Adesso, non è che ci siamo montati la testa. Sì, lo sappiamo, ieri c’erano in “prima” Raffaella e il cardinal Biffi; oggi la nostra sta in compagnia di un altro cardinale, che per di più ha fatto anche un po’ di strada, da allora… E’ che proprio non potevamo resistere. Questo discorso sulla Chiesa il nostro amato Benedetto XVI l’ha fatto ormai oltre venti anni fa al Meeting. Ce lo ha riproposto Padre Maurizio Botta, durante una catechesi a Chiesa Nuova, all’Oratorio di san Filippo Neri a Roma (uno dei cinque passi al mistero, dal titolo “Chiesa: cambiata troppo…o troppo poco?”). Sublime. p.s. Il prossimo passo sarà il 10 febbraio, ore 21, Chiesa Nuova a Roma. Titolo: Una, nessuna…centomila verità. C.M.
di Joseph Ratzinger Rimini 1990
[…] La Chiesa non è soltanto il piccolo gruppo degli attivisti che si trovano insieme in un certo luogo per dare avvio ad una vita comunitaria. La Chiesa non è nemmeno semplicemente la grande schiera di coloro che alla domenica si radunano insieme per celebrare l’Eucarestia. E infine, la Chiesa è anche di più che Papa, vescovi e preti, di coloro che sono investiti del ministero sacramentale.
Tutti costoro che abbiamo nominato fanno parte della Chiesa, ma il raggio della compagnia in cui entriamo mediante la fede, va più in là, va persino al di là della morte. Di essa fanno parte tutti i Santi, a partire da Abele e da Abramo e da tutti i testimoni della speranza di cui racconta l’Antico Testamento, passando attraverso Maria, la Madre del Signore, e i suoi apostoli, attraverso Thomas Becket e Tommaso Moro, per giungere fino a Massimiliano Kolbe, a Edith Stein, a Piergiorgio Frassati. Di essa fanno parte tutti gli sconosciuti e i non nominati, la cui fede nessuno conobbe tranne Dio; di essa fanno parte gli uomini di tutti i luoghi e tutti i tempi, il cui cuore si protende sperando e amando verso Cristo, “l’autore e perfezionatore della fede”, come lo chiama la lettera agli Ebrei (12,2).
Non sono le maggioranze occasionali che si formano qui o là nella Chiesa a decidere il suo e il nostro cammino. Essi, i Santi, sono la vera, determinante maggioranza secondo la quale noi ci orientiamo. Ad essa noi ci atteniamo! Essi traducono il divino nell’umano, l’eterno nel tempo. Essi sono i nostri maestri di umanità, che non ci abbandonano nemmeno nel dolore e nella solitudine, anzi anche nell’ora della morte camminano al nostro fianco.
Qui noi tocchiamo qualcosa di molto importante. Una visione del mondo che non può dare un senso anche al dolore e renderlo prezioso non serve a niente. Essa fallisce proprio là dove fa la sua comparsa la questione decisiva dell’esistenza. Coloro che sul dolore non hanno nient’altro da dire se non che si deve combatterlo, ci ingannano. Certamente bisogna fare di tutto per alleviare il dolore di tanti innocenti e per limitare la sofferenza. Ma una vita umana senza dolore non c’è, e chi non è capace di accettare il dolore, si sottrae a quelle purificazioni che sole ci fanno diventar maturi. Nella comunione con Cristo il dolore diventa pieno di significato, non solo per me stesso, come processo di ablatio, in cui Dio toglie da me le scorie che oscurano la sua immagine, ma anche al di là di me stesso esso è utile per il tutto, cosicché noi tutti possiamo dire con San Paolo: “Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo Corpo che è la Chiesa” (Col 1,24) […]. La vita va più in là della nostra esistenza biologica. Dove non c’è più motivo per cui vale la pena morire, là anche la vita non val più la pena. Dove la fede ci ha aperto lo sguardo e ci ha reso il cuore più grande, ecco che qui acquista tutta la sua forza di illuminazione anche quest’altra frase di San Paolo: “Nessuno di noi vive per se stesso, e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore” (Rom 14,7-8). Quanto più noi siamo radicati nella compagnia con Gesù Cristo e con tutti coloro che a Lui appartengono, tanto più la nostra vita sarà sostenuta da quella irradiante fiducia cui ancora una volta San Paolo ha dato espressione: “Di questo io sono certo: né morte né vita, né angeli né potestà, né presente né futuro, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù nostro Signore” (Rom 8,38-39).
