Non credete ai distruttori delle regole che parlano in nome dell’amore. Là dove la regola è frantumata, l’amore abortisce.
(Gustave Thibon)
Dopo aver dato via libera al mariage pour tous, in Francia hanno pensato bene di sdoganare anche la recherche pour (et sur) tous dei bioetici faustiani. Oltreoceano non sono certo rimasti a guardare. Negli USA il regno dell’amore universale è già sceso sulla terra: love is love, ha sentenziato il Presidente (Obama locuta, causa soluta?). È noto che al cuore, soprattutto se è quello dell’uomo più potente d’America, non si comanda.
In Italia invece, com’è nostro costume, stiamo pensando a come scimmiottare con celerità cugini transalpini e alleati americani.
L’agenda ingegneristico-sociale dei biopoteri non accenna dunque a soste: aborto, PMA, clonazione, eugenismo, eutanasia, istituzionalizzazione di qualsivoglia desidero poliamoroso.
Il caos, all’apparenza, regna sovrano. Eppure, a ben vedere, c’è un filo rosso a legare tra loro le infinite aberrazioni della biopolitica contemporanea. Il mondo occidentale, sottolinea la psicoanalista Janine Chasseguet Smirgel nel libro Il corpo come specchio del mondo, è animato da una autentica rivolta contro l’ordine biologico. È più che mai in atto quell’insurrezione contro la natura auspicata da «estremisti del sesso» come, tra gli altri, uno dei venerati maestri della queer theory: il filosofo francese Michel Foucault, l’autore della celebre Storia della sessualità morto di AIDS nel 1984 (*).
Perversione e spersonalizzazione
Ammiratore di Sade e come lui cultore di una sessualità cruenta, distruttiva e sanguinaria, rispetto al “Divin Marchese” Foucault è mosso da una necessità ancor più radicale: smantellare, de-gerarchizzare e dis-organizzare il corpo umano. Come attesta il suo biografo James Miller, il teschiuto pensatore manifesta in più occasioni un’evidente attrazione per esperienze-limite che hanno come oggetto il corpo umano disarticolato, dilaniato, torturato, straziato da perversioni sessuali sempre più estreme. Il fascino per la sessualità oscura e devastatrice del sadismo è saldato in lui a un implacabile interesse per la morte (il suicidio sarà la costante tentazione della sua vita).
Mentre è ossessionato da questo funereo universo del supplizio, dell’abiezione e dello smembramento, Foucault si concentra con maniacale attenzione sui temi della reclusione, del controllo, della disciplina, della tortura. In una parola, sul problema del potere, altro momento di fondamentale importanza nella sua opera.
Il filosofo francese, che vede bene il legame tra sesso privo di norme e «diritto illimitato alla mostruosità onnipotente», vagheggia un sogno di dominio assoluto da esercitarsi proprio sul corpo, concepito alla stregua di un sistema carcerario. Occorre dunque, secondo una concezione tipicamente gnostica, evadere dalla prigione corporea, emanciparsi da qualunque ordine, svincolarsi da ogni norma precedente la propria volontà.
A originare una così radicale svalutazione del corpo, che assume l’aspetto di un sudicio rivestimento degno solo di disprezzo, è la drammatica scissione tra io corporeo e io psichico. Ciò che spinge a farne oggetto di perversione, spiega Chasseguet Smirgel, è l’unione della sete narcisistica col desiderio di onnipotenza. La perversione affonda le sue radici in un humus psichico che vuol realizzare l’impossibile, come procreare con corpi sessualmente omogenei o utilizzare, invertendone ruolo e funzione fisiologica, tutte le zone erogene. È così che gli eroi dei romanzi di Sade diventano, attraverso un processo di distruzione che passa per la trasgressione, il sacrilegio e l’inversione di tutti i valori, i creatori di una nuova realtà. L’ardente volontà di soddisfare una hybris illimitata finisce per alimentare una libertà informe che transita dal “tutto è permesso” per approdare al “tutto è possibile”.
Non sfuggirà come questa esigenza dis-integratrice richieda di sconfessare ogni differenza naturale, anatomo-biologica, in primo luogo quella sessuale. Si apre così il campo a una radicale de-personalizzazione del corpo, privato perfino delle caratteristiche del sistema vivente. Prende forma una concezione della corporeità come materia plastica, indifferenziata, infinitamente plasmabile e priva di ogni gerarchia, preannuncio di una società fatta di ibridazioni sempre più audaci. Il punto d’arrivo sarà, evidentemente, la cancellazione della differenza tra artificiale e naturale.
