Perché le donne? (replay)

di Costanza Miriano 

In Inghilterra una donna su tre prende psicofarmaci contro la depressione. Prozac e Cipramil vanno via come acqua fresca. Lo riferisce il quotidiano britannico The Independent, citando studi medici.

Ora, non vorrei entrare con la mia rinomata delicatezza da elefante in un ambito tanto privato e delicato come la salute mentale, ma qualche domanda vorrei farmela. Perché le donne? Perché con una frequenza che ha indotto il ministero della salute a parlare di “crisi nazionale”? E perché in un paese che è stato ed è all’avanguardia nella battaglia per l’emancipazione, per la parità dei ruoli di uomo e donna?

Se trentatré donne su cento, che è una cifra esorbitante, devono prendere antidepressivi per andare avanti, siamo autorizzati a pensare che sia un fatto culturale, sociale, di identità collettiva, e non di malattia, perché nessuna malattia può avere un’incidenza tanto alta.

Le femministe diranno come al solito che le donne devono fare troppe cose, tutte da sole, e daranno la colpa agli uomini e allo stato sociale che non le aiutano. La solita solfa. Io però ne ho conosciute di donne che hanno tirato avanti la carretta della famiglia, numerosa magari, in tempo di guerra, magari, con i buoni per il pane e lo zucchero, e il mercato nero, e le scarpe da mettere solo per andare in chiesa. Non ho mai sentito da loro la parola depressione, che ha molto più a che fare con la perdita di senso che con la fatica vera e propria.

Penso piuttosto che possa entrarci il fatto che la donna si è persa, non sa più chi è. Ha perso il bandolo della matassa. Noi donne per secoli siamo state le culle della vita nascente, depositarie di questo fuoco da tenere sempre acceso, di generazione in generazione. Da quando abbiamo cominciato a dire che questo non era abbastanza, e ce ne siamo liberate, vivendo la nostra sessualità in modo emotivo e disordinato, libero da rischi di concepimento (rischio? o miracolosa fortuna, piuttosto?), non sappiamo più da che parte andare. Anche se abbiamo figli, ci teniamo a dire che ci realizziamo anche fuori, e ci sentiamo in dovere di fare tutto, di essere tutto, di vivere troppe vite. Una fatica bestiale, insostenibile. Un continuo, frenetico, insensato multitasking, a volte imposto (e ci sarebbe da ragionare su alcuni meccanismi economici), a volte abbracciato con zelo.

In entrambe le eventualità, comunque, difficilmente l’essere madre, o comunque l’essere accogliente verso la vita, viene vissuta come una profonda, gratificante avventura che consente il dispiego di tutto il nostro genio. “Voglio di più, l’uomo non mi può dominare, costringere a questo”. Ma dove li vedranno poi tutti questi maschi dominanti e coercitivi? Io ne vedo tanti persi e disorientati, piuttosto.

E con le dimensioni dell’epidemia di depressione deve entrarci anche il fatto che rimuovendo la croce dal nostro orizzonte esistenziale, tutti – uomini e donne – pensiamo che ogni fatica, difficoltà, sofferenza vada evitata. Da chi non ha Cristo come compagno di strada, cadere e sbucciarsi le ginocchia non viene sentito come un prezzo da pagare per salire un po’ più su, ma come una fregatura, dalla quale quindi è meglio svicolare il più possibile. Se una pillola permette di farlo, ben venga.

Non è che noi cattolici siamo cretini, e ci piaccia soffrire. E’ che anche alla sofferenza, che neanche a Gesù piaceva (i malati li guariva, mica dava loro un buffetto sulle guance), Lui ha dato un senso. Ed è il senso che fa la differenza.

Quanto a me, lo ammetto, lamentarmi mi piace molto. Lo saprei fare molto bene. Sono creativa, attenta (trovo il pelo nell’uovo), resistente, tenace. Se un’amica ha da fare ne posso sempre chiamare un’altra, non mi arrendo facilmente. Se il lamento diventasse una specialità olimpica punterei al podio. Voglio l’oro nel lamento carpiato, perché posso rigirare il discorso di 360 gradi e giungere a una lamentela, in qualsiasi punto della conversazione mi trovi.

Mi sforzo a volte di non farlo, però, perché ultimamente vedo musi così lunghi, intorno a me, che penso che un’altra lagnanza in più porterebbe il mondo oltre la soglia accettabile di entropia.

E così, a parte il fatto che nonostante i colpi di sole di vari parrucchieri continuo a portare in testa un ratto muschiato (ma lo faccio con disinvoltura), mi faccio andare bene quello che ho.

Il fatto è che siamo adulti quando desideriamo ciò che abbiamo. E abbiamo tantissimo, tanti di noi. Quasi tutti, a parte quelli colpiti dalla sofferenza degli innocenti, che è una prova sconvolgente. Eppure non siamo capaci di gioirne. Così mi viene spesso in mente quel banchetto di cui parla il Vangelo: nessuno degli invitati viene alla festa, e allora il padrone di casa comincia a radunare in giro gli scarti, i malati, i poveri, un’accozzaglia di gente che almeno si goda la festa meravigliosa che era preparata per noi.

92 pensieri su “Perché le donne? (replay)

  1. “siamo adulti quando desideriamo ciò che abbiamo”. semplicemente meraviglioso….è esattamente così.
    Grande Costanza, come sempre del resto!

  2. simonetta

    ma, che dire? io credo che la depressione arriva quando non ci si sente amate e non si ha una persona da amare…lo so, da cristiana dovrei dire:inizia a donare, inizia a donarti, ma ..a volte le ferite nascoste rendono difficile questa apertura questo donarsi. Sinpuò essere dolci, gentili con chi si incontra lungo la strada, nel posto di lavoro, insomma con chi si incontra nel quotidiano e che , da sempre una risposta positiva , perchè quando si è gentili e sinceri e si guarda neglio occhi, l’altro scopre una novità che consola perchè si sente un viso benevolo che lo incontra…e per quei momenti si sta bene…ma poi la mancanza di qualcuno con cui camminare insieme nella vita ( e può capitare anche quando si è sposati..perchè magari non c’è amore) ci fa sprofondare piano piano nella depressione…io credo che sia questo il principale motivo e non certo la stupida mancanza di cose materiali. ..anche se , purtroppo , credo che ci siano pure depressioni provocate da questo…ma è un’altra storia. la mancanza di amore rende tristi, privi di forza e di voglia di fare qualcosa di buono per se e per gli altri. È necessario buttarsi, cominciare con sforzo , all’inzio, in qualcosa da cui riprendere energia emotiva, alcuni dicono possa provenire dal volontariato…comunque da qualcosa che impegni in modo positivo la mente e anche il fisico.

    1. Credo, Simonetta, che tu abbia toccato un tasto significativo. La depressione dovuta alla mancanza di amore corrisposto, a causa della solitudine. Penso che del resto non sia completamente scollegato da quanto dice Costanza perché la struttura della nostra società e il ruolo della donna e anche dell’uomo sono mutati. Tanti fattori concorrono ad accentuare questo senso di solitudine, questa mancanza di condivisione di una vita insieme. La mancanza di valori come la fedeltà, il sacrificio, la famiglia, la condivisione, la solidarietà, ecc. portano la donna ma anche l’uomo a smarrirsi in questo marasma. E’ come rimanere in una metropolitana senza riuscire a scendere e a vivere, come camminare in una periferia infinita senza riuscire a raggiungere la città, come essere perennemente in discoteca e allo stadio. E’ molto bello come hai descritto l’incontro dolce nel quotidiano, credo che sia importante partire da questo. Amare se stessi, affidare la propria vita a Dio e Lui saprà cosa farne, offrire la sofferenza e ricevere in cambio la gioia di questo grande dono che tu dai. Quando avrai la gioia in cambio sarai pronta per donarti con maggior sicurezza e consapevolezza agli altri e il tuo amore verrà corrisposto senz’altro.

