di Andrea Torquato Giovanoli
L’altro pomeriggio ero dal dentista, da solo ed in attesa di andare sotto i ferri, e sfogliando distrattamente le riviste in dotazione allo studio ascoltavo, altrettanto distrattamente, la radio in sottofondo, quando ad un certo punto hanno mandato in onda una vecchia canzone di Vasco Rossi, se non sbaglio del lontano (lontanissimo oramai) 1985: “Cosa succede in città”.
Cercando di rilassarmi (per quanto ci si possa rilassare nella sala d’attesa del dentista), mi sono lasciato cullare dalla nostalgia dei tempi andati, canticchiando a bassa voce le parole della canzone, quando ad un tratto è sopraggiunto il famigerato ritornello: “Egoista? Certo: perché no?! Perché non dovrei esserlo? Quando c’ho il mal di stomaco: con chi potrei condividerlo?”…
Sorridendo allora ho iniziato a ragionare tra me e me: “E come darti torto caro Blasco?”.
Pensando infatti al mal di denti che mi aveva lasciato insonne la notte precedente, mi son trovato a constatare come l’uomo, nelle circostanze dolorose della vita, sperimenti invero un’estrema solitudine, tanto che nessuno, nemmeno la consorte, il fratello od il più caro degli amici può davvero condividere con lui una sofferenza profonda che lo attanagli nella sua propria carne.
E proprio mentre così assorto mi arrovellavo, di rimbecco il cantautore modenese emetteva la sua umanamente inappellabile sentenza: “Quando c’ho il mal di stomaco: ce l’ho io, mica te, o no?!”…
Ma se davvero le cose stanno così allora ogni uomo è un isola, irrimediabilmente condannato a vivere un’esistenza incondivisibile, nel dolore, come anche nella gioia a questo punto, e allora tanto vale dare ragione al buon Vasco: conviene essere egoisti.
Confesso che per un microsecondo mi sono tremate le vene nei polsi al pensiero tentatore che questa fosse una possibilità incombente, poi però mi son subito sentito confortato nella certezza che, grazie a Dio, per il credente non è affatto così.
Poiché l’Onnipotente, prendendo su di sé la carne, ha fatto della passibilità creaturale una Sua prerogativa, associando, per sempre e per tutti, la natura umana a quella divina. Per contro, ogniqualvolta l’uomo si trova a vivere un frangente doloroso ha l’opportunità di non chiudersi nell’apparente solitudine della sofferenza, ma può accogliere la prova come occasione di comunione con quel Dio che per primo e più profondamente ha fatto proprio, divinizzandolo, il malessere dell’uomo.
Ecco che allora la notte prima, mentre il molare dolorante mi toglieva il sonno nel tormento ed io invidiavo un po’ il quieto sonno muliebre, non ero affatto da solo, ma c’era Gesù a patire con me, ed io ho avuto l’occasione di vivere in comunione con Lui quel medesimo dolore che la guardia del sinedrio gli procurò col suo ceffone (Cfr. Giovanni 18,22): in altre parole ho avuto l’occasione di non vivere più solo da uomo, ma da Dio!
Indi per cui, caro Vasco, non mi freghi, perché: “Quando c’ho il mal di stomaco: ce l’ha Dio insieme a me, o no?!”…
Ma forse ogni tanto (spesso) lo procuriamo noi a Lui il mal di stomaco… 😉 😐
Di fatto “l’uomo, nelle circostanze dolorose della vita, sperimenta invero un’estrema solitudine, tanto che nessuno, nemmeno la consorte, il fratello od il più caro degli amici può davvero condividere con lui una sofferenza profonda che lo attanagli nella sua propria carne.”
Tanto che pare lo stesso Dio si sia dimenticato di noi… non è forse ciò che neppure a Cristo (vero Dio ma altrettanto vero Uomo) è stato risparmiato?
Là, su quella croce, in quell’ora, dove dolore e solitudine si sono uniti in un unico straziante grido: «Elì, Elì, lemà sabactàni?» … «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»
Ma ancora prima del dolore: “se è possibile allontana da me questo calice”. Questo mi fa capire più di ogni altra cosa che siamo davvero figli di Dio perchè Gesù ha provato le nostre debolezze sicuramente per amore ma anche per regalarci la sua grandezza grazie alla quale riusciamo ad affrontarle (“senza la tua forza nulla è nell’uomo….”)
