19. Mi si stringe lo stomaco. Sono un’ottimista, lo sono sempre stata, ho sempre visto il bicchiere mezzo pieno, ma stavolta non si tratta di noi, ma dei nostri figli.
    Costanza, io combatto, a scuola, come insegnante, come mamma, come amica, non sto seduta né tanto meno zitta. Ma questo “Nulla”, come ti dicevo mesi fa, sta velocemente avanzando e vuole ingoiare i nostri figli.
    Mi sento incapace come ‘mamma’, spesso faccio un sacco di errori con i miei figli, dal più piccolo al più grande, ma una cosa sola mi preme lasciargli, che so che sarà l’unica che gli servirà: la certezza di avere un Padre che li ama immensamente e che sarà l’Unico che gli “dirà la Verità tutta intera”.
    Io prego per i miei figli e per i vostri….per questo, voi pregate per i miei.
    Un forte abbraccio. Buon combattimento, soprattutto a tutte le mamme.

    Francesca

  20. Giancarlo

    Io credo che ogni donna dovrebbe avere la libertà di scegliere, se lo vuole, di rimanere a casa per badare alla propria famiglia. Questa scelta dovrebbe essere riconosciuta e valorizzata dallo stato, il quale dovrebbe pagare uno stipendio di, supponiamo, 500 euro al mese per ogni figlio, per tutta la vita della mamma. Altro che reddito di cittadinanza. Paghiamo, piuttosto, le mamme che svolgono un lavoro prezioso ed insostituibile.

    1. Una domanda ingenua, Giancarlo: perché remunerare le madri e non i padri? O se preferisci: non sarebbe meglio rendere più sostanziosi gli assegni familiari – quindi sostenere la famiglia come nucleo?

      1. Giancarlo

        Perchè io intendo retribuire il lavoro di una madre che sceglie di restare a casa per badare alla propria famiglia. Naturalmente questa retribuzione potrebbe anche essere fatta attraverso gli assegni familiari, ma solo nel caso in cui la madre decida di restare a casa.

  21. Serena

    Nella natura di una donna non credo che ci sia scritto “costruisci un azienda” (professione) ma “puoi diventare madre” (essenza) e ognuna lo diventa, a mio avviso, generando amore e vita non cose…

      1. Credo che ci siano molteplici modi di prendersi cura del prossimo (evito di dire dei figli perché mi pare palese).
        Ma davvero trovi che ci sia differenza tra fare la maestra, l’ostetrica o scoprire il vaccino della polio? Francamente non so. E se col mio lavoro creo le condizioni di benessere per tante famiglie, non sono un po’ padre di quei figli che in altre condizioni (create dal lavoro della mia fabbrica) non sarebbero nati (cito il classico casi di Olivetti)?

        In fin dei conti, non siamo tutti genitori, nel limite in cui il nostro agire crea benessere?

        1. Serena

          Certo, basta che però sia ben chiaro il fine del perseguimento del bene comune… Se per costruire un’ azienda che crea benessere non ho in mente questo e rinuncio al mio stesso essere non credo…

  22. Aleph

    Anch’io avevo notato la stessa mancanza! Ho riguardato il doodle varie volte e non ci potevo credere. Come a celebrare tutto ciò che le donne fanno (e sin qui andrebbe pure bene indicare la varietà di interessi e professioni), tranne la cosa più preziosa, ossia donare la vita.