      1. Twentyrex

        Credo anche io che la depressione sia connessa direttamente all’inaridimento dei rapporti con la persona amata ed alla solitudine forzata o semplicemente occasionale. E l’incidenza altissima che si registra in un paese come l’Inghilterra – che ha tradizioni consolidate di civiltà e di rispetto verso l’altro – è la prova che la profonda delusione e la lacerazione profonda del cuore non evolve mai in forme di violenza che, purtroppo, noi viviamo continuamente. La violenza è, comunque, presente ma è rivolta verso se stessi e, quindi, l’esigenza di intontirsi con gli antidepressivi. Anche se il temperamento e le caratteristiche proprie della nostra società non ci porteranno a fenomeni di questa portata, esistono e sono in costante crescita fenomeni analoghi che, tuttavia, interessano quasi in egual misura entrambi i sessi. Credo che sia un prezzo da pagare al progresso disordinato di questi ultimi cinquanta anni. La lotta per l’emancipazione femminile (che ancora è in atto e, forse, in qualche paese deve ancora cominciare) ha assunto in occidente colori politici e significati ideologici che hanno escluso il cristianesimo, talora persino ritenuto un nemico da battere. Tutte le donne che hanno imposto la loro femminilità nel silenzio e con umiltà testimoniando la loro fede, non hanno fatto notizia e, quindi, sono state sistematicamente ignorate. Ma dinanzi al vuoto dell’anima che provoca l’assenza di un amore non esiste alternativa che non sia la fede. Anche se trovi un’altra persona che ti restituisca il piacere della vita colmando il tuo cuore di un rinnovato sentimento di amore, la fede resta sempre. E la prova è nella sofferenza dei divorziati che, altrimenti, non esisterebbe. In questo la riflessione proprio sulla sofferenza è importante ed assume un significato speciale perchè generalmente consideriamo gli interventi di Cristo solo sulle infermità del corpo e trascuriamo quelli sull’animo.
        Certo che voi donne siete esseri molto speciali e “fonte di guai” (come afferma Sean Connery in un noto film) nel senso provocatorio dell’affermazione. Ci rendete quasi sempre schiavi, ci amministrate in tutti i sensi e ci dirigete verso le strade che voi avete scelto. E tutto questo senza violenza, ma con la forza del vostro essere. E quando qualche maschietto si permette di mancarvi di rispetto, non a caso si usa il termine “profanazione” perchè avete qualcosa di sacro. D’altra parte il Buon Dio quando ha voluto scendere su questa nostra terra ha scelto di farlo tramite una Donna che è divenuta Madre Sua e di tutti noi.
        Hai toccato un argomento, cara Costanza, sul quale sono, purtroppo ferratissimo.

        1. “Ma dinanzi al vuoto dell’anima che provoca l’assenza di un amore non esiste alternativa che non sia la fede. Anche se trovi un’altra persona che ti restituisca il piacere della vita colmando il tuo cuore di un rinnovato sentimento di amore, la fede resta sempre. E la prova è nella sofferenza dei divorziati che, altrimenti, non esisterebbe.”(?)
          Ma, perplessità a parte, c’è la sofferenza dei divorziati, dei licenziati, dei disoccupati, dei frustrati, dei rovinati etc.
          le pene d’amore, di essere stati lasciati, di non essere più amati, di non amare più, tutte cose che se uno avesse da giovane fatto una vita “normale” anche in relazione all’amore al sesso ai sentimenti e alle delusioni e fallimenti connessi si sarebbe (almeno un po’) vaccinato e vivrebbe gli affari di cuore e di cambiamenti di vita di casa di abitudini e cose di questo genere con meno drammaticità. O dove hai vissuto te fino a ora, in una bolla d’aria tua personale e ora, fuori, non puoi più respirare? Respira, invece, come si fa tutti, che si patisce e si va avanti senza uggiolare. Io non credo ai rosari, ma se te ci credessi e vedessi che ti fa bene recitare le coroncine, recita le coroncine, per esempio, fai di tutto, ma no continuare a patire a cotesto modo inane. Vieni da me in campagna (fa un po’ caldo, ma è lo stesso)) si ragiona, si mangia si beve si legge si dorme e si cerca di stare bene, un briciolino!!!

  3. aracne78

    il pensiero di Costanza ,
    interpretato senza generalizzazioni è sicuramente da accogliere…sono una cattolica fervente e anche per me la sofferenza quando arriva ha un senso…tuttavia…in questo testo ci sono molti luoghi comuni e troppe generalizzazioni…

    le percentuali e i volti sofferenti oggi si vedono palesemente..ma questo non vuol dire che le donne di secoli precedenti non soffrissero di depressione o disturbi mentali…solo che non se ne parlava, o semplicemente queste donne venivano tenute nascoste o si nascondevano..si parlava di “isterismo”(ne parla anche Freud)ad esempio…ma anche prima esistevano situazioni del genere(nelle mia regione,la Puglia, c’erano “le tarantolate”)…eppure la società era diversa, non c’erano le pressioni femministe, capitaliste, consumistiche e conformiste che ci sono oggi..e seppure io non sia affatto una femminista..anzi proprio l’opposto..non si possono negare certe verità…e dire che prima si stava meglio perché si badava all’essenziale e le donne non avevano troppi grilli per la testa mi pare voler liquidare la cosa troppo banalmente…anche se nelle parole di Costanza c’è anche un pezzo di verità…ma non è tutta la verità…

    mi è capitato di ascoltare storie di donne anziane(alcune che oggi non ci sono più e altre oggi ottantenni) che non inneggiano affatto ad una vita in cui accontentandosi si gode e erano meglio i tempi di una volta..

    .conosco una donna anziana che per tutto il suo matrimonio ha sofferto di depressione(lei non sapeva che era questo) ….era infelice e piangeva spesso..accompagnava i figli a scuola e poi dormiva fino al pranzo ..per poi rifugiarsi in un mondo tutto suo(i libri d’amore e gialli prima e poi le telenovelas dopo).. alternava stati di quiete a rabbia contro il marito e i figli…le cause non so..lei raccontava di soffrire perché il marito le aveva fatto lasciare il suo lavoro di sarta in un atelier che le piaceva tanto e le faceva guadagnare bene…per lo stipendio da “padre di famiglia” che faceva vivere lei , lui e i suoi quattro figli(che erano arrivati per forza! parole dette da lei) di stenti e rinunce.. lei raccontava di soffrire perché il marito non le faceva frequentare amiche(essendo geloso) e lei approfittava dell’ora d’aria del fare la spesa per fermarsi a parlare con le persone e sentirsi viva(parole sue)..lui la lasciava spesso sola la sera per uscire con gli amici e per divertirsi con altre donne più “allegre”…mentre nella loro camera da letto tutto durava per lei pochi istanti “senza gioia”…(poi scoperta in tv in qualche filmetto anni 80′..”.allora dormire con il marito dovrebbe essere bello?”parole sue)…durante il fidanzamento lui le aveva raccontato delle sue grandi ambizioni e pareva un uomo attento e passionale..con il matrimonio le cose si sono presentate diversamente..ma era un brav’uomo..un uomo comune come tanti di quei tempi…sono stati sposati 60 anni (che bello direbbe qualcuno!!)..lungo matrimonio di conflitti e amarezze…nessun viaggio mai e pochi ricordi belli..
    oggi che è vedova tra gli acciacchi dell’età..sembra rinata..sorride, è mite e docile…ha tanto da dare e da insegnare ai nipoti..peccato che ai figli abbia mostrato solo il suo lato tragico….eppure è una donna d’altri tempi..e questo è un esempio tra tanti che conosco e potrei raccontare…
    io non voglio far polemiche…sono fautrice della sottomissione anche io..ma quando è frutto di una vera scelta..e nelle condizioni più ottimali…non è proprio vero che tutti hanno tutto ciò che desiderano…
    sento tante donne mie coetanee(ho 34 anni) che nulla si possono permettere anche con due stipendi…né viaggi, né uscite, né tate o colf..e neppure nonne per un sostegno..la vita non è tutto divertimento sicuramente…ma la leggerezza è un dono di Dio/ così come le responsabilità da accogliere con amore)…e sarebbe bello che questa leggerezza(una sana leggerezza)fosse accessibile a tutti ,di tanto in tanto..
    ma a volte parlano le privilegiate..che vengono da famiglie agiate, che non hanno dovuto lottare(economicamente intendo) per studiar e che,oltre ad una vita piena di virtù sante… possono permettersi aiuti, uscite e viaggetti.. la depressione in queste vite raramente fa capolino….

    1. matrigna di cenerentola

      mia madre (classe 1911) ha avuto una vita simile. Alla morte di mio padre rischiò una forma depressiva, si riprese preparando lenzuolini per il mio terzogenito che doveva nascere da lì a poco. Alcuni anni dopo, in un momento di “debolezza” confessò: questi sono gli anni più sereni della mia vita. Era una gran donna, le sue nipoti la ricordano con grande amore, come fonte di saggezza ancestrale. Chiaramente la sua “depressione” non era organica ma dovuta alle circostanze, c’è una bella differenza

  4. Alèudin

    Nel mio caso posso dire che la depressione arriva per mancanza di senso.

