I piedi di Ognuno (replay)

di Alessandro

Lo pensavo da un po’. Sì, lo ammetto, suona bene, è accattivante. Mi riferisco al manifesto dell’ognunismo. Ne è autore (del manifesto, non dell’ognunismo) il nostro paulbratter. Accattivante lo è, l’ognunismo.

Perché (perdoni paul se lo tratteggio a modo mio) il manifesto recita più o meno così: “è bene che ognuno si comporti come meglio ritiene”.

Alzi la mano chi non è d’accordo con questo… apoftegma. Ressa di mani alzate, e padroni delle mani a rimproverarmi. “Ma questo è l’elogio della licenza, dell’individualismo sfrenato!”, lamentano taluni. Altri (quelli che guardano all’ognunismo con favore ora tiepido ora fervente) reclamano le debite precisazioni: “Certo, è cosa buona e giusta che ognuno si comporti come meglio ritiene (non vorremo mica imporre i nostri comportamenti, siamo nel terzo millennio!), purché il comportamento di ognuno non calpesti la libertà dell’altro (di comportarsi pure lui come meglio ritiene)”.

Va bene, emendamento approvato, correzione apportata: ognuno faccia come ritiene purché non si calpesti la libertà dell’altro. Questo ognunismo ben temperato ci mette d’accordo tutti, riscuote assenso generale? Macché, vedo che i detrattori non si sono ammansiti, che le riserve persistono.

Chiamatemi retrogrado, chiamatemi bastian contrario, non mi offendo, ma devo confessare che anch’io non riesco ad amare l’ognunismo, nemmeno nella versione riveduta e integrata.

Se Tizio ha scelto liberamente un comportamento allora quel comportamento è per ciò stesso buono, secondo l’ognunista (purché dell’ognunista siano tutelati i piedi… sapete: la faccenda del non calpestare). Per l’ognunista la bontà del comportamento di Tizio risiede nel nudo elementare fatto che Tizio l’ha scelto liberamente. “Autodeterminazione”: ecco la parolina stregata e ammaliante che dovrebbe domare la riluttanza degli antiognunisti e consegnarli docili alla sequela del verbo ognunista. “L’ho scelto io di agire così, mi sono autodeterminato, quindi ho agito bene” (pregasi notare il “quindi”); “purché abbia avuto riguardo per i miei calli (sapete: la consueta antipatia per il calpestamento-piedi-ognunisti), Tizio ha scelto di agire così, si è autodeterminato, quindi ha agito bene” (pregasi daccapo notare il “quindi”).

Considerato cos’è, non ci vuol molto a capire che l’ognunismo va in crisi se si mostra che gravare l’autodeterminazione di tutta quest’enfasi contraffà, estenua la libertà umana, contrasta con ciò che gli uomini desiderano profondamente. In altri termini, per mettere in crisi l’ognunismo occorre mostrare che agli uomini non basta agire liberamente (“potevo fare A o B, ho scelto liberamente di fare B, mi sono autodeterminato, e tanto basta perché abbia agito bene, perché fosse cosa buona rifiutare A”), che gli uomini desiderano agire liberamente e anche agire bene, e che nel cuore degli uomini vive (costretta talvolta a vivere di stenti) la convinzione che non sia sufficiente agire liberamente (autodeterminarsi) per agire bene: insomma, la convinzione che scegliere liberamente (autodeterminarsi) è sì necessario per agire bene, ma sufficiente proprio no.

Il disagio che ci assale quando ci accontentiamo di considerare la libera scelta di un comportamento come sufficiente a fare buono questo comportamento non risparmia l’ognunista. Il quale ogni giorno si sorprende a pensare: “sì, in quella circostanza ho agito liberamente, però, mannaggia (o equivalente irriferibile imprecazione), avrei fatto meglio ad agire diversamente”.

