Gudbrando il montanaro

Pur essendo stata citata decine e decine di volte da Costanza  ci siamo accorti di non aver mai pubblicato la storia di Gudbrando il montanaro. Eccola.

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C’era una volta un uomo di nome Gudbrando che aveva una fattoria lontano lontano, là, sulla montagna: perciò tutti lo chiamavano Gudbrando il montanaro. Dovete ora sapere che egli aveva una mogliettina e che essi si amavano e si comprendevano l’un l’altro, tanto che la moglie trovava che tutto ciò che faceva il marito era fatto nella maniera migliore ed era sempre contenta qualunque cosa egli facesse. La fattoria era tutta loro e così pure la terra; avevano poi qualche soldo nascosto sotto il materasso e due mucche legate nella stalla. Un giorno la moglie disse a Gudbrando:

– Sai, caro, penso che dovremo portare una delle nostre mucche in città e venderla; avremo così un po’ di denaro da spendere, come la gente per bene come noi deve sempre avere. Non possiamo certo mettere mano al piccolo gruzzolo che teniamo sotto il materasso. E non saprei che cosa fare, col ricavo di più di una mucca. Inoltre guadagneremo anche in un altro modo: infatti dopo dovrò badare ad una sola mucca, mentre adesso mi tocca dar da mangiare, bere ed accudire a due.

Detto fatto, pensando che la moglie avesse ragione, Gudbrando si mise subito in cammino verso la città con una delle mucche per venderla; ma giuntovi non trovò nessuno che volesse comperarla.

– Non importa, non importa – si disse Gudbrando – alla peggio non mi resta che ritornare a casa con la mia mucca. La stalla c’è, la mangiatoia anche, e la strada per tornare non è più lunga di quella fatta per venire.

E così si rimise lentamente in cammino verso casa con la sua mucca. Aveva percorso un pezzettino di strada quando incontrò un uomo che conduceva al mercato un cavallo da vendere.

– Che c’è di meglio di un bel cavallo? – pensò Gudbrando e lo barattò immediatamente con la mucca.

Poco dopo incontrò un altro uomo che camminava spingendosi avanti un bel maiale grasso, e pensò che era senz’altro meglio avere un bel maiale che un cavallo; e lo barattò. Poi incontrò un uomo con una capra e decise che era meglio una capra che un maiale, e barattò anche il maiale. Fatto un altro pezzo di strada si imbatté in un uomo che aveva una pecora ed ecco che barattò ancora, pensando che era meglio avere una pecora che una capra. Più avanti incontrò un uomo con un’oca e cambiò l’oca con la pecora; e dopo aver camminato ancora un bel po’, incontrò un uomo con un gallo e lo barattò, perché – Certo è meglio – pensò – avere un gallo che un’oca. –

Quindi andò avanti fino che, mentre si avvicinava la sera, sentì un grande appetito e vendette il gallo per un fiorino e con questo si comperò da mangiare pensando:

– E’ sempre meglio salvare la propria pelle, che possedere un gallo!

Si diresse quindi verso casa e, passando davanti alla casa di un conoscente, entrò a fargli visita.

– Ebbene, – gli chiese il padrone di casa – come è andata in città?

– Uhm! così, così – disse Gudbrando. – Non posso elogiare la mia fortuna né d’altra parte lamentarmi.

E raccontò tutta la sua giornata dal principio alla fine.

– Ah! – esclamò l’amico. – Ti aspetta una bella strapazzata, appena torni a casa da tua moglie. Il cielo ti assista. Per nulla al mondo vorrei essere nei tuoi panni.

– Mah, – disse Gudbrando, il montanaro – io penso che avrebbe anche potuto andarmi molto peggio; ma se ho fatto bene o no, ho una moglie così buona che non ha mai niente da ridire su quello che faccio.

– Ah, ah! – commentò il conoscente. – Tu dici così, ma io non ci credo.

– Così ne dubiti? – chiese Gudbrando.

– Sì – disse l’amico – e ho qui con me cento zecchini. Sono tuoi se mi darai la prova di quanto hai detto.

Così Gudbrando restò lì fino a sera e quando cominciò a far buio, insieme si recarono a casa. L’amico si appostò dietro l’uscio per ascoltare, mentre Gudbrando entrò a salutare la moglie.

– Buona sera, cara – disse Gudbrando, il montanaro.

– Buona sera – rispose la moglie. – Oh, sei tu? Sono felice di rivederti.

Poi chiese come erano andate le cose in città.