Disprezzo della carne e logica della disincarnazione
Chasseguet Smirgel vede in questa congiunzione tra Eros, Thanatos e Narciso la realizzazione di desideri ispirati da inconsce concezioni gnostiche. Secondo lo schema gnostico la salvezza viene dalla conoscenza speculativa o dalla padronanza tecnica di sé. Ne consegue che il peccato massimo sta nell’ignoranza e nella debolezza, è scritto cioè nella stessa condizione carnale dell’uomo (il corpo come prigione dell’anima).
Nota acutamente Fabrice Hadjadj che quest’etica della padronanza e dell’indipendenza è la morale propria del demonio, che «non ha passione che dirotti la sua volontà, né rappresentazione che alteri la sua intelligenza. È perfettamente padrone di se stesso. Non ha cercato nulla più di ciò che dipende da lui solo. La sua cittadella interiore è così inespugnabile che Dio stesso non riuscirebbe più a entrarvi». (F. Hadjadj, La fede dei demoni, tr. it., Marietti, Torino 2010, p. 185).
Né la debolezza né l’ignoranza raggiungono infatti il demoniaco assoluto. Ben peggio che lasciarsi travolgere della passioni o dalle false rappresentazioni dello spirito è disprezzare la carne e la sua debolezza in nome di uno spiritualismo superbo che conduce, presto o tardi, al disprezzo della carità.
La logica del controllo totale è, quindi, omogenea alla logica della disincarnazione. C’è invece un vincolo profondo tra carne e carità, che si rassomigliano, ricorda sempre Hadjadj, per due ragioni almeno. Amare, così come essere carnali, equivale ad “avere un debole”, infrange le illusioni narcisistiche di autonomia totale, porta anzi a una certa dipendenza dall’oggetto amato. Quanto alla carne, la sua debolezza è congenita. Vivere in un corpo fatto di carne significa essere vulnerabili, costantemente esposti al rischio grande e tremendo della ferita. Entrambe, tanto la carne quanto la carità, accolgono perciò una morale che non è quella della padronanza né quella della performance. Esigono un abbandono di sé, richiedono un affidamento che ci strappa dalle soffocanti ristrettezze dell’ego.
Odium naturae, odium vitae
L’odio per la natura e la feroce avversione per ogni ordine biologico discendono in maniera diretta, consequenziale, dall’impura alleanza tra questa morale della padronanza col culto della morte.
Cos’è a dare fastidio nella natura? È la sua bidimensionalità, che ci impedisce di poter essere, noi, a produrla, levandoci l’illusione di essere padroni della vita.
Già l’etimologia provvede a rammentarci la stretta parentela tra natura e nascita. Com’è noto, natura deriva dal latino natus, participio passato di nasci, cioè nascere. Ora, nella nascita, cioè in natura, va considerata la presenza di una duplice dimensione. Da un lato nel nascere è sempre presente una ricombinazione di elementi. All’atto di venire al mondo siamo, in parte, l’esito di una sintesi di geni e molecole che già c’erano.
In parte, ma non solo. Qui sta il paradosso. La sola ricombinazione non basta a spiegare perché dal niente si passi all’esistente, perché venga al mondo un io che prima non c’era. Si vede quindi come nella nascita sia compresa un’altra dimensione: la novità che viene al mondo.
Sul palcoscenico della storia umana si affaccia un essere che al contempo è frutto di una combinazione del patrimonio genetico dei genitori e tuttavia affatto diverso da loro. Ogni concepito, ente superiore alla semplice sommatoria delle parti in causa, è novità irriducibile a ciò che l’ha preceduto e generato. Unicum irripetibile. Rinnovamento, non mera ripetizione.
Nel processo in cui semplicemente tutto si ricombina, nulla accade che l’uomo, almeno in linea teorica, non possa a sua volta riprodurre. Del venire al mondo invece non siamo signori e padroni. Dimensione misteriosa e imprevedibile, indipendente dalla volontà umana, la creazione ex nihlo non è decisamente ascrivibile al campo del nostro dominio.
È possibile, certo, riassemblare le cose, ricorrere alla più raffinata ars combinatoria nella speranza che dalla mescola possa magicamente sorgere qualcosa di inedito. Ma comunque sia, ciò fatto, occorre pur sempre rimettersi alla natura e attendere che, di nuovo, “la cosa si faccia”.
Non solo quindi la natura non esclude il mistero, ma, a pensarci bene, lo richiede.