    Forse tutti conoscono la storia dei tre tagliatori di pietra, ma vale la pena ricordarla. Al primo viene chiesto cosa stia facendo e risponde: «Sto tagliando una pietra». La stessa domanda viene posta al secondo: «Sfamo la mia familgia». Il terzo invece esclama: «Sto costruendo una cattedrale ».

    Capite che cambia tutto sapendo che siamo chiamati a collaborare con Dio alla creazione.

    Per me è diventato bello persino stirare!

    1. Arrivare a questo status mentale non è così semplice, non è perché uno legge questo, si convince e gli passa la depressione.

    2. Grazie a Costanza e ad Alèudin. Stamattina (per la prima volta dopo parecchio tempo) mi si è incrinato l’usbergo ;-). Avevo proprio bisogno di qualcuno che mi ricordasse che anch’io sto partecipando alla costruzione di una cattedrale (a prima vista sembrerebbe che mi stessi occupando di stickers con una quattrenne autoritaria, redazione di 10 pagine che non vogliono farsi scrivere, ghost-writing che non ci si può rifiutare di praticare, una nuova sede di lavoro ubicata a due passi dal pianeta Nettuno, e l’incombente ritinteggiatura del condominio …). Siano benedette le mamme vostre 😀

      1. matrigna di cenerentola

        @m&m: ma come ti capisco! Fermati un attimo, un respiro profondo, e si riprende…

  5. Alessandro:
    . a proposito di depressione….
    A te che ti piace Homer, questa non l’avevi mai riportata:
    “Il matrimonio è una bara e ogni figlio è un chiodo in più”.

    1. Alessandro

      Simpson stagione 14 episodio 2 (How I Spent My Strummer Vacation; Come ho passato la mia vacanza a strimpellare).

      Homer, ubriaco, viene immortalato dalle telecamere di uno show stile candid camera, mentre si lamenta della propria vita e della propria famiglia (“Il matrimonio è una bara e ogni figlio è un chiodo in più”)
      Dopo un primo momento di delusione, Marge e il resto della famiglia decidono di concedere ad Homer una vacanza al Rock’n’Roll Fantasy Camp, dove musicisti come Mick Jagger e Keith Richards, insegnano lo stile di vita delle rock star. Terminato il campeggio, però Homer è nuovamente depresso, e per consolarlo, Jagger e Richards gli propongono di salire con loro sul palco del loro imminente concerto. Homer è convinto di doversi esibire, mentre gli viene affidato soltanto il sound check. Ciò nonostante, Homer tenta ugualmente di esibirsi sul palco, creando una gran baraonda.

      http://it.wikipedia.org/wiki/Episodi_de_I_Simpson_(quattordicesima_stagione)#Come_ho_passato_la_mia_vacanza_a_strimpellare

  6. Alèudin

    Francesco Pancetta? interessante.

    ho capito è so benissimo per esperieza personale, anche con malati di mente, che la depressione è cosa assai seria e molto pericolosa, lunga penosa e faticosa.

    Quindi non pensiate che il mio post fosse una visione semplicistico/bucolica, come detto è solo una piccola testimonianza.

    Non è detto che da quel post qualcuno tragga una qualche conclusione ma per me personalmente meditare la storiella degli spacca pietre ha aiutato molto.

  7. Erika

    Cara Costanza, mi permetto di “bacchettarti” (con affetto e profonda ammirazione).
    Le prese di posizione del movimento femminista, che tu citi, sono riferibili agli anni ’60-’70. Oggi molte femministe si interrogano e indirizzano i loro sforzi su altri fronti e si sono (ci siamo?) rese conto che il “nemico” delle donne sono spesso le donne stesse, che sovente accettano di svilire la propria dignità mostrando la “mercanzia” al mercato della carne e rifiutando di inecchiare con sorzi ridicoli e inusitati (che tristezza certe signore cinquantenni devastate dal lifting e vestite di ridicole magliette di Hello Kitty, in costante competizione seduttiva con le figlie ventenni….)

    Queste prese di posizione, mie e delle mie amiche, ci hanno più volte fruttato la pubblica accusa di moralismo.
    Ricordo ancora l’epiteto di “neotalebane”, conquistatoci su un giornale locale per aver messo in dubbio l’opportunità della scelta del vice sindaco di presenziare come ospite d’onore e di premiare la fortunata vincitrice di un concorso tipo miss maglietta bagnata….

    Perdonatemi il pistolotto: una “femmminista”, si sa, si fa un punto d’onore di essere di una noia mortale 😉
    Tutto ciò per dire che, a mio parere, la preoccupante epidemia di depressione che colpisce tante donne nel mondo occidentale, ha poco a che vedere col femminismo e molto con la perdita di senso generale di un mondo occidentale che ci ha resi sazi e disperati, che ridicolizza non solo la pratica, ma anche la ricerca religiosa, che non favorisce in alcun modo il contatto vero fra gli esseri umani.
    Il fatto che colpisca maggiormente le donne probabilmente ha a che vedere anche con la nostra maggiore complessità biologica e ormonale.

    Riguardo al largo consumo di psicofarmaci, nella mia semplicità contadina, ho sempre pensato che sia dovuto al fatto che oltre ai veri malati che ne hanno bisogno, ne faccia uso un bel po’ di gente perfettamente sana cui non è più consentito, però, di essere triste, a volte.

  8. Raffaella

    “Il fatto è che siamo adulti quando desideriamo ciò che abbiamo” mi fa venire in mente il mio libro preferito: Harry Potter (alla faccia dei benpensanti, non è davvero uun libro per bambini. Magari tanti adolescenti li leggessero saltando Twilight che secondo me è un vero inno all’egoismo e al capriccio). La storia dello specchio delle brame mi ricorda proprio questo passaggio del tuo post. Si racconta che, un uomo perfettamente felice nello specchio vedrebbe (anzichè la meterializzazione dei suoi più profondi e segreti desideri) solo se stesso così com’è. E mi vengono in mente le parole con cui un mio amico vescovo ha congedato i miei due figli maschi più grandi: “Sarete veramente uomini solo quando sarete fieri dei vostri genitori, perchè li vedrete con la sapienza della vita”. Possiamo essere veramente felici, uomini e donne, solo se riconosciamo il tratto impercettibile di Eterno nascosto nella trama delle nostre più normali quotidianità. La Salvezza è qui, ora, per noi se sappiamo vederla. Anche nel lamento di noi donnne schiave del multitasking…. (e ti assicuro che ne so qualcossa). Grazie per le belle cose che leggo nel tuo blog

    1. “Sarete veramente uomini solo quando sarete fieri dei vostri genitori, perchè li vedrete con la sapienza della vita”.
      Un vescovo con i controfiocchi!
      E sottoscrivo anche la questione Harry Potter.

  9. Velenia

    @ aracne78,quando Lapo Elkan,qualche anno fa,fu beccato con la trans (o si dice il trans),la suddetta signora rilasciò un’intervista che mi colpì molto in cui dichiarò, senza mezzi termini , che Lapo andava da lei quando si sentiva triste.
    Se non bastano a lui i soldi,il potere,la bellezza e la fortuna ,a chi basteranno per essere felici?
    C’è una domanda di felicità nel nostro cuore,io la chiamo spesso un pozzo senza fondo,che niente e nessuno sembra colmare.
    Il problema è che spesso noi cattolici siamo i primi a scordarcelo e ad usare poi Cristo come una coperta di Linus,o come quella tua amica anziana usava le telenovelas.Ma quando poi il dolore, quello vero, bussa alla porta,o quando,al contrario abbiamo tutto e non ci basta,la coperta diventa ad un tratto corta.

    1. aracne78

      non ho ben compreso se il il riferimento a Lapo volesse essere in relazione con tale signore e alle sue donne allegre..ma nel caso specifico non si trattava di tristezza e ricerca della felicità altrove in risposta al disagio familiare..ma solo di un’abitudine giovanile( i buon vecchi valori di una volta!!!) prorogata naturalmente nel matrimonio( al ritorno dal viaggio di nozze!) …

      1. Velenia

        @ Aracne78,forse non mi sono spiegata,io commentavo l’intervista al trans che diceva che Lapo andava da lui(lei?),quando si sentiva triste,perchè Lapo fosse triste nè tu nè io lo possiamo sapere,ma che lo fosse dimostra che non sono nè i soldi ,nè la fortuna a darci la felicità.Che dietro questo nostro mondo sazio e disperato ci sia una immensa domanda di felicità, è ,per me,una constatazione che nasce dall’ osservazione e dall’ esperienza.
        Anch’io come,luisalanari,ho una cara amica che si è ammalata di depressione,quella vera,pur avendo tutto,lavoro brillante,casa in città,in campagna,figli,il marito che aveva sempre amato,viaggi e persino un piccolo yacth,evidentemente tutto questo non è bastato.
        Credo anch’io,anche perchè la scienza l’ ha dimostrato,che esistono fattori genetici e biochimici,ma penso che le esperienze e le scelte personali facciano il resto,anche perchè non si spiegherebbe che fra persone che hanno lo stesso patrimonio genetico,alcune si ammammalino e altre no.

