di Andreas Hofer
La macchina sociale necessita d’un poco di immoralità come lubrificante.
(Nicolás Gómez Dávila)
L’età dell’amministrazione
Nulla concede Horkheimer ai facili entusiasmi e alle scintillanti promesse della liberalizzazione dei costumi, in cui vede il preludio di una nuova gabbia d’acciaio: «Nell’età amministrata e razionalistica verso cui si dirige la vita sociale, i rapporti personali che non si lasciano determinare in ogni dettaglio dal meccanismo sociale, ma anzi sarebbero in grado di contrastarlo, appariranno non solo pericolosi, ma anche assurdi. A che serve l’amicizia, se ogni momento del tempo libero e della professione, se il fine e i mezzi sono già stati indicati a priori nel modo più funzionale? L’amore ha perduto la sua ragion d’essere. I bisogni sessuali saranno regolati razionalmente, non c’è motivo perché assurgano alla forma superiore dell’anelito, così come coloro che hanno la fortuna di vivere nell’età del miracolo economico non hanno motivo di sognare il paese di Cuccagna. La passione erotica per una persona singola e determinata, per non parlare poi della fedeltà, sarebbe non solo patologica, mancanza di sano desiderio, nevrosi ossessiva o peggio, ma anche indecorosa; significherebbe pensare, sentire, agire sulla base di una fissazione sessuale, anziché della riflessione razionale» (M. Horkheimer, Taccuini 1950-1969, Marietti, Genova 1988, p. 169).
Fordismo procreativo
A dare forma letteraria al “mondo amministrato” paventato da Horkheimer aveva provveduto tempo addietro Aldous Huxley pubblicando nel 1932 Brave New World (Il mondo nuovo). In questo romanzo antiutopico e ferocemente ironico Huxley presenta una società temporalmente collocata in un immaginario settimo secolo dopo Ford. Geograficamente l’azione si svolge a Londra, una delle tante provincie di un nuovo onnipotente Stato mondiale.
Il Brave New World huxleyano può dirsi in effetti un ottimo esempio di “amministrazione razionale” delle nascite: una società basata sul dogma della «stabilità sociale» come norma di civiltà – idolo al quale ogni troppo “vacillante” libertà personale è sacrificata – e sul controllo centralizzato della riproduzione umana, extracorporea e serializzata, ispirata ai princìpi di una sorta di “fordismo procreativo”. Gli esseri umani vengono prodotti in vitro e allevati in speciali incubatori, mentre l’ingegneria genetica ne predetermina “scientificamente” l’”utilità sociale” garantendo l’uniformazione e la tipificazione del “prodotto”. Felice, assiduo al lavoro, consumatore di beni: queste le caratteristiche del cittadino modello, semplice cellulla-ingranaggio di questa “megamacchina sociale”.
La famiglia, eccezion fatta per alcune sparute, residue enclave “non civilizzate”, è scomparsa dall’orizzonte: madre, padre, marito, moglie, fratello, sorella, matrimonio, monogamia, esclusivismo, interesse personale e romanticismo, reputate parole oscene, sono state ricacciate nella preistoria dell’umanità, raffigurata come il reame della follia e della povertà, pregna di terrore e nera miseria. Peccati sommi, insieme alla solitudine e al desiderio di isolarsi dal corpo sociale, perché la legge di “solidarietà obbligatoria” del “mondo nuovo” prevede la dissoluzione dell’io individuale nel collettivo, sancita con lo slogan «ognuno appartiene a tutti gli altri», la massima scandita con solerte, ossessiva ripetitività in ogni momento della giornata.
Dirigismo riproduttivo e regime di “libertà condizionata”
Nel “mondo nuovo” l’educazione è sostituita dal condizionamento psico-fisico impartito dallo Stato attraverso l’ipnopedia, la ripetizione durante il sonno di slogan preregistrati, la cui funzione, assuefativa, è di indurre ciascuno ad accontentarsi del proprio stato. Le masse sono condizionate a odiare la natura e vige la proibizione del concepimento naturale (tanto che la parola «padre», per quanto «grossolana, una sconvenienza scatologica piuttosto che pornografica», viene considerata meno oscena di «madre» in ragione della superiore distanza emotiva in rapporto ai «segreti ripugnanti e immorali del parto»).