Ecco la folgorante, stupefacente svolta dell’ognunista: dal pensare “ho scelto io di agire così, mi sono autodeterminato, quindi ho agito bene” all’accorgersi che “ho scelto io di agire così, mi sono autodeterminato, ma nonostante ciò non ho agito bene, avrei dovuto agire altrimenti”. L’ognunismo teorico è smentito dalla ruvida pratica quotidiana: quando l’ognunista è visitato (visita fausta!) dal dubbio che la sua altera e solenne autodeterminazione abbia fatto cilecca ecco che il suo ognunismo è messo sotto scacco, ecco finalmente che l’ognunista può assaporare (ed è di una pungente dolcezza) l’insufficienza, per agire bene, della propria autodeterminazione. Ironia della sorte, l’ognunista stesso si scopre a contestare l’innalzamento dell’autodeterminazione al rango di incontestabile misura del bene e del male. E si scopre a domandarsi, subito dopo: “se, pur autodeterminandomi, posso agire male; se la mia autodeterminazione non è misura esclusiva e ineccepibile della bontà del mio agire, allora vuoi vedere che, forse, c’è un bene che non s’esaurisce appieno nel mio autodeterminarmi?”; “e se fosse vero che c’è un bene che non è nemico della mia libertà ma la precede e la eccede, un bene dedicandomi al cui servizio paziente non frustro la mia libertà, non la vanifico, ma le consento di affinarsi, di autenticarsi, di scoprire sé stessa un po’ meglio a ogni passo e di portarsi, a ogni passo, un po’ più all’altezza di sé stessa?”

C’è dell’altro. L’ognunista coerente non si premura troppo di confrontarsi con il prossimo per cercare di capire le sue idee, i motivi per cui agisce così e non cosà, la sua visione della vita. Di idee moventi visioni ciascuno ha i suoi – reputa l’ognunista -, per lo più imparagonabili tra di loro; non c’è nessun metro che possa stabilire quale sia buono, valido e quale no. Quindi ognuno pensi e agisca come ritiene, purché rispetti i diritti dell’altro. Sono schietto: mi sembra che in questo modo si salvaguardino (forse) i propri piedi, ma sia difficile costruire con l’altro qualcosa di più genuinamente umano che un rapporto ingessato, anonimo, burocratico: ognuno se ne sta rinchiuso nel suo abitacolo con la sua soggettivissima scala di valori, e tutto funziona se nessuno ardisce ficcare il naso nell’altrui abitacolo, nell’altrui scala di valori.

Ma – si diceva – ogni giorno la teoria dell’ognunista inflessibile è scompigliata da avvenimenti che spronano a rimaneggiare (quando non a sovvertire) scale di valori collaudate, ad allargare l’abitacolo ricavandoci un posto per l’altro. Accade ad esempio di incontrare qualcuno/a (famigliare o amico o semplice conoscente o perfino sconosciuto) che con una manciata di parole e/o un gesto ordinario ti colpisce (una sferzata provvidenziale), ti fa cambiare prospettiva, ti fa tornare in te. Caro ognunista (ma un po’ d’ognunismo s’annida in tutti noi, riconosciamolo!); dicevo: caro ognunista, è allora che assisti all’avverarsi dell’inatteso, è allora che ti cogli a pensare: “Sì, è vero, Tizio/a ha ragione, non la pensavo così, eppure mi sbagliavo, Tizio/a m’ha aperto gli occhi”. Ma come, caro ognunista, non s’era detto che ognuno ha le sue idee, i suoi valori (io i miei e Tizio i suoi), che confrontarli è forse impossibile o per lo meno inutile, persino nocivo, che a impicciarsi delle convinzioni altrui si infligge un’offesa all’altrui libertà? Ed ecco, è bastato che qualcuno senza la minima intenzione di indottrinarti, di coartare la tua libertà, ti raccontasse un’esperienza, ti presentasse un punto di vista nuovo, e tu avverti il desiderio (gradito come una liberazione) di mutare avviso, di rivisitare la tua scala di valori, ti accorgi che quella volta in cui hai esercitato la tua sovrana autodeterminazione ti sei distorto il piede (malgrado nessuno te lo calpestasse), hai sbagliato, nonostante la tua sovrana autodeterminazione l’avessi attivata al massimo della sua efficienza. E per di più questa piccola (piccola?) conversione l’hai fatta grazie al soccorso di qualcuno, che fino a dieci minuti fa per il semplice fatto che non è te stesso ritenevi che tutto potesse fare tranne che influenzare la tua evoluta autodeterminazione, la tua intangibile scala di valori.