  10. Miele

    Buongiorno a tutti e scusate l’ot ma vorrei scrivere una cosa ad Erika:
    Erika,
    leggo da tanto tempo questo blog ma non ho mai commentato. E’ da un po’ giorni però che mi viene voglia di ringraziarti per ciò che pensi e scrivi. La tua apertura, la tua delicatezza, il tuo naturale equilibrio sono una boccata d’aria fresca in un mondo impazzito. Io sarei istintivamente molto più “alvisiana”, ma cerco di lavorare molto su me stessa per poter avere un atteggiamento più simile al tuo, perchè penso che faccia proprio bene all’umanità!
    Vi saluto con tanto affetto (per tutti!)

  11. Alessandro

    http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/ilcoraggiodelladebolezza.aspx

    “La nostra cultura sta sempre più espellendo la vulnerabilità dalla sfera pubblica, soprattutto dal mondo delle imprese, per non parlare di quello della finanza. Nelle grandi imprese capitalistiche non c’è posto per la dimensione della fragilità, per il limite (negli orari di lavoro, ad esempio). Si fa carriera se si appare illimitati nella gestione del tempo, delle energie, dell’efficienza: guai a dire a un manager, soprattutto se si è giovani o addirittura neo-assunti, che alle nove di sera ci sono dei bambini a casa che attendono, o che la domenica si ha diritto a non lavorare; per non parlare degli effetti devastanti che produce, nei colleghi o dipendenti, l’ammissione di disagio psicologico, di una malattia seria o di una depressione. Il mondo economico vede tutto ciò che sa di vulnerabilità come una faccenda che non ha diritto di cittadinanza nel mondo, tutto maschile, dell’impresa (e delle istituzioni). È la famiglia, secondo la cultura dominante, il luogo dove scaricare le vulnerabilità e le fragilità, una famiglia che continua a essere pensata come il regno della donna, come lo spazio possibile della ferita e dell’accudimento. Ma la vulnerabilità è la condizione dell’umano, anche dell’economico, e se non viene accolta e accudita, a un certo punto esplode, e nel far di un mattino si passa da manager o imprenditori di successo a una clinica psichiatrica, completamente bruciati (l’ormai tristemente noto burn out), non più utili né all’impresa né alla vita familiare (o di ciò che ne resta).

    1. matrigna di cenerentola

      concordo con Miele, eppure ho un nome un po’ meno mieloso. Grazie, Erika

  12. 61Angeloextralarge

    “Ed è il senso che fa la differenza”: grazie Costanza!
    Questo post capita a fagiolo in un momento nel quale mi sto molto interrogando sul senso di alcune cose che “faccio per amore” e che immancabilmante mi “ritornano addoso” come dei boomerang e mi colpiscono all’improvviso facendomi male. Stare a contatto con una donna depressa è una lotta impari! Come la fai la fai… arrivano solo rimproveri e borbottamenti. Cosa dici dici… arrivano solo discorsi privi di speranza, pieni di un grandissimo egoismo.

    1. matrigna di cenerentola

      è proprio così, Angela, solidarizzo con la tua difficoltà. L’unico modo per non sentirsi delusi quando si cura o comunque si sta vicini a una persona depressa è mettersi in testa che aspettarsi una risposta emotiva di empatia è come aspettarsi che un non vedente ci dica che concorda con noi se gli facciamo notare quanto è bello il tramonto (e quindi, tra l’altro, siamo stati molto indelicati noi).
      Come sempre, io tratto bene la teoria… ma ogni volta che la mia vicina depressa ultranovantenne in eccellente salute fisica mi dice “tutte a me mi capitano” perché, per dire, le si è staccato un bottone dalla giacca, a me viene un attacco di rabbia.

      1. 61Angeloextralarge

        Matrigna del mio cuore: non è che mi sento delusa. So che di più non mi posso aspettare né pretenderlo. Le domande sul senso sono più profonde di quello che mi arriva in risposta, che comunque fa male ma lo offro al Signore. Gli attacchi di rabbia li ho suprati da anni; ogni tanto tornano ma radi e molto soft rispetto ai vecchi tempi: ma servono per rimettere le cose “a posto” per qualche tempo… poi si ricomincia. 😉

  13. luisalanari

    Non sempre la depressione, o la sanità mentale in generale, è sintomo di malessere economico o di mancanza d’amore o d’affetto, come hanno detto più persone nei precedenti commenti.
    La testimonianza di Viviana che narro nel mio libro “Una storia di stra-ordinaria follia” è ben diversa. Come ha sottolineato la relatrice nell’ultima presentazione del libro, a Viviana non mancava nulla: né a livello di status quo economico e sociale (svolgeva una professione, per cui aveva studiato, ben remunerata) ed era circondata d’affetto (il marito Angelo, di cui vi ho parlato nel mio post su questo blog “Nella gioia e nel dolore”, i figli, gli amici, la famiglia d’origine). Lì è scattato un problema ben più complesso: il passato che le pesava alle spalle, il carattere sempre tendente al perfezionismo che le ha prosciugato tutte le energie – fino a farla esaurire psico-fisicamente – l’inadeguatezza e il senso di colpa che si auto-infliggeva rispetto ai ruoli che si ritrovava a ricoprire.

    Tutto ha contribuito a farla passare, nel giro di poco, dal tutto al niente (non parlo di avere tutto o niente a livello materiale, ma nullità a livello interiore, compreso il sostegno – se così si può dire – che lei traeva dalla fede).
    E non dimentichiamo che in questo campo così delicato della salute mentale, subentra anche la genetica: come ho potuto scoprire documentandomi per la stesura del libro in numerosi scritti (sia manuali di esperti nel ramo, sia autobiografie di persone coinvolte dalla malattia), ci sono interazioni tra le sostanze chimiche del cervello e molto incide di come cervello, sangue, geni e istinti si sono amalgamati alla nascita. Tutti questi fattori, unitamente alle esperienze di vita, contribuiscono all’insorgenza di certe malattie mentali.
    In particolare, si può essere predisposti a tali disturbi sia a causa di geni ereditati dai genitori o dai nonni, sia per il modo in cui è impostata la biochimica del cervello ma anche dal modo di reazione a una determinata situazione (stressante, ansiosa). La serotonina, in particolare, è un neurotrasmettitore strettamente associato ai disturbi bipolari e alla depressione e alcuni studi dimostrano che le persone afflitte da queste patologie hanno il 40% in meno di un particolare marker genetico (il recettore 1a) all’interno dei neuroni della serotonina. Uno squilibrio tra i vari neurotrasmettitori può provocare una reazione sbagliata e/o creare una risposta inappropriata a un evento o a una situazione ed è nella sinapsi (dove la “corrente elettrica del cervello” incontra il neurotrasmettitore) che ha origine il disordine mentale.

    Non voglio fare una lezione di biochimica o di genetica ma solo far notare che non conta il “si stava meglio quando si stava peggio”, cioè ai tempi dei nostri nonni o il ruolo che la donna ha oggi nella società (multitasking, femminismo e quant’altro): la depressione o altri disordini correlati – disturbo bipolare, della personalità, borderline, ecc… – colpiscono tutti senza distinzioni di sesso, ruoli, agiatezze. La bestia, come la chiama la protagonista del mio libro, è sempre in agguato e i farmaci (usati o abusati oggi nella nostra società) aiutano a riequilibrare quelle interazioni di cui parlavo sopra e consentono ai soggetti colpiti di vivere una vita non normale, diciamo decente o ancora meglio come la definisco io “stra-ordinaria”. Sì, str-ordinaria con il trattino per distinguerla dalla straordinarietà comunemente intesa (=eccezionale): intendo unica, non normale ma dignitosa.

    1. Marco De Rossi

      Condivido il commento di luisalanari. Tra l’altro con gli antidepressivi non si cura solo la depressione ma anche altri disturbi.

