di Daniela Bovolenta Perfectio Conversationis
“Dalla forma data alla società, consona o no alle leggi divine, dipende e s’insinua anche il bene o il male nelle anime, vale a dire, se gli uomini chiamati tutti ad essere vivificati dalla grazia di Cristo, nelle terrene contingenze del corso della vita respirino il sano e vivido alito della verità e della virtù morale o il bacillo morboso e spesso letale dell’errore della depravazione”
(Pio XII, 1941, Radiomessaggio di Pentecoste).
Su questa frase di Pio XII mi sono arenata più volte. Se proviamo a immaginare com’era l’Italia non dico nel 1941, ma fino agli inizi degli anni 1960, quale solidità avevano le famiglie, come i costumi fossero estremamente attenti al pudore, come si vivessero le feste religiose… Possiamo, credo, ammettere che il “vivido alito della verità e della virtù morale” si è un po’ perso di vista.
Non voglio essere ingenua e so bene che una parte di quei costumi dipendeva da conformismi e formalismi: se così non fosse, non sarebbe stato possibile spazzarli via in pochi decenni. Tuttavia, rimane il fatto che un conformismo verso la virtù sia più desiderabile di un conformismo nei confronti della depravazione.
Una moda che spiattella i corpi senza gusto e senza pudore, programmi televisivi dove omosessualità, aborto e divorzio siano temi fissi, di routine, un linguaggio che intercala volgarità a ogni livello sociale, una tendenza a considerare le donne pari in tutto agli uomini, anche nella disinvoltura sessuale e nell’uso spregiudicato del proprio corpo, programmi televisivi che mettono costantemente a dura prova la virtù di castità (e non parlo di trasmissioni specifiche in fasce orarie protette, ma di semplici programmi di prima serata), un rapporto tra uomo e donna improntato a competitività estrema, fino al punto di sminuire e marginalizzare l’uomo nella propria specificità, trasformando le donne in mostruose virago e gli uomini in pallidi zerbini, la rimozione della figura del padre, la forte tolleranza nei confronti dell’uso delle cosiddette droghe leggere… tutte queste cose sono un male in sé, ma doppiamente un male perché, per molte persone, rendono anche le virtù ordinarie un fatto eroico e quasi impossibile. Non impossibile del tutto, la santità è sempre possibile (al limite, nel martirio), ma frappongono tali e tanti ostacoli da essere vere e proprie pietre di inciampo per i più piccoli e i più deboli (primi fra tutti, i giovani).
Fin qui però siamo alla superficie, a quello che ciascuno vede fuori di sé e può eventualmente approvare o disapprovare sulla base del proprio giudizio. C’è un livello ancora più profondo, interiore, nel quale le crepe si formano al chiuso delle nostre coscienze. Credo che anche le persone più virtuose (e certamente io per prima, che non sono tra le più virtuose) per aderire ad alcune verità nel nostro tempo devono fare uno sforzo doppio, contro il mondo e contro sé stessi, cioè contro quella parte del mondo che, direttamente o indirettamente, ha plasmato le nostre coscienze. Virtù come l’umiltà, ad esempio, mi sembrano complicatissime. La sottomissione, nel senso in cui la intende Costanza Miriano, è complessa, quasi un termine che stride dentro di noi. La castità è una grande virtù, ma persino la lettura di un qualunque quotidiano (e la visione di alcuni annunci pubblicitari) può costituire una tentazione.
Prendiamo le riviste femminili, ad esempio. Da tempo ho smesso di acquistare qualsiasi giornale femminile. Non mi dispiacerebbe, di tanto in tanto, vedere le foto di qualche sfilata, leggere importanti articoli su creme di bellezza e tagli di capelli – non che poi abbia la costanza di metterli a frutto – ma sembra assolutamente impossibile vedere vestiti e trucchi senza dover essere indottrinate sulla peggior forma di femminismo: quello militante e superficiale delle giornaliste conformiste che lavorano in queste redazioni. L’aborto è una conquista, viva le donne che lavorano, meglio: quelle che comandano, viva la libertà di non fare figli per realizzarsi sul lavoro, se l’amore è finito bisogna mettere un punto fermo, se il vostro lui non vi capisce/sostiene/gratifica/diverte allora lasciatelo… e via di luogo comune in luogo comune, fino alle ricorrenti fondamentali “indagini” sui temi più assurdi: il mondo degli scambisti, sesso alla cieca, l’avete mai fatto in tre? o quattro, cinque… parla la donna che l’ha fatto con suo nonno/suo nipote/suo fratello, parlano modelle anoressiche, pop star drogate. Per tacere delle foto pubblicitarie, in cui sotto il termine “glam” si spaccia vero e proprio materiale soft porno. Che, per inciso, tutte queste patrone del femminismo non vedano che alla resa dei conti propongono semplicemente l’immagine più trita e commerciale del corpo della donna è un mistero a parte… comunque sia, io le riviste femminili ero abituata a lasciarle in giro per casa, prevalentemente in bagno, dove costituivano una lettura davvero “stimolante”, fino al giorno in cui mi sono resa conto che mi imbarazzava l’idea che potessero vederle i miei figli.
Ecco, se dalle riviste di moda in su, tutto il mondo è concertato per rendere la virtù più difficile e il peccato più a portata di mano, come possiamo, nelle nostre coscienze, rimanere vigili?
La grande frattura antropologica costituita dalla rivoluzione culturale, iniziata nel 1968 e mai più terminata, non opera solo all’esterno, ma all’interno di ognuno di noi. Se dovessi indicare tre punti, quelli salienti, su cui si sono sentiti i danni maggiori, direi che sono, in ordine di gravità:
- perdita del senso gerarchico (ruolo del padre in famiglia, ruolo degli insegnanti nella scuola, ruolo delle élite nella società, ruolo del Magistero nella Chiesa,);
- smantellamento della famiglia, intesa come struttura sociale indissolubile, formata da un uomo e una donna e dai figli che hanno generato, dove opera una forte solidarietà tra le generazioni;
- lotta alla vita (aborto, droga, eutanasia).
Ognuno di questi punti richiederebbe un’analisi approfondita, ma voglio limitarmi al primo. Il senso gerarchico è la capacità di riconoscere che ad alcune persone è dato di guidarne altre per il bene comune.
“Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c’è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono attireranno su di sé la condanna”. (Rm, 13, 1-3)
Il nostro tempo, smantellando sistematicamente i concetti di verità e di bene, cioè relativizzandoli all’estremo, rende superfluo l’esercizio dell’autorità, lo depotenzia: come può un altro dire a ME qual è il mio bene? Anche se ci crediamo a volte con la testa, difficilmente riusciamo ad aderire in profondità all’idea che qualcuno abbia il compito di indicare e guidare e altri quello di seguire e collaborare. Non si tratta di una logica da servi, ma di una logica di ordine, di meccanismo che funziona, in cui ciascun elemento è chiamato a svolgere al meglio il proprio ruolo per permettere a tutti di vivere in una società che faciliti e sostenga la santità, che frapponga ostacolo al “bacillo morboso e spesso letale dell’errore della depravazione”.
