Articolo tratto dall’Osservatore Romano
Dieci questioni, intorno a cui un’opinione diffusa e “politicamente corretta” chiama la Chiesa a giudizio davanti al tribunale della storia: la sua infedeltà rispetto alle origini del movimento cristiano, l’imposizione del celibato ecclesiastico, i tribunali dell’Inquisizione, l’arretratezza cattolica rispetto al progressismo evangelico, l’antisemitismo, la sessuofobia, l’anti-scientismo, la svalutazione della donna, il dolorismo. Sette donne, storiche di professione, di diversa estrazione religiosa, si confrontano con questi stereotipi senza pregiudizi, con un linguaggio ampiamente accessibile, mai rinunciando al rigore storico-critico delle affermazioni.
Ecco tema e autrici di un volume a dir poco “intrigante”, esposto a toccare sensibilità acute e a suscitare reazioni di segno diverso, e tuttavia utile e illuminante, perché capace di dar a pensare a chiunque lo legga senza preclusioni di sorta: La grande meretrice. Un decalogo di luoghi comuni sulla storia della Chiesa è il titolo del libro in questione, introdotto e curato da Lucetta Scaraffia, autrice ella stessa di due fra i saggi più stimolanti (“Sul celibato ecclesiastico” e “I protestanti sono più moderni”). L’intento dichiarato è di servire la verità storica, rettificando quei «luoghi comuni che ormai sembrano avere sostituito la realtà per quanto riguarda la storia della Chiesa, e che quindi hanno anche contribuito a deformarne l’identità pubblica» (p. 3): una rettifica che non ha nulla di meramente apologetico, che anzi non risparmia ammissioni di limiti e di ritardi nella bimillenaria vicenda ecclesiale e, proprio così, risulta convincente e feconda di incontri possibili con chi sia aperto a cercare la verità al di sopra di tutto.
L’approccio femminile, poi, riesce a spingere lo sguardo a quella ricchezza vitale di emozioni e sentimenti, sottesa ai fatti e decisiva per la vita, che spesso un certo razionalismo interpretativo è incapace di cogliere. La destinazione del testo a un vasto pubblico motiva non solo il suo stile discorsivo, spesso arricchito di narrazioni, ma anche la scelta dei luoghi comuni su cui far riflettere: «i più diffusi, quelli che generano il maggior numero di incomprensioni» e che, proprio per questo, è importante chiarire prima di iniziare un qualunque confronto teorico.
Il titolo del volume rende bene l’intreccio costante di prospettive che lo animano: come mostra efficacemente Sylvie Barnay nel primo dei dieci saggi, il tema della Chiesa santa e meretrice muove già dalla testimonianza biblica, in particolare dell’Apocalisse. Esso ritorna nei Padri della Chiesa come una sorta di canto fermo, non per denigrare la comunità dei fedeli, ma per stimolarla al bene nel continuo confronto fra ideale e reale.
Ricordo l’attenta riflessione che a esso dedicammo nel gruppo di lavoro della Commissione teologica internazionale, incaricato di approfondire le motivazioni e il senso della richiesta di perdono che il beato Giovanni Paolo II volle pronunciare a nome di tutta la Chiesa durante il Giubileo del 2000. In un memorabile incontro che avemmo con lui, ebbe a dirci una frase che ben rende il senso e l’importanza del tema: «Coraggio! Siate una Commissione coraggiosa! La verità ci farà liberi!».
L’applicazione delle parole di Gesù in Giovanni, 8, 32 alla testimonianza attuale della Chiesa è in realtà la chiave interpretativa fondamentale per comprendere come il riconoscimento sincero dei limiti e delle colpe faccia ancor più risplendere la santità e il bene di cui il popolo di Dio ha riempito l’universo nei tanti secoli del suo cammino. È questa anche la chiave di lettura del documento Memoria e riconciliazione che accompagnò poi il gesto profetico del Papa nell’anno giubilare. «Che l’istituzione, la Chiesa terrena, sia stata protagonista di pagine non edificanti e anche odiose — scrive nel suo bel saggio Sandra Isetta — è un dato inalienabile, fatalmente connesso alla natura umana».