  14. Premesso che parlare senza sapere di depressione e affini lo trovo abbastanza fastidioso. Ma non credete forse che l’aumento dei casi di depressione è da collegarsi al cambiamento delle dinamiche sociali e anche ad un radicale cambiamento nei tipi di diagnosi? Negli anni ’50 del 900 quanti parlavano di depressione? Di esaurimento? pochi ma di certo non è che non esisteva. Per molti versi son dell’idea che in passato certe malattie non ce le si poteva permettere in molti casi e troppo spesso si liquidavano come semplici malumori stati d’animo molto più complessi. Non mi definisco femminista credo semplicemente nella parità dei diritti e sinchè un datore di lavoro si può permettere battute becere che non fa ai maschi avrò qualcosa da ridire (vita vissuta non immaginazione eh). Quanto all’essere felici di ciò che si ha mi permetto di fare un appunto: ognuno di noi da un diverso valore alle “cose” (posso avere casa e lavoro sicuri ma sentirmi vuota perchè non ho qualcuno vicino o viceversa avere l’amore e sentirmi fallita perchè non mi realizzo nello studio o nel lavoro) e mi pare un pochino troppo presuntuoso pretendere di poter dire agli altri che devono apprezzare quello che hanno. Ma a giudicare siam tutti bravi eh…

  15. vale

    macchéstaiaddì….
    a) non sai se ,tra i frequentatori , e persino autori abituali, qualcuno soffra o abbia sofferto di depressione. presumere che non si sappia di cosa si parla è un’illazione gratuita.

    b)la depressione è conosciuta da sempre anche se con altri termini. che il progresso della medicina abbia aiutato a definire meglio i sintomi e le cure, non vuol dire che prima non si riconoscesse quello stato d’animo che, oggi,si definisce depressione( un domani ,magari si chiamerà lupo alberto,chessò)

    c) qui si parla sempre anche per esperienza personale. ma le statistiche citate dall’autrice non penso siano così facilmente opinabili con “una soggettiva scala di valori”. anche in medicina – e basterebbe leggersi dei report dell’OMS che sono praticamente tutti basati su statistiche e fenomeni macrosociali-.oltretutto è una giornalista professionista. è vero che la categoria , ultimamente, non pare molto attendibile( e paqrla benissimo di cose che non conosce.ma la battuta non è mia.). ma non è il caso della padrona di casa.ancorché sembri “leggera” nel dire, non vuol dire sia “leggera”nel pensare quel che poi dice
    .
    d)notavo che a giudicare sei molto brava….
    eh…

  16. vale

    anche-oltre alle citazioni che abbondano-
    un giorno strangolo il correttore di bozze….

  17. CFK

    ma non mi sembra che l’autrice dell’articolo si riferisse alle persone realmente malate di depressione, quello è un altro discorso; di quel 33% di donne inglesi che fa ricorso agli psicofarmaci credo che una piccola parte sia realmente affetta da patologia, la maggior parte usa i farmaci come “soluzione” alla propria inadeguatezza, senso di vuoto, perdita di senso etc., le cui cause vanno ricercate in ambito culturale, psicologico, antropologico, sociologico e religioso.

  18. Velenia

    Voglio aggiungere una cosa,che un tempo la depressione colpisse meno l’ho sentito dire spesso anche da persone non proprio anziane ma solo 10 o 20 anni più vecchie di me,e in riferimento sia alle donne che agli uomini. C’è, secondo me,anche un motivo piccolo, piccolo : un tempo si era meno soli,nei paesi, ma anche nei condomini delle grandi città,ci si conosceva tutti,la solidarietà era la norma,neanche un cane moriva da solo,se nasceva un bambino, la puerpera aveva la casa invasa da parenti e amiche che venivano,non in visita ,come si fa oggi ma a dare una mano concreta,altro che depressione post-partum,senso di inadeguatezza e solitudine, che pure io ho sperimentato con il primo figlio,c’erano persino le “mamme di latte”,cioè se una donna aveva tanto latte,allattava oltre il suo bebè anche un paio di bebè di amiche che di latte erano sprovviste.Quando qualcuno moriva ,dalle nostre parti c’era “u casu” (il destino),si portavano cibi e bevande per nove giorni a casa del morto.

  19. FLO-FLO

    @Costanza:devo dire che questo post mi ha un pò infastidito.La prima reazione che ho avuto , te lo dico sinceramente è stata dire ad alta voce “Ringrazia Dio Costanza di non dover avere a che fare con le malattie mentali, se le conoscessi davvero personalmente non scriveresti queste banalità!”

    Credo che per parlare di malattie mentali bisogna documentarsi al massimo, soprattutto se è una realtà che non ti appartiene, perchè hai la fortuna di non avere queste malattie, altrimenti si cade in generalizzazioni da 4 soldi.
    Il post di luisalanari descrive nella verità questa realtà.
    Troppe volte ho sentito dire “la depressione non esiste” o “se hai fede non puoi essere depresso”! Ovviamente da chi non ne ha mai sofferto….
    Forse le domande, Costanza, piuttosto che fartele a te stessa avresti potuto farle ad uno specialista, ce ne sono moltissimi anche cattolici.
    Scopriresti una realtà complessa….dove la fede centra ben poco, dove le persone coinvolte non sono solo le persone che hai descritto tu…la fede ti aiuta sicuramente ad accettare la malattia così come si accettano altre croci.
    Ci sarà anche chi abusa di psicofarmaci ma essi per chi è affetto da queste patologie sono gli unici che ti consentono di poter fare una vita normale.
    Così come si nasce con un piede di misura 38 o 37 così alcuni di noi hanno dei meccanismi mentali che reagiscono ad alcuni eventi in certi modi. Gli aspetti genetici, chimici e ormonali concorrono tutti , come descrive benissimo luisa.
    Sul discorso del passato, posso solo dire che se oggi grazie a dei farmaci anche chi ha disturbi psichici può vivere dignitosamente, lavorare, avere una famiglia, insomma avere una vita normale(ovviamente ci sono malattie psichiche di diverso grado di gravità ), un tempo le persone venivano emarginate e si diventava “il matto del paese”.

  20. Velenia

    Scusate il pc fa le bizze. Non voglio idealizzare il buon tempo andato,sicuramente c’erano liti e pettegolezzi,però si piangeva con chi piangeva e si rideva con chi rideva.Ora siamo spesso soli ,nei nostri splendidi appartamenti con la Tv a schermo piatto (io non ce l’ho,ne ho una con 15 anni di onorato servizio e un decoder)e la parete attrezzata,alle prese con cose come la competizione sul lavoro,la gestione dei ruoli,il doversi sentire all’altezza,sentimenti che non credo sfiorassero mio nonno paterno quando a 18 anni lasciò la miniera di zolfo dove da 10 anni lavorava come “caruso”,con la cartolina precetto in mano per andare a combattere in trincea dopo la disfatta di Caporetto ( era un “ragazzo del ’99),o mia nonna ( sua moglie) quando in piena II guerra mondiale si ritrovò su un traghetto in mezzo alla Stretto,con 3 figli piccoli accanto,una in grembo e gli aerei inglesi che bombardavano.Sono certa che ognuno di noi ha sentito storie simili,da bambino dalla bocca dei nonni.
    Allora la domanda che mi pongo ( quanto mi piace porre e pormi domande,sono rimasta ancora alla fase dei perchè!),cos’è che sosteneva loro in quei tempi drammatici e non sostiene più noi?

    1. aracne78

      forse .(.tra le tante ipotesi ovviamente) a sostenere le vecchie generazioni era proprio il fatto di conoscere poco il mondo intorno, di viaggiare poco e non aver l’opportunità di confrontarsi con altri stili di vita e scelte personali…spesso non c’erano alternative..la vita per uomini e donne, soprattutto per chi non veniva da famiglie agiate o non poteva aspirare ad un riscatto sociale, era già scritta ..così doveva essere e non c’era spazio per le domande…perciò ci si arrangiava e si andava avanti..e si era forse più felici…ma non tutti erano felici… tra le tante storie c’era anche il malessere, il senso di inadeguatezza e la frustrazione(come ho raccontato nell’esempio della signora anziana che conosco io)di tanti a cui una vita così non piaceva..poi c’erano le nevrosi dei ceti più abbienti schiacciati dalle loro stesse regole formali e da mille compromessi…(vedi Anna Karenina-Tolstoj, il cui matrimonio infelice, combinato dalle famiglie è all’origine del suo percorso di autodistruzione).