Non solo hai accettato quello che detestavi fino a dieci minuti fa, cioè non solo hai accettato che il punto di vista dell’altro entrasse in confronto con il tuo (non sostenevi che sono imparagonabili, i punti di vista?), ma hai accettato di trasformare il tuo punto di vista accordandolo con quello dell’altro (non proclamavi che riconoscere che qualcuno abbia ragione e tu no è subire prevaricazione ad opera delle vedute altrui, è abdicare alla propria veneranda autonomia?). Di più: questa incoerenza con te stesso, questa deroga inedita t’ha allietato, non umiliato.

Non c’è da sbalordirsene troppo: è accaduto ancora una volta che abbia dato notizia di sé un’urgenza indelebile della natura umana, quella di desiderare e ricercare un bene, un vero (il Bene? il Vero?) che – si diceva – ci precede e ci eccede mentre ci accompagna, non schiaccia la libertà umana ma la svezza, la educa, la coltiva, la fa lievitare, la conduce a fioritura, la scampa dallo smarrimento. Ancora una volta è balenata l’evidenza che bene e vero non sono soggettivi, che non nascono e muoiono entro la recinzione del mio ombelico, che non li fa e non li disfa a piacimento la mia scaltrita autodeterminazione, ma che vanno scoperti con dedizione operosa e fedele: li si scopre scoprendo noi stessi, per non fallire come uomini (se falliamo come uomini, che altro ci resta?).

Caro ognunista (che sei in me), ricordati che questa rivelazione spiazzante e bella è scoccata grazie alla parola franca, al gesto sincero di un amico (se prima non lo era, come non chiamarlo tale, ora?). Vale la pena che le nostre certezze si lascino interpellare, inquietare dall’altro, vale la pena disarmare il fortilizio della nostra autodeterminazione sdegnosa: si corre il rischio salutare di intraprendere l’esperienza appagante di una ricerca comune del vero e del bene, nella quale non ci scapitiamo né io né il compagno d’avventura. L’esordio ti è garbato, e allora, caro ognunista, non negarti al cammino con l’altro, proseguite insieme la ricerca, l’avventura. Quel bene non soggettivo che hai intravisto esige proprio, per beneficarci, che insieme, strada facendo, lo si rinvenga, lo si pratichi e se ne goda (godiamone pure, non verrà a mancare, perché quel bene – e non le sue controfigure – è di un conio tale che più se ne gode e meno si consuma). Esige, per beneficarci, che non ci vergogniamo di riconoscere che è un bene che tutti ci accomuna, per tutti è il medesimo e proprio perciò – a dispetto delle apparenze, e a dispetto dell’ognunismo (che dell’apparenza è servo stolto) – non mutila le nostre (di tutti e di ciascuno) dignità intelligenza libertà ma le risveglia, le chiama a raccolta, le ritempra, le rinsangua, le invia a un destino prospero.

47 pensieri su “I piedi di Ognuno (replay)

  1. 61Angeloextralarge

    Grazie!: a quei tempi non c’ero ancora e non ho potuto “usufruire” di questo post! Stasera ci torno! Non vedo l’ora! Smach! 😀

  2. ….dopo secoli di soprusi (anche, certamente, in nome di tutti i principi immaginabili, oltre a quelli imposti di pura forza)
    siamo arrivati, alla fine, a redigere un documento che certamente non è dettato da Dio, ma che serve come regola minima per la vita in comune. Prima di ciò ce n’è state di tutte, tiranni, imperatori, feudatari, baroni, conti, papi, abati, latifondisti, industriali, banchieri (questi ancora ci sono, purtroppo, dannazione!, per in fino nella chiesa) eccetra…
    Tante ancora sono le cose da fare (e da non fare) ma con fatica ci si mantiene traballando ancora insieme pur nella limitatezza dellla nostra intelligenza e del nostro sapere. Tutto qua. Non c’è altro. O per te l’ognunista è chi non crede in principi eterni universali innati trascendenti teologali divini? E invece, addirittura idolatra, chi riconosce la convenienza di tenere per regola delle regole scritte su un foglio?

    1. JoeTurner (già paulbratter)

      e ora non si può neanche più urlare “morte la tiranno”; i tiranni delle coscienze sono molto più pericolosi e vigliacchi perché subdoli, perché non si fanno riconoscere, perché ridono mentre ti ingannano e ti ripetono il loro mantra: “libertà!!!”

        1. JoeTurner

          quel tuo documento di cui parli è una presa in giro, è il volto presentabile del tiranno. Mi stupisce che tu non l’abbia capito.