Fin dalla più tenera età le ragazze “non neutre” – cioè non sottoposte a sterilizzazione – vengono perciò addestrate all’uso di pratiche contraccettive (i cosiddetti «esercizi malthusiani»). Onde garantire la condizione di “infertilità naturale” ogni donna è poi munita di un’apposita «cintura malthusiana» provvista di anti-fecondativi (un’idea che certo troverebbe il gradimento di un apologeta del “dirigismo riproduttivo” qual è l’ineffabile Piergiorgo Odifreddi), i residui casi di “insuccesso contraccettivo” vengono risolti nel Centro di aborti ospitato da una fascinosa torre di vetro rosa. Naturalmente il cristianesimo, nemico giurato dell’ectogenesi, è detestato quanto l’aborrita «riproduzione vivipara».
Il regno della perfetta promiscuità
Attraverso processi di condizionamento e richiami ipnopedici all’interno del Brave New World impera un regime di perfetta promiscuità sessuale: i legami individuali stabili di fatto sono proibiti.
Inutile dire che la castità, oggetto di riprovazione sociale, è considerata un pervertimento.
Un interdetto le cui ragioni Mustafà Mond, governatore e custode della “stabilità sociale” del “mondo nuovo”, espone con terrificante lucidità: «la castità vuol dire passione, vuol dire nevrastenia. E passione e nevrastenia vogliono dire instabilità. E instabilità vuol dire fine della civiltà. Non si può avere una civiltà durevole senza una buona quantità di amabili vizi».
Interdetta dunque ogni forma di ascesi, anche minima. Termini come fedeltà, impegno, promessa e rinuncia sono semplicemente privi di significato. È scoraggiato ogni differimento degli istinti, nel tentativo di estinguere in radice il fondamento stesso della fedeltà. La parola d’ordine è: «abbattere ogni intervallo di tempo tra il desiderio e il suo soddisfacimento». Abbattere ogni ostacolo, per preservare dal rischio di un “antiscientifico” coinvolgimento emotivo, sintomo di spessore interiore. «Giovani fortunati!», esclama trionfante il governatore. «Non è stata risparmiata nessuna fatica per rendere le vostre vite facili dal punto di vista emotivo; per preservarvi, nei limiti del possibile, dal provare qualsiasi emozione».
Felicità obbligatoria per tutti
Anche la “felicità” è obbligatoria: per assicurarla (o meglio: per renderla sostenibile) lo Stato fornisce gratuitamente ai “giovani fortunati” una droga euforizzante e antidepressiva (soma). L’età biologica dell’organismo umano d’altro canto è mantenuta artificialmente a uno stadio giovanile e in piena efficienza psico-fisica, salvo poi collassare all’età di sessant’anni (si può dire che si muoia perfettamente sani).
Abolito il ricordo del passato, giacché nel “mondo nuovo” si vive solo “al presente”, l’unico fine della vita essendo il mantenimento del benessere: la riduzione del desiderio umano a bisogno animale è un presupposto irrinunciabile e scontato.
La morte viene esorcizzata con sessioni di condizionamento in modo da renderla un fatto previsto dall’ordine naturale delle cose e poter essere così “igienicamente gestita” senza destare inquietudine, nemica della stabilità sociale. Né è concesso piangere la perdita di una persona cara: ciò implicherebbe la rivendicazione di un inaccettabile esclusivismo, in palese violazione dell’imperativo dell’uguaglianza (“ciascuno appartiene a tutti gli altri”). Per ovviare alla sofferenza c’è sempre il soma, la droga che assolve la funzione di anestetico della coscienza assicurando l’evasione in un mondo irreale e fittizio, lontano dal dolore. I cittadini in ogni caso subiscono un condizionamento che fa loro detestare la solitudine, così da non esporsi al rischio di pensare alla morte, a Dio o a una felicità ultraterrena.