    2. Noi abbiamo troppe cose e troppa paura di perderle. Siamo infinitamente più ricchi di materia e infinitamente più fragili di spirito. Sarà perché una volta si viaggiava poco? Boh. Ma chi ci crede, che viaggiare allarga il comprendonio? Coelum, non animum mutant, qui trans mare currunt…

      1. aracne78

        io ci credo..viaggiando sono entrata in contatto con alterità sconosciute e piene di sfaccettature.. ma io non sono la tipica turista che va per itinerari prestabiliti…io cerco la gente, l’anima delle cose e nuove prospettive per arricchire il mio spirito..in me le contraddizioni ed i paradossi trovano naturale dimora …ho conosciuto persone di tanti colori,religioni, abitudini e scelte di vita diverse e opposte alle mie..in punta di piedi e con grande umiltà sono andata loro incontro e ho ricevuto in cambio grande stima e rispetto per la mia persona e per le mie scelte radicali e fuori moda…

  21. JoeTurner

    “sono credente ma la fede e Dio non c’entrano niente con queste cose!”
    Ma di fede e di che Dio parlate ????

  22. Mi permetto di far notare che il post non parla della genesi individuale della depressione ma semmai delle cause socio-culturali delle crescente epidemia di disturbi della psiche, che è cosa ben diversa. Non siamo al livello d’analisi della psicologia del profondo o della psichiatria individuale, ma a quello della psicologia sociale, la disciplina che si che si occupa di studiare come la società influenzi e interagisca con la psiche individuale.
    Quindi il post si allaccia idealmente a un filone di studi che va dal libro di Frank Furedi su Il nuovo conformismo. Trappa psicologia nella vita quotidiana a quelli di Tony Anatrella, il sacerdote psicanalista e specialista in psichiatria sociale autore di numerosi saggi e voci del Lxicon sulla famiglia, sulla “società depressiva” (cfr. ad es. il suo
    Non à la societé depressive).
    Sempre su questo argomento e sempre di Anatrella segnalo questo articolo: http://www.twoqueensholiday.com/sep/UnaSociet%E0Depressa.pdf

  23. Non voglio difendere Costanza ma non ho inteso questo post come l’hanno inteso altri lettori. Io ho purtroppo delle situazioni di depressione nella mia famiglia di origine,
    in parenti vicini e in alcuni amici, in un paio di situazioni l’epilogo è stato estremo. Mio cugino si è suicidato ed è andato peggiorando dopo l’assunzione di psicofarmaci.
    In altri casi sto assistendo ad una situazione completamente diversa, nel senso che l’assunzione di psicofarmaci sta aiutando un mio amico e padre di famiglia a riprendere il lavoro ed a trovare un suo equilibrio. Ma questo post sta, secondo me, parlando più che di depressione in senso patologico/neurologico di una stanchezza e sfiducia che può portare anche alla depressione ma che in molti casi sfocia solamente in scelte esistenziali viziose o rinunciatarie. Certi psicofarmaci di cui si fa abuso sono in realtà degli eccitanti o calmanti che non hanno sempre prescrizioni attente o si trovano liberamente in commercio.

    1. me stesso

      A Milano ci sono più cani che bambini. Per l’esattezza 120 mila “amici a quattro zampe” contro 83.605 bimbi fra zero e 6 anni

      off-topics? chissà…

        1. 61Angeloextralarge

          Alvise Maria: ridendo e scherzando, a volte, dice grandi verità! Smack! 🙂
          Lo fai per prendere per i f… ma la verità resta. 😉
          Toscanaccio! Su fai il bravo che è ora passata!

      1. 61Angeloextralarge

        me stesso: forse è perché i cani “impegnano” e “responsabilizzano” meno dei figli? Un cane lo si può abbandonare in autostrada e un figlio no… Vuoi mettere? 😉

  24. @ Vale
    non m riferivo a tutti coloro che hanno postato, e tra i quali molti mi pare non concordino in toto col post in questione, ma proprio alle affermazioni fatte. La depressione è conosciuta da sempre ma dovrai pur riconoscere che negli ultimi 20 anni il termine ha assunto un accezione ben più definita che non il normale depresso=triste come veniva spesso e volentieri liquidata la faccenda non troppo tempo fa. Quanto al giudicare si lo faccio e noto che è quello fan tutti, curioso no? Ah, complimenti per saper leggere nel pensiero 😉

  25. matrigna di cenerentola

    Come alcuni hanno già scritto (vedi exileye qui sopra), c’è depressione e depressione. La depressione “vera” è una malattia organica come il diabete, e va curata con le medicine, e le medicine aiutano, eccome. E guai a dire a un vero depresso “ma non vedi quante belle cose ci sono nella tua vita”, gli si fa solo male, e si rischia di spingerlo al suicidio. La malattia c’è sempre stata, può darsi che oggi si riconoscano i sintomi e si diagnostichi meglio e per questo sembra in aumento, ma non è detto che sia così sicuro.
    Invece si parla impropriamente di depressione, di questi tempi, anche nei casi di mancanza di orientamento al senso della propria esistenza, come dice Erika. E questa sì che è aumentata, e per molti motivi. Vorrei aggiungerne uno banale: le ultime generazioni vengono o sono state allevate in modo da subire il numero minore di contrasti possibili: niente voti brutti a scuola, sennò il piccolo -o l’adolescente- subisce uno shock, regali comprati su richiesta, nessuna privazione. Quindi, alla fine, nessun allenamento alla vita, che così cortese non è per nessuno. E al minimo problema… “depressione” e psicofarmaci.

    1. Erika

      @matrigna di Cenerentola: concordo totalmente.

      Per inciso, credo che anche Costanza non intendesse parlare delle malattie mentali, bensì di quel senso di disagio che sembra colpire così tante persone moderne.
      Quello su cui non sono del tutto d’accordo con Costanza e’ che ci sia correlazione diretta tra emancipazione femminile e depressione.
      Ma per il resto concordo con la nostra padrona di casa: e’ innegabile che qualcosa, a livello sociale, si sia spezzato.
      Quello che dice Velenia e’ vero: una volta la socialità era più intensa e permetteva di sentirsi meno soli e inadeguati.

      1. matrigna di cenerentola

        si, certo, Erika: non l’ho scritto, ma anche io penso che Costanza si riferisca alla seconda forma di disagio, non alla malattia, e che purtroppo capita di usare le parole in modo che può essere frainteso. Le esperienze di cui parla Velenia sono veramente parte di un pezzo di vita sociale che ho conosciuto un po’ indirettamente (solo nella famiglia di mia madre) e che rimpiango moltissimo.

  26. FLO-FLO

    concordo con “matrigna di cenerentola”.
    Il mio post mi è venuto spontaneo in “difesa” di tutti quelle persone che soffrono di depressione o ansia o attacchi di panico o disturbo bipolare e quant’altro che non si sono mai e mai si riconosceranno nella descrizione di persone che non vedono un senso alla propria vita o che entrano in farmacia e si prendono eccitanti o calmanti come acqua fresca autoprescrivendoseli……anzi non sai quanto pagherebbero per non doversi curare!
    Così come quando ti diagnosticano il diabete (come dici tu) devi seguire una cura, così ti trovi a farlo, ovviamente seguito da uno specialista, quando vivi un disturbo neurologico-psichico.
    Quando ho scritto che c’entra poco la fede , volevo solo dire che essa sicuramente è un grande aiuto per la guarigione, ma non è una medicina….se i tuoi neurotrasmettitori della serotonina funzionano diversamente dal normale (e ciò non è che lo decidi tu ma dopo tanti esami a cui sei sottoposto lo rileva lo specialista) hai bisogno di un farmaco oltre che della preghiera. Lungi da me dire che la fede non sia un aiuto in queste situazioni, come lo è in tutte le altre malattie e fa la differenza vivere una croce con o senza fede.
    Ovviamente se si vuole fare un discorso di tipo socio-culturale sulla depressione…allora siamo su due aspetti diversi.
    A volte si usa impropriamente o si sottovaluta il termine depressione facendo una semplice uguaglianza depressione=tristezza. Ho incontrato persino donne che con il pancione (quindi ancora il bambino doveva nascere) programmavano il loro rientro a lavoro dicendo “partorisco, ma poi mi prendo malattia per depressione post parto….e poi dopo tanto tempo rientrerò!. Mi auguro che non abbiano mai dovuto fare i conti realmente con quella malattia in un momento così felice della vita come quello della nascita di un bimbo. Ovvio che questi atteggiamenti fanno salire la “rabbia” a chi soffre di questi disturbi e vede ancora gente intorno che ne parla in questo modo….

    Credo sia normale comunque quando si scrive su certi temi così delicati, complessi e pieni di sfaccettature non trovare tutti d’accordo.

