La soluzione è fare l’amore e i figli (come nel ’46)

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di Giovanni Marcotullio   per La Croce

Alle volte sembra davvero una commedia. E lo sarebbe, se almeno facesse ridere.

Mentre in tutta Italia Marino, Pisapia & Co. si prodigano nel trascrivere nei registri civili italiani dei c.d. “matrimoni gay” contratti all’estero, l’ISTAT pubblica i dati relativi ai matrimoni degli Italiani nel 2013: mai così bassi.

Se fossimo in vena di scherzi dovremmo pensare che i volenterosi sindaci sopra ricordati stiano cercando di correggere questo record, negativo che così negativo non s’era visto a memoria di censimento. Da scherzare però c’è poco, e poi pure dalle colonne di Panorama – mica de L’Osservatore Romano, eh – si è levata un’irridente pernacchia (quella della brava Claudia Daconto) al sindaco di Roma: ovvio che in uno scontro istituzionale tra il Prefetto e il Sindaco, laddove quest’ultimo ha approfittato di un vuoto legale per improvvisarsi giudice e legislatore, il TAR dia ragione al primo. Morale della favola, a Roma come altrove: la pubblicità è fatta, il controcanto fa poco rumore e delle sedici coppie prese in giro chissenefrega. Mica sono quelli che hanno inutilmente (e crudelmente) parodiato un atto che lì non poteva esserci, i cattivi: non sono loro gli “omofobi”.
Ma questa è solo una parte della nostra triste commedia, e il tam-tam tribale della lobby LGBT vi compare appena come la scia della beffa: si direbbe quasi che oggi in Italia si vogliano sposare solo gli omosessuali, ossia quelli che non possono (tra loro) contrarre un matrimonio.

Per dirla in breve, nel 2013 sono stati celebrati 194.057 matrimoni, 13.081 in meno rispetto all’anno precedente – per la prima volta si è dunque scesi sotto la soglia dei 200.000. Appena 111.545 di queste nozze, poi, sono state celebrate con rito religioso (il dato si deve a più di un motivo, evidentemente): l’UAAR si leverà la soddisfazione di sottolineare (ancora più di quanto fece nel 2012) che stavolta non solo al Nord, ma anche al Centro i matrimoni solo civili sono più numerosi di quelli religiosi.

Non proprio una novità, insomma: un’estrapolazione un minimo realistica ci avrebbe preso, e difatti già lo scorso aprile Corrado Augias ne parlava, nella sua corrispondenza su Repubblica. Il suo lettore gli aveva scritto tutto compiaciuto di osservare che si rovescia il trend del 1964 (quando lui era stato una delle poche mosche bianche a sposarsi solo civilmente). Con fare adeguatamente crucciato, come si addice a un vero maître à penser, a un filosofo che non si nutre delle considerazioni della gente comune, l’oracolo rispose: «In un’ottica laica [per carità! n.d.r.] la domanda è quali conseguenze possa avere il fenomeno». Sembra l’avvio di un discorso intelligente, invece ripiega subito sulla solita canzonetta: «Le religioni hanno sempre avuto anche una funzione sociale. Il sofista greco Crizia sviluppò la teoria, divenuta celebre, secondo cui gli dèi furono inventati per costringere gli esseri umani a comportamenti morali, a non delinquere». Poi passa nell’epoca ellenistica e pesca Polibio, che allo stesso modo lamentava quella che lui nel II sec. a.C. considerava secolarizzazione: Polibio aveva ragione, secondo Augias, «perché quando le “illusioni” vengono meno e manca una sufficiente acculturazione media, le conseguenze sono quelle che vediamo». Infine la folgorante conclusione: «Quelle religioni che Marx definiva “oppio dei popoli” possono essere ancora considerate un utile rimedio, quando il resto manca» (22/4/2014).