Ottimo Giusi 🙂
E “a seguire”: «… Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà.»
L’unico modo per “entrare” nel dolore, quello preannunciato o quello improvviso, ed uscirne (ma anche restarvi…) facendo esperienza della Resurrezione.
Ligabue tutta la vita! 😉
Grazie Andrea,
ora lo condivido con chi so io… e le farà bene!!
Andrea: smack! Questo sescondo me dovrebbe essere il “cammino dei cristiani”… trarre anche dal dolore di un molare un’occasione per meditare sull’Amore di Dio! 😀
Va bene, il dolore al molare resta, ma è tutta un’altra cosa. 😉
Blasco: non ti offendere… ma ammappate se sei brutto! E adesso vado a guardarmi allo specchio per vedere quanto sono brutta io… 😉
Un frate cappuccino a me molto caro, una volta disse che Vasco Rossi in fondo fa anche delle domande giuste, a cui però non sa dare risposta… infatti è un cantautore che trasmette un’infinita angoscia e tristezza.
Vero Silvia, come sono la maggior parte dei discorsi delle persone comuni, quando Dio è escluso dal proprio “orizzonte” 😐
Così vale anche per noi, quando… come sopra.
Io amo il Blasco, non la sua filosofia, ma lo amo perché è un genio nel dire le cose nude e crude come stanno…certo, come stanno quando uno non accetta di avere Gesù come amico, o non ha avuto la grazia di incontrarlo. Mi fa pensare a come sarei io senza Gesù, ecco! Vabbè ok, sono di parte perché Vasco secondo me è straordinario, ma quante volte (tante tante…sono fatta così!) mi sono trovata a fare riflessioni come la tua Andrea sulle parole delle sue canzoni!
Invece, in merito ad avere il mal di denti con Gesù…ieri parlavo con mio marito e dicevo che quello che mi piacerebbe per i miei figli, la cosa che desidero di più oltre al fatto che siano Salvi, è che siano amici di Gesù, che abbiano un dialogo con Lui, un rapporto. Perchè davvero, quando non ne puoi più, quando la vita stringe (a 3 anni per motivi da bambino, a 35 per motivi da donna, moglie e madre), non c’è nessuno, proprio nessuno che per quanto si sforzi o sia dotato riesca a consolarti come hai bisogno tu, nessuno. C’e solo Uno che Consola, c’è solo Uno da cui ci si sente amati tutti interi ed è Gesù. Così come di fronte alle cose belle, anche alle persone belle, l’Unico da ringraziare è sempre lui, Gesù.
Vasco Rossi è, io credo, un grandissimo poeta, che canta la solitudine dell’uomo la sua tristezza, lo spaesamento davanti alla freddezza della società moderna. Basta ascoltare un capolavoro come “Vivere una Favola” per rendersene conto, ma per rendersi conto anche di quanto sia triste e vuota la sua visione della vita. Mi fa bene ascoltare Vasco, mi fa sentire magari triste, ma certamente bisognoso, e quindi credente; magari non fa bene idolatrarlo come maestro di vita come purtroppo fanno tanti che si sono persi per strada il Signore. Però quello struggimento che canta, credo possa fare molto bene… Insomma, come sempre è meglio non tentare di estirpare la zizzania anzitempo, perché il Signore ci ha piantato in mezzo spighe di grano che possono dare molto frutto. Assumere l’antibiotico Vasco, si, ma non dimenticare i fermenti lattici Jesus… 😉
Nicola: concordo su Blasco poeta. L’ho “amato” per anni. Attualmente mi è indifferente, ma l’artista so riconoscerlo indipendentemente dai miei sentimenti. Ha la capacità di stimolare. E’ vero che non cerca poi soluzioni tantomeno nella fede. Se incontrasse Dio, come è successo ad uno dei suoi chitarristi, dopo un pellegrinaggio a Medjugorje… sai che capolavoro ne verrebbe fuori! 😀
Grandissimo poeta mi pare un’esagerazione e allora Dante che è?
Vabbé dai, non ci perdiamo nelle sfumature… E’ ovvio che non c’è paragone con un Dante… Ma in generale tutta la nostra cultura è più modesta di tanta cultura del passato (non a caso Dante è una delle massime espressioni dell’arte cristiana… bisognerebbe che se lo ricordasse chi critica il passato della nostra civiltà). Comunque Vasco Rossi ha una grandissima sensibilità poetica, credo glielo si possa riconoscere, a prescindere da se piaccia o meno.