  27. Sarò off-topic e non voglio assolutamente buttarla in caciara, visto che la depressione l’ho conosciuta non personalmente ma abbastanza da vicino, però volevo chiedere: qualche suggerimento per una puerpera che ha partorito un mese fa? Mi è rimasto qualche chilo di troppo, ho passato due giorni fa l’influenza con febbre a 39, mi sento perennemente spettinata, con questo caldo di giorno sono murata viva in casa col bambino… qualche suggerimento per tirarsi su che non sia l’alcool?…
    Onde evitare bacchettate da chi ha avuto serie depressioni post.partum, il bambino è una meraviglia, sano e solo a notti alternate un po’ rompiballe… insomma sono felice… grassa e spettinata ma felice

    1. Susanna carissima amica mia! quanto ti capisco! quando è nato il mio primogenito ho passato i primi tre mesi con un mollettone in testa per tirare su i lunghi capelli che non volevo assolutamente tagliare anche se era estate e faceva un caldo da spaccare le pietre. Ebbene dopo quei tre mesi passati a non dormire e allattare ogni 2 ore (!!!) compresa la notte, avevo in testa un nido di merlo intricato che la parrucchiera al vederlo si è impressionata e … ha tagliato tutto. Un suggerimento per tirarti su? mah…. quando ero nella tua stessa condizione mi bastava uscire da sola per un’oretta, anche solo per ritrovarmi, bastava un caffè e una telefonata ad una amica. Certo, nei momenti in cui imploravo mio marito di spupazzarsi il piccolo non ero molto godibile, ma devo dire che lui mi ha aiutata molto. E devo ringraziare anche le bravissime ostetriche dell’ospedale di Piacenza che mi hanno accompagnata in quel periodo, dandomi sicurezza.
      Per quanto riguarda il peso…. non ti crucciare troppo! se allatti è normale avere fame. La dieta la farai in un secondo momento. Non so se ti posso aver aiutato, ma a volte sentire che non sei l’unica ad esserci passata può essere di conforto!

    2. angelina

      Deliziosa Susanna!
      Non sono adatta a dar consigli, e mi pare che sai perfettamente come stanno le cose in questo frangente. Mi hai fatto comunque venire in mente che un bel taglio di capelli, magari appena un po’ azzardato, qualcosa di nuovo tipo l’asimmetrico che va quest’estate, …..con me ha sempre funzionato. Alleggerisce, ringiovanisce, reca quel paio di giorni di gloria (cioè, un attimino di attenzione: hai un nuovo taglio? stai bene!) che possono portare un po’ d’aria fresca in questo clima inevitabilmente “bimbocentrico”.
      Grassa? Suvvia, …morbida! Per la serie “meglio evitare”, magari è il caso di non tenere in frigo bibite dolci e formaggi; il resto più in là.

      1. E magari anche un bel ventilatore a pala da soffitto, di quelli che fanno tanto esotico e non disturbano troppo il pargoletto? E il taglio di capelli, un toccasana sempre…:-)

    3. certo il caldo non è il massimo. Io nei momenti di esaurimento se ero sola in casa mettevo il pupo di turno nel marsupio o nel passeggino e uscivo, camminavo con l’auricolare nelle orecchie (musica o qualche amico/a paziente), piangevo senza ritegno, mi fermavo ad allattare ovunque capitasse e tornavo a casa solo quando ero sfiancata.
      Uscire col neonato mi salvava da quelle terribili domande “quando partorisci?” visto che fino ad almeno 3 settimane dal parto non si notava differenza tra pancia piena e pancia vuota. Ma appena potevo scappavo da sola mollandolo a una mamma, un marito, una suocera… il primo disponibile che avevo a portata di mano.
      Cerca di restare sola per un po’ ogni tanto, il bambino non è una tua appendice, può stare qualche ora senza di te anche se allatti al seno.
      Poi appena puoi, parrucchiere, pulizia del viso, sopracciglia, trucco leggero e manicure: i chili non puoi smaltirli subito ma un aiutino per vederti bella (perchè già lo sei sicuramente) fa sempre bene.

      1. Grazie a tutti di cuore per i vostri suggerimenti… qualcuno si stupirà nel leggere che non sono al primo figlio ma al terzo, quindi in teoria dovrei essere preparata sulle crisi del puerperio, tuttavia in termini di “ansietà materna”, perdita in caduta libera di sex-appeal e lacrima appesa per un nonnulla, questo è stato il post-parto più tosto… sarà che è il primo che capita col caldo torrido… sarà che dalla seconda figlia ci sono passati 7 anni… sarà che mi è arrivato un maschio dopo due fanciulle e devo essermi completamente rimbecillita per il mio ometto in miniatura (proprio io che, potendo scegliere, avrei fatto solo femmine!) va bè, sarà un po’ quello che volete… comunque grazie veramente a tutti. Devo assolutamente vincere la pigrizia che mi è subentrata con la stanchezza e andare a fare un bel restauro…

  28. L’italiano è una lingua ricca ma ahimé trascina con sé due devastanti limiti:
    a) l’eccesso di vocaboli fa sì che diamo loro un senso diverso gli uni dagli altri
    b) laddove in alcuni ambiti i vocaboli spumeggiano in altri boccheggiano e mancano
    Se a questo sommiamo il fatto che sempre di più siamo portati a interpretare le cose secondo la nostra vita -è sempre più difficile fare un discorso generale sui principi, le linee di fondo, perché sentendoci toccati tutti siamo pronti a portare un esempio, a parlare di noi e del nostro vissuto che difendiamo con tutto noi stessi- diventa a volte difficilissimo capirsi.

    E un pizzico di arroganza mista a pregiudizio spinge ad aggredire invece che a porre domande per capire meglio.

    La parola depresso ha molte sfaccettature. Spesso, forse troppo, la si usa non nel senso patologico. Non quindi per indicare una malattia che va affrontata come tale, ma per indicare uno stato d’animo di una tristezza indotta.
    Che ovviamente non ha nulla a che fare con la patologia che qui è stata ben descritta da qualcuno e che richiede cure mediche, oltre magari alle preghiere, ma così come si prega per un cancro, un’ischemia, un infarto.

    Mi pare che il tono e il senso del post di Costanza si riferissero al secondo caso, a quello stato dell’animo cupo e ripiegato su di sé che non è la patologia depressione, ma quella roba lì che si può definire con il medesimo vocabolo ma che designa una cosa diversa. Capita. Ce ne sono di parole così in italiano. Ce le facevano imparare alle elementari: pesca ad esempio, calcio, vogliamo aggiungerci golf? altre lo sono diventate, come ad esempio comunicazione.

    Prima di lanciarsi varrebbe la pena capire di che cosa si stesse parlando: eviterebbe molti dolori e parole.

      1. Marco De Rossi

        Veramente, utilizzare il termine pesca per indicare il frutto o il pescare i pesci e’ corretto.
        Utilizzare il termine calcio per indicare lo sport o un minerale e’ corretto.
        Utlizzare il termine depressione per indicare ad esempio un po’ di tristezza e’ sbagliato.
        Cosi’ come e’ sbagliato utilizzare il termine iperattivo per bambini vivaci.
        Detto questo se le donne devono far ricorso a questo genere di farmaci piu’ degli uomini (che comunqe significa che anche gli uomini ne fanno uso) rientra nella spiegazione classica di questo “blog”: le donne sono diverse dagli uomini e quindi hanno risposte anche psicologiche diverse.
        Un tempo gli psicofarmaci avevano gravi effetti collaterali, ora sono molto piu’ tollerati e quindi piu’ prescritti e piu’ usati.
        Tra l’altro serve o almeno dovrebbe servire una ricetta medica per acquistarli, e quindi non se ne puo’ far uso come un bicchiere di acool che si puo’ acquistare tranquillamente al supermecato.

        Poi non so cosa dicano le statistiche ufficiali, …. ma non ci sono piu’ vedove che vedovi?
        Le donne prenderanno anche piu’ piscofarmaci ma ci seppelliscono tutti. 😀

  29. Anche le donne…
    “Milano avrà il registro delle unioni civili. Al termine di una seduta fiume durata più di 11 ore è stata infatti approvata nella notte la sua istituzione, con 29 voti favorevoli, 7 contrari e 4 astenuti.”
    I 4 astenuti sono i cattolici del PD.