Se Augias fosse lo storico del cristianesimo per cui si spaccia saprebbe bene che il cristianesimo non ha mai funzionato, in sé e per sé, come “utile rimedio”, e che lo studio (serio) delle scritture giudeo-cristiane mostra un’evoluzione della storia della religione un tantino irriducibile ai due schizzi di Crizia e Polibio che egli offre al suo “candido lettore”. Tralasciando poi l’idea che “una sufficiente acculturazione media” dispenserebbe l’essere umano dall’angoscia e dalla speranza – in fondo Augias parla de “le masse”, mica degli uomini (come lui) – andiamo a considerare le “conseguenze che vediamo”.

Da buon oracolo, Augias è stato molto vago, e dunque chissà cosa vedesse o cosa intendesse: noi vediamo che, dagli anni ’90 in qua, la crescita della popolazione italiana è demandata tutta all’immigrazione (e meno male che almeno quella c’è, quando è buona!): dall’83 il tasso di fecondità delle italiane è sceso sotto la soglia di 1,5 figli per ciascuna, mentre già dal ’76 è sotto la soglia minima di due, che garantirebbe almeno il ricambio generazionale (in teoria, perché la mortalità neonatale, infantile e giovanile non è stata mica abolita). In teoria, allo stesso modo, si assisterebbe in questi anni a una ripresa, a giudicare dai grafici: nient’altro che un triste effetto ottico, dovuto all’“aumento delle speranze di vita”, ossia – tradotto – all’“invecchiamento della popolazione”. In realtà, il tasso di natalità non è mai stato così basso, a memoria di censimento (8,6‰), nonostante l’immigrazione. Come per i matrimoni.
Che cosa curiosa! E ne volete un’altra? Il picco più alto degli ultimi decenni (19,7‰) lo troviamo nel ’64, l’anno in cui il lettore di Augias (uno di 417.486 mariti) si sposò. Quell’anno nacquero 1.016.120 bambini, in Italia (l’anno prima i matrimoni erano stati 420.300, circa 2.600 più che in quello allora corrente): per trovare un’annata più prolifica (al lordo delle morti, neonatali e non) bisogna risalire al 1946 (con 1.039.432 fiocchi sui portoni) – l’Italia era in macerie, usciva da una guerra vergognosa, ma ciò nonostante (o forse proprio per implorare il perdono di tanto stupro arrecato alla vita) gli Italiani fecero l’amore quell’anno come in poche altre annate. Qualcosa di simile era accaduto anche nel 1920, strapazzato tra i tira e molla dei due governi Nitti e del quinto mandato di Giolitti: l’“inutile strage” della Grande Guerra (e chi pensava che avrebbero dovuto chiamarla “prima”?) aveva sfibrato le potenze d’Europa, ma non le reni dei sopravvissuti – e peccato, veramente, che a tanti di quanti ne vennero al mondo non fu dato di procreare nel ’46.

Nel ’64, tra i 1.016.120 bambini venuti al mondo nel Belpaese, c’era pure la splendida Monica Bellucci: cinquant’anni dopo, la sua classe (nutrita, tra gli altri, da Valeria Bruni Tedeschi, Francesca Neri, Isabella Ferrari e Sabrina Ferilli) viene fuori un po’ come l’icona – camuffata dallo splendore del punto di partenza, dalla cosmetica e dalla chirurgia – del sommesso ma inesorabile decadimento del nostro Paese.

Ora, invece di degenerare in inutili (e gratuiti) predicozzi moraleggianti al loro indirizzo, guardiamo alla generazione dei loro figli, ossia a noi (chi scrive ha trent’anni), perché le due coppie di dati – d’oro e di piombo – di questo periodo partono da loro e arrivano a noi: in fin dei conti siamo noi, non loro, che non ci sposiamo e che non ci riproduciamo (la Bellucci ha due figlie, è abbondantemente sopra la media delle Italiane dal ’76 in qua).
L’età media tra gli sposi, nelle “annate d’oro”, oscillava tra i 27 anni degli uomini e i 23 delle donne – adesso se va bene a quell’età ci si laurea. E oltre allo studio c’è stato il lavoro, e il ’68 (si fa presto a dire “’68”…), la pillola, il divorzio, l’aborto, poi al contrario la FIVET e le cure per la sterilità, il viagra e l’utero in affitto… e infine non abbiamo un lavoro e non sempre abbiamo voglia di cercarcelo, non abbiamo una famiglia e non sempre abbiamo il coraggio di costruircene una… anche se, pare, una famiglia e un lavoro sono le sole cose in cui un uomo, realizzandosi completamente, può servire completamente gli altri.