(Joseph Ratzinger, Meeting di Rimini 1990)
QUI versione integrale dell’intervento
1990….. è stato il mio primo meeting…
….Grazie. E’ bello ed emozionante poter respirare il profumo di casa anche qui….
Per errore scorrendo il testo ho letto nella terzulitma riga “quella IRRITANTE fiducia”.
Ecco, forse per l’uomo questa fiducia infinita e senza condizione di Dio può diventare irritante, perché lo costringe allo sforzo, all’impegno, non fosse che per orgoglio, per sentirsi di meritarla, e verrebbe quasi voglia di dire: dammi un’attimo di tregua. E invece Dio continua ad amarci, a guardare dalla collina alla sera se il figlio ritorna.
A volte certi errori non sono casuali. Omnia in bonum….
grazie di avermelo fatto ricordare: chiesa, compagnia dell’uomo guidata al destino
Un pensiero per il povero De Andre’. Ora lo sa anche lui che ‘quando si muore NON si muore soli’.
Ma il mondo, di tutti, è sempre un cercare di vincere la lotta contro il dolore e di farne esperienza di vita,
di farne rafforzamento, arricchimento, anche, della nostra personalitaà, e tutto questo, pensate, senza aspettarsi nessun “premio” da questo patire umano, gratis, non come sentivo che ripetevano i preti tristi a noi bambini chiusi tra le mura spaventose del collegio “offrite la sofferenza al signore” “regalatela al signore” questa cultura della sofferenza, della purificazione attraverso la soffrenza, Cristo martoriato sempre sbattuto sotto il muso, patire, soffrire, fino alla morte…(credo che quello di paolo Pugni sia stao il classico lapsus, se uno ci crede, io ci credo e non ci credo, rimando al bel libro di S. Timpanaro “Il lapsus freudiano”)
Ma l’ateo, Alvise, potrà al massimo, come dici, “cercare di vincere la lotta contro il dolore e di farne esperienza di vita,
di farne rafforzamento, arricchimento, anche, della nostra personalità”. Poi, la morte e il nulla. Questa, sì, prospettiva triste (più dei tuoi preti), spaventosa (più delle mura del collegio).
Il cristiano invece crede che la morte non abbia l’ultima parola. Dopo la sofferenza non c’è il nulla e non c’è la sofferenza. C’è la compagnia con Cristo, la gioia piena La sofferenza di questa terra, offerta a Cristo, ci prepara a godere di questa gioia piena. E ciò accade perché 1) Cristo ha sofferto (è stato nella sofferenza, l’ha attraversata tutta), e quindi la nostra sofferenza non è estranea a Cristo, l’offerta che ne facciamo a Cristo non è offerta di qualcosa che ha niente a che fare con Cristo, 2) Cristo non permane perpetuamente nella sofferenza: Cristo è Risorto e asceso al cielo, dopo il Cristo martoriato e ammazzato c’è il Vivente che più non muore, e pertanto chi accompagna la propria sofferenza a quella di Cristo si congiunge alla sorte di Cristo, quella di trionfare dopo aver patito.
Ecco perché chi offre la propria sofferenza a Cristo dà un senso alla propria sofferenza, le toglie tetraggine cupezza e disperazione: egli si pone infatti alla sequela di Cristo sofferente e glorioso (nella Sua Resurrezione a Ascensione), nell’attesa fiduciosa che la sofferenza trapassi in gloria e gioia piena, come è per Cristo.
Sei stato in collegio? Come ti capisco! Ho odiato le suore fino all’inizio della mia conversione. E anche dopo, per qualche anno quando ne avevo vicina qualcuna, sudavo freddo. Ringrazio il Signore perché ha guarito il mio cuore dalle ferite collegate a loro. In fondo, con i miei occhi di bambina, vedevo in loro le responsabili del distacco dai miei genitori. Avrebbero potuto essere anche le suorine più dolci del mondo, io non sarei riuescita ad amarle lo stesso. E adesso? Guai chi mi tocca le monache!!!!
Il commento sopra è per Alvise…
ognuno chiama i miracoli a modo suo….
Grazie per questo post! Tutto da meditare! Smack!