La congiura contro l’imprevedibile
È precisamente questa componente di imprevedibilità a inquietare le sconfinate ambizioni di quel potere degenerato noto come totalitarismo. Si ricorderà come nel Brave New World huxleyano la stabilità rappresenti il dogma supremo. E non è un caso che unico a ribellarvisi sia John, l’«uomo selvatico». Analogamente in Noi, il romanzo distopico del russo Evgenij Zamjatin, accade che la troppo imprevedibile fantasia umana sia considerata una patologia da estirpare chirurgicamente, mentre i cittadini dell’onnipotente Stato Unico sono stati privati di ogni contatto con la natura, isolati da un invalicabile muro verde.
Ridurre a zero l’incertezza, assicurarsi la totale tracciabilità del reale: la razionalizzazione scientifica del vivente. Si tratta, ancora una volta, della perversa volontà di far accadere l’impossibile, di assicurare il trionfo dell’irrealtà. Ricorre sempre la medesima, ostinata ossessione del controllo e della padronanza già vista all’opera in Foucault.
Si capisce bene perché tutto ciò che sussiste allo stato naturale debba ergersi come insormontabile ostacolo rispetto a ogni modello panottico di controllo totale, la tipica, psicotica pretesa del potere insuperbito.
Nella natura, come s’è visto, c’è sempre qualcosa che sfugge al controllo. La novità, imprevedibile e preziosa dimensione che assicura uno spazio di libertà agli esseri umani, è ciò che impedisce di ridurre l’esistente a una gigantesca macchina sociale.
La congiura contro l’imprevedibile consegna l’uomo a una sorta di fabbrica dell’universale felicità terrena, a un vasto, univoco e agghiacciante processo automatizzato. È, in fin dei conti, l’utopia eterna con cui gli uomini, come scriveva T. S. Eliot, «cercano sempre d’evadere / Dal buio esterno ed interiore / Sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno / avrebbe bisogno d’essere buono».
Giochi (di potere) senza frontiere
Circola in Occidente una seducente quanto sciocca convinzione, ha osservato Régis Debray nel suo Elogio delle frontiere. L’idea cioè che l’umanità possa trarre vantaggio da un mondo senza frontiere. E questo non sorprende, poiché la rivolta contro l’ordine biologico, come già detto, trae nutrimento dal desiderio di spostare in avanti le frontiere del possibile, fino al punto di incrocio tra ebbrezza dell’illimitato e ossessione della padronanza onnipotente.
Effettivamente l’ostacolo più rilevante al controllo integrale e alla riduzione totale dell’incertezza è quella particolarissima frontiera che separa ciò che è interiore da ciò che è esteriore. Negli esseri viventi è l’esistenza di una frontiera epidermica, la pelle, ad assicurare l’interfaccia tra interiorità e esteriorità. Giunzione tra un di fuori e un di dentro, l’epidermide, si noti bene, non è affatto l’equivalente di una schermatura impermeabile. La pelle, dice sempre Régis Debray, funge piuttosto da filtro, è un sistema di regolazione degli scambi. Frontiera che regola il passaggio, non muro che lo impedisce.
Ogni profondità esige uno spazio di decantazione, è solo dotandosi di uno strato al contempo isolante e connettivo che un essere vivente può formarsi. È esattamente questo a costituire la specificità irriducibile del vivente e a distinguerlo dal non-vivente.
Non aveva del tutto torto Valéry a dire che «ciò che nell’uomo vi è di più profondo è la pelle». Uno sciagurato sovrannaturalismo ci ha fatto dimenticare che il corpo è ben più che lo strumento dell’anima. Non è semplice fenomeno. È manifestazione, espressione dell’anima, alla quale è congiunto a tale livello di profondità da costituire un unico essere. E del corpo l’epidermide è forma, morbido stampo, è il limite che custodisce la vita, consentendole di svolgersi in una raccolta armonia. Tramite del tatto, il senso fisicamente più esteso, la pelle unisce il vivente al mondo e al tempo stesso lo separa.
C’è vita in senso biologico a partire dal momento in cui vi è epidermide, cioè distinzione tra una interiorità – l’integrità della creatura – e una esteriorità: l’ambiente. Questa interiorità-integrità del vivente rende assai difficile controllarlo integralmente.
Questa opzione propria al vivente – massima nella forma suprema di vita cosciente, cioè quella umana – di celare delle cose allo sguardo esteriore è insopportabile per ogni potere totalitario, la cui radicale novità è rispetto ai regimi autoritari del passato sta nel non accontentarsi di assoggettare i corpi. Il totalitarismo brama di dominare anche le anime, mira a oltrepassare l’ultima frontiera dell’epidermide. Aspira a insediarsi nell’intimità mentale, psicologica dell’uomo per regnare sullo spirito.