Ma ci è stato lasciato un importante credito di capitale, perché i nostri genitori, bene o male, hanno fatto l’una e l’altra cosa – questo ci permette l’orrido lusso di poter non fare altrettanto (fisco permettendo). E siamo noi stessi, al contempo, il capitale umano da strappare a una strana inflazione del cuore. Il conflitto generazionale non è una soluzione al rompicapo, almeno non in sé, perché se i cinquantenni hanno delle colpe i loro figli le hanno non solo subite, come anche loro, ma pure condivise – e così facendo abbiamo “costretto” perfino i Vescovi cattolici ad apprezzare i “germi di bontà” presenti nei nostri faticosi cammini.

Forse il nostro cuore è in inflazione, e teme di fidarsi anche del ragionevole, perché quello dei nostri genitori era stato in deflazione, fino a non diffidare dell’irragionevole. Se però noi dirottiamo le nostre responsabilità sui nostri genitori più o meno sessantottini, chi vieterebbe loro di scaricare il loro peso sui nostri nonni e sulle nefandezze del Ventennio e della Guerra? E loro non avrebbero da rivalersi coi loro padri, e così via, di ferita in ferita?

Fortuna che l’Instrumentum laboris del Sinodo straordinario appena terminato (il primo brogliaccio di lavoro, per capirci, fatto con le risposte al famoso “questionario”) sprigionava già prima dell’assemblea quel senso pratico di cui la Chiesa sa essere maestra: «[…] si ritiene essenziale aiutare i giovani ad uscire da una visione romantica dell’amore, percepito solo come un sentimento intenso verso l’altro, e non come risposta personale ad un’altra persona, nell’ambito di un progetto comune di vita, in cui si dischiude un grande mistero e una grande promessa» (§ 85).
Un gran bel progetto di ricostruzione – speriamo che le lezioni del ’46 e del ’20 ci vengano in soccorso.

In fondo, le macerie non mancano.

la croce

 

34 pensieri su “La soluzione è fare l’amore e i figli (come nel ’46)

  1. Elena Maffei

    Ho rivisto dopo molto tempo due ex-studenti: un ragazzo e una ragazza da sempre in coppia, splendide persone prima che bravi studenti (purtroppo, nella mia esperienza ho visto che spesso il binomio segue proprio quell’ ordine: non mi riferisco ai voti ma alla lealtà, all’impegno, alla cura per le relazioni…). Le solite domande e poi, mi è proprio uscito dal cuore, la felicità di saperli ancora insieme e un invito a sposarsi, a non commettere il tragico errore di aspettare che tutto (tutto cosa, poi…) diventi perfetto. Affido alla “compagnia degli insegnanti oranti” un’ave maria per questi due ragazzi che ho visto crescere nell’amore, che Dio li assista nel loro desiderio di essere famiglia.

    1. Sara

      Preghiera assicurata! La “compagnia degli insegnanti oranti” mi piace tantissimo! Avanti così!

      Per quanto riguarda l’articolo… non vedo l’ora che arrivi il 13 gennaio!

    1. Toccato il fondo del trauma, colpo di reni e darsi da fare per tornare a galla. Nella nobiltà senese di fine Settecento le nobildonzelle faticavano a trovare marito in città perché molti nobiluomini restavano scapoli per non intaccare il patrimonio familiare (da qui molte senesi maritate “all’estero”). Dopo il terremoto del 1798 (nessun morto ma un bello scossone) matrimoni a raffica per tutto l’anno.