Come questo vada compreso e coniugato all’idea della Ecclesia sancta, lo spiega la grande sintesi di Agostino sulle “due città”, «quella di Dio e quella degli uomini, in qualche modo confuse e mischiate fra loro nello scorrere dei tempi», tali però che «solo formalmente i non meritevoli sono parte integrante della Chiesa» e «che vero corpo di Cristo è quello che vivrà eternamente con lui dopo il giudizio» (p. 56). Il no a ogni puritanesimo che pretenda di comprendere nella vicenda storica del popolo di Dio unicamente chi è senza colpa, si congiunge alla coscienza di una necessaria, costante lotta contro il male e il maligno, che avrà il suo coronamento vittorioso solo nel finale ritorno del Cristo.
Particolarmente interessante è il saggio della storica ebrea Anna Foa, dedicato alla Chiesa, «madre di tutte le inquisizioni». Con singolare capacità narrativa e documentaria, l’autrice giunge a una conclusione tanto singolare, quanto efficace: «Vogliamo confessarlo alla fine? Se proprio dovessi scegliere da quale di questi temibili tribunali umani [quelli dei vari totalitarismi] preferirei essere processata per quello che penso o credo, non sceglierei mai un tribunale sovietico dell’epoca della grandi purghe staliniane. E nemmeno mi piacerebbe farmi processare dai tribunali laici dell’età dell’assolutismo. Sceglierei nonostante tutto l’Inquisizione, quella romana naturalmente. Sempre sperando che Dio me la mandi buona» (p. 111). Peraltro, è la stessa studiosa a notare — nel saggio dedicato all’antisemitismo — che «nell’insieme la protezione che la Chiesa svolge nei confronti della minoranza ebraica presente nel suo seno è una costante, almeno fino a che l’equilibrio tra Chiesa ed ebrei si mantiene intatto» (p. 143). Il rigore della ricerca storica si fonde qui con un non comune coraggio nel sostenere tesi che destabilizzano una certa “vulgata” e mostrano come nelle pieghe della complessità della storia la verità sia molto più ricca e variegata di ogni facile giudizio sommario di colpevolezza o di assoluzione!
A conclusioni analoghe su questioni diverse pervengono i saggi di Margherita Pelaja sull’«odio per il sesso» attribuito alla dottrina della Chiesa, senza alcuna considerazione del valore sacramentale da essa riconosciuto all’unione sponsale in una vera e propria esaltazione della corporeità, o di Giulia Galeotti sul tema della scienza, che mostra tanto la banalità di giudizi quali quello di Richard Dawkins sulla religione quale «malattia mentale che dovrebbe essere estirpata dai nostri cervelli», quanto la fondatezza di asserti come quello di padre Michael Heller sul fatto che «la scienza ci dà il sapere, la religione il significato».
La conclusione di Cristiana Dobner sul tema della sofferenza è suggello adeguato all’intero percorso del libro: tutt’altro che esaltazione del dolorismo, il cristianesimo è un costante inno alla vita e alla sua bellezza, che è tale anche nel tempo della prova e del dolore, se queste vengono assunte e trasfigurate dal di dentro con la forza dell’amore che ci viene del Figlio di Dio incarnato e con lui tutto offre per tutti. «Chi crede e vive con la Chiesa e nella Chiesa, sa che quello squarcio [della domanda sul dolore] è stato già, in antecedenza, colmato dal Padre che non solo è vicino a noi, ma soffre con noi e per noi» (p. 259). Qui la ricerca storica al servizio della verità si fa più cha mai proposta di vita, stimolo a sperimentare la bellezza di quanto la Chiesa può offrirci, al di là di ogni chiusura pregiudiziale che a essa si voglia opporre.
Benissimo! Grazie Costanza
Ottima segnalazione.
Certo non basterà questo libro a scalzare anni di ignoranza, superficialità, disonestà intellettuale, menzogne e anche plagio di certa “vulgata” e “intellighenzia” detrattori della Chiesa, ma testi come questi (non è l’unico) servono e aiutano anche il singolo credente, che troppo spesso si trova senza argomentazioni di fronte ai soliti beceri luoghi comuni, se non parte addirittura già con una mentalità “da sconfitto”, pensando che “sotto sotto”, molte di queste falsità siano verità.
“Una grande rivoluzione sta silenziosamente giungendo al suo epilogo in Europa. Una rivoluzione della mentalità e del costume collettivi che segna una gigantesca frattura rispetto al passato: la rivoluzione antireligiosa. Una rivoluzione che colpisce indistintamente il fatto religioso in sé, da qualunque confessione rappresentato, ma che per ragioni storiche, e dal momento che è dell’Europa che si parla, si presenta come una rivoluzione essenzialmente anticristiana…
Ormai, non solo le Chiese cristiane sono state progressivamente espulse quasi dappertutto da ogni ambito pubblico appena rilevante, non solo all’insieme della loro fede non viene più assegnato nella maggior parte del continente alcun ruolo realmente significativo nel determinare gli orientamenti delle politiche pubbliche – non solo cioè si è affermata prepotentemente la tendenza a ridurre il cristianesimo e la religione in genere a puro fatto privato – ma contro il cristianesimo stesso, a differenza di tutte le altre religioni, appare oggi lecito rivolgere le offese più aspre, le più sanguinose contumelie.