Inscritta nella stessa struttura fisica dell’uomo, impressa nella sua natura, questa capacità di resistenza alle intrusioni esterne ostacola pesantemente ogni ideale di controllo totale e impedisce, di fatto, di avere un accesso integrale all’interiorità. Da qui deriva la relativa imprevedibilità del biologico, la cui tracciabilità non è mai garantita.
Il totalitarismo perciò ha in odio tanto il mistero quanto la natura, è avverso a ogni realtà capace di celarsi al proprio sguardo inquisitorio. Non ci si illuda: le trame antibiologiche dell’ordine politico tradiscono un’essenza totalitaria, indicano la mutazione del potere in mostro terrificante. Orrore per l’incarnazione che conduce alla macchina sociale, a una realtà inorganica, meccanica, non vivente, materia inerte aliena all’autenticamente umano.
Salviamo la pelle!
È questione, allora, di salvare la pelle. La posta in gioco nelle battaglie dei nostri giorni è l’essere umano stesso, l’uomo fatto di un corpo di carne sessuata. Rivendicare una libertà senza confini è accogliere in sé il principio di disincarnazione e consegnarsi così all’autodistruzione. La folle pretesa di avere accesso integrale all’interiorità equivale a violare completamente, con esiti devastanti, l’integrità antropologica.
La carne è il segno della condizione umana. Occorre benedire la sua imprevedibile debolezza, perché in essa, quaggiù sulla terra, sta il pegno della nostra libertà. Non ci è dato quindi di ignorare il mistero e il paradosso, questi marchi indelebili della nostra esistenza. Anime che stanno nei corpi, viviamo sospesi tra l’eterno e il tempo. «L’uomo – ha scritto Nicolàs Gòmez Dàvila – è un problema senza soluzione umana». È libero nella misura in cui la sua libertà sa riconoscere e rispettare il proprio limite.
(*) Non è possibile in questa sede ricostruire esaustivamente il legame tra il pensiero di Foucault, gli studi di genere e le teorie queer. Rimando perciò alle lucide e documentate opere di Thibaud Collin, Le mariage gay. Les enjeux d’une revendication, Editions Eyrolles 2005 e François Devoucoux du Buysson, Les Khmers roses. Essai sur l’idéologie homosexuelle, Editions Blanche 2003.
***COMUNICAZIONE***
Il disegno di legge anti-omofobia, vergognosamente, è stato calendarizzato alla Camera per lunedì 5 agosto p.v.
è già stato detto, ma giova ripetere che il testo che andrà alla Camera non parla più di “orientamento sessuale” né di “identità di genere”, ma prevede che vada in galera chi “incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi fondati sull’OMOFOBIA o la transfobia”.
Poiché la parolina magica “omofobia” è di significato del tutto imprecisato (e lo stesso dicasi per “transfobia”), non si può capire esattamente che significhi “incitare a commettere o commette atti di discriminazione per motivi fondati sull’OMOFOBIA o la transfobia”, cosicché non si può in alcun modo escludere che venga considerato incitamento alla discriminazione su base omofobica (e come tale perseguibile penalmente) affermare pubblicamente che occorre opporsi alle “nozze gay” perché la legge che le legittimasse sarebbe ingiusta, in quanto contrastante con il diritto naturale.
Lo spiega molto bene Gianfranco Amato, in un articolo già segnalato qualche giorno fa ma che ritengo giovi riproporre:
“l’attuale testo non precisa assolutamente nulla circa l’omofobia e la transfobia. In nessuna normativa del nostro ordinamento giuridico è in alcun modo rinvenibile o desumibile il concetto delle succitate categorie. Se si considera che tali categorie vengono ad assumere la funzione di presupposto di una fattispecie penale, ben si comprende la pericolosità in ordine alla certezza del diritto ed al principio di oggettività del reato.
Se non è la legge, chi può essere autorizzato a definire i concetti di omofobia e transfobia? Il rischio è quello di creare una sorta di “reato giurisprudenziale”, il cui contenuto precettivo verrà rimesso all’autorità giudiziaria chiamata a pronunciarsi nel singolo caso. La gravità di tutto ciò si amplifica laddove si consideri che in gioco vi sono diritti fondamentali dell’uomo, quali la libertà di opinione e di credo religioso, garantiti e tutelati dagli articoli 19 e 21 della nostra Costituzione.
Come si colmerà la mancata previsione normativa dei concetti di omofobia e transfobia? Come reagirà l’interprete di fronte a questo vacuum legis?”