      1. Elena Maffei

        Se ci scuotiamo tutti insieme, otteniamo lo stesso “effetto senese”? Affettuosa condivisione ai post delle famiglie numerose che spesso hanno splendidi figli. A scuola riconosco i “plurifratelli”, hanno una marcia in più

  2. Filosofia di ritorno

    Mi piace l’appello fatto, ma purtroppo non credo sarà raccolto, almeno per ora. L’importante è però averlo lanciato. Cerco di spiegare perchè. I giovani d’oggi, troppo coccolati, prima della crisi, non sono più in grado non solo di prendersi impegni definitivi, ma non li vogliono proprio prendere perchè stanno bene a cuccia dai genitori. Un altro motivo tra i tanti che mi vengono in mente ora di getto è questo. Fanno all’amore senz’altro ma guardandosi bene dal procreare figli. Sarebbe una responsabilità grossa, nessuna incentivazione sociale alla formazione di una famiglia, costi altissimi, subdola istigazione a non procreare, spazio ampio all’erotica, omosessuali all’attacco come se fossero coloro che possono procreare, la chiesa si guarda bene dall’intervenire in questo campo (la vicenda di s. Paolo VI con l’Humana vitae la dice lunga) e via dicendo. Costanza credi davvero che il giovane italiano voglia impegnarsi per costruire il suo futuro se non ha nemmeno la più pallida idea di come tirare avanti senza una posizione economica?
    A questo punto bisognerebbe elogiare, per questo aspetto gli immigrati, quelli regolari, che in quanto a figli ci possono insegnare. Ma presto impareranno anche loro come gli italiani!

    1. Ridurre tutto a un problema economico o di pigrizia personale (lo stare al caldo a casa dei genitori) secondo me è un errore. Per esempio, la crisi terribile strombazzata sui media non c’è per tutti, e adesso mi spiego…
      Sposarsi, tantomeno fare dei figli, se non si ha un lavoro con cui sostentarsi è giusto, è sacrosanto, perchè affidarsi al buon Dio è una cosa, l’incoscienza un’altra.
      Però non prendiamoci in giro, non è vero che i giovani italiani non si sposano e non fanno figli perchè TUTTI non hanno un lavoro, e se ce l’hanno sono umilianti turni da 12 ore in call center da sottopagati…
      Io conosco personalmente coppie di persone tra i 25 e 30 anni, con contratti lavoro dipendente a tempo indeterminato e stipendi di tutto rispetto, morosi da anni, che non si sposano (la sola idea è relegata a battute di spirito volte quasi a esorcizzarla, come se si trattasse di una cosa da evitare per il più a lungo possibile) tantomeno hanno intenzione di fare figli, perchè “per quello c’è tempo” (alle fanciulle in particolare bisognerebbe però spiegare che per fare i figli non c’è un generico tempo, ma un determinato tempo, dopo i 35 anni in reparto maternità sulla cartella ti scrivono “primipara tardiva”, cioè sei vecchia per il primo figlio, perchè alla biologia non gliene frega niente delle grandi conquiste di carriera che puoi avere conseguito -non parlo di chi non se lo può permettere ma di chi rimanda, rimanda, rimanda…-). Non sono persone senza spina dorsale che vivono con mammà (sono lì dove sono perchè si sono fatti un mazzo così nella vita) o in condizioni precarie economicamente, è il loro rapporto che è precario, è la loro fiducia nel futuro che non ha fondamento, è la loro considerazione di se stessi che è traballante. Questo non fa di loro delle brutte persone, fa di loro persone, in fondo, SOLE, lasciate sole davanti al mondo, al male, al bene, al bello, al brutto, alla fatica, alla gioia, con nessuno che abbia loro indicato la differenza tra l’uno e l’altro, nessuno che gli abbia mostrato che cosa vale la pena e perchè, perchè tutto è relativo, tutto è uguale, niente ha senso, e chi dice il contrario e addirittura propone una Via è un credulone illuso frustrato masochista retrogrado oscurantista ingannatore.
      Per me non è esclusivamente difficoltà o pigrizia. C’è una buona dose di inganno e solitudine, a che serve mettere in piedi qualcosa se tutto è effimero e finisce nella polvere?