    2. Alessandro

      “O per te l’ognunista è chi non crede in principi eterni universali innati trascendenti teologali divini?”

      No, l’ognunista per me è quello che non aderisce ai principi basilari del diritto naturale. E’ chi non riconosce che esistono dei principi morali assoluti, la violazione dei quali è sempre e per tutti intrinsecamente aberrante e deplorevole.
      Sull’ognunismo c’è stato recentemente un bel botta e risposta tra un antropologo culturale (Urru) e un filosofo del diritto (D’Agostino). Tema del contendere: la famiglia è un istituto convenzionale o di diritto naturale, ossia un istituto intrinsecamente discendente dalla natura dell’uomo, e perciò universale e irrinunciabile, fatte salve le sue diverse modulazioni e flessioni culturalmente mutevoli?

      Urru bacchetta D’Agostino ricordando che “la famiglia, non solo come istituto di diritto naturale, ma addirittura come concetto unitario, non esiste; al più si potrebbero individuare nelle varie culture «gruppi domestici», cioè diverse tipologie di aggregazioni sociali, che hanno una qualche somiglianza tra di loro.”

      Secondo D’Agostino, “sul piano etnografico Urru, Remotti e tanti altri etnologi che hanno scritto prima di loro hanno ragione da vendere. Tutte le pratiche (se vogliamo chiamarle così) elaborate nella storia dalle diverse culture, dal linguaggio alla religione, dall’arte alla politica, dal diritto al lavoro, fino all’articolazione stessa dei valori e dei sentimenti, sono caratterizzate da infinite gradazioni e variabilità. Gli etnografi fanno bene a ricordarcelo, per impedirci di cedere alle suggestioni di un giusnaturalismo “ingenuo”, pronto a qualificare le “nostre” pratiche come “naturali” e quelle altrui come “contro natura”.”

      Ma D’Agostino subito aggiunge che “resta come un punto fermo di carattere antropologico (e qui l’antropologia filosofica aggiunge la sua voce a quella dell’antropologia culturale) che tutte le pratiche culturali sono espressione di poche, essenziali, “vere” esigenze umane fondamentali: la comunicazione per il linguaggio, la coesistenza per il diritto, la salvezza per la religione, la bellezza per l’arte, l’identità trans–generazionale per la famiglia.
      Se si arriva a riconoscere tutto questo, è necessario fare poi un ulteriore passo avanti, molto impegnativo, ma ineludibile: non tutte le pratiche culturali riescono nella storia a tutelare e a promuovere con la stessa efficacia le comuni esigenze umane fondamentali cui si è accennato. L’ antropologia ha pienamente ragione quando sottolinea la pari dignità di tutte le culture, ma ha torto – trasformandosi in un indebito relativismo antropologico – quando cerca di dimostrare che tutte le culture hanno la stessa capacità espressiva: è la stessa “storia” a fare giustizia delle forme di cultura più deboli, facendo emergere, consolidare e diffondere le forme di cultura che più si avvicinano alla “verità” dell’uomo (senza mai peraltro poterla esaurire).”

      Esemplificando: esistono “vere esigenze umane fondamentali”, indicate dai principi elementari del diritto naturale; una cultura che non sappia esprimere queste “vere esigenze fondamentali” indulge a essere lesiva delle aspirazioni fondamentali dell’uomo. Ancora esemplificando: una società che attenti all’integrità e alla stabilità dell’istituto matrimoniale e promuova l’equiparazione delle unioni omosessuali alla coppia marito-moglie contravviene al diritto naturale poiché minaccia quella “identità trans-generazionale” che D’Agostino ravvisa tra le “vere esigenze umane fondamentali”, come tale da tutelarsi secondo diritto naturale.

      Ecco, schematizzando si potrebbe dire che in questo dibattito D’Agostino mostra di non essere un ognunista, Urru di esserlo.