E ancora
“Nel caso in cui si volesse fare una valutazione comparativa col diritto in vigore nei Paesi che da anni conoscono una legislazione antiomofoba, si potrebbe guardare a quanto accade, ad esempio, nel Regno Unito. Anche lì nessuna legge dà una definizione di omofobia e transfobia. A supplire il vuoto normativo ci pensa direttamente il Crown Prosecution Service (CPS), corrispondente grosso modo alla nostra Procura della Repubblica. In un documento ufficiale di quell’Autorità (44899 CPS – Hate Policy), una circolare in cui si delineano le direttive da seguire in materia, al punto 2.1 viene testualmente contemplato quanto segue: “Non esiste una definizione normativa di caso riferibile ad omofobia o transfobia, e al fine di attuare la nostra politica criminale in materia, noi adottiamo questa definizione: “Si ritiene riferibile ad omofobia o transfobia ogni caso in tal modo percepito dalla vittima o da ogni altro soggetto”.
In questo caso il presupposto del reato non è lasciato all’arbitrio del giudice ma a quello della vittima”
Tutto l’articolo merita lettura, ritengo:
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-testo-cambiato-ecco-perche-e-pericoloso-6953.htm
Qualche giurista mi illumini,ma una legge siffatta non viola il principio di tassatività della legge penale?
Velenia:
http://www.tempi.it/omofobia-legge-incostituzionale#.Ufe35dI0yXx
infatti…
“È il momento di riunire le forze: poiché i numeri in Parlamento paiono ostili in modo schiacciante, non può esservi remora a spiegare fino in fondo la posta in gioco.
Domani, dentro e fuori il “palazzo”, nessuno potrà dire: è avvenuto a mia insaputa.”
http://www.tempi.it/mantovano-legge-omofobia-liberticida-unire-le-forze
Io ho appena scritto ai tre parlamentari “potenzialmente attenti” della mia circoscrizione e a un altro di cui avevo l’indirizzo. Gli ho detto che sono disgustata per la precedenza data a questa discussione rispetto ad altre ben più importante e per il modo truffaldino di piazzarla in periodo di “tutti al mare”. E che se la fanno passare si scordino il mio voto. Però se conoscete monache di clausura, sarà meglio affidare la pratica a loro…
Quello che ci aspetta
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2858
Grazie per questo articolo. Ci possiamo tirare fuori, con mia moglie almeno un paio di incontri del corso prematrimoniale. Un articolo proprio di frontiera, di epidermide che ci consente di poter presentare tematiche collegate alla fede senza venire rispediti agli “opportuni contesti”. Potendole cioè introdurre. Lavoro dunque inestimabile ed ispirato ed ennesimo merito di questo prezioso blog.
L’ha ribloggato su Il Guerriero della Luce.
Admin, non riesco a trovare la fonte del Comunicato di quanto da te postato all’inizio. Me la potresti dare?
La mia fonte è il vicepresidente dell’Unione Giuristi Cattolici.
Grazie, Admin!
il calendario dei lavori dell’Assemblea di Montecitorio è reperibile qui:
http://www.camera.it/leg17/76
“Comunicazioni del Presidente della Camera all’Assemblea
(seduta di lunedì 29 luglio 2013)
Sui lavori dell’Assemblea e calendario dei lavori dell’Assemblea per il mese di agosto 2013.
Comunico che, a seguito della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo che si è appena svolta, si è convenuto in ordine alla seguente organizzazione dei lavori per le giornate del 30 e 31 luglio e al seguente calendario dei lavori per il mese di agosto, con l’intesa che la Conferenza tornerà a riunirsi mercoledì 31 luglio, alle ore 18, per valutare eventuali aggiornamenti dell’organizzazione dei lavori:
omissis
Lunedì 5 agosto (antimeridiana e pomeridiana con eventuale prosecuzione notturna) (con votazioni dal pomeriggio)
Discussione sulle linee generali delle proposte di legge:
n. 245 ed abbinate – Modifiche alla legge 13 ottobre 1975, n. 654, e al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, per il contrasto dell’omofobia e della transfobia (ove concluso dalla Commissione)”
Aggiornamento sul cammino del ddl sull’omofobia.
Martedì 30 luglio il ddl (che sarà in aula il 5 agosto) è stato esaminato dalla Commissione XII (Affari sociali) della Camera per un parere.