– Così, così – rispose Gudbrando. Non c’è molto da vantarsi; quando giunsi in città non trovai nessuno che volesse comperare la mucca, perciò, devo ammetterlo, l’ho barattata con un cavallo.

– Con un cavallo? – disse la moglie. – Sei stato bravo, grazie di cuore; così potremo andare a Messa la domenica in calessino come fa tanta altra gente; e se ci piace allevare un cavallo, mi pare, abbiamo tutto il diritto di farlo.

Poi aggiunse: – Corri fuori, caro, metti il cavallo nella scuderia.

– Oh! – esclamò Gudbrando. – Io non ho il cavallo, perché, fatto un altro pezzetto di strada, l’ho barattato con un maiale.

– Ci credi? – disse la moglie. – Hai fatto ciò che avrei fatto io stessa; mille grazie! Adesso sì che potrò avere in casa un po’ di prosciutto da offrire a chi viene a trovarci. A che cosa ci sarebbe servito, il cavallo? La gente avrebbe solo pensato che ci eravamo inorgogliti tanto da non essere più capaci di andare in chiesa con le nostre gambe; esci, marito mio, e metti il maiale nel porcile.

– Ma io non ho neanche il maiale! – rispose Gudbrando. – Poco dopo l’ho barattato con una capra.

– Mio caro! – gridò la moglie. – Come sei stato bravo! Ora che ci ripenso, che cosa ne avrei fatto del maiale? La gente avrebbe finito col dire che eravamo solo capaci di mangiare tutto ciò che avevamo. No, adesso, con una capra avrò il latte, il formaggio e anche la capra. Esci, e mettila nella stalla.

– No, non ho neppure la capra – disse Gudbrando. – Perché, poco dopo, l’ho barattata con una bella pecora.

– Non mi dire! – gridò la moglie. – Hai fatto tutto quanto io desideravo, come se ti fossi stata vicina! Che cosa ce ne saremmo fatti, della capra? Avrei finito col perdere metà della giornata per andare a cercarla sulla collina. No, se ho una pecora, avrò lana e vestiti e cibo fresco in casa. Esci a sistemarla.

– Ma non ho neppure la pecora! – esclamò Gudbrando. – Perché poco dopo l’ho barattata con un’oca.

– Grazie! Grazie di tutto cuore – gridò la moglie. – Che me ne farei, di una pecora? Non ho più l’arcolaio né il pettine e non mi piace neanche tagliare, mettere in prova, e cucirmi i vestiti. Possiamo comprare i vestiti come abbiamo fatto in passato, e finalmente avrò un bell’arrosto d’oca come ho sempre sognato; ed inoltre le piume con cui posso imbottire il mio cuscinetto. Esci e mettila nel pollaio.

– Bene, – disse Gudbrando – non ho neppure l’oca, perché poco dopo l’ho barattata con un gallo.

– Mio caro! – gridò la moglie. – Come pensi a tutto! Avrei voluto farlo io stessa! Un gallo! Hai proprio indovinato! Sostituisce benissimo l’orologio; ogni giorno canterà alle quattro e ci farà buttare per tempo dal letto le nostre pigre gambe. Che cosa ce ne saremo fatti di un’oca? Non so cucinarla, e in quanto al cuscino lo posso imbottire con crine vegetale! Esci e mettilo nel pollaio!

– Ma, per dir la verità, non ho neppure il gallo – dichiarò Gudbrando. – Perché poco dopo mi è venuta una fame da lupi e, per non morire, ho dovuto vendere il gallo per un fiorino.

– Sia ringraziato Iddio! – gridò la moglie. – Qualunque cosa tu faccia, la fai per rendermi contenta. A che cosa ci sarebbe servito un gallo? Non dipendiamo da nessuno e al mattino possiamo stare a letto quanto ci pare e ci piace. Il cielo sia lodato che ti ho ancora qui sano e salvo; tu fai tutto così bene che non voglio né gallo, né oca, né maiale, né mucca.

Allora Gudbrando aprì la porta e disse:

– Ebbene, che cosa ne dite? Ho vinto i cento zecchini?

E il suo vicino dovette ammettere di aver perduto e pagare.