Ah come si sta bene tutti insieme, ah che goduria credere e non sperare non solo sperare nell’altra
vita (nel senso di aspettazione, attesa)ma anche in questa, intanto in quanto già trasfigurata per la presenza della speranza e poi anche nela speranza di aiuto da parte di Dio di presenza attiva di doni che lui può dare mentre siamo vivi, salute, lavoro, famiglia, o anche solo buon animo, felicità dell’animo, quando già questo. non fosse compreso nella presenza della speranza. Ah, dunque, vi ripetete, tra voi, che gioia, anche, pure vi fosero momenti brutti, ma gioia di essere tutti insieme uniti i vivi e i morti a darci forza e sollievo e tranquillità. Ah bene!!!
Ma tutto questo ve lo dite tra voi come autorafforzamento reciproco (nel qual caso vorrebbe dire che ne avete sempre bisogno di questo rafforzamento, e quindi non è tutto oro quel che luccica) o lo ndite perché gli altri intendano e si decidano alla fine a provare anche loro come si sta bene con la fede e nella fede?
Se fosse questa seconda ipotesi ebbene gli altri vi potrebbero dire che loro stanno bene così come stanno, con gli alti e bassi della vita, con la morte che li aspetta, anche loro, ma alla qule non pensano e della quale non hanno nessuna paura, se non quella del nulla,ma del nulla non hanno paura essendo nulla e essendo anche il limite che c’è alla vita altrimenti che vita sarebbe. L’unica cosa, secondo me, valida, anzi due, che voi potreste ribattere è1) che gli altri non avranno la speranza di rivedere mai propri cari nell’aldilà 2)che gli altri non potranno senza la fede, ottenre le grazie come si vede, alle volte, nel vangelo, venire guarigioni, resucitamenti etc. solo a favore di chi crede (o dice di credere).
Ecco questa è una cosa che potrebbe, forse, convincere qualcheduno a abbracciare la fede. ma:
1) si può abbracciare la fede per convenienza, per partito preso?
2) non potrebbe anche essere, se fosse vero che domani vi ritroverete tutti in paradiso, o in altri posti, che venissero chiamati insieme anche gli altri che non hanno mai creduto e eventualmente avessero mai fatto male a nessuno e avessero solo vissuto il meglio che gli fosse riuscito, anche riuscendo a essere felici, talvolta, ma che non lo sono mai andati a dire in giro, di continuo?
1) no, puoi ingannare gli uomini ma non Dio
2) non so’ ma non credo che il paradiso sia il premio per chi ottiene un buon voto in condotta
Grande Joe! Smack! 😀
Nemmeno per gli autodichiarantisi cattolici apostolici eccetra…
Io sono ilmeno indicato per saperlo, ma credo che il paradiso lo sa solo Dio per chi è
(ammesso che esista Dio il paradiso e tutto il resto)(quindi è giusto quello che dice joe Turner,
non basta portarsi bene per andarci) (“realisticamente” penso che non ci andrà nessuno)
“il paradiso lo sa solo Dio per chi è”: SMACK e ARISMACK ! Grazie Alvise per questa precisazione. Potrebbe sembrare una stupidagine, ma credo che sia una cosa molto importatnte. Purtroppo e più spesso di quanto dovremmo, noi, crediamo di sapere già chi andrà in Paradiso e chi no. Che assurdità! il nostro metro di giudizio non è come quello di Dio, grazie a Dio! Penso che quando andremo “di la” avremo delle grandi soprese. Gente che abbiamo stimato e considerato santa forse non la vedremo, e gente che avremo ritenuto degni dell’Inferno, starà contemplando ll volto di Dio! Sempre se ci saremo anche noi!
2) Alvise, quando si pensa di non aver “mai fatto male a nessuno” ci si illude: sono tanti i modi di far male a qualcuno. Ci si comporta come quello che va dal confessore e dice impavido e giulivo: “Sa, non è che abbia molto da dirle, non ho mai fatto male a nessuno, non rubo e non ammazzo, al massimo ogni tanto alzo un po’ la voce”. Ecco, quell’uomo sta facendo una cattiva confessione, è un superbo impenitente, perché non si accorge che ci sono mille modi di fare del male agli altri senza materialmente rubare e uccidere.