      1. Alessandro

        L’articolo di D’Agostino sta su Avvenire del 27 luglio a p. 10: “Se l’Occidente perde il senso del futuro”

        1. Alessandro

          In un altro articolo D’Agostino deprecava quell’ognunismo che diventa “arroganza che si sostanzia nel voler trarre da un’analisi etnografica descrittiva conclusioni antropologiche di carattere normativo, invadendo così un ambito che non è di pertinenza etnologica, ma filosofica.
          Esiste una ‘verità della famiglia’. Essa si fonda, facendo alcuni, pochi esempi concreti, sul divieto di incesto, sull’apertura del matrimonio alla procreazione, sull’eguaglianza tra i coniugi, sulla pari dignità dei figli, sul rispetto dovuto ai genitori, sull’autonomia della comunità familiare rispetto alla comunità politica. Sappiamo come nella storia questi principi siano stati a volte riconosciuti, a volte deformati, spesso negati o comunque offesi.
          Ma nessuna alterazione storico-culturale della ‘verità della famiglia’ può indurci a non riuscire più a percepirla nella sua struttura di senso. È possibile rivendicare ad alta voce e senza timidezze, all’interno di una teoria dei diritti umani fondamentali, i diritti della famiglia e condannare, con analoga fermezza, le politiche antifamiliari di cui il nostro tempo continua a macchiarsi”

          http://terzotriennio.blogspot.it/2008/03/lantropologo-scava-la-fossa-alla.html

          1. …sì, sì, ho capito, va bene, come non detto, io, a ogni modo, mi sto rintanando sempre più nel mio orto, sarò meschino, certo, ma è tanto che ho capito, o creduto di capire, che è difficile mettersi d’accordo su qualsiasi argomento che sia, con chiunque, e allora, anche considerando che la morte è vicina, se Dio vole, cerco nella pace solitaria e nel vino, come tanti hanno già fatto prima di me, la senile atarassia epicurea…
            SMACK!!!

  3. Jooe Turner:
    ….in effetti credo che la Costituzione sia un semplice “pro-forma” “sottomesso”, che fa da appoggio, o da feticcio, o da totem, alla pluralità delle povere menti dei cittadini comuni come siamo noi tutti, un po’ come lo è la regina dì’Inghilterra per gli Inglesi o il Papa per i cattolici, a fare da punto di riferimento statico fisso imprenscindibile—

  4. 61Angeloextralarge

    Ale e Joe: volevo tornarci stasera ma poi ho visto i commenti nella prima pubblicazione di questo post… e voglio leggermeli tutti… quindi per ora solo “smack”! 😀

  5. …a conferma di quanto voi sostenete anche Socci dice;
    “Oggi è in corso la terza guerra mondiale e per la prima volta sembra non vi sia più una luce a cui guardare. Perciò il popolo dei semplici, in questa estate d’ansia, affolla Medjugorje, Fatima e Lourdes.”

    1. Marco De Rossi

      Ho letto l’articolo di Socci a cui ti riferisci e detto tra noi mi ha molto deluso. A volte scrive articoli bellissimi ma altre volte come questa mi sembra faccia affermazioni fuori luogo. O sono io che non capisco la sua cultura oppure denota un po’ di superbia. Ed allora preferisco essere ignorante e sono contento di non essere laureato.

        1. L’università italiana è ridotta male, ma l’anticultura è come l’antipolitica: chilla non è bbuona (questa è una citazione, a suo modo pure raffinata…)

          1. Marco De Rossi

            Nessuna anticultura. La mia era ovviamente un’affermazione retorica! Come si dice: beata ignoranza.

  6. 61Angeloextralarge

    Alessandro: ho finalmente letto tutto e devo complimentarmi con te per il post, ovviamente con Joe per il documento, e anche per qualche commento lasciato nella precedente pubblicazione. Ci sarebbe da scrivere troppo, quindi mi fermo alla frase che mi ha colpito maggiormente, perché la trovo molto mia, nel senso che questa è stata ed è tuttora la mia esperienza quotidiana, anche se non penso e non ho mai pensato come assoluti e perfetti i miei punti di vista

    “Non solo hai accettato quello che detestavi fino a dieci minuti fa, cioè non solo hai accettato che il punto di vista dell’altro entrasse in confronto con il tuo (non sostenevi che sono imparagonabili, i punti di vista?), ma hai accettato di trasformare il tuo punto di vista accordandolo con quello dell’altro (non proclamavi che riconoscere che qualcuno abbia ragione e tu no è subire prevaricazione ad opera delle vedute altrui, è abdicare alla propria veneranda autonomia?). Di più: questa incoerenza con te stesso, questa deroga inedita t’ha allietato, non umiliato.”