Devo ammettere, io per prima ho resistenze e difficoltà ad accettare alcuni rapporti gerarchici (in famiglia, nella società, nella Chiesa), mi sembra che sia un problema generalizzato, dai genitori che minacciano gli insegnanti per un brutto voto, ai fedeli, e talora sacerdoti, teologi e persino vescovi, resistenti al Magistero petrino. Attenzione: non al magistero che ci piace, di questo siamo capaci tutti, ma anche – e soprattutto – di quello che richiede più sforzo e attenzione per essere compreso e amato. La mia impressione è che, insieme a quella per i valori non negoziabili, – che sono, ricordiamolo: la difesa della vita dal concepimento alla fine naturale; la difesa della famiglia eterosessuale e monogamica; la libertà di educazione – questa sia la grande battaglia che i cattolici dovrebbero combattere nel tempo attuale. Prima di tutto in interiore homine e poi nella società.
““Il nostro mondo è tutto organizzato per dimostrare che la vita contemplativa, che l’itinerario nel castello interiore della propria anima e il progredire nella vita spirituale, è un’impresa impossibile. Ma proprio questa è la lotta che dobbiamo intraprendere, l’unica necessaria.
È esattamente questo che ci viene chiesto, in un mondo costruito per eliminare la possibilità stessa della trascendenza: desiderare la santità, desiderare per sé e per gli uomini tutti la pienezza del vero, del bene e del bello, perché «appunto questa è la lotta che dobbiamo condurre, davvero persuasi – in una questione così decisiva – che l’”impossibile” (o ciò che il mondo ritiene tale) è la sola cosa necessaria»; poiché, come scriveva l’Apostolo delle genti, «Tutto infatti è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1 Cor 3, 22-23).
Per il contemplativo in azione, occorre un grande desiderio a sostegno e come punto di arrivo dell’apostolato culturale: costruire una civiltà naturale e cristiana, la civiltà della verità e dell’amore.
Desiderio che non è fomentato dall’utopia, che non è stravolto dall’ideologia, è radicato nel cuore dell’uomo, è sviluppato dalla Grazia, ha solo bisogno del nostro cuore e delle nostre braccia per diventare realtà, per quanto possibile in «questa valle di lacrime”.
( PESERICO, Enzo, “Gli anni del desiderio e del piombo. Sessantotto, terrorismo e rivoluzione” – Edito da SugarCo, 2008)
E dopo questa citazione, cara Danicor, si potrebbero anche chiudere i commenti. Grazie di aver ricordato Enzo.
Smack!
Brava Dani! A quattro anni dalla scomparsa di Enzo, le sue parole sono sempre attuali, e ci spronano a combattere la “buona battaglia”!
E Grazie a Daniela B. per questo bellissimo post.
Grande Daniela,
concordo.
Non sono un complottista ma sembra che ci sia un disegno chiaro e preciso di smantellazione di varie realtà. Queste realtà sono quelle che tu hai identificato con i numeri 1, 2 e 3.
Non so se tu li hai inseriti in ordine di importanza ma, se così fosse, io avrei messo l’ordine del tipo 2, 3, 1.
Da maschietto ti do anche conferma nella difficoltà che posso incontrare, sopratutto in estate, a camminare per la città.
http://www.alleanzacattolica.org/idis_dpf/voci/c_teorie_complotto.ht
Errata corrige
http://www.alleanzacattolica.org/idis_dpf/voci/c_teorie_complotto.htm
ho scritto “non sono un complottista” non “non credo in un complotto” 😉
Analisi condivisibilissima come il rimedio. Personale. E a livello sociale e politico che cosa si può fare? D’accordo: pregare. E poi? Questo mi lascia sempre basito, e spalanca la fede. Perché fa intuire la nostra fragilità e debolezza.
Una chiosa sull’umiltà che ho sempre considerato la virtù dell’ambizioso: senza consapevolezza del proprio limite non si fa strada. L’arrogante cade, l’umile sale.
L’Italia nel 1941 era in guerra alleata della Germania Nazista!!!
e Pio XII stava per essere l’unica autorità in assoluto a non disertare Roma e il popolo.
Giusto. Ricordiamolo…
Grazie, mon chevalier, per questa ‘botta di Navarra’.
http://www.lesfilms.org/photos/films/2008-alatriste.jpg
Accidenti, ho sbagliato cappa e spada. Botta “di Nevers”, non “di Navarra”.La differenza che corre tra cavaliere di Lagardère e capitan Alatriste.
giustizia è fatta! 🙂
Oremus!!!
Certemus! (Nostro more)
Già, ora c’è l’autocertificazione!!!
Volevo solo dire che ci saranno state anche belle famiglie, poteri saldi eccetra, allora, ma c’era il fascismo!!!
C’erano anche prima del fascismo. E, sorpresa, anche durante.
e superman si apprestava a portare le mutande sopra i pantaloni
A livello sociale e politico cosa si può fare?
affogare il male nell’abbondanza di bene
A livello sociale possiamo fare alcune cose, se ci accontentiamo di combattere la buona battaglia senza la pretesa di vederne l’esito (e cioè su tempi lunghi). In primo luogo ricostruire le famiglie, a partire dalle nostre: se la famiglia è la struttura di base delle società, da un gran numero di famiglie ordinate scaturisce una società più ordinata. In secondo luogo non dobbiamo dimenticare il ruolo giocato dalle élite- intellettuali, politiche, economiche, artistiche- nell’opera di dissoluzione: dai club giacobini allo ‘scandalo’ di Mina che stava con un uomo sposato, dalle droghe di Ginzberg e della beat generation fino ai radicali italiani, da Togliatti che ‘nasconde’ la sua relazione extra- coniugale a Vendola che fa dichiarazioni pro-pedofilia, è tutto un procedere di tassello in tassello, di distruzione in distruzione. Insomma, la società, come il pesce, puzza dalla testa, e dalla testa va sanata.
Dalla testa anche nostra, però, che si conduce una vita meschina,
sotto tutti i punti di vista!!!!
Arismack!
Io credo che ci rimane ben poco da fare se non pregare e chiedere a Dio di intervenire
Gazie Daniela per questo post!
Il quadro della situazione è molto chiaro. Credo che la risposta sul cosa scegliere stia tutta in questa frase:
“Tuttavia, rimane il fatto che un conformismo verso la virtù sia più desiderabile di un conformismo nei confronti della depravazione”.