Quanto al “non credere”, non si può certo ritenere che chi non ha fede e si trova a vivere in un ambiente in cui è risuonato l’annuncio della fede non sia responsabile, sia incolpevole del proprio rifiuto di credere, al pari di chi mai ha inteso risuonare l’annuncio della fede. Certo, pure in chi ha inteso risuonare l’annuncio della fede una miriade di fattori possono attenuare la responsabilità e mitigare la colpa del sottrarsi all’atto di fede (inoltre la fede di ciascuno la conosce veramente solo Dio), ma non si può “sic et simpliciter” concedere che chi non crede ma vive “il meglio che gli riesca” non stia commettendo un peccato tale da precludergli l’accesso al Paradiso: almeno l’accesso per direttissima (potrebbe essere necessario la purgazione dopo la morte, prima di accedervi; anche se – per dirla tutta – al non credente peccatore, non meno che al credente peccatore, non è esclusa ineluttabilmente la sorte dannata).
Alviseee! La fede non è “provare anche loro come si sta bene con la fede e nella fede”. La fede è DONO DELLO SPIRITO SANTO, quindi o c’è o non c’è.
Stamattina ho ascoltato per radio un filosofo (non mi ricordo il nome) dire che “LA FEDE E’ UN BISOGNO INTRINSECO DEI POPOLI”. Senza filosofia, ti dico perché credo in Dio, quindi perché ho fede in Lui:
CREDO IN DIO PERCHE’ LUI C’E’, CHE IO CI CREDA O NO, E NON PERCHE’ NE HO BISOGNO, ANCHE SE EFFETTIVAMENTE NE HO BISOGNO. COSA POTREI FARE MAI SENZA DI LUI? NULLA!
Oltretutto la fede ti fa stare bene, benissimo, e ti fa sopportare tanti di quelle “persone moleste” (una delle 7 opere di misericordia spirituale) che non immagini! Certo ognuno ha il suo temperamento, io sono senza dubbio uno dal minimo basso: per dire il post di ieri di Raffaella sembra scritto per me. Dico solo che l’età mi ha aiutato a temperare eccessi. Quindi figurati un po’ che cosa ero e che cosa potrei essere….
Io ci sto bene, e come quando trovi un ristorante dove mangi bene e spendi poco, ti fa piacere raccontarlo agli amici…
Ma dimmi un po’ Alvise, continui a leggere e punzecchiare perché ti diverti a scatenare la rissa, perché stai seguendo una cura che ti ha dato il medico, perché hai bisogno della tua dose quotidiana di adrenalina o perché in fondo in fondo ci vuoi bene?
Smack! 😀
Ceeeerto che ci vuole bene! Altrimenti come avrebbe fatto a “resistere” fino ad oggi senza sparire dalla circolazione? Personalmante mi sarei già stancata di contraddire e di essere contraddetto (da un bel po’).
Alvise! Ti voglio beneee! Ragazziiiii! Vi voglio bene! Smack!
Per Alvise. Saltabeccando per amazon sono inciampata nella quarta di copertina dell’ultimo libro di Roger Scruton (The Face of God: The Gifford Lectures) in uscita il prossimo marzo. Magari potrebbe comprarlo:
«Atheist culture involves a turning away from God. Scruton shows how self destructive this is for us and our culture. Starting with the so-called scientific world view, Scruton argues that this is the real source of our current doubts about belief in God. To Richard Dawkins, human beings are ‘survival machines’. To enforce the argument that this is disastrous, two far reaching metaphysical world views are examined. Everything in the natural world happens according to scientific laws. Everything that happens is contingent. Drawing on Kant, Scruton argues to the contrary that we can step outside the chain of events and ask for an explanation of it. We can see beyond the limit of our visual field. We will only advance if we can see beyond the limits of our own thinking and attain to the ‘transcendental’ perspective that is God’s. In all this, what are in fact our epistemological capacities? Why and to what end and for what reason is there a world that contains creatures like us? This is the realm of Natural Theology but in Scruton’s penetrating argument it is transformed.»
Ancora fanno a Oxford il certamen di Gifford? Pensavo che sir John Eccles fosse stato l’ultimo a cimentarsi…
“Perché e a che fine e per quale ragione c’è un mondo che contiene creature come noi?”