Ecco alcuni esempi, tra gli innumerevoli che potrebbero farsi, di quanto sto dicendo (tratti in parte da una dettagliata denuncia pubblicata su un recente numero di Avvenire ). In Irlanda le chiese sono obbligate ad affittare le sale per le cerimonie di loro proprietà anche per ricevimenti di nozze tra omosessuali; a Roma, nel corso del concerto del Primo Maggio un cantante ha mimato il gesto rituale della consacrazione dell’ostia durante l’eucarestia avendo però tra le mani un preservativo al posto dell’ostia; in Danimarca il Parlamento ha approvato una legge che obbliga la Chiesa evangelica luterana a celebrare matrimoni omosessuali nonostante un terzo dei ministri di questa si siano detti contrari; in Scozia due ostetriche cattoliche sono state obbligate da una sentenza a prendere parte a un aborto effettuato dalle loro colleghe, mentre dal canto suo l’Ordine dei medici inglese ha stabilito che i medici stessi «devono» essere preparati a mettere da parte il proprio credo personale riguardo alcune aree controverse.
Ancora: in un recente video di David Bowie, in cui la celebre rockstar è abbigliato in modo che ricorda Gesù, la scena mostra un prete che dopo aver percosso un mendicante entra in un bordello e qui seduce una suora sulle cui mani subito dopo si manifestano le stigmate; in Inghilterra, a un’infermiera è stato proibito di portare una croce al collo durante l’orario di lavoro, mentre una piccola tipografia è stata costretta ad affrontare le vie legali per essersi rifiutata di stampare materiale esplicitamente sessuale commissionatole da una rivista gay; in Francia, in base alla legislazione vigente, è di fatto impossibile per i cristiani sostenere pubblicamente che le relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso costituiscono secondo la loro religione un peccato.
E così via in un profluvio impressionante di casi (per informarsi dei quali non c’è che andare sul sito wwww.intoleranceagainstchristians.eu )…”
http://www.corriere.it/editoriali/13_giugno_02/una-liberta-minacciata-ernesto-galli-della-loggia_fdbecc20-cb3d-11e2-8266-15b8d315b976.shtml
“non solo all’insieme della loro fede non viene più assegnato nella maggior parte del continente alcun ruolo realmente significativo nel determinare gli orientamenti delle politiche pubbliche – non solo cioè si è affermata prepotentemente la tendenza a ridurre il cristianesimo e la religione in genere a puro fatto privato”
Era l’ora!!!
Allora lo riconosci che è così, e non tutte quelle ciance sui preti, le famigliole alla Messa, i cattolici che imperversano ovunque, etc.!!!
Era l’ora, che lo ammettessi. 🙂
A proposito di verità negate. Oggi, anche tra i cattolici, accade che non si creda nella transustanziazione e si fraintenda la Presenza di Cristo nel sacramento eucaristico.
Mi permetto allora di invitare a rileggere l’Enciclica “Mysterium Fidei” di Paolo VI (1965). Eccone un passaggio:
“Perché nessuno fraintenda questo modo di presenza, che supera le leggi della natura e costituisce nel suo genere il più grande dei miracoli, è necessario ascoltare docilmente la voce della Chiesa docente e orante.
Ora questa voce, che riecheggia continuamente la voce di Cristo, ci assicura che Cristo non si fa presente in questo Sacramento se non per la conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo di Cristo e di tutta la sostanza del vino nel suo sangue; conversione singolare e mirabile che la Chiesa Cattolica chiama giustamente e propriamente transustanziazione.
Avvenuta la transustanziazione, le specie del pane e del vino senza dubbio acquistano un nuovo fine, non essendo più l’usuale pane e l’usuale bevanda, ma il segno di una cosa sacra e il segno di un alimento spirituale; ma intanto acquistano nuovo significato e nuovo fine in quanto contengono una nuova « realtà », che giustamente denominiamo ontologica. Giacché sotto le predette specie non c’è più quel che c’era prima, ma un’altra cosa del tutto diversa; e ciò non soltanto in base al giudizio della fede della Chiesa, ma per la realtà oggettiva, poiché, convertita la sostanza o natura del pane e del vino nel corpo e sangue di Cristo, nulla rimane più del pane e del vino che le sole specie, sotto le quali Cristo tutto intero è presente nella sua fisica « realtà » anche corporalmente, sebbene non allo stesso modo con cui i corpi sono nel luogo.”