OT, a Costanza. Urge dire qualcosa di convincente alla Boldrini: temo stia perdendo il senno… Il suo ultimo anatema contro la mamma che serve la cena in tavola ha del delirante.
a me sembra sempre coerente con quello che altre volte ha detto: quello della donna anni ’50 (1550-1950) non può essere l’unico modello.
Che si possa essere felici a sceglierlo (come d’altronde CM invita) ben venga, ma che ci siano anche altri modelli alternativi, ed altrettanto degni ecco, magari anche questo, non mi sembra sbagliato ricordarlo.
A me sembra che sfioriamo l’assurdo attribuendo a un gesto di normale cura un significato di oppressione.
Ci siamo proprio, nell’assurdo, Lalla. Ma non c’è da meravigliarsi. La Boldrini ha dato ripetutamente prova di essere la vestale del politicamente corretto, cioè della stupidità travestita da conquista del progresso.
La Boldrini ha detto: “Penso alla pubblicità, a certi spot italiani in cui papà e bambini stanno seduti a tavola mentre la mamma in piedi serve tutti; oppure al corpo femminile usato per promuovere viaggi, yogurt e computer. Spot così, vi assicuro che in altri paesi europei ben difficilmente arriverebbero sullo schermo”.
Come scrive Tiliacos: “a furia di voler stanare stereotipi di genere ovunque (nell’uso del colore rosa da interdire alle bambine e da incoraggiare nei maschi, nelle favole da cui cancellare principi azzurri, nella pubblicità che propone donne asservite alla casa) si rischia il ridicolo.
Non perché non ci sia a volte un uso pessimo, pretestuoso, desolante delle donne in pubblicità, in Italia e altrove. Ma, proprio perché capita, è con la famigliola riunita attorno al desco (mamma, papà, figli e magari pure nonno, come oltretutto non capita più così spesso, purtroppo) che deve prendersela la presidente?
Come se portare in tavola una zuppiera o il bricco del latte, per una donna, fosse qualcosa di umiliante, una tortura indicibile, un’attività degradante?
Non sarà invece che proprio Laura Boldrini, con la sua lezioncina sugli spot made in Italy dove le donne “in piedi, servono tutti”, contribuisce a svilire il lavoro di cura? Un lavoro che è anche cura delle relazioni, e che può contenere anche una notevole dose di potere, come il femminismo ben sa? Un lavoro al quale moltissime donne non solo non vogliono rinunciare, ma che rivendicano come modello nuovo anche per la politica, sicuramente da condividere ma comunque da riconoscere nel suo valore?”
http://www.ilfoglio.it/soloqui/19960
So bene purtroppo che tipo di cultura la Boldrini rappresenta, e come stia usando la sua carica istituzionale per realizzare la sua e altrui agenda politica di “rieducazione e delle masse”. Questa mentalità distorta della libertà soggettiva a tutti i costi e del diritto di scelta sempre e comunque, questa logica di contrapposizione e potere tra uomo e donna fino all’estremo della negazione della loro stessa naura, ecc.: è tutto nel pacchetto progressista, diciamo. Ma stavolta mi è sembrata una sparata talmente assurda e ridicola da poter smascherare da sola la distorsione di fondo. Mi sa che sono ingenua… Grazie per l’articolo, Alessandro. Anche Eugenia Roccella le ha risposto bene, ma non trovo il link adesso.
Comunque, saltando di palo in frasca ma non troppo, credo proprio che, pur non essendo la mia marca preferita, ricomincerò a comprare Barilla… 🙂
Divertiti… 😉
“Ed i teologi credono ed ammettono e predicano su colui che per sé può compiere ogni cosa, ma che non era in grado di curare quelli che non avevano fede in lui, e l’esauriente spiegazione di simile impotenza va riportata all’immaginazione, che egli non fu in grado di ligare.”
(Giordano Bruno)
La chiusa del tuo post è fantastica. Mi ha fatto sorridere e pensare insieme. Grazie
Stefano
Caro Andrea, hai uno sguardo sulle cose ordinarie, sulle situazioni di tutti i giorni, che le trasfigura, andando oltre il visibile.