Adesso, il come, il quanto ed il quando bisognerebbe capirlo bene: credo che sarebbe positivo affrontare le cose una alla volta, in modo concreto, testimoniando personalmente il nostro “credo” ogni volta che ci troviamo di fronte ad una di queste situazioni, cioé sempre.
Oltre, ovviamente, al pregare!
In una pillola: incapacità di riconoscere/ammettere/accettare l’autorità ‘vera’.
Un post perfetto, complimenti davvero!
Per questo è necessario che noi cattolici, almeno, ribadiamo queste cose. E’ una lotta culturale improba, dati gli strumenti che il mondo può adoperare per somministrare questa disumana “cultura”.
E’ una guerra che procede ormai da secoli e nulla fa pensare, quindi, che ci vorrà meno che qualche secolo per, eventualmente, invertire questa tendenza corrosiva (ma ovviamente speriamo in qualche aiuto dal Cielo!!).
Lottare, lottare, lottare. Di una lotta silenziosa nella sua logorante quotidianità.
Per quanto riguarda la ‘sottomissione’, ho sempre avuto questa sensazione: l’uomo è più adatto a riconoscere il valore e la necessità della gerarchia di cui parla Daniela, così come la donna è invece molto più adatta all’empatia, l’accoglienza e questa peculiare capacità di amare.
Ritengo che non sia affatto un caso che San Paolo, nel famoso passo citato nel libro di Costanza, lasci due comandi diversi all’uomo e alla donna: a ciascuno dei due, ciò che prioritariamente sono chiamati a imparare perché ciò in cui, rispettivamente, sono più… “deboli”. E ciò che prioritariamente sono chiamati a imparare “dall’altra metà del cielo” 🙂
[chissà se poi è così!]
E non per nulla l’aggressione culturale di cui parla Daniela è partita infatti dalla demolizione della figura maschile/paterna/custode dell’autorità. Una volta creata questa prima frattura, facilitata anche dalla rivoluzione industriale, si è proceduto ad aggredire il femminile… così, un passo dopo l’altro, procedendo a una lenta e sistematica demolizione del tessuto sociale e ‘umano’.
L’unica soluzione è diventare sempre più integralmente e rocciosamente cattolici: è l’unico modo per resistere al “bacillo morboso” ed essere poi, eventualmente, utili anche agli altri.
…eventualmente!!!
Perhaps Roberto was thinking in English
http://www.wordreference.com/enit/eventually
Bisogna chiederlo a lui se pensava in inglese….
Chiamiamola una unbiased guess 🙂
Bellissimo post, Daniela, apre una miriade di considerazioni.
Mi permetto di farne due.
Io credo che quando la virtù è imposta per legge non è vera virtù.
E credo anche che in ambito civile (non parlo di quello religioso e morale), non debba mai essere necessario “sottomettersi all’autorità”, bensì rispettare leggi condivise e battersi per cambiarle quando non le condividiamo.
Che ne pensate?
Scusa, ma “sottomettersi all’autorità” non è “rispettare le leggi condivise”? Se l’autorità è formata da persone di fiducia, elette da noi, dovrebbero esserci leggi, morali, politiche, etc.) che comunque sono per il nostro bene, magari non quello imediato (che non sempre è il vero bene, anzi!), ma un bene futuro e quindi duraturo.
Una differenza c’è : rispettare leggi condivise non è un atto di sottomissione, ma un atto di cittadinanaza attiva.
Potrebbe sembrare la stessa cosa, ma non lo è: ad esempio, i medici obiettori di coscienza, che non praticano l’aborto, di fatto non si sottomettono all’autorità.
Contestano, con la loro condotta, una legge che considerano ingiusta e immorale, e secondo me hanno tutto il diritto di farlo.
Giusto! Non avevo pensato a questo lato. Forse perché continuo a sperare che l’autorità sia formata da persone corrette e rispettose della vita, della fede, etc. etc.
Mettiamola così: dovendo traversare una strada sulle strisce, mi interessa che gli automobilisti rispettino il semaforo rosso. Se poi lo fanno per virtù o perché hanno paura di perdere i punti della patente, sono questioni loro.
Concretezza? Smack!
Questione importante.
Mi permetto di citare Papa Benedetto XVI che citava Sant’Agostino nel suo discorso al parlamento tedesco.
“Togli il diritto – e allora che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti?”.
La visione cattolica, che è quella del diritto naturale, stabilisce una gerarchia che è quello del diritto naturale, ovvero dei valori, quello della politica e quello dell’economia, ciascuno dei quali deve essere sottomesso all’altro.
La prima frattura di tale equilibrio si ebbe con la Prima rivoluzione, ovvero quella protestante, il cui successo fu stabilito da quei principi che compresero di avere la loro occasione per “emanciparsi” dalla superiore autorità dell’etica. Così furono gettate le basi di quello che noi definiamo “Stato totalitario”, che non è necessariamente una dittatura: ad es. Giovanni Paolo II definì le nostre democrazie “democrazie totalitarie”, ovvero un’autorità statale che non riconosce alcuna autorità al di sopra di essa.
Ora noi stiamo assistendo alla rottura del secondo equilibrio, nel quale sarà l’economia ad ambire al dominio sul potere politico… ma questa è un’altra storia.
Una legge che viola il diritto è perciò ingiusta per sé – da ciò nasce l’esigenza dell’obiezione di coscienza.
Per la medesima ragione, noi possiamo desiderare normative che vietino, per esempio, la pornografia, piuttosto che la veicolazione di idee palesamente contrarie all’ordine naturale, quali la distruzione della vita nascente in embrione, la propaganda di famiglie non naturali, ecc.
Questo in quanto tale propaganda porta, causa il peccato originale, alla deformazione delle coscienze non avvedute. Non è quesitone di imporre virtù, ma di impedire la propagazione del vizio.
Altro smack!
“46. La Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno. Essa, pertanto, non può favorire la formazione di gruppi dirigenti ristretti, i quali per interessi particolari o per fini ideologici usurpano il potere dello Stato.
Un’autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana. Essa esige che si verifichino le condizioni necessarie per la promozione sia delle singole persone mediante l’educazione e la formazione ai veri ideali, sia della «soggettività» della società mediante la creazione di strutture di partecipazione e di corresponsabilità.
Oggi si tende ad affermare che l’agnosticismo ed il relativismo scettico sono la filosofia e l’atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti son convinti di conoscere la verità ed aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici.
A questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un TOTALITARISMO APERTO oppure SUBDOLO, come dimostra la storia.”
(Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Centesimus Annus, n. 46, 1° maggio 1991)
“D’altra parte, le stesse “democrazie”, organizzate secondo la formula dello Stato di diritto, hanno registrato e ancora oggi presentano vistose contraddizioni tra il formale riconoscimento della libertà e dei diritti umani e le tante ingiustizie e discriminazioni sociali che tollerano nel proprio seno. Si tratta in effetti di modelli sociali in cui il postulato della libertà non sempre si coniuga con quello della responsabilità etica.
Il rischio dei regimi democratici è di risolversi in un sistema di regole non sufficientemente radicate in quei VALORI IRRINUNCIABILI, perché fondati nell’essenza dell’uomo, che devono essere alla base di ogni convivenza, e che nessuna maggioranza può rinnegare, senza provocare funeste conseguenze per l’uomo e per la società. Contro tale degenerazione della libertà, sia in campo politico che economico, la Chiesa ha levato vigorosamente la sua voce. In tal senso, fin dalla Rerum novarum di Leone XIII fu condannato, insieme con il socialismo, anche il liberismo economico sprezzante di ogni limite e disattento alle esigenze della solidarietà. Nella stessa linea, la Chiesa continua oggi ad opporsi a quei modelli di società che, in nome di presunti diritti della libertà, non tutelano sufficientemente la vita umana dei nascituri e la dignità delle classi sociali più deboli.”
(Giovanni Paolo II, Discorso al mondo accademico e agli intellettuali, Vilnius, 5 settembre 1993)
Vivere ed agire politicamente in conformità alla propria coscienza non è un succube adagiarsi su posizioni estranee all’impegno politico o su una forma di confessionalismo, ma l’espressione con cui i cristiani offrono il loro coerente apporto perché attraverso la politica si instauri un ordinamento sociale più giusto e coerente con la dignità della persona umana.
Nelle società democratiche tutte le proposte sono discusse e vagliate liberamente.
Coloro che in nome del rispetto della coscienza individuale volessero vedere nel dovere morale dei cristiani di essere coerenti con la propria coscienza un segno per squalificarli politicamente, negando loro la legittimità di agire in politica coerentemente alle proprie convinzioni riguardanti il bene comune, incorrerebbero in una forma di intollerante laicismo. In questa prospettiva, infatti, si vuole negare non solo ogni rilevanza politica e culturale della fede cristiana, ma perfino la stessa possibilità di un’etica naturale. Se così fosse, si aprirebbe la strada ad un’anarchia morale che non potrebbe mai identificarsi con nessuna forma di legittimo pluralismo. La sopraffazione del più forte sul debole sarebbe la conseguenza ovvia di questa impostazione. La marginalizzazione del Cristianesimo, d’altronde, non potrebbe giovare al futuro progettuale di una società e alla concordia tra i popoli, ed anzi insidierebbe gli stessi fondamenti spirituali e culturali della civiltà.”
(Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”, 24 novembre 2002)
ma è una mania questa di bruciacchiarmi i post che ho nel cassetto! 😀
C’abbiamo tutti un cassetto incenerito carissimo. :-(. ;-))
Confermo: la virtù imposta per legge non è vera virtù. Il ruolo delle leggi è di non rendere quasi impossibile la virtù, non di prescriverla per legge.
Cioè una società che si dia leggi basate sul diritto naturale crea l’humus in cui non è necessario uno sforzo eroico per avere una condotta virtuosa.
Ti faccio un esempio: la castità. Prendi un sedicenne, seriamente intenzionato a mantenere questa virtù, fagli fare una passeggiata per strada d’estate, fagli leggere un quotidiano, fagli vedere un balletto di Striscia la Notizia… lo avrai aiutato nel suo fine? Certo, potevano mancargli tutti questi stimoli e lui avrebbe potuto comunque avere pensieri poco casti, oppure cercare materiale pornografico… la decisione di essere virtuosi non si sostituisce con una prescrizione di legge, ma i costumi non sono indifferenti rispetto alle virtù.
Sottomettersi all’autorità in ambito civile ha certamente dei limiti. Questi limiti sono tutti delineati nel Catechismo: in buona sostanza, l’autorità civile ha diritto di essere obbedita quando non va contro il diritto naturale e il culto a Dio. Inoltre ci sono limiti ben precisi entro i quali il potere civile non può, ad esempio, neppure opprimere fiscalmente i propri cittadini. La frase di san Paolo non è fatta per venire a patti con ogni governo possibile, ma perché si riconosca che un governo è necessario, che il ruolo di guida e di custode del bene comune è un ruolo fondamentale, in una famiglia come nella società. Questo ruolo ovviamente è onore e onere, ma se viene meno, se facciamo tutti spallucce (i figli ai genitori, gli studenti agli insegnanti, ecc…), se persino chi dovrebbe avere tale compito per motivi legati al ruolo che ricopre (padre, maestro, pastore…) finisce per abdicare per finto egualitarismo, le cose non vanno meglio, vanno semplicemente a rotoli.
Catechismo:
“2235 Coloro che sono rivestiti d’autorità, la devono esercitare come un servizio. « Colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo » (Mt 20,26). L’esercizio di un’autorità è moralmente delimitato dalla sua origine divina, dalla sua natura ragionevole e dal suo oggetto specifico. Nessuno può comandare o istituire ciò che è contrario alla dignità delle persone e alla LEGGE NATURALE.
2236 L’esercizio dell’autorità mira a rendere evidente una GIUSTA GERARCHIA dei valori al fine di FACILITARE l’esercizio della libertà e della responsabilità di tutti.
2238 Coloro che sono sottomessi all’autorità considereranno i loro superiori come rappresentanti di Dio, che li ha costituiti ministri dei suoi doni: « State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore […]. Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio » (1 Pt 2,13.16). La leale collaborazione dei cittadini comporta il diritto, talvolta il dovere, di fare le giuste rimostranze su ciò che a loro sembra nuocere alla dignità delle persone e al bene della comunità.
2239 È DOVERE dei cittadini dare il proprio apporto ai poteri civili per il bene della società in spirito di verità, di giustizia, di solidarietà e di libertà. L’amore e il servizio della patria derivano dal dovere di riconoscenza e dall’ordine della carità. La sottomissione alle autorità legittime e il servizio del bene comune esigono dai cittadini che essi compiano la loro funzione nella vita della comunità politica.