Identico discorso per il “fanatismo della cultura”, represso con inaudita ferocia (il governatore Mond ricorda con sottile compiacimento il «famoso massacro del British Museum», dove «duemila fanatici della cultura furono asfissiati con solfuro di dicloretile»).
La rivolta dell’«omo salvatico»
In questa società dove libri e cultura sono banditi viene condotto, dopo essere stato prelevato da una riserva “non civilizzata” in cui la vita segue ancora gli usi e i costumi dell’età precedente, un “selvaggio” di nome John.
Il “selvaggio” inizialmente desta curiosità ma disillude presto le attese rigettando in blocco i valori della civiltà che lo ospita. John ama la lettura e la poesia, conosce e cita a memoria Shakespeare, crede in Dio, rifiuta con silvestre intransigenza la promiscuità e il soma.
Preghiera, bellezza, verità, libertà: di questo ha sete John, voce di un’umanità profonda e ancora autenticamente tale. Al punto che, fiero e dignitoso quanto un vero «omo salvatico», alla disumana, menzognera perfezione promessa da una felicità artificiosa e impersonale John mostra di preferire decisamente un’infelicità autentica e personale (spingendosi addirittura a rivendicare, in spregio a ogni convenzione borghese, «il diritto di essere infelice»).
Verso il “mondo nuovo”?
L’osservatore attento dei “segni dei tempi” difficilmente potrà contestare le osservazioni di chi, come Francesco Agnoli, ha fatto notare come molte delle realtà che Huxley aveva immaginato nel suo romanzo si siano realizzate o facciano comunque parte dell’agenda politica. Basti pensare che sebbene gli studiosi seri di demografia abbiano disinnescato da tempo la “bomba demografica” – e la popolazione mondiale si appresti ad affrontare piuttosto i rigori dell’inverno demografico – non è affatto cessata la propaganda contraccettiva degli organismi sovranazionali. E come proprio in Gran Bretagna, dove Huxley aveva ambientato il suo “mondo nuovo”, lo scarto tra la realtà e il romanzo si vada assottigliando sempre più, come ha documentato di recente un dettagliatissimo volume di Gianfranco Amato.
Irrisa e avversata negli anni ’60, forse solo ora l’impavida presa di posizione di Paolo VI si sta rivelando profetica. Nella finzione letteraria di Huxley il romanzo si conclude tragicamente: il “selvaggio” John, esiliato, solo e braccato, viene spinto al suicidio senza alcun alleato a prenderne le difese.
Non così nel mondo reale, dove a schierarsi dalla parte dell’«omo salvatico» vi sarà sempre la Chiesa, capace, anche contro ogni umana speranza, come dimostrò papa Montini, di chinarsi con pietà e coraggio sulle realtà più umili, semplici e ordinarie – come l’amore tra un uomo e una donna – per cercare di proteggerle, consapevole di come l’unica vera resistenza possibile contro la disumanizzazione avanzante risieda nella salvaguardia di un capitale minimo di sostanza umana, di riserve naturali e di vitalità.
Come ha scritto Gustave Thibon, «la pietà verso il malato esige che non si abbia nessuna pietà per la malattia che lo uccide. Come si può amare l’ordine senza odiare il caos? Così la tenerezza conduce al rigore: si costruiscono bastioni per preservare la cattedrale e tutti i focolari raggruppati attorno ad essa. Amare in verità, non è intenerirsi su se stessi attraverso gli altri, come il borghese che, secondo Bernanos, unisce «il cuore duro alle budella sensibili». È voler salvare e saper difendere ciò che si ama».
la prima parte QUI
Non tutto, ma di tutto.
Andreas: degna seconda parte del post di ieri Smack! 😀
Ovviamente starò una settimana circa su ogni paragrafo… 😉
Studiosi seri hanno disinnescato la “bomba demografica”?
A me non risulta.
Le fosche previsioni di Malthus e Ehrlich sono state parzialmente confutate non dall’infondatezza dei loro dati, ma da un brusco aumento della produzione agricola dagli anni ’60, aumento che però non può certo continuare all’infinito.