    Quanto è vero! Se mi guardo indietro e mi soffermo a quello che pensavo, paragonandolo con quello che sto facendo (soprattutto per il cammino di fede), non posso non vedere che tantissime cose che detestavo profondamente, che ritenevo assurde, che ritenevo cose superate e superstiziose, oggi sono quelle cose che mi danno gioia e vita nel farle. 😀

  7. Erika

    Bel post, Alessandro.
    Solo una mi lascia perplessa: il fatto di accettare l’autodeterminazione altrui non significa necessariamente condividerla.
    Il terreno su cui si giocano questi “punti di vista”, secondo me, e’ differente.
    Esempio: io sono stata per anni vegetariana, perché mi sembrava una follia sprecare così tanta terra e acqua per l’allevamento intensivo dei bovini, quando tanti esseri umani non hanno da mangiare a sufficienza.
    Ora, ovviamente per me ero io a essere nel giusto, ma non ho mai pensato che il mio prossimo non avesse il diritto di mangiare carne, se lo voleva.
    Insomma, il problema e’ mettersi d’accordo sulle regole di base, i cosiddetti valori non negoziabili (e non e’ certo un problemino!)… ma per il resto credo che si debba accettare il diritto all’autodeterminazione dei singoli.
    Ad esempio, se due persone adulte vogliono vivere insieme e, pagando le tasse, garantirsi il diritto alla pensione di reversibilità, impedirglielo mi sembra un sopruso, anche se avessero uno stile di vita che personalmente non condivido.

    1. Joe Turner: sposati o non sposati, comunque, a parità di condizioni, il risultato non cambia.
      Erika:lo stile di vita potrebbe essere condiviso o non condiviso da te sia nel caso degli sposati che dei non sposati
      Twentyrex. credo che essere liberi di essere incompresi possa anche bastare. Pensa te se uno dovesse essere compreso per forza! E poi, cosa vuole dire “veramente compreso”?

      1. JoeTurner

        cambia eccome! Lo Stato ha il diritto-dovere di pretendere dal cittadino garanzie e serietà circa l’impegno che si prende nei confronti della società, del rinnovamento generazionale e verso la cura di altri cittadini rappresentati dalla propria famiglia. In cambio lo Stato concede aiuti, sovvenzioni, sgravi fiscali, riconoscimenti giuridici ed economici.
        Il matrimonio rappresenta (anche legalmente) questa reciproca garanzia.

        Anche conviventi non sposati possono avere una famiglia e infatti vengono concessi numerosi diritti (praticamente tutti quelli concessi alle coppie sposate e anche qualcuno in più) ma sempre in cambio del riconoscimento legale della prole.

        1. …il mareimonio non garantisce nulla allo Stato, e lo Stato non chiede garanzie, non si può mai sapere, infatti se e come i genitori sposati si occuperanno dei figli o se un coniuge si occuperà veramenete anche dell’altro, se vivranno anche, gli sposati, o faranno solo finta di vivere sotto lo stesso tetto per ragioni di vantaggi economici o quant’altro eccetra eccetra….
          O fai un discorso di pesi economici a carico dello Stato tutti da calcolare sia che la gente si sposi o meno, o fai un discorso in cui dici che il matrimonio è la base della società eccetra senza di cui tutto crolla.
          Senza rimescolare le carte.

  8. JoeTurner

    Permettimi di dissentire sull’esempio che hai fatto: le pensioni di reversibilità nascono per le famiglie mono reddito dove uno dei coniugi non lavora per occuparsi della famiglia, dei figli, degli anziani: non si tratta quindi di un privilegio per chi si sposa ma un giusto riconoscimento dello stato per chi per tutta la vita si è occupato del nucleo fondante della società: la famiglia.
    In tutti gli altri casi per ricevere una pensione non basta pagare le tasse o essere adulti conviventi, bisogna pagare i contributi previdenziali.

  9. …no, la pensione di nreversibilità non tiene conto degli anni di matrimonio.
    In ogni caso un discorso sono le valutazioni contabili un altro quelle morali.
    Quelle morali tendono a equiparare la convivenza al matrimonio oppure no.
    Quell contabili fanno il conto del costo della eventuale equiparazione.
    Niente equiparazione: niente costo. Equiparazione:costo.
    Essere contrari alla equiparazione facendo il conto dei costi non è un operazione morale, ma contabile.