    1. Alessandro

      “Chi scrive è anche cittadino di Milano, e può testimoniare che questo episodio sproporzionato e senza precendenti costituisce tutto meno che un passaggio virtuoso dell’amministrazione comunale: la fretta, le incertezze del testo, la quasi “feroce” determinazione per chiudere la partita prima della pausa estiva, confermano i giudizi iniziali: si tratta di una iniziativa di natura fortemente ideologica, estranea al vero mandato amministrativo del Comune, lontana dai bisogni reali delle famiglie milanesi, ma volta piuttosto a offrire “diritti” o forse sarebbe meglio dire “privilegiata attenzione” a situazioni che potevano tranquillamente essere governate con altri strumenti, già disponibili. Inoltre il dibattito e l’obiettivo generale sono rimasti fortemente adultocentrici, tutti concentrati su una “uguaglianza di opportunità” di coppie adulte, eterosessuali e soprattutto omosessuali, che non mette a confronto diritti e doveri, ma abbozza solo diritti esigibili sempre e comunque.

      Le conseguenze concrete di questa decisione amministrativa sono irrilevanti, come conferma l’esperienza di tutti gli altri Comuni che hanno già introdotto registri analoghi, disertati o rivelatisi inefficaci. Ma stavolta la mobilitazione per far “funzionare” un provvedimento-spot appare più forte. Si vedrà. Il rischio reale è che anche in forza di simili iniziative venga rafforzato un atteggiamento di totale privatizzazione degli impegni familiari e affettivi, che tende a rendere insignificante e non necessario il matrimonio, passaggio invece fondamentale per costruire un patto, un impegno, un riconoscimento reciproco tra progetto della coppia e patto sociale.”

      http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/il-piano-inclinato.aspx

        1. Alessandro

          e la “libertà democratica” prevede anche che i cittadini possano criticare l’operato del sindaco

          1. …ovviamente, ma dovete abituarvi a considerare che voi cattolici siete solo una parte della società, non la società, che le vostre idee, anche se per voi sono LA verità, devono prevalere sulle altre idee perché diventino la legge di tutti. La quale legge di tutti non è LA verità, ma solo quello su cui i cittadini si sono trovato d’accordo (nei modi previsti, almeno per ora, poi non si sa)

    2. Non dal bollettino parrocchiale ma dal Fatto Quotidiano, edizione Emilia Romagna del 18 febbraio 2012:
      Il flop del registro per le unioni di fatto. “A Bologna nessun iscritto in 12 anni”
      http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/18/flop-registro-unioni-fatto-bologna-nessun-iscritto-anni/192172/

      A Gubbio invece pare che l’abbiano abolito, perché in 10 anni si era iscritta una coppia sola.
      E non sono i soli casi. Insomma una priorità rovente…

  30. “E un pizzico di arroganza mista a pregiudizio spinge ad aggredire invece che a porre domande per capire meglio.”

    mhhhh molto interessante!

  31. annarita

    I cattolici non hanno “loro idee”, non hanno una loro Verità i cattolici sono coloro che utilizando l’intelletto e mettendoci un po’ di umiltà credono sia ragionevole credere ciò che un “uomo” di nome Gesù ha detto di Lui stesso (di essere Dio) e lo ha testimoniato con i miracoli. I cattolici credono essere degni di credibilità gli apostoli, morti quasi tutti martiri per testimoniare ciò che Gesù ha insegnato loro. Atti di fede ne facciamo continuamente senza avere nemmeno grandi credenziali, ad esempio un amico ci racconta un fatto e noi non è che gli diciamo: non ti credo perchè non ho visto, e l’amico a cui crediamo non si è nemmeno fatto torturare un po’ prima di dirci il fatto e non si è nemmeno visto mettre crocifisso a testa in giù. Siamo dei creduloni perchè crediamo all’amico?No, dunque perchè dovremmo essere creduloni se crediamo a chi ci ha dato maggiori credenziali?
    Inoltre la fede è si un salto nel mistero, ma è ragionevole, non assurda. Diciamo che la fede è quel salto in più che fa l’intelletto umano, consapevole di avere dei limiti dovuti al fatto di non essere Dio.
    Noi cattolici caro filosofiazzero siamo il fior fiore della società non una semplice parte, siamo quelli che la società la edificano, non la distruggono con false ideologie, siamo coloro che non hanno messo il cervello all’ammasso, quelli che sanno sacrificarsi perchè non ritengono di avere più diritti dell’unico diritto che in realtà si ha: conoscere, amare e servire Dio. I cattolici sono coloro che hanno ben presente il fine umano e che nonostante le difficoltà e le cadute vanno dritti per tale fine, confidando nella grazia di Dio.
    A volte caro filosofiazzero quelli che non credono, non è che lo fanno per ragionevolezz, ma lo fannop perchè non si sono scomodati a cercare la Verità oppure, non avevano voglia di vivere secondo la Verità, non c’è a mio parere un ateo ragionevole, solo atei pigri, in malafede, o ignoranti (per dire che ignorano, non è un’offesa). Atei che hanno cercato la Verità temo non esistano.
    La legge di tutti lei dice che non è la Verità, ecco perchè questo è un pazzo mondo, perchè invece di poggiare sulla verità poggia sulla maggioranza, ma maggioranza non è sinonimo di Verità, non è che se la maggioranza dice che l’aborto è un diritto, lo sia veramente.
    La Verità vi farà liberi, oggi che viviamo in un mondo di ipocriti siamo schiavi senza saperlo, schiavi di uno spread inventato a doc, schiavi di paure e sensi di colpa ideati a doc: sentiamoci tutti colpevoli, perchè secondo la pubblicità sulla rai siamo tutti evasori fiscali, tutti cattivi se diciamo che il matrimonio gay non può esistere, tutti razzisti se diciamo che c’è un’unica religione vera. Ci hanno infognati nella mania del rispetto umano, così oggi si ha paura anche solo di accennare alla parola Verità, tutto deve essere relativo, la Verità non può esistere, perchè offende chi non la vuole, dunque anche i cattolici ultimamente temono di dirla. Ma c’è uno dei 10 comandamenti che appunto ci obbliga a dirla.

    1. annarita:
      …casomai, eventualmente, da quello che tu dici, schiavi e infognati nella negazione della verità siamo noi atei ipocriti
      e condizionati mentalmente, non voi, voi siete padroni di usufruire della Verità e di proclamarla, di riunirvi nei tempi per celebrare i vostri sacri riti, di avere i vostri rappresentanti i vostri giornali eccetra (non sono certo i soldi che vi mancano per finanziarli, ringraziando il Signore) Noi, vorrà dire, non solo si cercherà di rendere il mondo sempre più cattivo e pestifero, ma poi, anche, alla fine, si sprofonderà nello Inferno. Pensate, intanto, a salvarvi voi invece che di fare le pulci agli altri!!!

  32. annarita

    Nessuna pulce agli altri, figurati, già devo cercare di eliminare le mie di pulci. Ma consiglio di cercare la Verità, perchè altrimenti si rischia di perdere il fine ultimo della propria esistenza. Magari partendo dalla domanda: è ragionevole credere che esista Dio? poi prosseguendo fino a capire di che Dio si parla.
    Sono stata atea per anni e comprendo i ragionamenti che si fanno, certo senza grazia si arriva a poco, nessun cattolico mi ha convertita con i ragionamenti, ( ma la preghiera di amici probabilmente ci è riuscita), ma basterebbe chiederla con un po’ di fiducia e Dio la da certamente.

    1. Sì, penso che sia ragionevole credere che esista Dio. Non per nulla tanti ci credono. Quanto a me non sento il bisogno di crederci e quindi non voglio chiedere nulla a nessuno. Se Iddio, o le preghiere di qualcuno, mi otterranno la grazia di credere, ve lo comunicherò subito.

  33. annarita

    Ah! scusa un ‘ultima cosa purtroppo ci è stato dato un comandamento essenziale per salvare la nostra pellaccia ed è quello di amare il nostro prossimo come noi stessi, dunque non possiamo salvarci se non cerchiamo di salvare pure voi, dovrete sopportarci o sterminarci come hanno già provato lungo la storia. Preferirei che mi sopportaste pazientemente, ma fate vobis.

  34. Cris

    Xchè le donne? xchè la società del profitto, del business, delle donne in carriera ha gli occhi accecati da valori effimeri e falsi idoli (soldi, carriera, sesso), ed ecco che a capo di importanti società abbiamo top manager/director psicolabili che se vedono una donna che vuole rinunciare a queste logiche, xchè vuole prima di tutto essere sposa (e non l’amante come si usa di + per fare un pò di carriera così ci si può regalare l’ultima Vitton) si sentono urtati nella loro sensibilità e si sentono autorizzati a trattare le persone (in questo caso parlo x esperienza personale) come delle pedine da spostare, denigrare senza alcun rispetto x la dignità ed integrità umana…ed ecco che se non 6 un soggetto con una forte struttura psicologica ed una forte fede, il rischio di cedere ai loro ricatti morali e di cadere nel baratro della depressione è altissimo.

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