      1. Elena Maffei

        Concordo in pieno, cacciatrice di stelle. Sta a noi dimostrare ai giovani che il matrimonio è la situazione migliore che c’è per un uomo e una donna che si amano. E che i figli sono uno splendido dono, anche quando sono 29 in un’aula…se si sentiranno amati cercheranno lo stesso bene, a ogni costo.

  3. ….nelle statistiche non può esistere la locuzione “fare all’amore”. C’è solo i numeri: gravidanze, nati, morti, sepolti!
    Quanto agli immigrati credo che, in quanto ai figli, per esempio, bisognerebbe “elogiarli” tutti, regolari e irregolari!

  4. Angelo

    In Italia e in Occidente in genere non solo non si fa da anni una politica di sostegno alle famiglie, ma di fatto si scoraggia il mettere al mondo dei figli. Con la distruzione della figura del padre e della madre, operati mediante false battaglie di falsa libertà e la santificazione mediatica dei matrimoni omosessuali ( rispetto gli omosessuali come persone meritevoli di dignità come tutti gli esseri umani, ma non rispetto per nulla la lobby politico-economico-culturale che vorrebbe presentare queste famiglie senza una madre o senza un padre come ideali e migliori di quelle “tradizionali”) stanno completando il cerchio. Mia moglie ed io abbiamo 4 figli: abbiamo scelto consapevolmente di seguire la strada che Dio ci ha indicato. Non ho ripensamenti, ma sono veramente preoccupato per gli attacchi concentrici che arrivano e arriveranno sempre più. Già siamo penalizzati in vario modo, ad esempio al lavoro. Essendo entrambi insegnanti, siamo mal visti dalle nostre dirigenti ideologizzate secondo lo gender, perché abbiamo scelto l’amore piuttosto che l’egoismo e non siamo disponibili a sottrarre tempo inutile alla famiglia da dedicare alle alienazioni di questo mondo.
    Elena, pregherò senz’altro.

    1. Elena Maffei

      Cari colleghi, cito Maria di qualche post fa: “lasciamo a Dio le cose impossibili”, ci penserà lui a rimettere in ordine la Realtà se noi non basteremo. Quanto ai giudizi umani, se sono malevoli e infondati, la “compagnia degli insegnanti oranti” è oltre. La nostra Ave Maria mattutina ci basta perché tutto scorra e il sorriso illumini le nostre aule…

      1. Io non insegno ma qualche volta mi capita di parlare in pubblico nell’ambito di progetti educativi anche in collaborazione con scuole. Potrei iscrivermi come orante onoraria? 🙂

        1. Elena Maffei

          Certo, ci mancherebbe! Insegnanti si “è”, non si “fa”… è una condizione dell’anima, prima che un lavoro. Nominata sul campo, così l’ave maria mattutina ti aiuterà a sopportare i nostri “vizi” professionali!

          1. Sara

            Elena, come farebbe Angela, ti mando uno SMACK enorme per aver detto che essere insegnanti è una condizione dell’anima. Mi ci sento proprio bene in questa definizione!

            Viviana, benvenuta all’appuntamento mattutino!

  5. fortebraccio

    Ad un amico ingegnere hanno distribuito il seguente questionario:

    Secondo te quali sono le ragioni principali per cui oggi in Italia si fanno pochi figli?(max 2 risposte) *
    A – I figli rappresentano un costo che non tutti si possono permettere
    B – Le modalità con cui è organizzato il lavoro rendono difficile la scelta di avere figli
    C – Molti preferiscono la libertà piuttosto che assumersi le responsabilità che un figlio comporta
    D – Le persone vivono una condizione di precarietà lavorativa ed economica che rende difficile assumersi la responsabilità di avere figli
    E – Il cambiamento del ruolo femminile (lavoro, parità sociale e nel rapporto con il partner) ha diminuito la propensione delle donne ad avere figli
    F – Le coppie e soprattutto le donne decidono sempre più tardi di avere figli
    G – L’organizzazione della vita quotidiana rende molto difficile conciliare le esigenze personali e lavorative con quelle legate alla gestione dei figli

    MI chiedevo quale possano essere le vostre risposte.
    Per me sarebbero B e G
    Pensando ad alcuni conoscenti, anche C – ma sono una minoranza poco rappresentativa.