(tutti noi, comunque)
OT (ma poi forse a ben vedere neanche tanto
copio da FB, pagina dedicata a genitori e famiglie
a) qualcuno ha da consigliarmi una strategia per la dichiarata gelosia di un figlio 12enne ?
b) gelosia verso chi? Per favore puoi spiegare meglio perché si possa fornire i suggerimenti migliori? grazie
a) (risponde) geloso della mamma, separata da anni, che ha un nuovo compagno. Le ho consigliato dei fiori di Bach, holly per la precisione.
c) (altro) io mandarei il ragazzo dallo psicanalista
trovo questo scambio così interessante che ci scriverò un post per famigliefelici, per il giovedì mooreeffoc, la giornata della provocazione….
mi sembra la follia totale che obnubila la realtà e la comprensione della medesima
Io manderei tuuuutti dallo psicanalista, dopo aver usato fiaschi di “fiori di Bach”
CHE TRISTEZZA! 😦 😦 😦
Hans Hurs von Balthasar disse: “L’inferno ed il Paradiso esistono veramente, ma l’inferno probabilmente è vuoto”; perchè Dio usa misericordia, anzi è la Misericordia.
Mi sembra più una scusa per poter fare i propri comodi…
Sull’inferno vuoto secondo von Balthasar (l’avrai davvero pensato vuoto, l’inferno, questo teologo?) si veda qui:
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/200421
Comunque l’inferno non è “vuoto”, ossia i dannati sono all’inferno. Così il Catechismo:
“1035 La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, « il fuoco eterno ». La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.
1037 Dio non predestina nessuno ad andare all’inferno; questo è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine. Nella liturgia eucaristica e nelle preghiere quotidiane dei fedeli, la Chiesa implora la misericordia di Dio, il quale non vuole « che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi » (2 Pt 3,9).”
Oggi ho riflettuto sulla parola compagnia, che in questo caso non è ovviamente da intendere nel senso militare del termine, ma piuttosto nel suo senso etimologico: compagni = quelli che condividono il pane.
La Chiesa è la nostra compagnia perché innanzitutto l’Agnello in essa si è fatto pane per tutti, condividendosi con noi.
Per questo si sta bene nella Chiesa e non perché ci si trova bene con i suoi membri (alcuni dei quali ad esempio francamente non sopporto), il termine compagnia descrive innanzitutto un fatto oggettivo: condividiamo un pane e poi un incantamento, uno stupore, un fascino irresistibile verso il Gesù-pane che fonda la nostra unione.
La settimana scorsa ero a Cafarnao, la città da dove venivano i primi cinque apostoli. Quattro di questi, come si sa, erano pescatori, ma il quinto, Matteo, era un pubblicano, cioè un collaborazionista dell’esercito di occupazione, uno disprezzato e detestato da tutti, compresi sicuramente i primi quattro (Andrea, Pietro, Giovanni e Giacomo). Cosa sarà stato a dar loro la forza di stare nella stessa compagnia di Matteo? Come avranno potuto condividere il pane ogni giorno con colui che fino al giorno prima consideravano un rifiuto della società?
Certamente l’incantamento di fronte a Cristo e nient’altro. Doveva essere talmente grande il fascino che emanava da quest’Uomo da rendere irrilevante qualsiasi altra cosa pur di stargli accanto.
Così è la Chiesa Alvise, noi non l’amiamo per se stessa, né per le persone che in essa ci troviamo accanto e che non di rado sono ostacoli piuttosto che aiuti nel cammino, ma perché amiamo Colui che la abita, che in Essa si è fatto pane da condividere, perché sappiamo che fuori di Essa, con tutti i suoli limiti e difetti, non troveremmo quello stesso pane.
Smack!
Visto che si parla di Sposo, direi che La compagna dell’Anello ci sta, oppure come hai scritto sul tuo blog donFa: la compagnia dell’Agnello….
Onestamente Alvise mi sta pesantemente sui maroni, detto papale papale, ma ciò detto Gesù ci ha fatto capire che amare è diverso da avere in simpatia, perché l’amore non è emotività e sentimento, ma l’atto della volontà. E lotta.
E nelle lotte talvolta si vince, talvolta si perde. Nunc coepi, adesso ricomincio diceva il mio Santo di riferimento, e questo provo a fare, con le persone che pur non standomi simpatiche voglio considerare fratelli e accettare per quello che sono.
Ho scritto qualche giorno fa “se sapessero quanto li odio e che abisso di livore hanno scatenato, si getterebbero in ginocchio a pregare il Padre di perdonarmi”, non so se sia comprensibile, ma certo rappresenta la tensione tra emozione, volontà e preghiera.