Afferma mons. Inos Biffi:
“Subito dopo la consacrazione (statim post consecrationem)”, “in forza delle parole (vi verborum)” – dichiara il concilio di Trento – avviene una “conversione mirabile e singolare” del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo: “conversione – prosegue lo stesso Tridentino – che la Chiesa cattolica con termine appropriatissimo chiama transustanziazione” (Decretum de sanctissima Eucharistia, capitolo 4, e canone 2).
Senza dubbio, l’esperienza sensibile non avverte alcun mutamento. La certezza che nel “santissimo sacramento dell’Eucaristia” – sempre secondo il Tridentino – “è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il corpo e il sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità, e quindi Cristo tutto intero”, non è attestata né dalla vista né dal tatto né dal gusto, come canta Tommaso d’Aquino nell’Adoro te devote, ma è tutta e interamente fondata sull’ascolto della parola del Signore, della quale nulla è più vero: Visus, tactus, gustus, in te fallitur, / sed auditu solo tute creditur. / Credo quicquid dixit Dei Filius, / nichil ueritatis verbo uerius.
Sono note la diffidenza e le reazioni al termine “transustanziazione”, perché attinto al linguaggio di una filosofia superata e quindi da ritenersi inattuale. Trento, da parte sua, lo ritiene invece “appropriatissimo”; e lo è, infatti, per dire che, in virtù della potenza di Cristo e dell’opera dello Spirito Santo, l’identità del pane e del vino viene realmente mutata nell’identità del Corpo e del Sangue del Signore.
Del resto, ricorre nel linguaggio comune un significato di “sostanziale”, che è di comprensione immediata, come quando ci si voglia riferire al livello profondo e sintetico di una realtà; senza dire che, per dilucidare e illustrare il significato di “transustanziazione” eucaristica, vi è apposta la catechesi, come per altri contenuti del dogma cristiano.
In ogni caso, termini come “transignificazione” e “transfinalizzazione”, proposti da alcuni teologi come sostituivi, non solo non rendono, ma addirittura alterano il senso che la fede della Chiesa allega al concetto di “transustanziazione”. Non basta ammettere che il pane e il vino con la consacrazione assumano un significato e una finalità nuovi; che si ritrovano, cioè, transignificati e trasfinalizzati; occorre invece affermare che sono a tal punto trasmutati, da essere diventati irreversibilmente “Corpo e Sangue del Signore”, come li chiama Paolo (1 Corinzi, 11, 27).”
http://www-maranatha-it.blogspot.it/2011/01/significato-delladorazione-eucaristica.html
Presumo lo scrivi qui per collegarti alla Festa odierna del Corpus Domini, non tanto rispetto il testo dell’articolo…
Sì, lo scrivo qui per riferirmi alla odierna solennità del Corpus Domini, ma non mi sembra fuori tema rispetto al post di oggi, perché ricorrente è l’accusa che la fede cattolica nella transustanziazione sia un superstizioso affronto alle evidenze scientifiche e l’affermazione che il rifiuto della dottrina della transustanziazione da parte protestante sia più moderno, più al passo coi tempi (un saggio del libro recensito si intitola appunto: “I protestanti sono più moderni”).
Rimane un tema certamente importantissimo, se non fondamentale, per la nostra Fede, ma altrettanto certamente da “addetti ai lavori” se mi si passa il termine. E’ ben difficile sentire un non-credente, anche fosse acerrimo nemico della Chiesa, anche solo nominarla la transustanziazione 😉
E allora cominciamo a incidercelo nella mente e nel cuore questo concetto della transustanziazione. È ben più che un concetto importante, fondamentale…è proprio il CENTRO della fede. Lì sull’altare, qui dentro di me, lì nel tabernacolo, c’è Gesù Cristo. Non un simbolo, non una memoria, proprio Lui in carne e sangue qui, con noi, adesso. Un “miracolo” qui, per noi. Non so a voi, a me questo pensiero fa girar la testa…
D’accordo con Lalla e Alessandro: fondamentale!
Bariom:
Ne parlassero mai i giornali, della transustanziazione, invece che di Totti e la Roma!!!