    Considerando il mio personale bacino demoscopico: tolti i personaggi rispondenti al profilo C (che poi, probabilmente sarebbero stati dei genitori irresponsabili), la maggior parte degli amici s’è sposata quindi, alla fine del periodo di precariato, ha subito fatto figli. Quasi tutti hanno fatto coincidere le nozze con l’acquisto della casa coniugale.

    Quelli che mi paiono essere i grossi scogli sono:
    – principalmente il rapporto feudale che si instaura tra datore di lavoro e lavoratori (o meglio, che i datori di lavoro pretendono, soprattutto in piccole/medie aziende)
    – la pesante dipendenza dai nonni – ovverosia da una struttura familiare allargata, che deve essere poco distante ed “abile”.

    1. Thelonious

      aggiungerei.

      H – Il mondo di oggi diffonde e favorisce una mentalità priva di certezze e di speranze sul senso del vivere. Molti abbracciano questa mentalità, che si ammanta di edonismo ma che maschera la disperazione. Non avendo un’adeguata ragione di vivere per sé, uno non percepisce la ragione adeguata per mettere al mondo altri esseri umani.

      Ci fosse stata questa opzione, io avrei segnato questa

      1. fortebraccio

        Per alcuni versi ti do ragione, Thelonius.
        Poi penso che “una ragione”, “un senso” alle cose, lo devi dare tu. Tu, io, ognuno per sé. E non c’è modo migliore di cominciare a prendersi delle responsabilità che prendersi cura di sé stessi: andare a vivere da soli.
        Col senno di poi mi vien da sorridere, ma in quei lontani giorni, veramente mi sentivo un novello Adamo che, responsabile del suo piccolo eden, passava in rassegna gli oggetti per dargli un nome. Fare la spesa, gestire i soldi (che arrivavano con un mese di ritardo). Niente macchina, niente tv; solo radio e libri. E quello che ricordo bene -oltre alla solitudine ci certe sere, passate a scanalare sulle frequenze AM alla ricerca di “Ascolta, si fa sera”- è che pensavo tanto ai miei genitori e a tutto quello che avevano passato loro, e che mi avevano insegnato poi.
        Ed ho capito che quel monito di mio padre “col primo stipendio ci porti fuori a cena, col secondo ti paghi un affitto” era, prima che una minaccia, una sorta di “memento mori” per sé.

    2. Elena Maffei

      Concordo con l’analisi. I miei “soli” due figli sono dovuti a età avanzata del matrimonio (quindi F) per impegni di studio e formazione. E pensare che tutto ‘sto sacrificio è servito per una cattedra a scuola. Figuriamoci se avessi fatto scelte professionali più impegnative… come se ne viene fuori? Pensiamoci seriamente, si parla dei nostri nipoti e io desidero fortemente fare la nonna…