    1. JoeTurner

      La pensione di reversibilità è stata introdotta in Italia e in altri Paesi europei verso gli ultimi decenni del XX secolo, nell’ambito del cosiddetto “diritto della vedova”, un insieme di diritti e tutele, rivolto in particolare alle donne che non avevano una pensione propria, e, alla morte del coniuge, restavano prive di un reddito minimo […]
      In Italia non esisteva un limite minimo di età o di anni di matrimonio per godere della pensione di reversibilità, come previsto in altri Paesi: nel 2011, però, venne approvata la norma “anti-badanti” introducendo requisiti più stringenti al fine di prevenire matrimoni di convenienza. Questa norma è di fatto il taglio della pensione di reversibilità per coloro che abbiano contratto matrimonio da meno di dieci anni con un consorte sopra i 70 anni, o comunque più anziano di 20 anni. Nessun taglio, però, è previsto in caso di presenza di figli minori, studenti o inabili.

  10. Twentyrex

    Scusatemi, ma questo manifesto non mi piace. Intanto, andrebbe riscritto in maniera più precisa, evitando ripetizioni e semplificando certi concetti che sono rappresentati in maniera contorta e ripetitiva. Il problema della libertà ha impegnato filosofi, teologi e politici (intesi come creatori di ideologie). Da Sant’Agostino, a Kant, ad Hegel, a Jacobi sino a Jefferson che scrisse in merito nella dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti. E nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo si legge che “la libertà consiste nel poter fare ciò che non nuove agli altri”. In buona sostanza, questo principio riprende quello di Kant che afferma che il diritto consiste “nella limitazione della libertà di ciascuno alla condizione che essa di accordi con la libertà di ogni altro”.
    Il mio pensiero sulla libertà si è sempre fondato sul famoso detto di Cicerone, per il quale “la libertà non consiste nell’aver un buon padrone, ma nel non averne affatto”, considerato però in un contesto più ampio nel quale il ruolo del padrone non va individuato nella persona per la quale si lavora, ma anche in quei padroni che ci creiamo dentro.
    In maniera più concreta e dettagliata mi piace la definizione di Berlin (dalla quale forse si è tratta ispirazione) che dice: “L’essenza della libertà è sempre consistita nella capacità di scegliere come si vuole scegliere e perchè così si vuole, senza costrizioni o intimimidazioni, senza che un sistema immenso ci inghiotta; e nel diritto di resistere, di essere impopolare, di schierarti per le tue convinzioni per il solo fatto che sono tue. La vera libertà è questa, e senza di essa non c’è mai libertà, di nessun genere, e nemmeno l’illusione di averla”. E qui l’autodeterminazione è manifesta e piena.
    Ma sotto il profilo personale, non ho difficoltà ad affermare che io mi sento veramente libero solo quando sono veramente compreso dagli altri.

  11. 61Angeloextralarge

    Quando gli SMACK sono usati per prendere per i f… o per “fare i grandi”, mi pento di aver attaccato il virus della smackite!
    Vedi, caro Andreas? Ognuno attacca i virus che ha alla “propria portata”. Tu attachi thibonite, etc., cioè “roba da grandi”…e io? Va beh! Mi sono sfogata! Smack! 😉

    1. JoeTurner

      giusto! avrei dovuto rispondere ad Alvise con il suo famoso “OVVIAMENTE!” che ci stava anche meglio 😉

    1. 61Angeloextralarge

      “mena fendenti come el Cid Campeador, come Aiace Telamonio, come il Mazinga degli anni ’70”: ammappate!

          1. Angela, scusa ma me ne ero andata dietro al Cid e avevo trascurato il Nada te turbe. Beata la mia ignoranza: ho appena scoperto – grazie a google – che è di santa Teresa d’Avila. E’ l’ultima di una serie di coincidenze che la portano sulla mia strada negli ultimi tre o quattro mesi. Ma forse le coincidenze non esistono. GRAZIE per la doppia citazione!
            😀 😀 😀

            1. 61Angeloextralarge

              Viviana: con Dio le coincidenza non esistono, ne sono certa! 😀
              Quindi questo video consideralo un Suo dono per te:

    1. 61Angeloextralarge

      Viviana: il cd di Mina dal quale è tratto questo pezzo è uno di quelli che mi piacciono di più! La sua voce, con le parole di santi o con canti tradizionali religiosi, è un binomio che mi fa salire su, su, su! 😀

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