Grazie
Smack! Per la sincerità, soprattutto. 😀
“Io sono ilmeno indicato per saperlo, ma credo che il paradiso lo sa solo Dio per chi è” alvì è propri così-
Poi, parlo per me, la fede non mi rende la vita più facile, non mi rende una beata idiota che dice che gioia che bello che felicità. Non mi toglie il dolore non mi toglie la paura della morte e non mi rende più facile amare gli altri e non incazzarmi ecc…
La fede a me spiega perchè c’ho ‘sta sete di felicità e come un giorno riuscirò a dissetarmi. E ogni tanto, in qualche momento, qualche goccio d’acqua lo riesco a bere anche in questa vita.
(Paolo, a me invece Alvise piace molto. Lo sento molto più simile a me di tanti cattolici. E non faccio fatica a volergli bene. Ma hai ragione a dire che amare è diverso da avere in simpatia)
E’ il bello di essere fatti diversi, non credi? Diversi, ma ognuno a immagine e somiglianza.
Ad esempio per riprendere ciò che scrivi (lo declino al mio sentire)
la fede non mi rende la vita più facile, non mi rende una beata idiota che dice che gioia che bello che felicità.
Mi aiuta a togliere il dolore
mi toglie, spesso, la paura della morte e
mi rende più facile amare gli altri e mi dà una grossa mano a non incazzarmi
Soprattutto mi fa guardare ciò che mi capita, spesso, con serenità e sicurezza.
E’ un momento difficile per noi, zero lavoro da tre mesi, si naviga a vista: eppure vedo le carezze di Dio. Alcune non posso riferirle, una sì: proprio in un momento buio, anche durante la Messa, piomba il Vangelo di ieri (Sant’Angela Merici per gli ambrosiani) “Tu non temere, continua solo ad avere fede”.
E tutto si schiarisce.
Questo fa di me la fede. Con tutto il mio recalcitrare.
Sì, il bello è che siamo diversi.
Smack anche a te, fefral ! 😀
Non continuo a punzecchiare, casomai sono io che mi sento offeso da persone che considerano quelli che non appartengono al loro credo )tra cui io) dei mancamentati. Io credo di essere mancamentato allo steso modo che lo siamo tutti e felice e ragionevole nei limiti dell’umano. Mi dà, noia, lo ammetto, chi pretende di essere superiore (in assoluto)a-priori di per sè, o per luce divina.
Parlo per me, che non sono nella testa degli altri, anche se mi par di comprendere ciò che scrivono: mai considerato chi non crede un mancamentato (parola che mi è oscura ma che posso interpretate come decerebrato).
E se ho dato questa impressione me ne scuso qui ora apertamente.
Non provo disprezzo per chi non crede, ci mancherebbe altro, sarebbe come garantirsi un posto all’inferno. In anticipo.
Semmai provo compassione, ma non spocchiosa, quella -absit injuria verbis et multum mutati mutandis- del Cristo che vedendo le folle, che erano come pecore senza pastore, ne provò compassione.
E’ come vedere qualcuno che si ostina a voler star male.
Non so se questo vuol dire essere superiore, non lo credo. Essere più fortunato di sicuro, migliore o peggiore, e chi lo sa? e chi lo è soprattutto?
Possedere per luce divina una verità? Sì, ma non mia, donatami attraverso la Chiesa.
Questo però non è superiorità se non nel senso dell’autorità che conosce che cosa è vero, come quella di un giudice, di un docente. Non quindi spocchiosa o volta a umiliare, ma al contrario ad essere di servizio.
Concordo con te e chiedo scusa anche io a te, Alvise se hai avuto l’impressione che io mi sento superiore a te. Quando mai sono superiore a te? E poi… che vuol dire “superiore”, soprattutto in un blog che spiega benissimo cos’è la “sottomissione”?
Ma io non sto male. E’ questo il punto. C’è tante persone che riescono a stare bene, senza nessun “servizio” da parte di altri,
ma solo vivendo normalmente come vive la più parte di noi. L’ho detto tante volte: siamo UGUALI!!!
E la dimostrazione di questo è il FATTO che si vive tutti semplicemente nello stesso modo, e questo modo è quello raffigurato benissimo dalla prosa del libro che ha dato inizio a questi nostri commenti. Che è la stessa prosa della prosa
che impesta l’aria del mondo e questa prosa la usiamo noi che si vive dentro di essa e il pensiero che rappresenta, e i modi di vivere, nelle cittaduzze sdrucite di questo paese,che imperversa dovunque con lo stesso umorismo per forza e giochi di parole o paradossi o giochetti buffi o che altro. Che poi uno ci appicichi dietro una caricatura del pensiero teologico ad usum ignorantorum (pensiero teologico che è fatto di copia e incolla (quello davvero!) dai i grandi teologi del passato remoto, che hanno già detto tutto sull’argomento) questo non cambia nulla.