    3. Aleph

      Io non saprei quali risposte spiegano meglio quello che sta accadendo in Italia. Però, anche facendo il paragone con il contesto di altri paesi occidentali, mi sento di dire che molto dipende dalla mentalità. Forse l’altra faccia della medaglia dello storico attaccamento alla famiglia degli italiani è proprio l’aver messo il matrimonio e i figli su un piedistallo talmente alto da farlo… irraggiungibile! Mi spiego meglio… Ho molte amiche sia in Italia sia all’estero. Quasi tutte le mie amiche italiane si sono sposate solo quando loro o almeno il marito avevano un lavoro stabile, quando si sono potuti permettere il ricevimento di nozze (più o meno sfarzoso), quando avevano già una casa arredata (di proprietà o in affitto, ma spesso comunque completa di tutto il necessario). Insomma, tutte queste cose in Italia sembrano condizioni assolutamente indispensabili al matrimonio e alla genitorialità. All’estero non è così. Ho amiche che si sono sposate e hanno avuto figli mentre ancora studiavano, amiche che hanno vissuto per anni con il marito in alloggi davvero di fortuna, con quattro mobili usati e/o regalati, amiche che non hanno fatto nessun ricevimento di nozze, che non hanno potuto comprare l’abito da sposa sfarzoso e men che meno il viaggio di nozze… Per non parlare della gravidanza! Conosco tantissime amiche italiane che si sono messe in aspettativa per ipotetiche “gravidanze a rischio” al primo starnuto mentre erano incinte… invece in altri paesi le donne gravide non pensano di dover andare sotto una campana di vetro e, se devono lavorare fino al giorno prima del parto, lo fanno senza tante storie. E gli uomini non si fanno tanti problemi se devono dare una mano in casa, usare una lavatrice o cambiare pannolini, quando la moglie è costretta a tornare al lavoro a qualche settimana dal parto. Ora, lo so che questo potrebbe in parte dipendere dalla situazione bloccata del lavoro in Italia e dalla mancanza di servizi alla famiglia, ma secondo me molto viene anche dalla mentalità matrimonio=sistemazione. Purtroppo, invece, nel mondo di oggi, il “sistemarsi” non è più possibile. Non possiamo più fare famiglia come nel 1946. Occorrono una disponibilità e un’apertura adatte al nostro tempo e alle nostre macerie, che sono molto diverse da quelle del dopoguerra e richiedono un’altra ottica.

      1. Elena Maffei

        Ri-concordo al cubo! In questo blog si parla di me! Di noi figlie del baby boom, educate a vivere il matrimonio come un punto d’arrivo e non una partenza insieme. Come se la vita affettiva fosse un intralcio all’inarrestabile sviluppo di una società basata sulla demoniaca coppia produzione-consumo.
        E allora noi rifonderemo la società sulla coppia uomo-donna, mamma-papà…

  6. Thelonius.

    …non è mica sufficiente dichiarare di avere certezze e speranze sul senso di vivere per averci il senso di vivere.
    Uno può dichiarare di avere certezze e speranze e essere in preda alla disperazione, e un altro non non sentirsi di dichiarare nulla e averci grande gioia di vivere.

  7. Angelo

    Come detto prima, noi abbiamo 4 figli, dai 6 ai 17 anni, perciò distribuiti, non a piacimento ma in base alla realtà che Dio ci ha fatto vivere e mediante la quale ci ha indicato la via giusta. Sapevamo che sarebbe stato difficile, ed in effetti lo è molto, ma vedere ora le due bambine e i due ragazzi che crescono nella fede e costituiscono una testimonianza per il mondo ci rende felici, felici quali “cause seconde”. Non mi aspettavo, però, un mondo così scristianizzato e ostile, forse perchè ero ingenuo o forse per l’accelerazione imprevedibile verso il baratro. Tuttavia, con l’aiuto divino riusciamo a far fronte ai numerosi impegni e ci si può concedere ogni tanto un piccolo svago. Ammetto che vedere colleghi che si alzano tardi e si lamentano del lavoro e di tutto quando io devo comunque sempre alzarmi alle 6.40 per preparare colazione, bambina da portare a scuola, ecc. anche quando il mio servizio inizia alle 11.00, mi irrita non poco. Queste colleghe e colleghi, oltre tutto, sono più lucidi ed hanno maggiori disponibilita’ di me nell’accaparrarsi progetti, funzioni e quant’altro, cui io invece devo rinunciare e, quindi, nell’attirarsi le simpatie di chi sta – anzi CREDE DI STARE – in alto. Ma l’affetto di studenti e famiglie mi fa comprendere il riconoscimento del mio ruolo, indipendentemente dalle “follie” di una preside inetta, cristofobica e arrogante.
    Fermo restando che ciascuno ha la sua strada e chi non ha figli non deve essere giudicato da meno perché Dio lo ha chiamato ad altro tipo di missione, credo che la parola “egoismo” possa costituire di per sé una risposta sufficiente a spiegare la penuria di nascite.