Ecco l’esito dell’esame e il relativo parere:
PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE
“La XII Commissione, esaminato il testo unificato delle proposte di legge C. 245 Scalfarotto e abb., recanti « Disposizioni in materia di contrasto dell’omofobia e della transfobia », quale risultante dagli emendamenti approvati;
considerato che nel corso dell’esame degli emendamenti presso la Commissione di merito sono state espunte dal testo disposizioni che investivano direttamente gli ambiti di competenza della Commissione
Affari sociali,
esprime
NULLA OSTA
all’ulteriore corso del provvedimento.”
Alessandro, ciao! Sei sempre prezioso, grazie anche a te! 🙂
😉
Ma come??? Mi ero messo tranquillo per le ferie!
In tal caso vorrei fare un pubblico plauso al parroco di Caorle che alla Messa delle 21 di sabato scorso ha chiesto nell’omelia: “Gesù si sentiva maschio?” parlando della legge sull’omofobia e rivendicando con coraggio e pubblicamente il diritto di tutto noi di pensarla diversamente e di professarlo.
Grazie don! In qualsiasi modo tu ti chiami.
Grazie a tutti, anche per la pazienza di aver letto fino alla fine… 😉
Aggiungo che Foucault praticava una sorta di “terrorismo intellettuale”. Era un “paria culturale”, un intellettuale sradicato che anelava a distruggere e scardinare la civiltà occidentale. Era convinto che il “soggetto”, l’identità personale, la natura umana stessa fossero nient’altro che una costruzione politica (la “microfisica del potere”: per F. ogni sapere intorno all’uomo è in qualche modo legato al potere, essenzialmente non esistono delle “zone neutre”). Il soggetto è frutto di un assoggettamento, è imposto da un “dispositivo di sessualità”. Perciò la ribellione deve avvenire innanzitutto in interiore homine, deve partire dal proprio corpo, dalle relazioni quotidiane. È un terrorismo “interiore” e “dal basso”.
Per questo Foucault non abbracciò mai appieno i principi teorici del movimento di liberazione omosessuale, pur appoggiandone le rivendicazione. Anche l’identità omosessuale è pur sempre un’identità. Per F. la più efficace forma di “resistenza al potere” consisteva invece nell’affrancarsi dall’identità stessa ( per dar vita a un’assurda ”identità non-identitaria”, queer), in primo luogo quella sessuale, mandando così in “cortocircuito” il dispositivo di sessualità.
Ma al di là di Foucault, mi preme sottolineare che oggi queste teorie dissolutrici non sono più astrazioni confinate nei circoli accademici. Vengono imposte coattivamente per mezzo della legge. È sempre un micro-terrorismo, ma imposto “dall’alto”. La questione del matrimonio omosessuale è strumentale a questo progetto, è un cavallo di Troia attraverso il quale si vuol consegnare allo Stato la potestà di ridefinire e ridisegnare le relazioni sociali fondamentali e perfino, perché no?, la stessa natura umana. In nessun altro modo può essere letto il tentativo di desessualizzare i ruoli genitoriali. È una lotta contro un nuovo totalitarismo (quello che Juan Manuel De Prada chiama il “Matrix progressista”).
P.s. Mi dicono che qualcuno, in altra sede, ha definito tendenziosa la mia ricostruzione. Bene, non deve fare altro che leggersi la biografia di James Miller, La passione di Michel Foucault. (Longanesi, 1993) Vedrà che non mi sono inventato nulla.
“È una lotta contro un nuovo totalitarismo”
Può la democrazia convertirsi in totalitarismo? Ne parlava Giovanni Paolo II, ad esempio nell’Evangelium vitae ai nn. 70-1:
“Fondamentalmente, essa è un «ordinamento» e, come tale, uno strumento e non un fine. Il suo carattere «morale» non è automatico, ma dipende dalla conformità alla legge morale a cui, come ogni altro comportamento umano, deve sottostare: dipende cioè dalla moralità dei fini che persegue e dei mezzi di cui si serve. Se oggi si registra un consenso pressoché universale sul valore della democrazia, ciò va considerato un positivo «segno dei tempi», come anche il Magistero della Chiesa ha più volte rilevato.88 Ma il valore della democrazia sta o cade con i valori che essa incarna e promuove: fondamentali e imprescindibili sono certamente la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei suoi diritti intangibili e inalienabili, nonché l’assunzione del «bene comune» come fine e criterio regolativo della vita politica.