Alvì, è come dici. Siamo uguali. O meglio siamo diversi, ma le differenze sono tra persona e persona. Non c’è differenza tra cristiano e non cristiano, l’umanità è la stessa, la stessa carne, la stessa anima.
La fede non nega quest’umanità, non la annulla, non la cambia, non la distrugge. La illumina.
mi spieghi meglio questa cosa del “una caricatura del pensiero teologico ad usum ignorantorum (pensiero teologico che è fatto di copia e incolla ” perché così sembra un insulto, e siccome non mi sembra c’azzecchi col resto, ti chiedo la cortesia di chiarire il pensiero
Non è un insulto, volevo intendere che la prosa del libro, che è l’inizio di tutto il nostro discorso, è la prosa
patch-work in uso, che corrisponde alla vita in uso comune a tutti, più o meno, e che poi ci viene appiccicata
non solo il fatto della credenza in Dio Gesù e la Madonna, con effetti benefici sulla vita in special modo delle famiglie di
persone sposate in chiesa, ma anche, di rinforzo (come l’insalata a Napoli) citazioni teologiche o edificanti da autori contemporanei (Papa compreso) che non sono altro che la traduzione in parole misere e fruste, della teologia dei padri della Chiesa di Agostino
di San Tommaso, troppo difficili, alle volte, da intendere per noi gente comune (ignorantorum). Ma comunque teologia appiccicat(iccia) a effettuazioni di vite uguali. Dal che a me mi sembra che non vì è realizzato il messaggio di Cristo, altrimenti lo sarebbe realizzato in tutta la popolazione, che si vive allo stesso modo, in pratica. Nulla di male. Con le nostre macchinine, i nostri telefonuzzi, i librini, i viaggettini, i tinelli, i divanetti, i soggiorni, i bagnettini, le docce, le lavatrici, lavastoviglie, scale condominiali, semafori, scuole, uffici, redazioni (Frullone) conticorrenti, treni, aeroplani eccetra…
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
Oggi si ricorda San Tommaso d’Aquino.
Riporto un estratto da una catechesi nel quale Benedetto XVI rimarca l’importanza di Tommaso per la questione della legge morale naturale, di cui si discuteva nei giorni scorsi:
“San Tommaso, sottolineando il ruolo fondamentale, nella vita morale, dell’azione dello Spirito Santo, della Grazia, da cui scaturiscono le virtù teologali e morali, fa comprendere che ogni cristiano può raggiungere le alte prospettive del “Sermone della Montagna” se vive un rapporto autentico di fede in Cristo, se si apre all’azione del suo Santo Spirito.
Però – aggiunge l’Aquinate – “anche se la grazia è più efficace della natura, tuttavia la natura è più essenziale per l’uomo” (Summa Theologiae, I-II, q. 94, a. 6, ad 2), per cui, nella prospettiva morale cristiana, c’è un posto per la ragione, la quale è capace di discernere la legge morale naturale. La ragione può riconoscerla considerando ciò che è bene fare e ciò che è bene evitare per il conseguimento di quella felicità che sta a cuore a ciascuno, e che impone anche una responsabilità verso gli altri, e, dunque, la ricerca del bene comune. In altre parole, le virtù dell’uomo, teologali e morali, sono radicate nella natura umana. La Grazia divina accompagna, sostiene e spinge l’impegno etico ma, di per sé, secondo san Tommaso, tutti gli uomini, credenti e non credenti, sono chiamati a riconoscere le esigenze della natura umana espresse nella legge naturale e ad ispirarsi ad essa nella formulazione delle leggi positive, quelle cioè emanate dalle autorità civili e politiche per regolare la convivenza umana.
Quando la legge naturale e la responsabilità che essa implica sono negate, si apre drammaticamente la via al relativismo etico sul piano individuale e al totalitarismo dello Stato sul piano politico. La difesa dei diritti universali dell’uomo e l’affermazione del valore assoluto della dignità della persona postulano un fondamento. Non è proprio la legge naturale questo fondamento, con i valori non negoziabili che essa indica?”
(Benedetto XVI, Udienza generale, 16 giugno 2010)