    1. Aleph

      Angelo, sono d’accordo con te… L’egoismo e l’immaturità costituiscono una grossa parte del problema. Io mi sono sposata a 28 anni e sono rimasta incinta subito. Non ti dico le critiche e i commenti che ho dovuto sorbirmi, sia perché tutti e due avevamo solo un lavoro precario, sia perché avremmo dovuto prima “goderci il matrimonio” (come se fare un figlio non fosse stato proprio il frutto più bello del nostro goderci il matrimonio!!!) e assestarci nella vita di coppia (come se condividere la bellezza e la responsabilità di un figlio non fosse la scuola di assestamento migliore!). Quando è nato il mio secondo bambino, visto che ormai avevamo un maschio e una femmina, tantissime persone ci hanno detto “bene, ora basta figli/ avete finito vero?” e al nostro sguardo allibito e alla risposta che ne avremmo voluti tanti altri, arrivavano solo critiche e battutine…

      1. Elena Maffei

        Cari aleph e angelo, quanto mi avrebbe fatto bene conoscervi da giovane…io vivo nelle città in cui il vero dio è il tempo libero e il viaggio!

        1. Aleph

          Cara Elena, quello che descrivi è un atteggiamento molto comune, che fa soffrire e fa sentire isolate le famiglie che invece fanno scelte diverse. Anche a me piacerebbe conoscerti!

      2. saras

        ahahah, pazzesco, le battute sono le stesse! Al terzo figlio sono quasi rassegnati e vorrebbero consolarti (o consolare se stessi?) dicendo: beh, 3 è il numero perfetto! (sottinteso: mo’ basta!). Al quarto si rallegrano sinceramente perchè capiscono che ormai sei un caso perso, e qualcuno ti chiede, seriamente incuriosito, sei hai intenzione di farne altri. Devo dire che mi diverte stare al gioco… credo che alla fine c’è un fondo di invidia celata da compatimento. E’ bello vedere un sacco di bambini, è bello vedere un bel gruppetto di fratelli. E’ bello vederli perché sai che tanto tu non te li smazzi, quindi ti prendi la parte più simpatica, quella di vedere il quadretto felice evitando i retroscena di fatica fisica, scoraggiamento, preoccupazione, scapaccioni e quant’altro. Non sanno – o forse intuiscono, come noi del resto, prima di essere invasi!- che la parte simpatica tocca a noi, a partire dal talamo!

      3. nadia

        Condivido pienamente! Credo che dovremmo introdurre il “reato” di famiglianumerosafoba: i genitori coraggiosi e generosi vengono discriminti quotidianamente non solo dalle istituzioni e da un fisco ingiusto, ma soprattutto dagli sguardi schifati e attoniti dei passanti e dai triti e ritriri “adesso basta eh…”.

  8. Angelo

    Aleph e gli altri, capisco bene le persecuzioni – perché di tali si tratta – a proposito dei figli. Perfino i nostri genitori vi hanno partecipato. Tutto ciò che avete scritto è un film già visto, anzi vissuto. Ed oggi non posso nemmeno lamentarmi come qualunque essere umano di un momento di stress e di stanchezza. “Avete voluto farne quattro? Arrangiatevi!”. Ma io dico che se non avessimo voluto figli, lo stress di questa vita ci avrebbe comunque depresso ed avremmo rischiato la pazzia o forse la separazione.
    Elena, non è mai tardi per conoscersi…. Lo stiamo già facendo.

    1. Elena Maffei

      Vero, verissimo. ..a proposito del numero di figli, credo che la mia ansia materna sia proporzionale ad almeno quattro o cinque bambini. I miei due, poveretti, si cuccano la parte eccedente…per questo vado a lezione di “famiglie numerose” appena posso. Credo di essere un bes… (battuta riservata alla compagnia degli insegnanti oranti, in sintesi vuol dire studenti con bisogno di cura didattica diversa rispetto agli altri…)

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