L’unico continente con una crescita demografica negativa è l’Europa e, sebbene io abbia sempre considerato la politica demografica di Mao Tse Tung una follia, ammetto che sarei abbastanza spaventata se cinesi o indiani iniziassero a crescere ai ritmi di alcuni paesi dell’Africa (ad es. la Nigeria – 5,66 nati/donna).
“Secondo le stime più recenti, si prevede che la popolazione mondiale, dagli attuali 7 miliardi, nel 2050 supererà la soglia dei 9 per poi tendere alla stabilizzazione. Oltre 1 miliardo in meno rispetto alle previsioni di 15 anni fa. In più, secondo l’Onu, nella seconda metà del XXI secolo entreremo in una fase di crescita zero. Se siamo molti di più oggi è perché viviamo molto più a lungo e, a dispetto delle previsioni di Malthus, le nostre condizioni di vita nel tempo sono notevolmente migliorate…
Il punto è che il benessere del XXI secolo non dipenderà tanto dal numero di persone che popoleranno il nostro pianeta, quanto dal modo in cui riusciremo ad affrontare una serie di nuove sfide: l’allungamento della durata di vita, la bassa fecondità, i flussi migratori dai paesi poveri e i cambiamenti di carattere culturale che hanno portato a nuovi modi e tempi di formazione delle famiglie.”
http://www.benecomune.net/news.interna.php?notizia=1356
http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?numart=138ZYL&numpag=1&tipcod=0&tipimm=1&defimm=0&tipnav=1
«Così la tenerezza conduce al rigore: si costruiscono bastioni per preservare la cattedrale e tutti i focolari raggruppati attorno ad essa […]»
E a questo proposito http://lafontanadelvillaggio2.wordpress.com/2012/07/20/una-citta-per-perdersi/
@filosofiazzero:
hai detto bene, ora basta!
@Erika,
nonostante quello che si sente dire da varie fonti la sovrappopolazione è veramente un falso problema.
Per avere qualche elemento in più di giudizio, oltre al link già fornito nell’articolo al mio blog, ti segnalo altri due link che potranno essere utili:
http://www.enzopennetta.it/wordpress/2011/10/la-menzogna-della-sovrappopolazione/
http://www.enzopennetta.it/wordpress/2012/07/seppellire-il-malthusianesimo/
Un saluto
ep
http://www.uccronline.it/2011/10/28/la-bufala-della-bomba-demografica-smontata-ancora-una-volta-dai-demografi/
http://www.uccronline.it/2011/10/28/la-bufala-della-bomba-demografica-smontata-ancora-una-volta-dai-demografi/
poi considerare che una buona parte delle superfici coltivabili viene convertita a produzioni per fini industriali o di carburanti bio(!), che l’ultimo rapporto FAO-OCSE parla di aumento per i prossimi 10 anni dell’1,7% x anno della produz. mondiale( a fronte del 2% del decennio preced.) ma con uno spreco di circa un terzo della produzione per uso alimentare umano. aggiungiamo gli oligopolii che ribassano i prezzi all’acquisto- non rendendo conveniente le coltivazioni- per poi comprare in blocco e stoccare o distruggere per tenere alti i prezzi al l’ingrosso e dettaglio, situazioni come in zimbabwe che da produttore e fra i primi esportatori africani, dopo l’avvento di Mugabe, non sopravvive senza gli aiuti internazionali….
direi che di margini, se si riduce anche solo di un poco, l’eccesso di avidità e la tirannia imbecille che ha generato tali disastri.
bye
Andreas: I post sono lunghi? Sì,,, ma a me interessa la sostanza e se sono lunghi vuol dire che ce n’è di più! Il tema è interessantissimo e fai molto bene a trattarlo: se non se ne parla è un danno! Chiaro che poi bisogna starci sopra e confrontarcisi. Li ho stampati e me li porto dietro, così ci torno sopra in più occasioni e ogni volta “noto” qualcosa che prima mi era sfuggito. Grazie di cuore!”
😉