  23. FLO

    Carissima Costanza, condivido in pieno il tuo pensiero. Lavoro a tempo pieno in una grande azienda e ho la fortuna di avere un tempo indeterminato. Non ho ruoli di rilievo perchè appena laureata ed avuta questa opportunità di lavoro io ed Ale ci siamo sposati. Felice di aver fatto questa scelta, felice di aver avuto dei bimbi e spero di poterne avere altri sinceramente. Sono stata sempre vista dalla maggioranza delle donne in azienda come una “sfigata” che ha rinunciato alla carriera. Ma io ero serena, perchè quando segui il Signore nulla ti turba. Oggi sono passati 10 anni di lavoro, i miei due figli sono grandicelli. Se potessi economicamente ridurrei le ore di lavoro ma questa società ci ha costretto a lavorare in due per poter far sopravvivere economicamente una famiglia, quando un tempo un padre riusciva a tirare su tanti figli con una madre a casa. Ti dicevo sono passati 10 anni. Le donne che prima manco mi guardavano oggi piangono nei bagni. Hanno superato i 40 anni e sono sole, loro e la loro carriera, purtroppo nemmeno troppo entusiasmante perchè a quanto pare per farla alcune sono dovute scendere a compromessi, e spesso cambiano le persone in azienda e cambiano anche i collaboratori come fossero pedine. Come già ho raccontato via facebook quest’anno l’azienda ha festeggiato le donne a modo suo. Con la proposta di inviare storie di Donne importanti che ci hanno lasciato qualcosa dentro. Tra l’elenco da loro proposto c’èra: scrittrici, giornaliste, astronaute, attici …..ma non c’era mamme! Ho voluto provarci proponendo la storia di Chiara Corbella che a me ha lasciato un grande desiderio di Amare con la A maiuscola……Hanno pubblicato proprio la mia, escludendo la storia di Marylin Monroe, di altre che manco conosco ma che erano in lista dopo la mia. Segno che l’Amore vince su tutto, segno che dentro c’è il seme giusto in ognuno di noi, ma che spesso non viene coltivato. A seguito di quella pubblicazione ho ricevuto una marea di email soprattutto dalle Donne, ma non solo. Ha toccato il cuore di tutti, ha posto interrogatici a tutte le donne….. Io credo che le Mamme non devono avere paura di adempiere alla loro prima vocazione e missione quella di Mogli e Mamme, dovunque e comunque. Io sono laureata in economia a pienissimi voti ed ho studiato tanto a suo tempo, ma le cose che ho imparato di più le ho imparate attraverso il mio matrimonio ed i miei figli, con loro sono diventata Mamma, psicologa, dottoressa, infermiera, counselor, insegnante…….. la maternità e il matrimonio hanno fatto uscire la mia vera identità e vocazione. Questa è la mia felicità. FLO

  24. L’articolo mi sembra un po’ capzioso. Il doodle dell’8 Marzo è chiaramente incentrato su un tema specifico: i mestieri. Quelli che per lungo tempo sono stati negati alle donne (ed in molti paesi sono ancora fuori portata). La discriminazione contro le donne normalmente non riguarda la loro capacità o volontà di diventare madri, essendo la maternità legata alla nostra natura biologica. Anzi, per molti secoli (e in molti paesi ancora oggi), ci si aspetta che una donna sia soprattutto – se non soltanto – madre. Celebrare quindi la conquista di poter accedere all’istruzione ed al mondo del lavoro mi sembra doveroso e per nulla controverso da parte di Google. In quell’immagine lei ci vede una svalutazione alla maternità, ma perché la legge in modo pretestuoso e distorto. Io ci vedo la realtà che conosco: donne che fanno con passione e professionalità il proprio lavoro (il magistrato, il medico, l’insegnante, l’autista dell’autobus e chi più ne ha, più ne metta) e che, allo stesso tempo, sono mamme splendide, certo forse un po’ stanche, ma molto felici di sentirsi realizzate come donne e come madri (i due termini non sono sinomini per tutte noi). non è l’emancipazione femminile che scoraggia le donne ad avere figli, sono le politiche di welfare inesistenti a farlo. non è il femminismo a convincere le donne a non fare figli: sono la precarietà e la mancanza di prospettive economiche (ma direi che neanche quello sta fermando molte della mia generazione). se le donne riescono ancora a farli, i figli, è proprio grazie al femminismo che ha messo in discussione la ripartizione dei ruoli, fortemente diseguale, all’interno coppia e ha fatto sì che gli uomini siano dei padri sempre più presenti e meravigliosi. lei parla di donne che sono stanche di correre come matte per avere “tutto”. mi dispiace per lei e per le sue conoscenze: io sono circondata da donne e madri meravigliose che hanno ancora fiato per correre a lungo, proprio perché corrono insieme ai propri compagni ai quali non sono sottomesse, ma con i quali fanno squadra, da pari a pari.

  25. Elisa

    Si possono dire tante cose sul femminismo, ma è un fatto che negli anni 70 la gravidanza era vista come un ostacolo alla realizzazione femminile. Del resto sono state proprio le femministe a caldeggiare la legge sull’aborto con slogan del tipo “riappropriamoci del nostro corpo ” “l’utero è mio….” ecc… forse adesso, che vediamo la cosa con una certa prospettiva storica e ci siamo accorte di come erano scellerate certe campagne ci piace pensare che il movimento femminista abbia favorito la maternità, ma la realtà storica è ben diversa.