Questo tuo pensiero mi muove a sentimenti intuiti, ma non ben identificati dalla mia capacità di comprensione: “ogniqualvolta l’uomo si trova a vivere un frangente doloroso ha l’opportunità di non chiudersi nell’apparente solitudine della sofferenza, ma può accogliere la prova come occasione di comunione con quel Dio che per primo e più profondamente ha fatto proprio, divinizzandolo, il malessere dell’uomo.
Ecco che allora la notte prima, mentre il molare dolorante mi toglieva il sonno nel tormento ed io invidiavo un po’ il quieto sonno muliebre, non ero affatto da solo, ma c’era Gesù a patire con me, ed io ho avuto l’occasione di vivere in comunione con Lui quel medesimo dolore che la guardia del sinedrio gli procurò col suo ceffone (Cfr. Giovanni 18,22): in altre parole ho avuto l’occasione di non vivere più solo da uomo, ma da Dio!”
E mi ha fatto venire in mente che qualcosa di analogo era emersa quando si parlò della preghiera di intercessione per chi soffre ed è malato. Ho ripescato il pensiero scritto quel giorno, che con sorpresa ho trovato affine alla tua riflessione di oggi. 21 febbraio 2012 alle 15:44 Solo per dire che mi hai ricondotto in sentieri poco frequentati. Grazie
Mah, Vasco Rossi…dico in sintesi cosa ne penso: testi da tredicenni, basati generalmente su un’attitudine accidiosa che vede la vita sulla base di: “E’ colpa di qualcun altro se io sto così”. Ed appunto tocca le corde dei lamentosi e dei “ribelli” in erba, i quali si accontentano delle parole carezzanti la loro indole lamentosa piuttosto che vedere la realtà e gli effetti che questo personaggio produce in termini di “pensiero debole”, senza minimamente cogliere la sua maniera di intendere la vita nella pratica.
La cosa curiosa è che vengono considerati generalmente come “lamentosi” cantanti tipo Battisti, Baglioni e simili quando il vero re del lamento è lui; questo forse perchè si è poco abituati a leggere nel profondo i testi e ci si lascia affascinare dalle arie musicali indubbiamente accattivanti e piacevoli, condite da batterie e chitarre che gli danno l’aria del rockettaro rivoluzionario.
A chi sembra esagerato quello che dico consiglio di leggere attentamente il testo di “Un senso”, l’inno di questa generazione di giovani (e anche meno giovani), dove esprime un solo concetto (già tanto, rispetto allo standard delle sue canzoni) in svariate forme. Il messaggio di fondo, tra l’altro, ha un indirizzo anticristiano abbastanza marcato in termini di “senso della vita”, appunto.
E di Gabri ne vogliamo parlare? Praticamente un inno alla pedofilia! Ma si sa c’è chi può e chi non può! E la famosa vita spericolata? Praticamente ubriacarsi e drogarsi. Ma che modello è? Allora preferisco De Andrè, Gaber e Dalla anche se i grandi poeti sono altri
Giusi: ho sempre amato i cantautori italiani, a parte pochi. Credo che sia una poesia anche quella. “Grandi poeti” sono d’accordo con te che non lo siano. Comunque credo che la poesia sia un elemento soggettivo e quindi anche le canzoni. A me un testo può dire molto e a te nulla. Come i quadri… Adesso non mi si spari, anche se una certa cultura artistica… nel cassetto… ce l’ho ancora… alcuni quadri e alcune poesie di “grandi” non mi dicono né danno nulla…
Cara Angela, secondo me il fatto che alcuni quadri e alcune poesie di “grandi” non ci dicano né diano nulla non significa che non siano tuttavia quadri e poesie, ovvero opere d’arte. D’altra parte il fatto che a qualcuno i testi delle canzoni di Vasco (e di altri con lui) possano dire molto non significa che siano poesia! Insomma, questo per dire che la poesia è “un elemento soggettivo” fino a un certo punto! Diverso è dire che sono soggettive le reazioni o le interpretazioni (ma anche queste ultime fino a un certo punto!) di ciascuno di fronte alla poesia o alla canzone, così come a qualsiasi altra cosa.
Alessandro e Lalla, sono d’accordo con quanto avete scritto a proposito delle affermazioni della Boldrini.