2242 Il cittadino è OBBLIGATO in coscienza a NON seguire le prescrizioni delle autorità civili quando tali precetti sono contrari alle esigenze dell’ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo. Il rifiuto d’obbedienza alle autorità civili, quando le loro richieste contrastano con quelle della retta coscienza, trova la sua giustificazione nella distinzione tra il servizio di Dio e il servizio della comunità politica. « Rendete […] a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio » (Mt 22,21). « Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini » (At 5,29).”
sottoscrivo in pieno il post.
neanche a me piace la realtà che sto vivendo, non mi riconosco nell’involuzione della società e della cultura che mi circondano, e non le condivido per niente, ma penso che il mio compito (da credente che si sforza anche di praticare) sia quello di testimoniare in maniera coerente e credibile ciò in cui credo , e visto il contesto posso solo essere un piccolo seme che fa il suo dovere nel nascondimento e nel silenzio…che tipo di pianta possa venirne fuori, poi, solo Dio lo sa, io spero di non essere gramigna o zizzania…
“Queste questioni ci portano direttamente ai fondamenti etici del discorso civile. Se i principi morali che sostengono il processo democratico non si fondano, a loro volta, su nient’altro di più solido che sul consenso sociale, allora la fragilità del processo si mostra in tutta la sua evidenza. Qui si trova la reale sfida per la democrazia.
L’inadeguatezza di soluzioni pragmatiche, di breve termine, ai complessi problemi sociali ed etici è stata messa in tutta evidenza dalla recente crisi finanziaria globale. Vi è un vasto consenso sul fatto che la mancanza di un solido fondamento etico dell’attività economica abbia contribuito a creare la situazione di grave difficoltà nella quale si trovano ora milioni di persone nel mondo. Così come “ogni decisione economica ha una conseguenza di carattere morale” (Caritas in Veritate, 37), analogamente, nel campo politico, la dimensione morale delle politiche attuate ha conseguenze di vasto raggio, che nessun governo può permettersi di ignorare. […]
La questione centrale in gioco, dunque, è la seguente: dove può essere trovato il fondamento etico per le scelte politiche? La tradizione cattolica sostiene che le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione. Secondo questa comprensione, il ruolo della religione nel dibattito politico non è tanto quello di fornire tali norme, come se esse non potessero esser conosciute dai non credenti – ancora meno è quello di proporre soluzioni politiche concrete, cosa che è del tutto al di fuori della competenza della religione – bensì piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi.”
(Benedetto XVI, Discorso alla Westminster Hall, 17 settembre 2010)
Cara Daniela, grazie per questa riflessione sulla mancanza di gerarchie. D’altronde chi ha figli piccoli ( e grandi) sa che senza autoritá in casa non si sopravvive. E questo forse é il primo gesto concreto e caritatevole che possiamo avere verso la nuova generazione: farli crescere nella consapevolezza della necessitá di una guida, meglio se di un Faro che possa illuminare le loro scelte. Insegnare loro ad obbedire , anche quando non se capiscono in pieno le ragioni. La seconda riflessione, piú concreta, riguarda un argomento che tu sai bene quanto mi stia a cuore: l’uso dei social network da parte dei nativi digitali. Ne parlammo tempo fa e non ho ancora smesso di cercare una strada educativa. Il pensiero che mia figlia dodicenne potrà un giorno liberamente commentare la crisi coniugale o interiore di una mia amica (che sarà anche la sua), o peggio di un nostro amico quarantenne, o peggio che le scorrano queste notizie davanti agli occhi così come le altre, mi fa rabbrividire. Significherebbe farla crescere nel realismo assoluto, in una realtà parallela, dove le cose accadono fatalmente, e dove a noi tocca essere spettatori inerti di felicitá e disgrazie altrui. E dove l’amicizia é essere spettatori delle bacheche altrui. E mi fermo, per non essere troppo prolissa
Relativismo assoluto, non realismo.
Corie hai toccato un tasto dolente: in un certo senso internet è il culmine della mancanza di autorità, che si declina anche come mancanza di autorevolezza. Tutte le opinioni sembrano essere sullo stesso piano, tutte le notizie, tutti i modi di vivere… Neppure la credibilità delle fonti ha più un criterio solido. Se, in epoca pre-internet, mi citavi un’informazione come presa da Novella 2000 io sapevo che aveva un’autorevolezza diversa rispetto, chessò, a una notizia presa da Civiltà Cattolica o dalla Treccani. Oggi la rete ha assunto dei connotati molto più indefiniti, per cui la notizia tratta dal gruppo ufologico di spostati finisce magari per diffondersi come una notizia tratta da The Lancet. La capacità di ricostruire una gerarchia delle fonti va sviluppata molto più intensamente di un tempo: in questo senso dovrebbe andare, secondo me, l’educazione dei nativi digitali. In pratica, come genitori, è necessario non solo saper filtrare, ma sviluppare nei ragazzi un forte senso critico (di cui, parlo per esperienza, tendono a essere sempre più carenti). Il filtro funziona fino a una certa età, poi deve per forza subentrare il discernimento. Allo stesso modo, in internet e nei social network, si assiste sempre più al fenomeno di persone che rimangono all’interno di una nicchia, di un gruppo umano di affini o con cui sviluppano qualche legame: la creazione, dunque, di piccole comunità, come quella del blog che ci ospita e che poi tanto piccola non è, significa avere la possibilità di raggiungere delle persone un tempo irraggiungibili e fare opera di apostolato. Insomma, come sempre non è il coltello ad essere buono o cattivo, ma l’uso che se ne fa.
ciao Corie, sono contento di averti “liberato” il cognome 😉
Rimango obbligata, joe
“In gran parte della materia da regolare giuridicamente, quello della maggioranza può essere un criterio sufficiente. Ma è evidente che nelle questioni fondamentali del diritto, nelle quali è in gioco la dignità dell’uomo e dell’umanità, il principio maggioritario non basta: nel processo di formazione del diritto, ogni persona che ha responsabilità deve cercare lei stessa i criteri del proprio orientamento. Nel terzo secolo, il grande teologo Origene ha giustificato così la resistenza dei cristiani a certi ordinamenti giuridici in vigore: “Se qualcuno si trovasse presso il popolo della Scizia che ha leggi irreligiose e fosse costretto a vivere in mezzo a loro … questi senz’altro agirebbe in modo molto ragionevole se, in nome della legge della verità che presso il popolo della Scizia è appunto illegalità, insieme con altri che hanno la stessa opinione, formasse associazioni anche contro l’ordinamento in vigore…”[Contra Celsum]
[…] Ciò che in riferimento alle fondamentali questioni antropologiche sia la cosa giusta e possa diventare diritto vigente, oggi non è affatto evidente di per sé. Alla questione come si possa riconoscere ciò che veramente è giusto e servire così la giustizia nella legislazione, non è mai stato facile trovare la risposta e oggi, nell’abbondanza delle nostre conoscenze e delle nostre capacità, tale questione è diventata ancora molto più difficile.