 

25 pensieri su “Gudbrando il montanaro

  1. Tomaso

    Perdonatemi, ma non ho compreso la morale. Cioè, per carità, è vero che bisogna sempre cercare di essere ottimisti, di vedere il bicchiere mezzo pieno, che in ultima analisi qualsiasi scambio fatto dal marito poteva essere giustificato, che cercare il positivo nelle azioni altrui è sempre giusto e foriero di bene, però mi pare anche che se non ci fosse stata la scommessa con l’amico, il nostro montanaro è partito con una mucca ed è tornato a mani vuote. Che poi questo non debba giustificare un divorzio, siamo tutti d’accordo, ma nemmeno che si debba esultare per la poca avvedutezza del nostro Gudbrando. Poi ovvio che rimproverare Gudbrando ormai non sarebbe servito a nulla se non a creare tensioni interne, ma non si può nemmeno sopprimere la verità a riguardo della sua stoltezza solo per evitare tensioni.
    Insomma, qualcuno può spiegarmi dove si vuole andare a parare con questa novella?
    Grazie.

    1. Elena Maffei

      La moglie è difficile da capire perché lei privilegia la relazione rispetto all’azione. Credo che questo sia il senso della storia. In fondo lo fa anche Gudbrando, perché è sicuro di essere amato a prescindere. Il matrimonio cristiano è tutto qua… mio marito sa che lui ed io siamo “uno”, Dio e la Chiesa ci hanno resi “uno” per sempre. Se sbaglia, sbaglio con lui: mi, lo, ci perdoniamo e si va avanti. Chi se ne frega delle mucche, quando ho questo? Seconda parte inspiegabile della moglie: non desidera nulla perché ha Gudbrando.
      Posso azzardare che la moglie è Dio? Ma forse mi sono lasciata prendere la mano…

    2. Scusate, io sono nuova di questo blog, e non vorrei fare la figura del “saccente”, ma a me pare una chiara allegoria del rapporto tra Dio e l’Uomo. Il marito, simbolo di Dio, trova piena fiducia nella moglie, simbolo dell’Uomo, che sa che qualunque cosa accada, qualunque avvenimento Dio “mandi” all’uomo, è sempre per un buon fine. Solo fidandosi di Lui, come la moglie fedele al suo ruolo, si puà ottenere il centuplo anche dalle situazioni meno “umanamente” positive e vantaggiose. Mi fa pensare, insomma, a una allusione, magari non voluta, ma presente, al frutto dello Spirito della Benevolenza.

        1. Elena Maffei

          Direi che questa favola è come l’Aulin: cura un sacco di sintomi e costa poco! Chiaramente meglio i farmaci equivalenti che costano ancora meno, ma era per capirsi fra noi!

            1. Grazie, Elena… si, mi sembra proprio un bel posto, molto stimolante… il nome è Cinzia, polisemantica è il blog, ma non riuscivo a entrare con il mio nome, solo con quello di wordpress 🙂

  2. Mari

    Questa storia la racconto alle mie amiche e alle mie collaboratrici a lavoro quando le lamentazioni sui mariti cominciano .
    Ci facciamo una bella risata e meditiamo ( anche io ripetendola spesso) .
    Grazie Admin e grazie Costanza.

  3. Nulla di meglio di una buona metafora con presenza di un climax ascendente per raggiungere i cuori e le anime in modo efficace. In fondo anche Gesù, profondo conoscitore della umana comunicazione usava tali strategie narrativa 🙂

  4. Mari

    Fondamentalmente vuol dire ,credo,cercare di comprendere le ragioni dell’altro, vedere in ogni azione del marito ( o della moglie) qualcosa di positivo, non “aggredire ” sempre è comunque .
    L’essere unico soggetto anche in coppia …maschio e femmina li creò per vivere insieme ,per diventare una sola carne,un solo pensiero …condividere, comprendere, amarsi …accettare l’altro anche quando pensiamo stia sbagliando…credere nel suo amore e nella sua buona fede

  5. Tomaso

    Grazie per i commenti. Effettivamente cercavo chissà quale filosofia ed invece la morale era molto più semplice, ma non per questo meno utile o vera. Adesso ho compreso meglio la storia.

  6. Patrizia

    Scusate, ma preferisco la parabola dei talenti allora perchè lì quello che non fa viene “sgridato”.
    Mi sembra che in questa alla fine venga elogiato il fatto che qualunque cosa tu faccia sarà sempre positivo, senza pensare agli altri e alle conseguenze che ricadono anche su di essi. E il Gudbrando qui che pensa “va beh, anche se sbaglio, non vengo sgridato” mi sembra proprio lo stereotipo del tipo che fa qualunque errore gli passi per la testa e poi redimersi quando gli fa comodo, e a volte nemmeno in QUEL momento. Anzi mi dà l’impressione che se il seguito fosse che la moglie gli va a chiedere di vendere l’altra mucca, lui farebbe esattamente le stesse cose.
    Mi dispiace, non la vedo positivamente perchè altrimenti non ci si dovrebbe nemmeno sforzare di migliorarsi.