  26. Gi

    Condivido pienamente quanto detto da Flo. Ho passato i quarant’anni, ho la grazia di avere tre figli adolescenti. Appena laureata una ventina di anni fa ho iniziato a lavorare in un’azienda, quando sono arrivati i bambini ho deciso di licenziarmi perché con mio marito abbiamo sempre tenuto presente il NOSTRO progetto (non il mio o il suo). Allora soprattutto le mie amiche che avevano qualche figlio mi guardavano come la mantenuta …… In questi anni ho potuto curare la mia famiglia, avere il tempo di dare un po di conforto ad amici e parenti, intraprendere diverse attività lavorative e adesso ho un’attività che gestisco con mio marito. Le mie amiche, ammesso che le loro aziende non abbiano chiuso, sono piene di rimorsi perché di stanno accorgendo che il meglio di loro lo fanno dedicato al lavoro sacrificando troppo. Credo sia meglio insegnarlo alle nostre figlie!!!

  27. Gio

    ps: La grande azienda per la quale lavoravo, nel frattempo è fallita e tante mie colleghe hanno dovuto affrontare anche questo!

  28. Pingback: Tutto tranne una mamma | Infodirilievo

  29. Marta

    Ciao Costanza,
    spero che tu voglia pubblicare questo mio pensiero, sebbene leggermente fuori dal coro degli altri commenti qui presenti.
    Sono una giovane donna di 22 anni, non sono sposata né tantomeno ho figli ancora. Spero un giorno di vivere questa gioia. Il tuo articolo mi fa sorgere una domanda, se una donna non ha figli e non è sposata allora la sua vita non può che essere “terremotata, alluvionata, desertificata”, come scrivi tu? Ma sai quante donne temono proprio quanto tu scrivi e si lanciano in storie sbagliate con uomini da niente, pur di non risultare sfigate frigide aride? Sai quanta ansia genera questo stereotipo e quanto condiziona la vita di molte donne? E non è vero che nessuno ripete che bisogna sposarsi e avere figli, al contrario ce lo ripetono continuamente, ce lo fanno sedimentare in profondità tanto da farci sentire sfigate senza un compagno. Non importa se si è plurilaureate, brave persone, se si aiutano gli altri. Non hai un uomo? Non vali niente, sei terremotata, uno zero assoluto. Tu scrivi “la parità è una cosa già acquisita, adesso andiamo avanti”. Mi dispiace ma i dati dicono ben altro. Io vivo al sud, in una regione in cui le donne in politica sono uno zero virgola qualcosa, ho visto nel tempo un sacco di mie ex compagne di scuola tartassate con l’idea della famiglia, alla disperata ricerca di un uomo, perché senza si sentivano un fallimento, più o meno costrette a lasciare gli studi per sposarsi con l’uomo o il mezzo uomo di turno, da cui poi dipendono economicamente, controllate di conseguenza come animali e violentate nella minima libertà di scelta. Quindi perdonami se devo proprio considerare la parità non ancora acquisita. Almeno qui dove abito io, se voi vedete altro proprio non so.
    Giustamente poni un problema che è la scarsità di nascite in Italia. Problema giusto, senz’altro. Ma non credi che se un Paese discrimina le donne sposate e le licenzia quando rimangono in cinta, se un paese non offre lavoro allora disincentiva le nascite? Mi spiego, non credo che il problema sia culturale, non credo che le donne siano in preda a un eccessivo femminismo, al contrario! Di donne femministe ne ho conosciuto davvero poche, le donne sono in media molto più maschiliste e condizionate mentalmente degli uomini. Non si fanno figli perché non c’è stabilità economica, perché la donna deve scegliere tra la famiglia e il lavoro, in quanto se ha famiglia il lavoro lo perde. Le quote rosa forse servono anche a questo, a mettere le donne nelle condizioni di avere figli e marito e di lavorare contestualmente, come è giusto, ma mantenendo l’indipendenza e una certa libertà di manovra nella coppia. In questo senso sì che le quote rosa e le conquiste femminili riscaldano il cuore!

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