Alla base di questi valori non possono esservi provvisorie e mutevoli «maggioranze» di opinione, ma solo il riconoscimento di una legge morale obiettiva che, in quanto «legge naturale» iscritta nel cuore dell’uomo, è punto di riferimento normativo della stessa legge civile. Quando, per un tragico oscuramento della coscienza collettiva, lo scetticismo giungesse a porre in dubbio persino i principi fondamentali della legge morale, lo stesso ordinamento democratico sarebbe scosso nelle sue fondamenta, riducendosi a un puro meccanismo di regolazione empirica dei diversi e contrapposti interessi.89
Qualcuno potrebbe pensare che anche una tale funzione, in mancanza di meglio, sia da apprezzare ai fini della pace sociale. Pur riconoscendo un qualche aspetto di verità in una tale valutazione, è difficile non vedere che, senza un ancoraggio morale obiettivo, neppure la democrazia può assicurare una pace stabile, tanto più che la pace non misurata sui valori della dignità di ogni uomo e della solidarietà tra tutti gli uomini è non di rado illusoria. Negli stessi regimi partecipativi, infatti, la regolazione degli interessi avviene spesso a vantaggio dei più forti, essendo essi i più capaci di manovrare non soltanto le leve del potere, ma anche la formazione del consenso. In una tale situazione, la democrazia diventa facilmente una parola vuota.
71. Urge dunque, per l’avvenire della società e lo sviluppo di una sana democrazia, riscoprire l’esistenza di valori umani e morali essenziali e nativi, che scaturiscono dalla verità stessa dell’essere umano ed esprimono e tutelano la dignità della persona: valori, pertanto, che nessun individuo, nessuna maggioranza e nessuno Stato potranno mai creare, modificare o distruggere, ma dovranno solo riconoscere, rispettare e promuovere.
Occorre riprendere, in tal senso, gli elementi fondamentali della visione dei rapporti tra legge civile e legge morale, quali sono proposti dalla Chiesa, ma che pure fanno parte del patrimonio delle grandi tradizioni giuridiche dell’umanità.”
Andreas Hofer:
“Obama lucuta” (non va bene)
…qualcosa che non va?
è inutile che continui a chiedere se qualcosa non va. I tuoi commenti vanno di volta in volta approvati.
Tanto hai fatto che ti hanno messo in quarantena!
Siamo grati per i piccoli doni che ci vengono fatti 😀
Andreas, leggerti è sempre un piacere; grazie.
Grazie a te, Roberto. 🙂
mi associo al plauso di Roberto. Splendida analisi, roba rara da trovare, ti consiglio di segnalarla ai responsabili delle prossime settimane sociali dei cattolici così si avrà un contributo serio su cui discutere, che scruta le radici della contemporanea devastazione della famiglia.
Grazie Alessandro, anche per il consiglio. Ci penserò, anche se l’esperienza passata mi porta a diffidare di questi think tank cattolici…
…che pensare allora della pratiche della mortificazione della carne attraverso il digiuno e altre tecniche di indebolimento e tortura del corpo fin dai primi tempi del cristianesimo (il corpo prigione dell’anima, l’anima è forte, ma la carne è debole etc.)?
Non ci mettete anche voi sempre il digiuno insieme alla preghiera? Non è più di moda portare il cilicio? O i tempi sono cambiati? Nella famiglia occorre anche forza per procreare? Vi immaginate una famiglia numerosa a digiuno?
…”Obama lucuta” (!)
Corretto. Grazie della segnalazione, Alvise!
…per non parlare di S,Paolo quando dice che se uno volesse pigliasse moglie, ma restare come lui sarebbe meglio, così che sarebbe più facile pensare alle cose del Signore, senza altri pensieri per il capo. Ora dalla mortificazione sessualità, se non nella famiglia, siamo passati alla riscoperta della sessualtà (ossia della NATURALITA’ dei due sessi che NATURALMENTE si cercano, secondo la “legge” della NATURA)?