Come si riconosce ciò che è giusto? […]
Contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, mai un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto – ha rimandato all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio. […]
L’idea del DIRITTO NATURALE è considerata oggi una dottrina cattolica piuttosto singolare, su cui non varrebbe la pena discutere al di fuori dell’ambito cattolico, così che quasi ci si vergogna di menzionarne anche soltanto il termine. Vorrei brevemente indicare come mai si sia creata questa situazione. È fondamentale anzitutto la tesi secondo cui tra l’essere e il dover essere ci sarebbe un abisso insormontabile. Dall’essere non potrebbe derivare un dovere, perché si tratterebbe di due ambiti assolutamente diversi. La base di tale opinione è la concezione positivista, oggi quasi generalmente adottata, di natura. […]
Una concezione positivista di natura, che comprende la natura in modo puramente funzionale, così come le scienze naturali la riconoscono, non può creare alcun ponte verso l’ethos e il diritto, ma suscitare nuovamente solo risposte funzionali. La stessa cosa, però, vale anche per la ragione in una visione positivista, che da molti è considerata come l’unica visione scientifica. In essa, ciò che non è verificabile o falsificabile non rientra nell’ambito della ragione nel senso stretto. Per questo l’ethos e la religione devono essere assegnati all’ambito del soggettivo e cadono fuori dall’ambito della ragione nel senso stretto della parola. Dove vige il dominio esclusivo della ragione positivista – e ciò è in gran parte il caso nella nostra coscienza pubblica – le fonti classiche di conoscenza dell’ethos e del diritto sono messe fuori gioco.
Questa è una situazione drammatica che interessa tutti e su cui è necessaria una discussione pubblica; invitare urgentemente ad essa è un’intenzione essenziale di questo discorso.
[…] La ragione positivista, che si presenta in modo esclusivista e non è in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale, assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo vasto di Dio. E tuttavia non possiamo illuderci che in tale mondo autocostruito attingiamo in segreto ugualmente alle “risorse” di Dio, che trasformiamo in prodotti nostri. Bisogna tornare a spalancare le finestre, dobbiamo vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra ed imparare ad usare tutto questo in modo giusto.
[…]
A questo punto dovrebbe venirci in aiuto il patrimonio culturale dell’Europa. Sulla base della convinzione circa l’esistenza di un Dio creatore sono state sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la conoscenza dell’inviolabilità della dignità umana in ogni singola persona e la consapevolezza della responsabilità degli uomini per il loro agire. Queste conoscenze della ragione costituiscono la nostra memoria culturale. Ignorarla o considerarla come mero passato sarebbe un’amputazione della nostra cultura nel suo insieme e la priverebbe della sua interezza. La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma – dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma. Questo triplice incontro forma l’intima identità dell’Europa. Nella consapevolezza della responsabilità dell’uomo davanti a Dio e nel riconoscimento della dignità inviolabile dell’uomo, di ogni uomo, questo incontro ha fissato dei criteri del diritto, difendere i quali è nostro compito in questo momento storico.
Al giovane re Salomone, nell’ora dell’assunzione del potere, è stata concessa una sua richiesta. Che cosa sarebbe se a noi, legislatori di oggi, venisse concesso di avanzare una richiesta? Che cosa chiederemmo?
Penso che anche oggi, in ultima analisi, non potremmo desiderare altro che un cuore docile – la capacità di distinguere il bene dal male e di stabilire così un vero diritto, di servire la giustizia e la pace.”
(Benedetto XVI, Discorso al Parlamento Federale tedesco, Berlino, 22 settembre 2011)
“Contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, mai un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto”
e chi decide quale è la legge naturale e razionale?
pe quanto riguarda popoli dove ci sono altri costumi che a noi sembrano “innaturali” mi sia permesso di consigliare la lettura di Montaigne (almeno) non di Origene.
il fatto che ci siano popoli nei quali si praticano costumi che a noi sembrano “innaturali” non contrasta con l’esistenza di una legge naturale. Inoltre, la legge naturale non è “decisa” propriamente da nessun essere umano, poiché all’uomo compete non stabilire/fissare/statuire tale legge, ma riconoscerne lo statuto e la vigenza (la legge naturale non cesserebbe di essere tale nemmeno se tutti gli uomini la disattendessero o bramassero abrogarla).
Al riguardo (con considerazioni anche su Montaigne) si veda, tra i lavori recenti, quello del filosofo Francesco Botturi “La generazione del bene” (Milano, Vita e Pensiero, 2009), soprattutto pp. 307- 352 (“Natura e cultura”)
Non starò, io , certo, a dare indicazioni bibliografiche, (a parte il consiglio di leggere, almeno, di Montaigne stesso, il capitolo XII del II libro degli “Essais”, l “Apologia di rRaimond Sebond)ma vorrei solo fare osservare il fatto che passare dal dire che non si può stabilire, ma solo riconoscere ciò che già è “di per sé” (la legge naturale) è solo un gioco delle tre carte che non sposta di una virgola il problema che sarebbe allora quello di “riconosce” lo statuto eccetra…
Scusate gli errori, ma si capisce, no?
Dico solo che rilevare il fatto che si pratichino costumi differenti tra popoli differenti (fare cioè la constatazione-Montaigne, per capirci) non depone (e in che modo lo farebbe?) per l’inesistenza di una natura umana (e quindi di una legge naturale). Ne deporrebbe per l’inesistenza se e soltanto se la natura umana fosse tale da essere generatrice in modo necessitante, deterministico di comportamenti ad essa conformi, conseguenti. Ma chi l’ha detto che la natura umana (e le sue leggi intrinseche) sia tale? Nessuna meraviglia, dunque, nel registrare che soggetti accomunati dalla medesima natura umana diano vita a condotte differenti e talora pure tra di loro contrapposte.
Argomentazioni gesuitiche!!!
Io ho detto solo che anche ammesso che esistesse una legge naturale chi potrebbe dirlo quale fosse questa legge?
Nel frattempo uno osserva le leggi e gli usi degli altri popoli e culture, come gli altri popoli e culture osservano
no (o almeno era così nel passato essendo ora alla fine tutti [quasi]uguali.
“Io ho detto solo che anche ammesso che esistesse una legge naturale chi potrebbe dirlo quale fosse questa legge?”
Questo è compito dell’indagine filosofica (che si interroga con radicalità sulla natura umana). La quale non ha aspettato il 2012 per attivarsi, ma qualche caposaldo della legge naturale l’avrebbe già rintracciato.