    1. Sara

      Patrizia, scusa se mi permetto, ma perché il paragone con la parabola? Certo nessuno qui vuole contraddire il Vangelo (e del resto non vedo come questo racconto potrebbe farlo)!
      E poi: è una storia! Cosa c’entra dire: “se il seguito fosse che la moglie gli va a chiedere di vendere l’altra mucca, lui farebbe esattamente le stesse cose”? Non c’è nessun seguito! C’è solo da trarre l’insegnamento molto utile che Costanza spiega così bene e cioè che non bisogna sempre lamentarsi di come l’altro fa le cose (perché -tra parentesi ma neanche tanto-io le avrei fatte meglio), ma bisogna cercare di apprezzare il buono che c’è, cercare di capire (a Gudbrando ne son capitate parecchie per strada) e soprattutto avere fiducia nell’altro. Inoltre, come dice Costanza, questo non significa rassegnarsi, cioè non significa andare al ribasso e accontentarsi della mediocrità, ma lottare insieme, nella fiducia e nell’amore reciproco, per migliorarsi a vicenda. Altro che “non ci si dovrebbe nemmeno sforzare di migliorarsi”!
      Ecco, la storia di Gudbrando insegna questo! Non ci sono risvolti negativi di alcun tipo!

    1. admin

      da SPOSALA E MUORI PER LEI di Costanza Miriano

      […] La via pratica suggerita da san Paolo invece funziona sempre: “Stimate gli altri migliori di voi”, e il testo non prevede un comma “sul miglioramento del marito”, purtroppo. Un uomo non resiste, letteralmente, a una donna che lo approva lealmente, onestamente, non per tattica, ma perché per principio lei sta davvero dalla sua parte. Davanti a una donna così l’uomo si scioglie, prende a venerarla, e più lei gli obbedisce, più lui è indotto a servirla e compiacerla. Ci tengo tantissimo a sottolineare, nel caso che non lo avessi chiarito come merita, che questa non è un’altra delle tecniche manipolatorie in cui siamo così brave, né una disciplina orientale che insegna il dominio di sé, inducendoci, che so, a mangiare alghe invece che prorompere in urla isteriche. È invece la vera convinzione che il punto di vista dell’uomo compie il nostro, e che accoglierlo ci fa più grandi e più felici. È il riconoscimento della nostra tendenza a dominare, e del nostro bisogno di essere guarite. Ogni volta che ricacciamo la critica facciamo un passo avanti verso la nostra pienezza. Non ci pentiremo mai di avere obbedito per amore.
      Poiché invece io tenderei ad accogliere mio marito reduce da lavoro, attraversamento della città in solitaria senza cani da slitta, tappa in farmacia, panetteria, ferramenta, ritiro di uno o due figli, con un “certo, se fossi passato anche a prendere la carne sì che mi avresti aiutato”, e ovviamente omettendo di ringraziarlo, con le mie amiche abbiamo deciso di fondare le truppe delle mogli di Gudbrando il montanaro, e siamo già in diverse ad essere arruolate.
      […] Noi delle truppe “mogli di Gudbrando” proviamo a fare così. Capovolgiamo la nostra innata inclinazione a trovare sempre qualcosa che non va, e impariamo al contrario a ringraziare e a trovare il bello in tutto quello che nostro marito fa, nel suo modo, col suo stile, coi suoi tempi. E Gudbrando, a ben vedere, è una figura di uomo positiva, che nella sua intraprendenza mette la sua energia positiva nel mondo, lo feconda, getta il seme, un seme che magari non sempre va a buon fine, non sempre porta frutto, ma questo è il compito dell’uomo. Uscire fuori e fecondare il mondo.
      Il punto è avere un pregiudizio positivo verso di lui, pensare comunque bene, a prescindere, tanto per cominciare. Non vuol dire smettere di lottare con lui, non è un amore rassegnato, ma un amore accogliente.

  7. Patrizia

    Sarà, ma se accolgo l’altro senza dargli spunti per migliorarlo, come lui stesso fa con me, cioè con accorgimenti positivi e non negativi, mi pare che possa mancare qualcosa, una spinta di cui credo tutti necessitiamo.

  8. Angelo

    admin graziegraziegraziegraziegrazie!!!!!!!!!!
    questa parte del libro non la ricordavo… DA RILEGGERE!!!!!!!!!!!!!

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