Se non fai la solita accozzaglia senza capo nè coda non sei contento! E menomale che saresti esperto delle Sacre Scritture e poi te ne vieni fuori con discorsi da bar su Dio! Intanto il Signore ha detto: “Crescete e moltiplicatevi”, l’uomo lascerà suo padre e sua madre, si unirà alla donna e saranno una carne sola (vado a memoria): quindi quale legge della NATURA? (quella è new age). E’ legge di Dio! San Paolo parlava di coloro che si dedicano al Signore in modo esclusivo come lui, come gli apostoli, come oggi i sacerdoti (non per niente la Chiesa ha giustamente introdotto il celibato, allora non c’era). Per quanto riguarda le pratiche di mortificazione sono un dono, una grazia e un’offerta, non sono un obbligo. Sono atti di amore che tanti grandi santi hanno praticato. Una bambina come Giacinta, non costretta da nessuno anzi osteggiata, minacciata di morte, di essere cucinata in un pentolone se non ritrattava, ha offerto sacrifici per la conversione dei peccatori inimmaginabili per la sua età perchè aveva visto l’Inferno e voleva salvare le anime. Persino la Madonna le disse che non occorreva portasse il cilicio anche di notte. Io, nel mio piccolo, faccio il digiuno a pane e acqua una volta la settimana, il venerdì. Non ho nessun merito, l’ho già raccontato. Durante una presunta apparizione della Madonna di Medjugorje (diversi anni fa) mi stavo chiedendo se veramente fosse apparsa la Vergine e in quel momento, senza che ci stessi minimamente pensando, ho sentito che dovevo fare il digiuno e da allora l’ho sempre fatto. Anzi all’inizio lo facevo due volte la settimana poi, avendo per fortuna la pressione bassa (sempre meglio che averla alta), sono svenuta. Lo avevo interrotto ma poi era più forte di me, dovevo farlo e l’ho ripreso facendolo una sola volta. Conosco famiglie con otto figli dove fanno il digiuno, stai tranquillo, è mangiare troppo che fa male e toglie energie! Lo dicono anche i medici!
“Alla base di questi valori non possono esservi provvisorie e mutevoli «maggioranze» di opinione, ma solo il riconoscimento di una legge morale obiettiva che, in quanto «legge naturale» iscritta nel cuore dell’uomo, è punto di riferimento normativo della stessa legge civile.”
L’obiettività alla morale non possiamo dargliela nè io nè te….. basta fare un piccolo volo pindarico…
Schematizzando:
I credenti credono che ci siano in noi dei principii innati morali eterni.
I non credenti non credono a questi principi innati eterni (perché bisognerebbe fosse Dio a aveceli messi),ma si arrabattano a fare il meglio (o il peggio) che possono.
Questi due gruppi di persone si dano spesso contro l’un l’altro.
Direi esistano anche dei “non-credenti” (in Dio per come tu intendi) che credono esiste un “legge naturale e immutabile” innata nell’Uomo, che accomuna appunto tutta l’Umanità di ogni latitudine e di ogni generazione. Questo senza porsi il problema del “chi ce la messa”…
Alviseee! Proprio tu che sei un classicista dimentichi che Sofocle fa dire ad Antigone “io non obbedisco alle leggi degli uomini ma ad altre leggi” ( o nomos tou kato).Capisco che l’età avanza ma scordarsi di questo…..
…si danno (correggo)
…rimango in rispettosa attesa di “approvazione”.
Ogni volta devi fare ‘sta pantomima?
…Già, Sofocle, basterebbe solo ricordarsi di Sofocle, al momento giusto!
Per quanto riguarda le idee innate, cosiddette, chi ce le avrebbe messe allora, se non Dio?, E se non ce le avesse messe lui non avrebbero lo stesso valore di qualsiasi altra idea?
E poi c’è l’idea dell’onore, del tener fede alla parola data, del non avere niente di cui vergognarsi, del non approfittarsi dei più deboli, eccetra….
Ma queste non sono idee cosiddettte innate. Sono idee trasmesse dai nostri padri.
…un semplice esempio: é una idea innata condivisa sempre e da tutti l’idea che uno non si possa suicidare?
…e che se non lo possa fare gli venga data una mano?
Te la sei data tu la vita? No! E allora neanche te la puoi togliere! E se qualcuno ti aiuta è un omicida!
No, non lo è.. per certe culture il suicidio è un atto estremo di onore – o meglio atto estremo per “salvare” l’onore – e coraggio (proprio perché va contro l’innato – questo si – “spirito di conservazione”). Vedi ad esempio il rito dello “harakiri” o “seppuku” giapponese.
Quella sopra è la risposta alla domanda di Alvise: “…un semplice esempio: é una idea innata condivisa sempre e da tutti l’idea che uno non si possa suicidare?”
Sì, Bariom, è proprio quello che intendevo dire…
Ciò significa solamente, dal mio punto di vista di credente – convinto quindi che esiste un “legge naturale”, anche se trovo il termine riduttivo, posta dal Creatore nel Cuore dell’Uomo – significa dicevo, che questa legge naturale fondante, può essere ricoperta da strati di consuetudini, culture, tradizioni del tutto “umane”, alcune nobili, alcune molto meno, che finiscono per nascondere e “mettere a tacere” la prima.
Compito e capacità dell’Annuncio del Vangelo è anche riportare “a galla” proprio la “legge” d’Amore, posta dal Creatore nel cuore di ciascun Uomo.