A proposito di legge morale naturale:
http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-quella-legge-moraleche–in-tutti-noi-4167.htm
ne consegue che:
a) le leggi condivise sono espressione dell’attuale(storicamente) élite al potere.(come in ogni tempo e luogo.di stati “etici” ne ho visti pochini,dal ‘900 in poi. forse solo quello di G:G.Moreno in Ecuador agli inizii del ‘900.
b) la legge naturale è,di fatto, quasi sempre antitetica al diritto”positivo”così come si è sviluppato dal ‘700 in poi.e siccome il bene ed il male sono relativi al periodo storico ,alle condizioni sociali ed ai mezzi di chi detiene il potere….
c) i riferimenti al rispetto dell’autorità valgono solo se quest’ultima si rifà al diritto naturale e -di conseguenza- all’insegnamento morale e sociale della chiesa che ne è l’interprete ultimo.
d)le élite al potere -quasi sempre- tendono a conservare il potere e a cooptare ,oltre ai propri familiari,quelli che la pensano come loro( e come G.Bocca ha detto bene nell’ultima intervista riportata dal Foglio sulle minoranze intellettuali che devono-devono!-custodire la democrazia(cioè:gli altri lavorino,noi diciamo agli altri come spendere i loro soldi e come vivere. noi ce la godiamo…(vedi Italia attuale…)
insomma, l’obiettivo è il potere in sè stesso. non il bene comune….
tipo tardo e fine impero romano.come ha ricordato Magdi Allam ieri(no ricordo se sul Giornale o Libero)
Augh!
Potremmo dire che le nostre democrazie sono oligarchie di coloro che hanno gli strumenti e il potere per formare e condizionare l’opinione pubblica.
E anche se l’opinione pubblica non abbassa il testone come si vorrebbe, l’importante è far credere il contrario e arrivare a modificare le leggi: a partire dal dato che una mentalità “lesionata” dal relativismo tenderà naturalmente a ritenere moralmente neutro ciò che la legge permette o prescrive, il risultato desiderato si otterrà comunque in un secondo momento.
Ed ecco la “dittatura del relativismo”.
Bisognerebbe allora che aveste la potenza (economica, politica, culturale, mediatica etc.)necessaria a inculcare nel popolo i vs. princìpi?
Sono stati superati i
600mila (seicentomila!)
contatti del blog!
Sorbole!
http://www.treccani.it/vocabolario/sorba/
http://dizionari3.corriere.it/dizionario_italiano/S/sorbola.shtml
Grazie Alessandro!
😀
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
dimenticavo un p.s.
dopo aver letto quell’intervista sul Foglio, ed essermi stropicciato bene gli occhi per aver letto( sarà stato “rilassamento” senile a fargli dire quel che non si dovrebbe dire, soprattutto da parte dei “sinceri democratici della soc.civile”?mah!) quel che Bocca ha detto sulle avanguardie che devono custodire la democrazia, mi è corso un brivido lungo la schiena…..
mi sa che finiremo come Montanelli raccontava sulla fine dll’Impero Romano: verso la fine erano i Romani a varcare le frontiere per andarsene dall’impero….un po’ come se gl’Italiani prendessero i gommoni-in subordine il traghetto- per andare in Albania….
Montanelli come storico non è molto attendibile, comunque 🙂
p.s. consiglio di lettura per Vale.
Bryan Ward Perkins, La caduta di Roma e la fine della civiltà, Laterza, Bari (collana Storia e società), 2008, 293 p.
Agguerrito, controcorrente, gradevole da leggere e mette i brividi come Montanelli ma è molto più aggiornato e storicamente attendibile. Una ghiottoneria per gli amanti della storia politicamente scorretti
grazie ,ma lo citavo per la battuta.
per quanto riguarda il testo: già letto. una buona metà dei volumi che ho (attualmente) a casa,senza contare quelli che non ho ,ma ho letto, sono di storia…
😀
La cosa paradossale è che mentre c’è ovunque una crisi dell’autorità a tutti evidente, c’è al tempo stesso una sorta di ricerca dell’auorità medesima, invocata come conferma e sostegno delle scelte soggettive. Cioè in altre parole, l’autorità non ha più la funzione di correggere ed indirizzare, ma piuttosto quella di confermare ciò che io già di mio ho intuito. Accade così che si giunge al paradosso che al declino dell’autorità corrisponde curiosamente una crescita parallela dell’ipse dixit, sempre più comune.
Autorevole quindi non è più chi ha la capacità di far crescere (auctoritas viene da augeo) ma al contrario, chi sa blandire, vezzeggiare e in definitiva lasciare ciechi e sordi e ben addormentati coloro che invece andrebbero svegliati
Meno male, allora,, che c’è la Chiesa, a sfruculiarci?
Ahimé non tutti nella Chiesa, sennò sai che coro di trombe che faremmo?
Don Fabio! Smack!!!!
Sulla legge naturale
“La capacità di vedere le leggi dell’essere materiale ci rende incapaci di vedere il messaggio etico contenuto nell’essere, messaggio chiamato dalla tradizione lex naturalis, legge morale naturale. Una parola, questa, per molti oggi quasi incomprensibile a causa di un concetto di natura non più metafisico, ma solamente empirico. Il fatto che la natura, l’essere stesso non sia più trasparente per un messaggio morale, crea un senso di disorientamento che rende precarie ed incerte le scelte della vita di ogni giorno. Lo smarrimento, naturalmente, aggredisce in modo particolare le generazioni più giovani, che devono in questo contesto trovare le scelte fondamentali per la loro vita.
E’ proprio alla luce di queste constatazioni che appare in tutta la sua urgenza la necessità di riflettere sul tema della legge naturale e di ritrovare la sua verità comune a tutti gli uomini. Tale legge, a cui accenna anche l’apostolo Paolo (cfr Rm 2,14-15), è scritta nel cuore dell’uomo ed è, di conseguenza, anche oggi non semplicemente inaccessibile. Questa legge ha come suo primo e generalissimo principio quello di “fare il bene ed evitare il male”. E’, questa, una verità la cui evidenza si impone immediatamente a ciascuno. Da essa scaturiscono gli altri principi più particolari, che regolano il giudizio etico sui diritti e sui doveri di ciascuno. Tale è il principio del rispetto per la vita umana dal suo concepimento fino al suo termine naturale, non essendo questo bene della vita proprietà dell’uomo ma dono gratuito di Dio. Tale è pure il dovere di cercare la verità, presupposto necessario di ogni autentica maturazione della persona. Altra fondamentale istanza del soggetto è la libertà. Tenendo conto, tuttavia, del fatto che la libertà umana è sempre una libertà condivisa con gli altri, è chiaro che l’armonia delle libertà può essere trovata solo in ciò che è comune a tutti: la verità dell’essere umano, il messaggio fondamentale dell’essere stesso, la lex naturalis appunto. E come non menzionare, da una parte, l’esigenza di giustizia che si manifesta nel dare unicuique suum e, dall’altra, l’attesa di solidarietà che alimenta in ciascuno, specialmente se disagiato, la speranza di un aiuto da parte di chi ha avuto una sorte migliore? Si esprimono, in questi valori, norme inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore e neppure dal consenso che gli Stati possono ad esse prestare. Sono infatti norme che precedono qualsiasi legge umana: come tali, non ammettono interventi in deroga da parte di nessuno.
La legge naturale è la sorgente da cui scaturiscono, insieme a diritti fondamentali, anche imperativi etici che è doveroso onorare. Nell’attuale etica e filosofia del Diritto, sono largamente diffusi i postulati del positivismo giuridico. La conseguenza è che la legislazione diventa spesso solo un compromesso tra diversi interessi: si cerca di trasformare in diritti interessi privati o desideri che stridono con i doveri derivanti dalla responsabilità sociale. In questa situazione è opportuno ricordare che ogni ordinamento giuridico, a livello sia interno che internazionale, trae ultimamente la sua legittimità dal radicamento nella legge naturale, nel messaggio etico iscritto nello stesso essere umano.
La legge naturale è, in definitiva, il solo valido baluardo contro l’arbitrio del potere o gli inganni della manipolazione ideologica. La conoscenza di questa legge iscritta nel cuore dell’uomo aumenta con il progredire della coscienza morale. La prima preoccupazione per tutti, e particolarmente per chi ha responsabilità pubbliche, dovrebbe quindi essere quella di promuovere la maturazione della coscienza morale. E’ questo il progresso fondamentale senza il quale tutti gli altri progressi finiscono per risultare non autentici. La legge iscritta nella nostra natura è la vera garanzia offerta ad ognuno per poter vivere libero e rispettato nella propria dignità.”
(Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al Congresso Internazionale sulla Legge morale naturale, 12 febbraio 2007)
Daniela, quanto ci hai scritto oggi (e che io ho stampato e messo in memoria nelle mie cartelle come testo da rileggere per come è chiaro e sintetico ) è una di quelle riflessioni profonde e a tutto campo che ritengo fondamentali per come viviamo o riusciamo a vivere o a non vivere.
Questa riflessione e le molte (e bellissime) che oggi sono state scritte e che possono integrarsi come complementari alla tua, sono condivise da ogni persona oggi voglia dirsi “seguace di Cristo e figlia di Dio”.
Sono laceranti in quanto ci pongono in una posizione di perenne conflitto col mondo che viviamo, con le persone che ci circondano.
E coloro che condividono le nostre scelte finiscono a legarsi a noi (e viceversa) come pochi sani in un mondo di appestati (tanto per parlar chiaro).
E poi ci chiediamo: ma la peste è comunque entrata anche in noi e neppure ce ne accorgiamo ? e quanto possiamo/dobbiamo essere/diventare “intransigenti” ? (la parola “radicali” mi da fastidio).
Io mi reputo uno “duro”, mio padre era nato nel 1906 e mi ha avuto in là con gli anni, ma mi ha educato con la visione del mondo che aveva ricevuto da suo padre classe 1878. Questo mi ha aiutato, a questo aggiungi che era un onesto borghese, lavoratore di una volta, di quelli che non hanno mai fatto le ferie…che non conoscevano la distinzione tra lavoro e vita quotidiana, tra responsabilità familiari e professionali, tra vita privata e pubblica.
Lui era come lo vedevi, senza filtri o ipocrisie, un toscanaccio buono e ingenuo che ti spiattellava il suo pensiero senza neppure porsi la domanda di chi aveva davanti.
Un collezionista di “gaffes” sulle quali rideva per primo come un matto. Ma era anche un cuore vicino a Dio. Di una Fede semplice, elementare. Un carattere indomito e privatamente po’ anarcoide.
Ed il suo senso dell’autorità era ottocentesco, come quello della famiglia, o del rispetto della vita . Io fui cresciuto a “quella “ scuola e dopo trovai un mondo che in tutto e per tutto criminalizzò quella gente, quei valori, come scriveva il “Sini” qualche giorno fa. Se resistetti nel profondo ed aderii solo superficialmente, se la vernice si staccò subito al primo “riflusso” come venne chiamato all’epoca la prima metà anni ’80 è perché c’era stato mio padre ed ovviamente mia madre (grecista, insegnante di lettere antiche e figlia d’un avvocato che si faceva pagare solo dai “ricchi”e che dimenticava le parcelle dei “poveri”).
Insomma io ho avuto, senza averne una completa consapevolezza, e neppure i miei, un educazione alla “diversità” ad essere controcorrente.
Mio padre si faceva continuamente un vanto di essere “bastian contrario”, di pensare con la sua testa, di essere pronto ad andare contro tutti e tutto.
Ed oggi io non so quanto debbo spingere la mia intransigenza ed il mio rifiuto del mondo, e non so, esattamente come dicevi tu, quanto ce l’abbia già dentro. Ho cacciato la Tv da casa mia e non compro quotidiani, ne riviste. In casa mia arrivano Radici Cristiane, Tracce, Tempi…
Sono di carattere abbastanza autoritario ed il mio ruolo di imprenditore mi rafforza, però mi sento una “m…” davanti a Dio ed al Suo Immenso Amore e Sacrificio e questo mi toglie costantemente ogni certezza ed ogni sicurezza sul mio operato, questo mi fa sentire come un ceco che si muove sempre a tentoni e con le mani avanti.
Eppure non posso star fermo, debbo andare avanti, devo trovare il modo di tradurre tutte le belle cose che avete scritto e che condivido nel profondo del cuore, nel mio operato di amministratore delegato, di proprietario, di padre, di marito, di fratello, di orfano, di erede di una civiltà che non ripudio anzi faccio mia nel senso di appartenenza alla Tradizione di quell’Occidente che iniziò con Teodosio e Costantino e di quella Chiesa Apostolica Romana anch’essa intrisa della Sua Santa Tradizione.
E come posso essere certo di non trasformarmi in rinoceronte ? Ricordate “Rhinoceros” di E. Ionesco ?
Attraverso Cristo. E questo è anche il motivo per il quale ho aderito per la prima volta in vita mia ad uno strumento che non mi piace affatto il “blog”. Lo trovo freddo, dispersivo,incline alla rissa (non questo, qui per fortuna ne ho trovate assai poche). Però come Tu stessa hai scritto ci consente di diffondere idee, accogliere riflessioni e trovare comunanza con persone ai quattro angoli d’Italia. Persone che un giorno vorrei conoscere tutte di persona…odio l’anonimato. Non siamo parole, ma carne e spirito
Grazie, Umberto. Soprattutto per aver rievocato la bella figura di tuo padre.
Benvenuto ad un post di questo livello.
Stefano Re
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